giovedì 28 giugno 2012

Capitolo 1. Questo scarabocchio vorrebbe essere un omaggio al mio autore preferito, Stephen King, e soprattutto al suo capolavoro, It.
Ha all'incirca il valore del nome Misery dato da Annie Wilkes alla sua maiala, i Fedeli lettori capiranno.
L'ho scritto di getto due anni fa dopo aver riletto It e averlo trovato incredibile.
Sarebbe, vorrebbe essere, un primo capitolo di un possibile seguito, l'ho scritto quanto più kinghianamente mi era possibile. Nei prossimi pubblicherò i capitoli successivi.

IT 2 (la vendetta)

La storia che in realtà non era mai finita, ricominciò a dire il vero tre giorni dopo la catastrofe del 31 maggio 1985, quando il piccolo Bobby, che aveva all’epoca dieci anni e due mesi, si avvicinò troppo al ciglio del crepaccio che aveva ormai preso il posto del centro di Derry. Tenendo il suo skateboard con la mano sinistra e un ghiacciolo al limone nella destra, il piccolo Gray, come lo chiamava la madre Luella, scivolò su una pietra traballante e finì giù per la scarpata rischiando di andare a infilzarsi sui tondini di ferro contorti e arrugginiti che erano l’unica cosa che rimaneva del Canale.
Gli scivolò prima il piede sinistro, poi cominciò a slittare il destro e solo allora la pietra traballante perse ogni contatto col terreno e cominciò a scendere decisamente verso l’abisso. – Mio Dio! – pensò Bobby scivolando senza potersi minimamente opporre alla forza di gravità – Muoio! – e allargò la bocca per emettere un urlo che sarebbe stato l’ultima azione cosciente della sua vita, quando una grande mano lo afferrò per il braccio destro.
- Preso! – disse sicuro l’uomo che lo aveva afferrato al volo, un enorme omaccione dai capelli brizzolati che indossava una tuta arancione da soccorritore – Sarebbe stata una brutta caduta. – disse e gli aggiustò i vestiti che erano tutti in disordine. – Va bene, piccolo? –
Bobby annuì sicuro che sarebbe scoppiato a piangere, il cuore che gli batteva impazzito tra un timpano e l’altro e la gola ridotta a un forellino in cui non sarebbe passato nemmeno un capello.
- Hai perso la lingua nella caduta? – gli chiese l’uomo accucciandosi davanti a lui con un sorriso enorme e rassicurante - È venuto fuori un grosso topo di fogna e te l’ha mangiata prima che io ti afferrassi la mano? – e finalmente sentendo questa battuta il bambino riuscì a sorridere,
- Mi chiamo Bobby. – disse – Bobby Gray. –
- Bene, Bobby! – gli disse l’uomo tendendogli quell’enorme manona – Io sono Philip Stone. – gli strinse la mano e la agitò slogandogli quasi la spalla, poi gli chiese: - Vuoi un gelato, piccolo? –
Bobby rimase interdetto, la mamma gli aveva detto di non accettare mai caramelle o altro da degli sconosciuti, ma era anche vero che quell’omone dalla faccia simpatica lo aveva appena salvato da un’orribile e sanguinosa morte; e poi un gelato era un gelato.
- È tornato il topo e ti ha rimangiato la lingua? – chiese Philip guardandolo con uno sguardo che era a metà tra il severo e il deluso.
- No, signore. Un gelato mi andrebbe davvero bene. Cioccolato e pistacchio. – disse Bobby e si incamminò con Philip. Quando arrivarono davanti al bar di Dicky Spinola, uomo fortunato, il palazzo dove aveva il suo negozio era il primo non crollato di tutta la via, l’omone gli disse: - Stai qui a controllare la mia vanga, che non la rubi nessuno? – ed entrò da solo uscendo fuori con due gelati E-N-O-R-M-I, come Bobby non ne aveva mai visto in vita sua.
- Andiamo a fare un giro? Ho visto una cosa... Mi sa che ti interesserà vederla. –
- Cos’è? – chiese Bobby leccando il gelato sotto lo sguardo affettuoso di Philip – È un animale morto? – in realtà sperava che fosse un uomo morto, un bambino impalato su un albero spezzato magari, con tutte le budella grigiastre di fuori come nei film dell’orrore, ma sapeva che tutti pensavano che fossero cose troppo forti per un bambino e disse “animale”.
- Vorresti vedere un animale morto? – gli chiese Philip – Quello che ho visto è molto meglio! –
Bobby accelerò il passo precedendo l’uomo che camminava usando la vanga a mo’ di bastone, chiedendosi se non fosse un po’ scemo, visto che stava precedendo chi in realtà doveva fargli da guida, ma in realtà sapeva benissimo dove stavano andando. Se a Derry c’era qualcosa di interessante da vedere, che lui ne avesse notizia, questo era sempre stato nei Barrens. Tranne quella volta che il suo amico il suo amico Tommy Vicananza aveva visto lo Squalo, proprio quello del film, nel Canale, ma dopotutto il fiume che usciva dal Canale andava a finire proprio nei Barrens, e quindi...
Anche l’omaccione vestito di arancione affrettò il passo e così, quando cominciarono a scendere dalla scarpata che portava ai Barrens, Mamma mia quanto fango che c’è quaggiù!, pensò Bobby, aveva ormai il fiatone e aveva cominciato a sudare.
- Dov’è? – chiese all’omone in preda a un’agitazione incredibile, sapeva che era un bambino morto, sbudellato e con gli occhi spalancati, le palle degli occhi opache e impolverate e una mosca che gli si infilava nel naso. – Dai, Philip, dov’è? –
- È là in fondo, disse l’uomo che ansimava un po’ anche lui,tra quelle radici e quel tubo delle fogne. – e si affrettò camminando nella fanghiglia con i suoi grossi anfibi sporchi e graffiati.
Bobby si fermò per un attimo, si stava addentrando in un posto deserto e pericoloso con uno sconosciuto, mamma e papà non sarebbero stati d’accordo, anzi, papà gli avrebbe dato una bella ripassata con la cinghia se lo avesse saputo. E poi il Kenduskeag faceva tanto rumore che nessuno avrebbe potuto sentirlo urlare... – Vieni Bobby! È qui! – urlò l’omone - È una cosa davvero incredibile! – e Bobby, scegliendo a un bivio che avrebbe potuto cambiare la sua vita e quelle di molti altri, disobbedì agli ordini dei suoi genitori e corse nella fanghiglia fino a quell’intrico di radici. Superò Philip e guardò davanti a sé aspettandosi qualcosa di formidabile, qualcosa di incredibilmente FORTE, e invece... – Ma che scherzo è? Non c’è niente qui! – e si voltò per guardare in faccia l’uomo, forse ora un po’ impaurito.
L’uomo era rosso in faccia e ansimava, si guardò intorno con circospezione e poi disse: - Non sei stato per nulla attento prima, Bobby. Se lo dicessi ai tuoi genitori, che stavi cadendo giù in quel baratro, si arrabbierebbero molto con te. –
- Non è vero. – disse lui sentendosi enormemente piccolo davanti a quella massa di muscoli arancioni, piccolo e disgustato dall’odore di fango e fogna che c’era in quel posto – I miei genitori...-
Ma l’uomo lo interruppe alzando una mano come per colpirlo – I tuoi genitori ti picchierebbero a sangue, piccolo teppista. Sei stato proprio un bambino cattivo! – si guardò di nuovo intorno e alle spalle. Non c’era nessuno e sorrise. Si passò una mano sul cavallo dei pantaloni, sbuffò e disse: - E poi, piccolo teppista, per prenderti al volo mi sono fatto male alla spalla. –
- Mi dispiace... – disse Bobby indietreggiando di un passo e sentendo subito le radici intricate dell’albero che gli sbarravano la via di fuga – Non volevo. La prossima volta starò attento. –
- La prossima volta starò attento. – lo canzonò l’uomo facendo una vocina da bambino piccolo e agitando le mani in aria come una bimba stupida – Mi dispiace tanto, non volevo, ma la prossima volta... Tutti così dite, voi bambini. Tirati giù i pantaloni! – gli ordinò cambiando il tono di voce e scendendo di almeno un’ottava.
- Cosa? – chiese Bobby, ma il tono autoritario lo aveva già costretto a portare le mani alla cintura per aprirla.
- Tirati giù i pantaloni! – e questa volta la mano alzata si abbassò colpendolo col palmo aperto sulla guancia sinistra. Fu come se un falò gli si fosse acceso da quel lato della testa. Cominciò a piangere e si aprì la cintura, sbottonò i calzoni e li fece calare fino alle caviglie.
- Anche le mutande! – disse l’uomo con quel tono che non ammetteva repliche, alzando di nuovo la mano.
- Ma... – piagnucolò Bobby abbassandosi comunque le mutande e rimanendo nudo di fronte a quell’omone. Aveva tanta paura che le palle gli si erano andate a rintanare in mezzo alla pancia e il pisellino cercava di scomparire come le antenne di una lumaca. – Non mi faccia male! – disse singhiozzando tanto da risultare incomprensibile, ma l’uomo lo prese per una spalla e lo voltò costringendolo a mettersi a quattro zampe – La prego, non mi sculacci! – urlò piangendo, ma un manrovescio sulla nuca lo costrinse a stare zitto.
Mentre aspettava gli schiaffi e piangeva per l’umiliazione e il dolore che sapeva che avrebbe sentito di lì a poco, sentì un rumore che lo spaventò ancora di più. Quell’uomo si stava abbassando la zip, si stava togliendo i pantaloni anche lui. – Ma... – disse tentando di girarsi e intravedendo appena il coso enorme che gli ballonzolava davanti. Era come una banana viola, mostruosa. Tentò di alzarsi, ma l’uomo lo picchiò di nuovo e grugnendo come un animale lo fermò per le spalle.
- Zitto e fermo, piccolo maiale! – disse ansimando e avvicinandosi al lui, poi successe una cosa che Bobby non capì fino in fondo.
Quel’uomo, Philip Stone, gli infilò quel coso dentro, lacerandolo e facendolo urlare, glielo infilò là dove usciva la cacca, là dove a volte la mamma gli infilava le supposte quando passava tutta la notte col mal di stomaco. Non fu un dolore a cui era pronto, non era proprio per nulla una cosa per cui era pronto. Fu come se gli fosse esploso un petardo nel sedere, uno di quelli grossi che usavano i ragazzi più grandi, e non finì lì. L’uomo continuò a spingere quel coso dentro di lui, avanti e indietro, le mani strette sulle sue spalle come morse uncinate, il respiro affannoso come dopo una corsa. Andò avanti per un tempo indefinito, forse un minuto, forse due o tre vite consecutive, Bobby non lo sapeva, poi l’uomo gli si incollò addosso e emise un grugnito soffocato accasciandosi per un attimo su di lui, senza avergli tolto da dentro quel coso.
Poi finalmente uscì da lui e lo lasciò cadere a terra, la faccia nel fango fresco, gli occhi così pieni di lacrime che non riusciva ad aprirli, ma forse poi non voleva farlo davvero.
L’uomo si rialzò e tirò su i pantaloni, si richiuse zip e cintura e poi disse: - Che schifo! Un piccolo nano pieno di merda, ecco cosa sei, Bobby! – e c’era davvero disprezzo nella sua voce – Sei uno schifoso nano pieno di merda e finocchio! Che pena per i tuoi genitori! –
– Io non... – disse Bobby piangendo con il naso che gli colava il moccio fino in bocca, ululò il suo dolore e la sua paura e ripeté: - Io non...-, ma l’uomo lo colpì con un manrovescio che lo fece cadere di nuovo con la faccia nel fango e disse con la voce in falsetto: - Io non...- rise e gli sputò addosso – Io non sono un bravo bambino! – urlò – Io sono solo un frocio schifoso che seduce i poveri uomini! – e gli mollò un calcio nel fianco strappandogli un gemito sordo, il dolore lo costrinse a raggomitolarsi come un cucciolo esposto al freddo – Io sono solo una checca schifosa! – e lo afferrò per le spalle e lo sollevò in aria come un oggetto, - Che schifo! Ma vattene nella fogna! – disse e lo fece cadere dentro il tubo di cemento che emergeva dal terreno lì vicino.
Bobby cadde così raggomitolato, non tentò neanche di attutire la caduta, però il fondo era fangoso e pieno di foglie marce e non si spezzò nessun osso. Però il dolore fu totale, lo fece cadere in un sonno profondo che era più dolore che assenza di sensibilità, un sonno che era fatto di lamenti e che durò forse un paio di minuti, ma potevano essere anche delle ore.
L’uomo che gli si era presentato come Philip Stone si allontanò in fretta, risalì sulla strada e si incamminò verso la sua auto. Ripartì pensando che da un momento all’altro il bambino sarebbe arrivato con lo sceriffo accanto, un bambino con i pantaloni zuppi di sangue che lo avrebbe indicato con un ditino accusatore, ma il bambino non arrivò. Philip Stone, se questo era il suo nome, si allontanò da Derry e uscì per sempre da questa storia, ma, se proprio volete sapere cosa gli successe in seguito, tre anni dopo il padre di una sua vittima lo aspettò sotto casa e gli scaricò un intero caricatore nelle ginocchia, nelle palle e nella pancia. Nessuno scoprì l’aggressore e il ferito morì in ospedale dopo quattro giorni di agonia. Nessuno pianse per lui, fu cremato dal suo comune e le sue ceneri stanno ancora adesso a riposare in una anonima scatola di cartone in un sotterraneo che puzza di piscia di topo. Ma questa è un’altra storia.
Sei anni dopo, nel maggio del 1991, Bobby sarebbe stato operato di appendicite e, nel breve periodo che seguì al risveglio dall’anestesia, visse per la seconda volta il senso di spaesamento totale che provò quel pomeriggio del tre giugno del 1985, quando si risvegliò in una sinfonia di dolori immerso in quella fanghiglia marcia e puzzolente che aveva attutito la sua caduta in fondo al pozzo delle fogne.
Passò almeno due o tre ere geologiche raggomitolato come un piccolo animaletto spaventato, piangendo senza neanche sapere chi era, fino a che ricordò cosa gli era successo e si mise a mugolare per il dolore e la paura, sicuro di essere totalmente impazzito, perche quelle cose non potevano succedere, non a un piccolo, bravo bambino americano. Dopo qualche altro miliardo di anni, stelle erano nate nel frattempo e altre erano morte diventando piccole masse di materia morta che distruggevano mondi, si alzò e tentò di arrampicarsi per uscire, ma i pioli di ferro erano tutti rotti e le pareti erano troppo alte e lisce. Tentò di arrampicarsi per molte e molte ere mentre i dinosauri crescevano e si moltiplicavano popolando al terra per essere poi spazzati via da un enorme asteroide, ma le pareti continuavano a essere là, qualche millimetro o migliaia di anni luce oltre le sue dita, fino a che, senza più piangere, che non c’erano più lacrime, provò a passare per il canale fetido che passava alle sue spalle.
La luce lo abbandonò molto presto, prima diventando come un’ombra al contrario alle sue spalle, poi diventando un ricordo lontano e ormai sbiadito, mentre il rumore dell’acqua e delle pompe idrauliche ronfavano tranquilli tutto intorno a lui calmandolo e facendolo sentire calmo e tranquillo come non era più stato da quando era uscito da sua madre il giorno della sua nascita.
Troppo intontito per avere paura, troppo spaventato dal mondo reale per potere ancora temere dei possibili mostri appostati intorno a lui nelle tenebre di quelle fogne umide e puzzolenti, continuò a scendere fantasticando di stare arrivando in Cina, o forse in un altro mondo, un mondo oltre il nostro, un mondo
OLTRE L’UNIVERSO
...oltre il nostro universo, un mondo a distanze non misurabili dalla nostra misera pallina di terra lanciata in un volo infinito per lo spazio vuoto, un mondo
MIGLIORE
...migliore, sì, un mondo buio come le gallerie dove stava camminando, un
POZZI NERI
...un pozzo nero in cui enormi omaccioni vestiti di arancione non gli avrebbero fatto del male.
Camminava nel buio con le braccia davanti a sé, strisciando contro le pareti quando serviva, coricato in terra dove non c’era altro modo, incurante della stanchezza e del dolore, sicuro che una volta arrivato
NEL NIDO
...nel nido, cioè in fondo alle gallerie, avrebbe trovato un suo nido sicuro, sapendo che lo avrebbe trovato. Scavalcò un mucchio di bastoni secchi una volta, o almeno gli sembrarono bastoni, anche se c’era della stoffa sopra, e in uno slargo colpì col piede un piccolo oggetto di plastica che andò a sbattere contro la parete; si fermò a cercarlo e infine lo trovò, un piccolo spruzzatore di plastica di quelli che usavano gli asmatici, come il suo compagno di classe Matthew. Pensò di spruzzarlo per sentire l’odore, ma
È ACIDO!
...per un attimo fu sicuro che fosse pieno di acido e lo gettò in terra, senza cercarlo più. Doveva arrivare in fondo.
Camminò per molto tempo, le ore furono sostituite dai minuti, e poi dai giorni, ai secondi seguirono i mesi e qualcosa cambiò nel mondo intorno a lui solo dopo molte settimane. La galleria in cui camminava non era più stretta, si era incredibilmente allargata intorno a lui e il rumore dei suoi passi, un piccolo rumore, indossava scarpe da ginnastica, echeggiava intorno a lui per molto tempo.
- Eccomi! – urlò – Sono arrivato! – e la galleria gli rispose – OOOMIIII! – e – AAATOOOO! – come se qualcuno gli avesse dato il
BENVENUTO!
...benvenuto, ora si sentiva più tranquillo, ora si sentiva a
CASA
...casa, sì, si sentiva come a casa, sotto le coperte quando fuori nevicava e tirava vento.
Camminò ancora a lungo, tranquillo e allegro, ormai non sentiva quasi più dolore, accorgendosi che il pavimento sotto di lui era un lastricato, avvertendo che nel buio le pareti e il soffitto erano ormai incredibilmente distanti da lui. E poi, all’improvviso, inciampò su una cosa.
- O mio Dio! – urlò cadendo e picchiando una spalla in terra – Cosa c’era? – disse alzandosi e muovendo a tentoni la mano per trovare il grosso fagotto che
TI HA FATTO CADERE
...lo aveva fatto cadere.
QUEL MALEDETTO LO HA FATTO APPOSTA
...lo aveva fatto cadere apposta.
Era un grosso involto di tessuto, e dentro... c’era qualcosa... un uomo! Era un uomo morto. Balzò all’indietro disgustato, ora che ci faceva caso sentiva anche un cattivo odore, come quando mamma lasciava troppi giorni nel frigo la cosce di pollo e poi doveva buttarle, come quella volta che aveva trovato un ratto morto dopo una grande pioggia e lo aveva girato con un bastone. “Brulicante di vermi” lo aveva definito Martin e la parola gli era sembrata schifosamente appropriata.
Era un uomo morto, un morto marcio e puzzolente, un uomo
CATTIVO
...un uomo che era andato a morire lì e che
TI HA VOLUTO FARE PAURA
... e che lo aveva spaventato a morte. Lo odiava. Si allontanò indietreggiando e andò a picchiare contro una parete, si girò e cominciò a tastarla, non più tranquillo, non più sereno, perché non si sentiva più a casa, ma si sentiva in una profonda buca buia insieme a un morto puzzolente, si sentiva solo e si sentiva spaventato. Forse Philip Stone lo aveva seguito fin lì, forse stava in silenzio a pochi metri da lui, pronto a
FARTI MALE
... a schiaffeggiarlo ancora
A SCOPARTI
... a infilargli ancora dentro quel coso enorme che aveva tirato fuori dai pantaloni, e poi lo avrebbe picchiato perche era stato un bambino cattivo.
Trovò una piccola porta, una porta da gnomi, girò la maniglia e la porta cigolò aprendosi su una enorme camera buia e vuota, sentiva l’eco del suo ansimare.
Si precipitò dentro sicuro che Stone fosse alle sue spalle, magari insieme al morto, perché nei film aveva visto che a volte i morti si alzano e
TI MANGIANO VIVO
...mangiano vivi gli umani. Corse dentro alla stanza, scavalcando degli ostacoli che gli sembravano tronchi mezzi marci, odiando Philip Stone, odiando il morto là fuori dalla porta, cercando di capire quando tutto aveva cominciato ad andare male
È STATO ALLORA
...Sì, era stato tre giorni prima, stava facendo correre una barchetta di carta nella canaletta della strada e quell’uomo
CALVO E ALTO
... calvo e alto, quello dello skateboard, insieme a degli altri, dei
PERDENTI
... dei perdenti come lui, un uomo con la barba, che era magro ma gli sembrava un
CICCIONE
...un ciccione, un tizio riccioluto con gli occhiali rotti
QUATTROCCHI DI MERDA
...un quattrocchi e una bella donna dai capelli rossi
LA LORO PUTTANA
...che gli sembrava una di quelle donne che i suoi amici più grandi guardavano su quei giornaletti pieni di cose strane, una puttana... Quell’uomo alto e calvo
BILL TARTAGLIA
... quell’uomo gli aveva detto che oramai andava tutto bene, che non c’era più pericolo.
ODIO!
... Pensò che lo odiava, se non gli avesse detto quella balla non sarebbe uscito da solo, non sarebbe caduto in quel buco e non avrebbe mai incontrato Philip Stone. Scoppiò a piangere sentendosi solo e indifeso, solo e affamato, solo e abbandonato da tutti.
Camminò in quel mondo buio urlando e piangendo, inciampando in quei cumuli che gli facevano schifo, immaginando di sentire il respiro di altre persone, i passi strascicati di quel morto che voleva mangiargli il cervello, i passi di Stone che stava per afferrarlo, quando sentì un odore provenire da davanti a lui.
- Pollo! – disse dimenticandosi la paura, accelerò il passo e trovò quello che cercava. Era un qualcosa di enorme, come dei tronchi di un albero, ma con odore di pollo. Lo toccò con le mani e sentì della carne morbida, profumava di pollo arrosto, quello che mamma faceva un sabato sì e uno no, ne staccò un pezzo e fece per mangiarlo, quando gli venne un dubbio: l’odore non era di pollo, era odore di marcio, di morte, di fogne intasate, di carne lasciata l sole per mesi, l’odore della tomba di una mummia, stava per gettarlo in terra quando
E POLLO, IL POLLO DI MAMMA
...quando si accorse che odorava proprio di pollo, anzi, era pollo, un pollo grande, un pollo enorme, più grande del tacchino del ringraziamento, ma pollo. Lo mangiò con gusto e tutto andò meglio, nessuno era lì con lui, e quelle tenebre intorno a lui gli erano amiche, erano coperte che si poteva mettere sulla testa quando aveva paura, quando giocava al sommergibilista nel suo letto.
Ne mangiò un altro pezzo, e poi dell’altro ancora, e, per un attimo, gli sembrò di vedere l’enorme antro illuminato intorno a lui, gli sembrò di vederlo come era stato in passato e come sarebbe di nuovo stato in futuro e ne gioì. Poi, sazio e felice, si coricò con la testa appoggiata sul corpo dell’enorme pollo che aveva mangiato e si addormentò.
Sognò di volare nel nulla, sognò una enorme tartaruga che per fortuna era morta, sognò di passare una barriera e di trovarsi a casa. E fu allora che si svegliò del tutto e si trovò nei Barrens. Non capendo bene cosa fosse successo, si diresse verso casa, ignaro del fatto che tutti in città lo stessero cercando ormai da tre giorni. Era il 6 giugno quando Luella Okstetter, sua madre, lo riabbracciò finalmente bagnandogli i capelli infangati di lacrime. L’incubo, anche se nessuno lo sapeva, era ricominciato.


Fine.