mercoledì 20 ottobre 2021

Recensione di "Sette sconosciuti a El Royale"

 

Sette sconosciuti a El Royale, USA 2018, scritto e diretto da Drew Goddard.


Un motel nel 1969, un tempo molto importante e ora semideserto, un gruppetto di persone sconosciute le une alle altre, una tremenda pioggia incessante... Identity con Cusack e Liotta? No, Sette sconosciuti a El Royale.

Allora, spoilererò senza pietà, vi avverto, ci sta il pigro portiere/uomo delle pulizie/cuoco che in realtà è un drogato, ma in realtà spia la gente per qualcuno di ignoto, ma in realtà è un cecchino infallibile e pentito.

C'è il prete cattolico un po' svanito che in realtà è un ex galeotto finito in carcere per rapina e che è uscito dal carcere con un bell'Alzheimer galoppante.

C'è la odiosa hippie con auto sportiva che in realtà è un'odiosa sorella maggiore che ha rapito, con l'auto sportiva, la sorellina plagiata da una specie di Charles Manson versione Thor (Se il film fosse stato girato negli anni 80 o 90 nella parte ci avrei visto da dio proprio il nostro Jeff Bridges).

C'è la sorellina nel bagagliaio, matta come un cavallo.

C'è il commesso viaggiatore chiacchierone che in realtà è un agente dell'FBI che deve recuperare microfoni nascosti e farsi i cavolacci suoi, ma che vorrà fare l'eroe.

Insomma, tutti fingono, no? Ah, no, la cantante nera è una cantante nera che non fa altro che cantare, e di falso ha solo la parrucca.

E c'è il tesoro nascosto, una bella borsona piena di fruscianti dollaroni nascosta dal fratello del non-prete dieci anni prima, subito prima di essere ammazzato da … boh?

Comunque il film comincia con un uomo che entra in una stanza, sposta i mobili, arrotola la moquette, smonta il pavimento, nasconde la borsa, rimette tutto a posto, apre la porta e viene ammazzato. Bella la scena, si capirà poi che è un'inquadratura fissa perché è vista da dietro un finto specchio, ma … chi lo uccide? Mistero. Chi lo spiava o riprendeva? Nessuno, visto che 10 anni dopo i soldi erano ancora lì. Errori grossolani di sceneggiatura, questi.

Passano dieci anni, arrivano i protagonisti, uno alla volta un segmento racconta chi sono e i segmenti si incrociano portando avanti la storia. E poi, dopo spari, morti, bottigliate in testa, e canzoni, tante, troppe canzoni cantate dalla brava Cynthia Erivo, (Cioè. Le due canzoni che canta quando è spiata attraverso il falso specchio sono dei pezzi di bravura per come legano alla storia e danno ritmo, ma mi pare che canti otto volte. Se volevo ascoltare musica mi compravo un disco delle Supremes.) dopo tutto questo, dicevo, arriva Charles Thor Manson, cattivo e carismatico, oltre che con la camicia aperta perché c'ha gli addominali scolpiti. E qua comincia a fare la roulette russa, e ammazza un personaggio, grazie per lo spoiler nella pubblicità Rai4!, e poi lotta col non-prete e il cecchino pentito risolve tutto morendo in pace perché confessa i suoi peccati a un falso prete.

E alla fine la Erivo canta, ma non ce la fanno sentire, e il falso prete, sempre con l'Alzheimer incipiente, ma vestito bene, la ascolta tra il pubblico.

Ci delude Goddard dopo l'exploit di Quella casa nel bosco? Sì, ci delude.

Ha difetti il film? Sì, a bizzeffe. È un brutto film? No, non è brutto ed è divertente.

Ci sono tante cose lasciate lì, l'assassino del rapinatore, il padre del cecchino che vuole che spari, il padre(?) violento delle due ragazze ucciso da loro (?), i misteriosi spioni che non si sa chi siano, però c'è uno splendido motel che è più che scenografia, c'è una cura enorme nella costruzione delle scene con incastri a orologeria, ci sono attori bravi, alcuni bravissimi, la Erivo e Hamm. E un mostro come Bridges.

E poi, la vera ragione per cui il film mi piace, c'è quella strizzata d'occhio cinefila che è il personaggio di Jeff Bridges, un rapinatore che cerca un vecchio bottino vestito da prete. Mi riferisco a "Una calibro 20 per lo specialista", di Michael Cimino, 1974, uno di quei film che rimangono nel cuore. Il Clint, l'unico e il solo, era un rapinatore che cercava un bottino di una vecchia rapina, nascosto in un muro, e lo faceva vestito da prete, e il suo aiutante, straordinario per bravura nei suoi 25 anni, era Jeff Bridges. E poi, come qui il personaggio si perde ogni tanto per la demenza, il suo personaggio di allora moriva in scena per un colpo alla testa, spegnendosi lentamente da un lato all'altro, prima la mano, poi la gamba trascinata, poi la testa piegata e la bocca che pendeva da un lato, sempre sorridendo e parlando col Clint che lo vedeva, sgomento, morire.

Ecco, fate pure un film con dei difetti, dimenticate personaggi e metteteci più canzoni che nei Blues Brothers, ma fatemi una strizzata d'occhio simile a un film che amo e vi darò il voto ...10!