martedì 11 settembre 2012

Capitolo 58, (Epilogo) I Perdenti.

LVIII

Kasia Kowalsky stava seduta sulla sua sedia mentre la truccatrice le dava del fondo tinta per nascondere i due nei che aveva sulla guancia sinistra. Chissà perché, ma se una modella deve fare delle foto, non deve avere nei. Tutti hanno nei, cazzo, e non erano nei enormi, irregolari e pelosi, da strega, ma due piccoli e vezzosi puntini color caffè. Forse che una qualunque casalinga del mondo non avrebbe comprato gli slippini alla brasiliana che lei doveva indossare nelle prossime foto solo perché lei sulla guancia aveva due minuscoli puntini color caffè?
Certo che ultimamente era proprio di umore nero. Negli ultimi tre giorni aveva già avuto quattro attacchi di asma, voleva dire che era proprio in crisi.
- Hai dormito poco, Kasia? – le chiese la truccatrice, una cinquantenne tirata come l’arco di Robin Hood che pensava di sembrare una ventenne e sembrava invece una cinquantenne tirata come l’arco di Robin Hood.
- Stanotte niente, Miriam, niente di niente. –
- Vacci piano, con quella roba. – le disse la donna sorridendo.
E dajete! Pensò Kasia. Sono una modella, non ho dormito, ergo mi sono fatta di cocaina. Lei al massimo si faceva le canne, e manco spesso. L’ultima se l’era fatta quando era a casa con Richie e aveva avuto visioni che le avevano causato un sacco di incubi.
- Mi mancava il mio ragazzo. – disse Kasia, e poi pensò che ci voleva un bel po’ di fantasia per chiamarlo ragazzo. Aveva trentasei anni più di lei, cazzo, ma gli voleva un gran bene.
In realtà quella notte non è che non aveva proprio dormito per niente. Solo che quando si era addormentata, aveva sempre avuto incubi su Richie. Richie nel buio, Richie insieme a quei suoi strambi amici, Richie che teneva la mano allo scrittore che era coricato per terra, addirittura Richie che combatteva con un mostro, però il mostro non riusciva proprio a focalizzarlo.
E così continuava a svegliarsi, cazzo, le era successo quattro volte la notte prima.
E poi c’era l’altra cosa. Aveva avuto un ritardo, roba di pochi giorni, niente da segnalare, ma per quei due o tre giorni aveva pensato di poter essere incinta di Richie. E, come si può dire, ci aveva messo un po’ il cuore su questa idea.
Quando poi le erano venute, non è che avesse tirato il sospiro di sollievo che si era aspettata. Anzi. Aveva pianto, aveva pianto un bel po’ a dire il vero.
E aveva incominciato a immaginarsi con Richie e un loro figlio, come sarebbe stato essere mamma, avere qualcuno da abbracciare quando aveva paura, qualcuno che ti ama in un modo totale, qualcuno per cui sei la cosa più importante.
Lei e Richie, madre e padre. Una coppia tremendamente assortita a dire il vero, ma tant’è l’idea le era entrata in testa e … aveva provato a chiamarlo, ma non era raggiungibile. Neanche il suo agente ne sapeva più nulla, scomparso nel nulla insieme ai suoi amici, lo scrittore, l’architetto con la moglie, il poliziotto col braccio al collo e la dottoressa sexy.
E così Kasia aveva continuato a lavorare, in Toscana, sulle Alpi, in un albergo a Portofino, dovunque il pubblicitario avesse immaginato che sarebbe stato bello fotografarla con tre o quattro centimetri quadrati di pizzo e seta a coprirle le vergogne.
Ora la stavano pettinando, lunghi capelli setosi con riflessi da notte stellata. Il parrucchiere ci stava andando giù pesante con la lacca, roba da riaprire il buco dell’ozono, pensò distrattamente, mentre intorno alla sua cabina si andava assembrando un po’ di gente.
Le foto le avrebbe fatte in piazza, in mezzo a una piazza a Roma con indosso solo reggiseno, di pizzo, tanga, di pizzo, e autoreggenti nere. Roba da scappare via, in piazza davanti a una chiesa, che poi nella foto si sarebbe intravista sì e no una colonna, ma vuoi mettere scrivere “location Piazza del Pantheon”, si vende molto di più.
E mentre la stavano pettinando, sentì esplodere nel cervello una parola. RICHIE! pensò tutto il suo cervello nello stesso momento, come un urlo dentro alla scatola cranica. Senza neanche sapere cosa stesse facendo, con addosso solo la sofisticata lingerie e un accappatoio di stoffa bianca, uscì camminando sulle scarpe dagli altissimi tacchi che erano state scelte per il servizio. Non vide neanche le persone che la fissavano, i ragazzetti che si davano gomitate ammiccando, perché sentiva solo che doveva andare verso l’enorme colonnato del Pantheon.
E quando fu ai piedi dei gradini vecchi di quasi duemila anni sentì un suono, come un piccolo botto all’interno. Come se qualcosa fosse atterrato proprio al centro dell’enorme tempio.
“È Richie.” pensò e sorrise, perché sapeva che era vero. Continuò a camminare salendo i gradini e passò a passo veloce ma calmo tra le enormi colonne, mentre il fotografo e i truccatori la chiamavano senza riuscire a distrarla dal suo compito.
Poggiò le mani sul portone alto come una casa e questo si aprì senza alcuno sforzo, e vide l’interno del tempio, l’enorme rotonda illuminata dal cerchio di cielo in cima alla cupola.
E al centro, proprio sotto al foro nel tetto, Richie e i suoi amici. Lo scrittore non c’era, ma al suo posto c’era un bambino biondo magro come un’acciuga malata.
I sei si guardavano intorno stupiti, in evidente stato di shock, incapaci di accorgersi della sua presenza. A guardarli bene sembrava che non fossero neanche del tutto lì, perché per un brevissimo istante le sembrò di vedere attraverso i loro corpi.
E poi furono lì, del tutto, sentiva il loro respiro ansimante, la puzza del loro sudore e della polvere schifosa che ricopriva i loro vestiti infangati e insanguinati. Camminò verso di loro, guardandoli come avrebbe potuto guardare degli alieni, perché quello le erano sembrati per un poco.
Arrivò vicino a loro e loro la guardarono come non capendo bene dove e quando fossero, poi il bambino cominciò a respirare a fatica, risucchiando l’aria con un sibilo che lei conosceva benissimo.
- Eds. – disse Richie al piccolo, poi lo prese in braccio e andò verso di lei. – Non respira, Kasia.- disse con un’espressione stralunata, come quella di chi è appena scampato a un disastro e non si rende ancora conto di essere in salvo. – Eddie non respira. –
- Ci penso io, Richie. – disse lei vedendo la preoccupazione di un padre nel viso di Richie, si infilò la mano nella tasca dell’accappatoio e ne tirò fuori un inalatore. – Ci penso io, caro. – ripeté e infilò il piccolo aggeggio tra le labbra ormai bluastre del bambino. Spruzzò la medicina e vide il bimbo, Eddie si chiama pensò, lo vide riprendere a respirare, riprendere colore, e lo vide rilassarsi tra le braccia di Richie mentre anche gli altri si alzavano. E andavano da loro.
- Sei tornato, Richie! – disse piangendo Kasia, poi lo abbracciò stringendo a sé anche il piccolo Eddie che la guardava con amore infinito. Li abbracciò tutti e due, nell’enorme magia di quell’antico tempio in cui Ben li aveva portati.

FINE

Ringraziamenti.

Vorrei ringraziare tutte le persone grazie a cui ho scritto questo pseudo romanzo.
Per primo Stephen King. Naturalmente. Senza di lui non esisterebbe, perché i personaggi erano già perfettamente descritti e non è stata una grande fatica farli andare avanti.
Poi The Ego, l’ideatore di questo gruppo anobiano dei lettori di King, perché avrebbe potuto benissimo dirmi di smetterla di scrivere una cosa che non c’entrava nulla con un gruppo di appassionati di King, e non lo ha fatto. Insieme a lui vorrei ringraziare anche tutti quelli che non avranno gradito per niente quel messaggio quotidiano: “una nuova risposta a il mio omaggio a It” e non mi hanno mai mandato a pascolare. Grazie per la vostra pazienza.
E poi, soprattutto, grazie a tutti i miei lettori, quelli che si sono palesati e quelli che non lo hanno fatto. Però, se permettete, il mio grazie va soprattutto ai primi, perché se non fosse stato per loro, non sarei mai andato oltre al primo capitolo. Spero di elencarli tutti:
Mirca
B Rosy57
Dr. Russell (Sol)
Wfm 83
Giox
Cardenio
AnotherEmpire
Sevy
Strampamolly
Mad Max Rockatansky
Gargaros
Zetetes
Paolopanda
Jewel85
Snoopina.

lunedì 10 settembre 2012

Capitolo 57, ultimo interludio.

LVII

Ultimo interludio

Sono seduto a un tavolo su una delle terrazze più belle che si possano immaginare. Un bicchiere di vino bianco è alla mia destra e il New York Times è posato sul tavolo di fronte a me mentre scrivo per l’ultima volta su questo quaderno.
La prima pagina del quotidiano è formata solo da tre elementi, oltre alla testata. Una scritta a caratteri cubitali, grande come non l’ho mai vista su un giornale. È una sola parola, una parola italiana che tutti conoscono grazie a Dante Alighieri. INFERNO c’è scritto, e basta.
Al di sotto c’è una foto, che occupa più della metà della pagina. Sembra la luna, pietre e sabbia in un cratere i cui bordi si perdono all’orizzonte. Un sole malato splende sullo sfondo. Potrebbe sembrare una delle foto del robot atterrato su Marte, lo sembra per davvero, ma vicino all’obiettivo, assolutamente inaspettata, risalta una cosa che sulla luna o su Marte non c’è. Un cartello stradale, con su scritto Strada interstatale 95. E sotto, su due righe: Bangor 6 miglia e Derry 20 miglia. Il cartello è quasi sul bordo, viene da pensare che solo a guardarlo possa cadere giù.
Ecco cosa rimane della mia città, e delle città vicine nel raggio di venticinque o trenta miglia, un buco.
E in fondo alla pagina, sotto alla foto, oltre ai rimandi ai vari articoli, una riga che dice: Si stimano oltre duecentomila morti.
Duecentomila e uno, e quell’uno è It.
E io me ne sto qui, col mio bicchiere di vino bianco e col quaderno di mio padre, e io e il quaderno siamo tra i pochi rimasugli di Derry, insieme a Rachel e ai miei anziani amici.
Duecentomila morti. Per ora, perché secondo i climatologi la nube di detriti sorta da Derry, la nube di detriti che è Derry, oscurerà il cielo per un paio di anni, abbassando le temperature di uno o due gradi in tutto il mondo. Che adesso, sotto a questo sole può sembrare nulla, ma porterà a carestie e inondazioni qua e là per questo pianetino lanciato nel cielo.
Duecentomila morti. E It. Ho tentato di contare le persone uccise da It da quando abbiamo nozione della sua esistenza. Mi sono tenuto largo, approssimavo per eccesso appena potevo. E poi, quando ho finito il conto, ho moltiplicato per quattro pensando che gli indiani abitavano vicino a It da millenni, Micmac e altri. Cinquemila. Mi è venuto questo numero. Duecentomila a cinquemila. Come la squadra delle medie che gioca a basket contro il dreamteam di Johnson e Jordan.
Io e i miei amici siamo scesi laggiù per eliminare It, e evviva! ce la abbiamo fatta. It è morto, It non ucciderà mai più persone a Derry, nessun bambino verrà più ucciso a Derry. Non ci sono più bambini a Derry, le loro ceneri volano nel cielo sopra di noi e si poseranno solo a due anni da oggi.
Anche tu volerai, tutti volano! E bravo Pennywise, c’avevi preso, volano proprio tutti.
E mentre guardo e riguardo senza posa la foto di quel cartello stradale, un cartello che io ho passato centinaia di volte, penso che quello che abbiamo fatto deve avere un significato. Cioè, capite, sono cinquantaquattro anni che ci battiamo contro quell’essere, un essere che uccide e divora bambini, un essere che strappò il braccio al piccolo George Dembrough. Lo so che andava ucciso, e so anche che quando in una gamba hai un tumore osseo, la gamba va amputata.
Ma duecentomila morti sono duecentomila morti, e non ci puoi passare sopra.
L’altra sera Richie, davanti alla tivù che riportava le notizie del disastro, che a proposito, non si sa ancora se ascrivere a una caldera vulcanica, mai notata prima, a un asteroide, non segnalato dai radar, o a una singolarità quantistica mai registrata o anche solo immaginata da nessun fisico al mondo, mi ricordava che It ventisette anni fa si stava riproducendo. Sarebbero stati centinaia, non solo un mostro mangiatore di bambini, ma centinaia di It in tutto il mondo.
Gli ho detto che lo so. Lo so. Ma sono comunque duecentomila morti. La mia città non c’è più, ora è un buco.
E così adesso sto scrivendo per l’ultima volta sul quaderno di mio padre, come Frodo sul libro di Bilbo. Mordor è sconfitta, Sauron è morto. Ma Derry non era Mordor, cazzo no! Derry era anche buona, né più né meno di ogni altra città del mondo. Derry non era solo quella città dove un poveraccio viene linciato e buttato giù nel fiume solo perché finocchio. Derry non era solo quel buco dove un poliziotto viene quasi fatto a pezzi perché ha in custodia un assassino pedofilo. Derry non era solo la città in cui mio nonno fu quasi ridotto in cenere da dei razzisti vestiti di lenzuola bianche.
Derry è la città in cui sono cresciuto, la città in cui sono stato un bambino felice, Derry era anche tutti i miei amici che ora volano nel vento.
Derry aveva del buono in sé, molto più del male che aveva sotto di sé.
E quindi, perché abbiamo combattuto?
Abbiamo combattuto per il bene, oppure lo abbiamo fatto per il male?
Era il Male It, e la Tartaruga era il Bene, oppure abbiamo solo preso un’enorme cantonata?
Oppure non esistono il Bene e il Male, e noi non abbiamo affatto combattuto, ma siamo solo stati mossi come marionette senza avere alcuna possibilità di scelta?
Comunque, dovendo trovare una fine a questa storia, la sto scrivendo e in qualche modo dovrò pure finirla, no?, posso dirvi una cosa.
Qualche giorno fa, a Los Angeles, parlando con Bill Dembrough, gli ho chiesto cosa sia il romanzesco, perché scrivesse insomma.
Mi ha risposto che il romanzesco è la verità dietro alla bugia. Bello.
E allora gli ho chiesto quale sarebbe stata la verità nella nostra storia, se fosse stata un romanzo. E lui, vecchio matto, mi ha detto che sarebbe stata questa: - La magia esiste. – mi ha detto.
E bravo Bill, le cui ceneri ricadranno anche sulle vigne che producono questo ottimo vino. La magia esiste. No, caro Bill, esisteva. L’ultima magia di questo mondo c’è stata quando siamo arrivati qui guidati da Ben, e forse subito dopo, quando abbiamo assistito a quello che in un libro che raccontasse la nostra storia sarebbe stato un parziale lieto fine.
Se siamo stati marionette mossi da altri, Altri con la maiuscola che hanno fatto diventare amici i Perdenti tanti anni fa e che hanno fatto incontrare e innamorare me e Rachel adesso, be’, quegli Altri non ci sono più.
Siamo liberi adesso, le nostre vite continueranno dopo questo disastro, e forse riusciremo a superarlo senza impazzire e rinchiuderci in noi stessi come Audra Phillips, ma dipenderà da noi.
Quello che ci succederà da oggi in poi, sarà un’altra storia.
E se proprio volete un lieto fine, accontentatevi di quello che è successo al nostro arrivo qui. L’ultima magia di Derry.

domenica 9 settembre 2012

Capitolo 56, Derry.

LVI

- Smettila di fuggire, It. Almeno morendo dimostra di avere il coraggio dell’uomo che hai appena ucciso. – disse la Tartaruga.
- Tu non dovresti essere qui! – belò It – Quel bambino è mio! Io lo ho usato, lui è la mia porta! –
- È una porta aperta, It, e ci passa chi vuole! –
- Tu eri morta, maledetta, morta da tantissimo tempo! –
- Nessuno di noi può morire, It, e lo sai bene. E anche te oggi non morirai. –
- E allora lasciami stare, maledetta, lascia che me ne torni nei Pozzi Neri, non tornerò più qui a Derry! – implorò It tentando di allontanarsi dal bambino/Tartaruga che lo seguiva sempre più da presso.
- Non mentire con me, It, io esistevo da prima che tu inventassi la nozione stessa di bugia, io esistevo da prima che tu nascessi nel momento in cui una stella morì esplodendo. Io avevo creato quella stella. –
- Lasciami vivere, amo troppo vivere qui. Devi capirmi, Tartaruga! –
- Implorarmi non ti servirà, It, tutto oggi dovrà finire. –
- Sai cosa succederà quando mi ucciderai, vero maledetta, sai che sarà una strage come neanche io ho mai osato farne. –
- Quello che dovrà succedere, accadrà. La tua presenza qui è un errore, e io a quell’errore porrò rimedio. –
- Lo hai già fatto usando loro tanti anni fa. –
- E ho fallito. Ma ho imparato dai miei errori. – disse il bambino/Tartaruga raggiungendo il ragno che arrancava ormai esausto seminando una scia di sangue nero dietro di sé. Lo abbrancò con entrambe le braccia e le loro energie si fusero.
It urlò dal dolore, ma il suo urlo si ridusse presto a uno squittio, mentre la sua mente, la mente di It fuori dai Pozzi Neri si fondeva in una enorme quantità di energia. E solo allora, nel momento in cui quella singolarità che era stata It si decomponeva in una indistinta energia negativa, solo allora seppe cosa era davvero la morte che per così tanti anni aveva elargito a così tante persone e forse, con il suo ultimo pensiero, mentre piangeva per sé, pianse anche per loro. E poi, come Derry che era una sua emanazione, non fu più.


Mentre i Perdenti scomparivano nella luce che stava inondando la tana di It, guidati da Ben in un luogo migliore, nel lato dei Barrens che andava a finire nella discarica, accadde una cosa che avrebbe stupito chi avesse potuto vederla. Un vecchio frigorifero degli anni 50, di quelli di metallo smaltato di bianco, con chiusura a maniglia, che nessuno toccava più da anni, si aprì di scatto.
Moltissimi anni prima un ragazzino sociopatico che aveva già ucciso il suo fratellino nella culla, Patrick Okstetter, aveva usato quel frigorifero per uccidervi dei piccoli animali, come gatti, piccioni, e cagnetti tra cui un piccolo cocker. Da quello stesso frigorifero, che era una delle tante tane di It, lo stesso Patrick era poi stato ucciso, sotto la forma di sanguisughe volanti che lo avevano aggredito dissanguandolo vivo.
Quello stesso frigorifero era poi stato usato per lo stesso scopo dal piccolo Bobby Gray, dopo che l’influenza di It dentro di lui aveva cominciato a farlo impazzire. Era stato proprio il vecchio elettrodomestico a chiamarlo e uccidere lì dei piccoli animali indifesi aveva accelerato la sua trasformazione in It.
Era da più di cinquanta anni che il frigorifero stava lì, sempre con la sua bella maniglia argentata e i suoi cardini cigolanti, perché It non aveva mai permesso a nessuna persona di distruggerlo o portarlo via. E quando quella sera si aprì di scatto, una luce bianco-azzurra accecante ne usci fuori, in un fascio compatto come quello di un riflettore. Questa luce divenne mano a mano più forte fino ad arrivare alle nubi e a forarle. Alla fine, prima della fine di tutto, la luce divenne così forte da vaporizzare le ossa di un passerotto che da dieci anni giacevano dentro al frigo.

A poche centinaia di metri da lì la stessa identica luce cominciò a uscire anche da una buca irregolare in mezzo a un tratto pianeggiante dei Barrens. Nella lunga estate del ’58 un gruppo di ragazzi sfortunati e coraggiosi che si erano autodefiniti i Perdenti avevano scavato lì il loro club e, dopo che le assi di legno che lo formavano erano marcite, quella buca piena di rovi era tutto quello che ne rimaneva.
Anche dal fondo di quella buca uscì un simile raggio di luce, ogni istante più forte, così forte da fare sembrare trasparenti i rovi legnosi che coprivano la cavità. Il raggio salì verso il cielo come di solito scende attraverso le nubi un raggio di sole, fino a diventare assolutamente accecante e dare fuoco alla macchia di rovi ed edera velenosa.
E la stessa luce uscì anche dai tubi di drenaggio dei Barrens, quelli che un giovanissimo Ben Hanscom chiamava tane dei Morlock. Poco prima del botto finale i Barrens parvero essere cosparsi da colonne di luce che salivano verso il cielo.

Ringo McLennon, che si era finalmente addormentato, si svegliò colto da un’inquietudine sconosciuta. Gli sembrava che il letto stesse tremando. Scese dal letto pensando che fosse un terremoto, ma poi sentì anche qualcos’altro. Era come un fischio troppo acuto per essere avvertito, ma che gli rimbombava nel cranio. Uscì dalla sua stanza per andare dai suoi genitori, ma li incontrò nel corridoio. Corse ad abbracciare mamma, quando videro dalla finestra un enorme fascio di luce bianco-azzurrina forare l’oscurità della notte per salire verso le nubi. Papà si sporse dalla finestra e fece appena a tempo a dire. – È il tombino. – e poi tutto finì.

Anche i genitori di Alice si svegliarono pensando al terremoto, corsero dalla figlia in veranda, ma non la trovarono. La porta della veranda era aperta e il lettino era vuoto. Prima che il terrore potesse impadronirsi di loro, un fischio assordante li prese alla testa facendoli urlare. La madre di Alice allora si voltò verso i Barrens che erano là vicino, dopo il parcheggio e la siepe, e quello che vide le sembrò il più grande codice a barre dell’universo. Tra una colonna di luce e l’altra vedeva il cielo e le stelle, mentre la terra tremava sempre più forte e il fischio le faceva sanguinare le orecchie, e poi ci fu il botto.

Le fogne di It erano abitate da alcune decine di migliaia di ratti, mentre nelle campagne circostanti vivevano milioni di animali, dai ragni ai cervi. Nel momento in cui Bobby Gray/Tartaruga toccava It, tutti loro cominciarono a fuggire in tutte le direzioni, in una raggiera che aveva come centro l’Up Mile Hill, correndo ognuno alla velocità che la natura gli aveva assegnato. Solo alcuni uccelli volarono così veloce da sottrarsi alla distruzione, ma si contarono davvero sulle dita di una mano.

Milton Edwardson, uno studente di ventuno anni del MIT di Boston, stava ripassando il testo dell’esame di fisica nucleare nella stanza dei sismografi. Il loro tranquillo ticchettio, quasi un ronfare ipnotico, lo aiutava a concentrarsi. E rimase quindi molto stupito quando tutti loro cominciarono a bippare impazziti disegnando grafici sempre più altalenanti, con picchi e valli così alti da invadere l’uno la corsia dell’altro.
Si avvicinò per vedere cosa stesse succedendo e, acceso il computer sul programma di controllo, scoprì che una vibrazione dalla frequenza altissima, mai misurata prima, stava crescendo di intensità al di sotto della cittadina di Derry nel Maine. Avrebbe dovuto avvertire qualcuno, senza alcun dubbio, ma lo spettacolo di quei grafici sempre più folli era un vero incantamento. Alla fine l’intensità della vibrazione divenne assolutamente non misurabile e tutti i misuratori andarono fuori scala.
E fu allora, dopo qualche secondo, che il terremoto scosse il palazzo ottocentesco che lo ospitava. E Milton, mentre fuggiva dall’edificio sperando che non gli crollasse in testa, pensò che molto probabilmente aveva appena assistito a quanto di più simile a un Apocalisse fosse dato di assistere in questo nostro noioso mondo. Derry non doveva esistere più, se non come nome nei libri.

Andy Gaunt aveva guidato a velocità molto elevata da quando aveva lasciato i limiti municipali di Derry, notando che solo la piccola Alice non dormiva a bordo della vecchia station wagon. Si vede che non era destino che i suoi genitori e sua sorella Sarah vedessero. Era ormai a un’ottantina di miglia da Derry quando Alice gli disse: - Puoi fermarti, Andy. Sta per finire. –
Andy accostò al bordo della strada e scese dall’auto rivolgendosi a sud. Avevano appena superato Greenville e Derry era molto a sud rispetto a loro.
Alice venne vicino a lui, lo prese per mano e disse: - Mamma e papà sono laggiù. – indicando con precisione nella direzione della loro città.
- Mi dispiace, piccola. - disse Andy mentre da quel puntino all’orizzonte si alzavano delle lame di luce che andavano in cielo. I due strinsero più forte le loro mani mentre quei fili di luce diventavano più forti e si univano in un unico fascio potentissimo e più luminoso di un lampo.
- O mio Dio! – disse Andy mentre una vibrazione e un fischio fortissimi arrivavano alle loro orecchie, poi vi fu quella che solo la limitatezza della mente umana potrebbe descrivere come un’esplosione, che li accecò per alcuni minuti e che portò fino a loro una folata di vento caldo.
Quando finalmente riuscirono a vedere di nuovo, al posto di Derry un enorme fungo di fumo rossastro si stagliava all’orizzonte alto fino al cielo. Andy prese in braccio la piccola Alice e cominciò a piangere in silenzio. Derry era morta.

sabato 8 settembre 2012

Capitolo 55, i Perdenti.

LV

Bill stava perdendo, lo sentivano tutti nelle loro menti, e lo vedevano da come il suo corpo sanguinava dal naso e dalla ferita che aveva al fianco. Beverly lo abbracciò senza avere il coraggio di alzare lo sguardo verso il ragno, perché sapeva che avrebbe avuto gli stessi occhi di suo padre.
Ben, che aveva affrontato un licantropo da bambino per la sua Bev, che da adulto aveva ucciso tutti i piccoli di It, si rese conto di essere troppo vecchio per credere davvero che solo guardando negli occhi quel mostro avrebbe potuto ammazzarlo, e così abbraccio Beverly.
Stan e Rachel erano semplicemente paralizzati dal terrore. Vedevano quell’abominevole mostruosità torreggiare su di loro e non sapevano da che parte cominciare ad affrontarlo. Avevano sperato di potere imitare i loro anziani amici, ma Ben e Beverly erano più spaventati di loro, Richie non c’era e Bill stava morendo.
E fu allora che accanto a loro spuntò un bambino basso e smilzo. Li guardò e sorridendo disse: - Su ragazzi, è solo il solito mostro! – e, mentre loro si rialzavano, si avvicinò a Bill, proprio accanto a lui, alzò il suo braccino sottile e, puntando direttamente sugli occhi di It il suo inalatore disse: - Io sono ancora un bambino, bastardo, io ci credo davvero alla magia! – e spruzzò.
Gli occhi di It si coprirono di bolle e il suo urlo, un urlo mentale e non fisicamente avvertibile con le orecchie, li assordò per un breve istante. Il ragno si scosse dalla sua immobilità e anche Bill parve riprendere consistenza, ma per sicurezza Eddie scaricò un altro getto di acido negli occhi di It. I suoi enormi occhi rossi divennero bianchi di schiuma ribollente e poi, con un paio di POP! da bottiglie di champagne scoppiarono inondando i Perdenti, anche Richie era arrivato intanto, del loro gelatinoso e maleodorante contenuto.
L’enorme ragno, ormai cieco, si staccò da loro e tentò di fuggire, mentre Bill riprendeva conoscenza e si accasciava subito dopo tra le braccia di Beverly.
- Eddie. – disse sorridendo al bambino che li aveva salvati. – Eddie, stai bene? –
- Sì, Big Bill. – disse Eddie – Non parlare, però, non stancarti. – e Eddie piangeva parlando col suo vecchio amico.
- Andate a finirlo. – disse Bill con uno sforzo incredibile – Andate ad ammazzare quel bastardo! – e intanto pensava alle parole di It e al fatto che qualunque cosa fosse accaduta, Derry lo avrebbe sempre richiamato indietro. – Andate a ucciderlo! –
Ben e Stan stavano già per andare, ma Eddie e Richie li trattennero. Indicarono una figura in piedi vicino a loro e dissero: - No ragazzi. Ha detto che ci penserà lui. –
Tutti si voltarono a guardare chi fosse, e Bill pensò di riconoscere un ragazzino a cui aveva parlato una volta. Il ragazzino dello skateboard, ma avrebbe dovuto avere quasi quarant’anni.
- Ciao. – gli disse con un filo di voce, mentre il sangue cominciava a impastargli la bocca.
- Ciao. – disse il bambino, ma la sua voce non era quella di un bambino. Era una voce che Richie e Bill avevano già sentito. Era la voce della Tartaruga. – Ora ci penso io. It ha usato questo bambino per tornare, e io ho usato il suo stesso canale per seguirlo. Ora finirò io il lavoro. Andate! – disse dirigendosi verso il ragno che arrancava sulle sue otto zampe urlando e lasciandosi dietro una scia di sangue nero.
- Dove? – chiese Ben al bambino/Tartaruga.
- Dove volete voi. Subito! – e si lanciò sul ragno. I due parvero fondersi e una luce meravigliosa sorse intorno a loro, più accecante del sole. Il vento cominciò a soffiare da loro verso i Perdenti, ogni istante più forte.
- Io rimango qui, ragazzi. – disse Bill che oramai non vedeva più. – Andate, la Tartaruga vi porterà al sicuro. –
- Ma dove dobbiamo andare, Big Bill? – chiese Richie piangendo, tutti piangevano a dire il vero – Sei tu la nostra guida. –
- Ben, pensaci tu! – disse Bill, poi sorrise e spirò. E non fu la morte peggiore del mondo, non morire per i suoi amici.
Tutti guardarono Ben mentre la luce aumentava passando attraverso i loro corpi come se fossero stati sottili membrane, mentre gli squittii di It sparivano nella risata della Tartaruga. E Ben sentì che stava per succedere qualcosa, qualcosa di enorme e impensabile, e pensò a un luogo bello. E come lo pensò sparirono nella luce.
Solo Bill rimase lì, ormai morto ma sempre sorridente. E poi successe.

venerdì 7 settembre 2012

Capitolo 54, Bill e It (Chud)

LIV

- Ciao Piccolo Amico – disse It – la tua costanza mi stupisce. Ogni ventisette anni te ne torni qua sotto per uccidermi.
- Hai ucciso Georgie e Audra, bastardo! – disse Bill.
- E tanti altri prima di loro, e tanti tra loro e tanti, credimi Piccolo Amico, ne ucciderò anche dopo di loro. –
- Io ti ucciderò, schifoso, noi ti uccideremo! –
- Piccolo Amico mio, Bill Tartaglia, Bill Dembrough, ma voi mi avete già ucciso ventisette anni fa. Proprio tu mi hai strappato il cuore con quelle tue piccole e inutili mani che ora, non so se te ne sei accorto, tremano un po’. Prevedo una di quelle vostre simpaticissime malattie, si chiama Parkinson, vero? -
- Parkinson o non Parkinson, io ti ucciderò, bastardo! –
- E cosa vedo? Tu vorresti uccidermi, scimmia? Il mio inviato ti ha accoltellato, anche se non lo hai voluto dire ai tuoi amici; ti ha fatto a fette l’intestino e la tua merda ti sta entrando in circolo. Se non mi sbaglio, e io, Piccolo Amico, non mi sbaglio mai, l’emorragia ti sta per uccidere, e l’infezione, come è quella parola?, la setticemia, ecco!, ti sta facendo venire già adesso la febbre. Tu stai morendo, Piccolo Amico mio, non farei neanche in tempo a scaraventarti nei mie Pozzi Neri, morirai prima. –
- Noi ti uccideremo! –
- No, Piccolo Uomo, no. E anche se ci riusciste? Lo hai notato o no, che io dalla morte ritorno? Mi avete ferito anche questa volta, per magia potreste anche uccidermi, ma non credo proprio. Ma i Pozzi Neri sono eterni, e Derry mi richiamerà sempre a sé. –
- No. Rimarrai morto! – disse Bill continuando a guardare negli occhi del ragno, mentre il suo corpo si tendeva allo spasimo e dalla ferita all’addome sgorgava molto più sangue di prima.
- Io sono Derry, Piccolo Amico, la tua città è nata su di me e di me si è nutrita. Se anche voi mi uccideste, e credimi, siete troppo vecchi per riuscirci, danneggereste solo lei, causereste altri morti inutili come nell’85, ma Derry sopravvivrà e mi richiamerà indietro. –
- Io ti ucciderò! Tieni bastardo! – urlò Bill e affondò i denti nella lingua di It, mancandolo del tutto e cominciando di nuovo a sfrecciare nel nulla mentre sentiva che il suo corpo, immobilizzato sotto al ragno, si indeboliva.
- Non credi più nelle fiabe, Piccolo Amico. Non credi più nei mostri e non credi più che ci sia qualcosa dopo la morte. Sei cresciuto, per quanto come scrittore tu abbia continuato a baloccarti con quelle pazze idee infantili. Solo un bambino poteva sconfiggermi, solo un bambino poteva davvero credere che uno spruzzo di acqua canforata fosse acido o che i nomi degli uccelli fossero un potente talismano. Se ti trovassi davanti un vampiro, credimi Piccolo Amico mio, non ti servirebbe a nulla neanche alzare un crocifisso, miscredente come sei. –
Bill volava nel nulla passando sopra alla Tartaruga, che sembrava brillare di luce propria, non più morta come allora, ma resuscitata come It. E Bill sorrise, perché se lui era perso, sia che fosse morto in quel nulla in cui It lo aveva scagliato, sia che fosse riuscito a tornare nel suo corpo ormai morente, la Tartaruga avrebbe trovato altri per combattere It, e la Tartaruga era più grande di It come It lo era di loro poveri umani.
E fu allora, mentre Bill pensava questo sfrecciando verso i Pozzi Neri, che accadde una cosa inaspettata. It urlò di dolore.

giovedì 6 settembre 2012

Capitolo 53, tutti i Perdenti e It.

LIII

Fermi davanti alla porticina i sei Perdenti rimasero in piedi, aspettando che il coraggio che avevano in sé diventasse abbastanza forte per farli passare di là.
- Ricordate cosa era? – chiese Beverly.
- No. – disse Ben.
- Assolutamente no. – disse Richie.
Stan allargò le braccia come a dire che lui non ne poteva sapere nulla, anche se in realtà aveva sognato quel momento della vita del padre molte volte nella sua vita, dimenticandolo misericordiosamente appena sveglio. Anche Rachel fece segno di no con la testa, anche se nella sua testa vide per un attimo, così velocemente da non rendersene neanche conto, una mosca che si dibatteva in una ragnatela. – Forse … - disse a voce bassa, poi scosse con decisione la testa e disse – No. –
- E tu, Big Bill? – gli chiese Richie notando che il suo vecchio amico sembrava davvero affaticato, col sudore che gli colava giù dalla fronte fino al colletto della camicia. – Tu non ricordi nulla? –
Bill fece una cosa assurda in quella situazione, sorrise, poi disse: - Forse sì, Boccaccia. Chud. – disse.
- Cosa? – chiesero all’unisono Beverly e Ben, ma Richie sorrise a sua volta. – Chud. – rise piano, poi ripeté: - Chud! Il bacio alla francese peggiore della mia vita. –
- Quanto hai ragione, Boccaccia, quanto hai ragione, mamma mia! – socchiuse gli occhi e disse: - Tu mi hai salvato. –
- E Eddie ha salvato tutti e due. –
- Eddie! – urlò Ben. Ma non lo avevamo lasciato qui? – e si guardò intorno. Niente ossa, e neanche mummie avvizzite – Dove è Eddie? –
- È la dentro. – disse Richie – Eddie se ne sta là dentro. –
- E allora andiamo anche noi. – disse Ben – Se no che ci siamo venuti a fare fin qui? –
- Io a dire il vero dovevo fare un po’ di movimento, sapete, il colesterolo, il cuore … -disse Richie.
- Se non ti ammazza It – disse Bill – ti tiro il collo io quando usciamo. –
- Dici sempre così, Big Bill, ma lo so di essere il tuo preferito. –
Bill sorrise e allargò le braccia. – Venite qui, ragazzi. Siete tutti i miei preferiti. –
Si abbracciarono tutti insieme, come i giocatori di pallavolo dopo avere segnato un punto e, per l’ultima volta, furono tutti uniti, insieme, per quanto possibile felici. Poi si lasciarono e, seguendo Bill, entrarono nella tana di It.
Quando furono tutti in piedi dall’altro lato del muro, in quella luce verde-marcio che sembrava permeare totalmente l’ambiente e non scaturire da nessuna fonte, videro contemporaneamente la grande sala con i loro occhi e con gli occhi della memoria. Nulla fu più nascosto, tutti i sipari furono aperti.
Bill ricordò tutto del Chud e dei Pozzi Neri, come anche Richie, Beverly ricordò il corpo di Eddie che le moriva tra le braccia mentre il sangue usciva via dal suo moncherino trascinandosi via la sua vita. Ben ricordò le uova di It, che aveva schiacciato una alla volta inseguendo a volte quei piccoli ragni abortiti che ne uscivano per morire dopo pochi passi.
E anche Rachel e Stan ricordarono, per quanto impossibile, diventando per davvero un’unica cosa con quelli che erano stati tanti anni prima i loro padri.
E fu sempre con queste due diverse paia di occhi che videro l’enorme ragno che era It nella forma più vicina alla sua reale essenza scendere dalla sua ragnatela verso di loro. Alle cicatrici del ’58 si erano unite quelle dell’85, cosicché il ragno sembrava rimesso insieme da un dottor Frankenstein dei film degli anni 30, e sul suo torso ricoperto di setole velenose spiccava una ferita sanguinante, quella che Beverly gli aveva fatto colpendolo con la freccia poco tempo prima.
Come già nel ’58 e nell’85 sentirono le loro menti vacillare, incapaci di comprendere quello che vedevano, perché percepivano comunque che quel ragno era solo un’approssimazione del vero It.
Rimpiansero di non essere fuggiti, rimpiansero di non essere morti, pregarono tutti gli dei di farli schiattare lì, sul momento, prima che il ragno potesse raggiungerli, ma nessuno di loro indietreggiò.
Rimasero lì fermi mentre quell’enorme animale arrancava sulle sue otto zampe verso di loro, schiumando sangue, rabbia e dolore, incapaci di avanzare e comunque ben decisi a non fuggire.
E poi Bill disse : - Ora o mai più. – e come già altre due volte si fece sotto al ragno venendone totalmente soverchiato. Si guardarono negli occhi, si riconobbero e, dopo che Bill ebbe detto: - Tu hai ucciso Georgie e Audra. – smisero di muoversi. Il rito era ricominciato.
Ben, Beverly, Stan e Rachel s avvicinarono a Bill mettendosi alla sua destra e alla sua sinistra, sentendo nelle loro menti tutto il dialogo che intercorreva tra lui e It, ma Richie non andò con loro.
Dopo essersi guardato intorno individuò quello che cercava. In un punto facilmente raggiungibile, perché nella vita essere coraggiosi serve, ma se non si è fortunati non si va proprio da nessuna parte, un bozzolo si muoveva come un bruco quando diventa pupa. Dei capelli biondi, lisci e sottili, uscivano dal viluppo di fili di seta.
Richie si arrampicò a fatica sulla parete, si appese a un filo di ragnatela grande come un cavo elettrico con braccia e gambe e arrivò da Eddie. Con un coltellino svizzero tagliò i fili e vide emergere il visino smunto del suo amico.
Era un bambino, come al tempo del loro primo scontro con It, e i suoi occhi sembravano quelli di un pazzo, ma quando si fissarono in quelli di Richie Eddie tornò sé stesso.
- Richie! – disse con voce rotta dal pianto e dall’asma – Richie, sei venuto da me! –
- Certo Eds, che ti aspettavi? – disse Richie continuando a tagliare i fili. Poi, quando le braccia di Eddie furono libere si mise una mano in tasca e gli porse l’inalatore che aveva comprato a Bangor.
- Regalino, Eds! – disse sorridendo.
Eddie lo afferrò, prese una bella spruzzata inalando più forte che poteva, poi lo guardò e disse: - Lo sai che non mi piace, quando mi chiami Eds! –
- Certo Eds! – disse Richie, poi indicò con un cenno del capo gli amici sovrastati da It e disse: - Andiamo? –
Eddie li guardò, un sorriso gli illuminò il faccino pallido quando vide i suoi amici, non tentò assolutamente di nascondere l’odio che provava per il ragno e fissandolo strinse con forza l’inalatore. – Acido. – disse a voce bassa, poi guardò Richie e disse: - Io vado, Boccaccia. Tu libera lui. – e gli indicò un bozzolo lì accanto.
- E chi è? – gli chiese Richie?
- Il nostro unico amico. – disse Eddie calandosi giù per un filo, quando fu a terra si girò di nuovo verso di lui e aggiunse: - La nostra unica speranza. - poi corse verso gli altri mentre Richie armeggiava col coltellino per liberare il prigioniero del bozzolo.

lunedì 3 settembre 2012

Capitolo 52, Derry.

LII

Derry dormiva nel caldo soffocante e umido di una notte di metà luglio, non del tutto ignara di quello che stava succedendo sotto di lei.
Erano in pochi a non dormire, anche se in realtà tutti quelli che dormivano stavano sognando di mostri, rese dei conti, assalti al castello e catastrofi. Quasi tutti quelli che si ricordavano dell’85 sognarono il disastro che si portò via mezza città, rivoltandosi nel letto e gemendo di terrore come se le acque dell’inondazione fossero state alle loro spalle pronte a inghiottirli.
Non dormiva il capo Gardener. Dopo aver dato l’ordine di catturare Hanlon, il suo caro Stan, senza dubbio il miglior agente della città, quella cosa che gli era sembrata Carole Danner era scomparsa. Il pover’uomo aveva girato per casa senza meta, tentando di capire quanto di quello che era appena successo fosse un sogno, incapace di accettare la presenza di un fantasma, per nulla incorporeo però, in casa sua, così come gli riusciva ancora più difficile comprendere come avesse potuto dare quell’ordine.
Sapeva che Stan era innocente, cazzo, ne era sicuro, però aveva preso il telefono e aveva dato l’ordine di arrestarlo. Un ordine che era stato espresso in modo da essere compreso in tutt’altro modo. Sapeva che i suoi uomini lo avevano recepito come un ordine di sparare a vista e non aveva il minimo dubbio che questa idea fosse stata accolta molto facilmente da loro.
Chissà perché a Derry l’ordine di accoppare qualcuno, soprattutto se innocente, veniva sempre eseguito molto celermente.
E ora il capo Gardener era lì, solo in casa sua, ad aspettare che qualcuno gli telefonasse per avvertirlo della morte di Stan Hanlon, e la voce di quel poliziotto non sarebbe stata triste, no, sarebbe stata piena di gioia, e sottinteso per tutti loro sarebbe stato il messaggio vero. Derry è salva gli avrebbe voluto dire il poliziotto, perché era Derry a essere in pericolo.
Il capo Gardener era un uomo buono, però, troppo buono per accettare quello che aveva fatto per la sua città, e così, quando i Perdenti stavano superando la porticina della tana di It, quella su cui il disegno dalla forma cangiante era tornato a campeggiare dopo ventisette anni, il suo corpo aveva già cominciato a raffreddarsi appeso alla trave del soffitto nel sottotetto.
Non si era agitato troppo quando aveva scalciato via la sedia e il cappio gli si era stretto al collo, solo per un paio di minuti, non di più. Poi, sibilando un – Scusami Stan. – che nessuno avrebbe mai sentito aveva perso i sensi piombando in un’incoscienza priva di sogni e pensieri e da quella era passato silenziosamente alla morte.
Se qualcuno fosse entrato in quel momento in casa sua, l’unico rumore che avrebbe potuto sentire sarebbe stato quello della sua urina che gocciolava giù dalla gamba destra in una pozza sotto di lui. Ma nessuno entrò e nessuno lo sentì.
Neanche Ringo McLennon stava dormendo mentre i sei entravano nella tana di It, aveva sognato, come tutti le notti da quando era morto, suo fratello George che aleggiava davanti alla sua finestra guardandolo con una fissità idiota e crudele, da rettile. In quei sogni George era pallido come il gesso e i suoi capelli erano impiastricciati di sangue e cacca. Lo guardava e poi, alzando una manina bianca, muoveva avanti e indietro l’indice per invitarlo fuori.
E così Richard detto Ringo se ne stava immobile nel suo letto, fradicio di un sudore gelato, con un urlo bloccato in gola che sapeva di non potere fare. E fu allora, proprio mentre i sei Perdenti vedevano It e ricordavano tutto, ma proprio tutto del loro passato implorando Dio di farli schiattare sul momento per non dover convivere con quel terrore, che Ringo si accorse del totale silenzio che lo avviluppava da ogni parte. Derry era immobile, persino le cicale e i grilli tacevano, in attesa e in ascolto, aspettando di sapere che avrebbe vinto.
E non dormiva neanche la piccola Alice, nella sua veranda, perché aveva sognato quel suo amico del paese delle meraviglie, quel ragazzino biondo che l’aveva salvata, Eddie. Nel sogno Eddie le aveva detto di alzarsi e di andare via, verso nord, verso il Canada, amava quel nome, sembrava da paese di fiabe. Nel sogno Eddie era nei Barrens con la tartaruga dell’altra volta, solo che l’animale era molto più grande, come quelle che aveva visto in tivù, nelle isole Galapagos, aveva voluto imparare a memoria quel nome perché era troppo bello. E poi erano arrivati anche degli altri, un uomo, una donna e dei vecchi. Eddie era stato felice di vederli, poi l’aveva guardata e le aveva detto di alzarsi e di andarsene.
E Alice lo aveva fatto. Con la sua camicina da notte, ai piedi due ciabattine infradito di gomma, era uscita dalla veranda e aveva cominciato a camminare. Intorno a lei Derry taceva assorta nei suoi pensieri.
E non dormiva Andy Gaunt. Aveva lasciato il posto di blocco senza dire niente, era tornato a casa, aveva svegliato i suoi genitori e sua sorella Sarah e, senza accettare proteste e rimostranze, li aveva fatti vestire e salire in macchina. Si era messo alla guida della loro station wagon ed era partito verso nord passando per strade deserte in cui non si sentivano grilli e cicale, e nemmeno il rumore del vento.
C’era qualcosa di sbagliato in quella città, pensava Andy, qualcosa di così marcio che poteva farti marcire solo a toccarti. Una città in cui si linciano due uomini, dove un bravo agente deve essere salvato dai suoi compagni pronti a farlo secco a fucilate, dove una bambina può vedere il mostro di Alien ed essere creduta, quella è una città sbagliata di brutto. E fu poco dopo i confini della città che Andy vide una bimba piccola piccola che camminava tranquilla sulla strada in direzione nord.
- Ciao piccola! – le disse fermandosi vicino a lei e aprendo la portiera.
- Ciao! – disse lei.
- Dove vai, piccola? – le chiese stupendosi della sua calma.
- Lascio la città. Me lo ha detto Eddie. –
- E a me lo ha detto Stan. – disse Andy sorridendo.
- Sono amici, sai? Cioè, lo saranno quando si incontreranno tra poco. – disse lei con un grande sorriso.
Andy non rimase stupito dalla follia di quello che la piccola gli aveva detto. Quelle parole astruse gli sembravano incredibilmente più logiche di tutta la sua vita a Derry. – Vuoi un passaggio piccola, andiamo anche noi a nord. –
Alice sorrise, salì a bordo e si sedette accanto a Sarah che si era riaddormentata, così come i genitori di Andy.
L’auto ripartì e si allontanò verso nord uscendo per sempre da Derry. Eddie e Stan avrebbero senza dubbio approvato.

domenica 2 settembre 2012

Capitolo 51, ancora i Perdenti.

LI

Camminarono ancora nel buio in quella grande cavità dove i loro passi rimbombavano, fino a che videro, a sinistra, quasi nascosto dal buio, l’accesso alle vecchie fogne. Lì anni prima avevano trovato il corpo di Patrick Okstetter, trascinato via dall’acqua ventisette anni prima con mezza città. Si infilarono in quel pertugio vecchio, stretto e ammuffito, così diverso dallo spazio ampio dello scolmatore.
- Eccoci. – disse Bill e tutti sentirono che quello era per davvero il territorio di It. Lo scolmatore era una parte estranea, cresciuta quando It non c’era, ma queste erano le sue fogne, i suoi cunicoli, la sua tana. L’odore di It permeava tutto, era un odore mentale più ancora che fisico, che avrebbe fatto impazzire chi fosse entrato lì per sbaglio, ma loro no. La loro magia li proteggeva, formava uno scudo intorno alle loro menti.
- Almeno non c’è più la merda. – disse Ben.
- Forse fa ancora più schifo, però. – disse Bill – Si sente meglio l’odore di It. –
- Però non c’è più la merda. - disse Richie – Covone ha ragione, sapete, questi pantaloni e queste scarpe sono nuovi. –
- Boccaccia … - disse Beverly – Ma non ti ha mai mandato nessuno a cagare? –
- Aspettavo di incontrare una vera signora come te, Bevvie! – disse Richie. E continuarono a camminare in quei vecchi cunicoli scendendo sempre più giù.
Camminarono per un bel po’, ore forse?, dovendo ogni tanto accucciarsi e, ma solo una volta, dovendo strisciare in terra, cosa che per Stan, col braccio rotto, non fu affatto facile. Rachel e Stan rimanevano stupiti per come quei vecchi giravano sicuri a ogni svolta in quel buio soffocante, ma in realtà sentivano che anche loro non avrebbero avuto problemi a trovare la strada, quei ricordi facevano parte dell’eredità dei loro padri.
- E così mio padre ci venne solo da bambino quaggiù? – chiese Stan a Bill e, quando lui si girò a vederlo, gli vide una faccia tirata e sudata, come uno che sta per avere un infarto. Stava per chiedergli come si sentisse, ma Bill gli fece cenno di no. Fu Richie a rispondere.
- Quel lavativo di tuo padre … - disse a Stan - … usò la scusa di una coltellata alla gamba per non venire, ma abbiamo capito tutti che invece non voleva sporcarsi di nuovo con tutta quella pupù. – e Ben si girò sorridendo, perché era bello in quel buio e con davanti a loro quello che li stava aspettando, avere qualcuno che sparava cazzate e ti teneva un po’ su.
- E te non ridere, Uris! – disse a Rachel che teneva il braccio a Stan e che aveva riso alla sua battuta – Che tuo padre Stan … , ma ti piacciono mica gli uomini che si chiamano Stan, perché sai, bella, io mi chiamo Richie Stan, anzi, Stan Richie, anzi, ah no, mi chiamo proprio Stan sai? –
- Beep-beep Boccaccia! – disse Bill da davanti a loro.
- Sì, sì, lo so, ce l’avete tutti con me perché sono il più bello. Cosa ho io che ‘sto ragazzo non ha? È più alto di me? È più giovane di me? Ha la pelle colore del bronzo e senza neanche una ruga? È bello come un bronzo di Riace mentre io sembro un troll? E allora? Sono sempre più bello io! –
- Mio Dio, Richie! Ma con gli anni peggiori! – disse Ben ridendo mentre teneva la mano di Beverly nella sua – Ma quando è che cresci? –
- Se io cresco tu ritorni ciccione, Ben, è legge di natura. – poi si girò di nuovo verso Rachel e disse: - Ti dicevo, Uris, che tuo padre era la persona più schizzinosa che avessi mai visto, sempre vestito bene con la sua camicina infilata nei pantaloni, e i pantaloni con la piega, e i capellini pettinati … che palle! E poi è dovuto venire quaggiù a sguazzare nella merda di tutti gli abitanti di Derry. E aveva quella faccia da lord inglese come a dire “O mio Dio, ma questa è cacca!” – e se Bill non lo avesse interrotto Richie sarebbe potuto andare avanti tutto il giorno a sparare cazzate, ma Bill disse: - Zitto un po’ Boccaccia! –
Si fermarono e si guardarono intorno. Erano di nuovo in una galleria larga come lo scolmatore, in lieve discesa, lastricata di grandi pietre come un’antica strada romana. Tutto intorno a loro c’era una strana luminescenza verdastra che rendeva ancora più misere le fiamme di acetilene sui loro caschi.
Davanti a loro, perso nella penombra, un enorme muro. Al centro del muro, in fondo e piccolissima, una porticina.
- Oltre quella porta c’è It. – disse Bill con voce stanca. – Vediamo di farla finita, stavolta. –
- Sì Big Bill. – disse Ben andando al suo fianco e poggiandogli un braccio sulle spalle. – Una volta per tutte. – disse.
Rimasero ancora un po’ lì fermi a guardare quel muro e quella porta, potendo quasi avvertire il pulsare dell’odio che li aspettava dall’altra parte, poi ripartirono a passo deciso, tutti in riga ora. Richie aveva infilato una mano nella tasca dei pantaloni e si rigirava tra le dita quello che aveva comprato a Bangor. Sarebbe stata una bella sorpresa per It, e sì. -

sabato 1 settembre 2012

Capitolo 50, i Perdenti.

L

- E così Bill dice “Mike è in pericolo! Prendetevi tutti per mano!” e noi , là nel buio più totale ci mettiamo in circolo e sentiamo questo qualcosa … una forza come … - stava dicendo Richie a Stan e a Rachel.
- Non era una forza. Era magia, Richie. – disse Beverly. – Gli abbiamo mandato una magia. –
- E sarà stata una magia, allora, Rossa. Comunque tuo padre era lassù nell’ospedale, più morto che vivo e dice che si sente come una forza dentro e mentre ‘sto infermiere lo sta per uccidere prende il bicchiere e Kaboom! Glielo rompe in faccia. –
- Cacchio! – disse Rachel.
- Esatto, Uris, cacchio per davvero! E allora noi ci separiamo e Big Bill fa: “Basta, Mike è salvo.” E ci rimettiamo in cammino per andare da It. –
- Ma qualcuno di voi si è ancora ricordato cosa fosse poi It? – chiese Stan.
- No. – rispose Bill. – Nessuno lo sa? –
- Forse, vivendo nelle fogne, un enorme stronzo! – disse Richie e si mise a ridere.
- Beep-Beep Boccaccia! – disse Ben che camminava accanto a Beverly tenendole un braccio sulla spalla. E cominciarono a ridere tutti.
- Non è mica una stronzata! – disse Richie – Merda, non è una stronzata che sia uno stronzo! Ma andate tutti a cagare! – e dovettero fermarsi perché a questa ennesima battuta di Richie ridevano così tanto da doversi tenere la pancia.
Erano distratti quando Chambers attaccò. Si diresse su Stan anche se le figlie gli continuavano a urlare dentro alla mente di attaccare Bill. Arrivò di corsa emergendo dal buio come lo squalo di Spielberg dall’acqua, la lama del coltello brillò alla luce dei loro elmetti e emise una specie di latrato buttandosi su Stan.
Era più alto di Stan di una decina di centimetri, e più pesante di una ventina di chili. Ed era forte, molto forte. Pensava già di averlo ucciso anche se la lama era ancora a una spanna dal suo petto, quando Bill, che era alto come lui e ancora abbastanza agile, si mise in mezzo.
Si placcarono a vicenda mentre gli altri cinque rimaneva imbambolati dallo stupore, poi l’elmetto di Bill cadde a terra e i due lottatori scomparvero nel buio. Beverly vedeva solo due sagome indefinite a qualche metro da lei, e sentiva grida e rumore di pugni andati a segno. E poi si lanciarono nel buio. Quando li trovarono Bill stava sopra a Chambers e gli stava distruggendo la faccia di pugni. Il coltello non c’era più, ma c’era sangue dappertutto.
Ben e Richie bloccarono le braccia di Chambers inchiodandolo a terra mentre Beverly, con la balestra in mano, si guardava intorno cercando di vedere se It era lì. E fu allora, mentre Chambers urlava come un animale che Stan aveva ucciso le sue figlie, che lo vide emergere dal buio.
Le apparve come suo marito Tom, anche se poteva sembrare anche suo padre o Henry Bowers. Era la quintessenza dei suoi incubi, il distillato degli uomini violenti che le avevano rovinato la vita. E indossava un abito da clown di argento con pompon arancioni. Alzò la balestra e la puntò al cuore di It. Scoccò la freccia dalla punta di argento che Ben aveva costruito durante il viaggio in auto.
Chambers vide la donna anziana tirate il dardo della balestra verso Allison. – Nooooo! – urlò vedendo la figlia che veniva colpita.
It fu colpito solo di striscio, e non essendo un licantropo come quella volta in Neibolt Street non avrebbe dovuto subire danni. Ma la punta era una tartaruga d’argento regalata da Stan Uris alla figlia. Riuniva in sé tutti i loro pensieri, veicolava quel poco di magia che ancora esisteva nei Perdenti. Il dolore fu lancinante, neanche paragonabile a quello che lui riusciva a causare a Eddie quando lo torturava. E ancora peggiore fu la paura. Potevano ancora ucciderlo.
Perse istantaneamente la forma che aveva preso per loro e fuggì nel buio di quei cunicoli verso la sua tana. Se davvero volevano affrontarlo, avrebbero dovuto farlo lì, dove lui era più potente.
Beverly vide Tom/Henry/papà urlare mentre la freccia lo colpiva al fianco, poi lo vide guardarli con odio infinito, ma non era solo odio, vero, c’era anche paura in quello sguardo, e poi lo vide fondersi come cera vicino al fuoco e scomparire nel buio. E per un attimo, troppo breve per accorgersene davvero, Beverly vide la vera forma di It, quella vera che neanche loro avevano mai visto. Una forma che era una luce buia, una luce morta.
Tutti videro It, assomigliava a Henry Bowers, strano, e videro Beverly che lo colpiva con la sua balestra. Lo videro urlare e scomparire cambiando forma. E videro il terrore nei suoi occhi.
Luke Chambers vide la donna colpire Allison, e vide che anche Louise urlò di dolore. E poi vide le sue figlie squagliarsi come gelato al sole, vide cosa c’era dietro alla loro forma, e capì che non erano mai state loro.
- L’inferno. – disse con voce calma, poi si scrollò di dosso Ben, Richie e Bill, si alzò sentendo male in ogni parte del corpo e si gettò dove aveva visto scomparire il coltello. Lo afferrò nel buio e, piangendo di felicità, se lo infilò nel collo. – Arrivo. – tentò di dire mentre il sangue gli gorgogliava fuori dalla bocca e l’oscurità fuori di lui si fondeva con l’oscurità che stava crescendo dentro di lui. Non fu poi così brutto morire, non poi così brutto.
I Perdenti si alzarono e andarono verso di lui. Il suo corpo sussultava ancora mentre Bill si infilava l’elmetto. Durò poco, però.
- Sei ferito, Big Bill? – gli chiese Ben guardando il sangue che aveva sulla faccia, sulle mani e sulla camicia.
- Pugni sul naso e in bocca, e ho parato un paio di coltellate con le mani. – disse alzando le mani verso di loro. Aveva due solchi nelle palme, il sangue gli gocciolava sui polsini.
- Vieni qui, Bill. – disse Rachel e, con due fazzoletti forniti da Stan e Ben gli fasciò le mani. – Così dovrebbe smettere di sanguinare. –
Bill le sorrise e disse: - Non preoccuparti, Rachel, non saranno certo questi taglietti a impedirmi di andare laggiù. –
Li guardò tutti, riuniti in cerchio nel buio sotto alla città, vicino al corpo dell’uomo che aveva tentato di ucciderli. – Perché vogliamo ancora andare laggiù a farla finita, no? –
- Certo Bill! – gli rispose Richie e gli prese la mano fasciata – Ora più di prima! –
- Certo Bill! – disse anche Ben poggiando a sua volta la mano destra su quelle di Bill e Richie, e così poi fecero tutti. Alla fine formarono un nuovo cerchio. E la tenebra intorno a loro sembrò meno forte. C’era ancora magia in loro, c’era ancora magia.