giovedì 10 agosto 2023

Il suo cibo non è di questo mondo.

 

IL SUO CIBO NON È DI QUESTO MONDO.


1

« Centurione! » disse una voce nel buio.

« Cosa? » borbottò tentando di tirarsi fuori dalle appiccicose spire del sonno.

« Centurione, deve assolutamente venire a … c’è bisogno di lei. » spiegò Fortunatus. Era un bravo ragazzo, nato a Roma e nemmeno una goccia di sangue romano dentro di lui, un barbaro d’oltre Reno fatto e finito. Il tipico mattone con cui era costruito quell’enorme edificio che era Roma. « Cosa c’è Fortunatus? I barbari alle porte? »

« È successo di nuovo. » rispose il ragazzo fermo sulla porta, il corridoio malamente illuminato da un paio di lucerne alle sue spalle.

« Cazzo. » sbuffò il centurione Atilius Bradua alzandosi di scatto e indossando in fretta il perizoma. Formosa, la schiava che si era comprato il mese prima continuò a dormire non accorgendosi nemmeno che lui si era alzato; di molte cose sembrava non accorgersi, quella bella nubiana di sedici o diciassette anni che capiva sì e no una ventina di parole di latino, anche quando lo facevano sembrava sempre pensare alle nuvole. « Dove? »

« Dietro alla porta nord, nel vicolo dei pescivendoli. » rispose il giovanotto biondo.

« Bene, pure la puzza … » borbottò il centurione infilandosi la lorica e la corazza. L’elmo lo tenne in mano, che se no si sarebbe andato a bloccare in tutte le porte.

« C’è già qualcuno? » chiese al ragazzo che, già pallido di suo e mai abbronzato, alle luci delle torce nel vestibolo pareva avere il colorito di un cadavere.

« Marius e Claudius. »

« Bene, andiamo. » e uscì nella sera fredda. Quel posto di merda era così, a maggio di giorno crepavi dal caldo e la notte si gelava. Camminarono tenendo le torce in mano e svoltarono un paio di angoli andando a finire in un vicolo stretto e corto che puzzava di pesce marcio e, di solito, ronzava di mosche fameliche. Ora non c’erano.

Raggiunsero quel fagotto scomposto e i suoi occhi opachi biancheggiarono alla luce delle loro torce. Spesso i volti dei morti sono sconvolti e orrendi, ma il terrore espresso da quegli occhi sbarrati e dalla bocca spalancata con la lingua di fuori era quasi insopportabile. «Si sa chi è? »

« Uno schiavo di un fornaio. Era andato a prendere la legna per il forno al deposito là in fondo e poi … non lo hanno visto tornare e sono venuti a cercarlo.»

Atilius si accucciò sul corpo e lo esaminò. Più che pallido, terreo, molto più del normale. Il collo era lacerato da una serie di morsi e le vene e le arterie sbucavano fuori dall’osceno foro dai bordi slabbrati. Neanche una goccia di sangue lordava la tunica giallastra o le pietre sudice del lastricato. « Come gli altri tre.» disse pulendosi le mani sul suo fazzoletto anche se era stato attento a non toccare nulla. « Hai visto che stranezza? »

« Quale? » chiese Fortunatus con uno sguardo tra lo sbalordito e lo scherzoso.

« Vero. Hai visto una nuova stranezza? » gli rispose e poi gli indicò il corpo. «Niente? Va bene, niente mosche. È morto da un bel po’ e non ci sono mosche addosso. »

« Mia nonna avrebbe saputo cosa dire. » mormorò il soldato.

« Tua nonna? Era esperta di cadaveri? »

« In Germania ne vedeva un bel po’ … gente abbastanza violenta, se intende cosa dico. Diceva sempre che non era mai stata tranquilla come dopo che l’avevano catturata e venduta a Mediolanum. »

« Dare la tranquillità ai barbari, il fardello dell’uomo romano. » sentenziò Atilius guardando ancora gli occhi sbarrati e vacui del morto. « E cosa avrebbe detto? »

« No, cazzate, signore. Solo che mi raccontava che … storielle da bambini, a cui solo un barbaro può credere. »

« Quale momento migliore per una storiella, Fortunatus, su! »

« Ecco, diceva che quando lei era bambina, sarà stato al tempo delle Guerre Civili, non lo so, una sessantina di anni fa … comunque diceva che un morto non era … non era morto, ecco. Si era suicidato e le mosche non lo toccavano e non marciva, e così lo seppellirono solo dopo un po’. E … »

« E … cosa? » non gli piaceva questa storiella per bambini barbari, non di notte in una città che li odiava davanti al cadavere semidilaniato di un povero fornaio. «Cosa? »

« Ecco, non che io ci abbia mai creduto, ma quell’uomo tornò dalla tomba e di notte aggrediva le persone e le vacche, e uccise alcune ragazze … » si vergognava come un ladro quello spilungone dai capelli biondi, tra adulti non si raccontano le storielle che ci facevano tremare da piccoli. Da adulti e tra soldati si parla solo delle donne con cui si è stati e delle loro tette.

« E come andò a finire? »

« Mia nonna mi raccontava che anche le ragazze tornarono come lui, e i guerrieri dovettero fare qualcosa … li catturarono un mattina, quando dormivano e li decapitarono e li bruciarono. »

« E finì lì? »

« E finì lì. Non vennero mai più a tormentare la gente, mai più. »

« Delle lamie. » disse Atilius poggiando una coperta sul viso del morto che sembrava fissarlo senza riuscire a metterlo a fuoco.

« Cosa? » chiese il ragazzo.

« Delle lamie, dei mostri succhiasangue, ne ho sentito parlare quando combattevo in Pannonia una decina di anni fa, lì li chiamavano Wemper, morti redivivi che succhiano sangue ai vivi infettandoli. »

« Ma cose simili non esistono! »

« Tua nonna ti ha mai detto di aver visto gli Dei, Fortunatus? »

« No. »

« Però credi che esistano, gli Dei, no? »

« Sì. »

« Però non le credi quando ti dice di aver visto delle lamie. Tua nonna è pazza? » gli chiese tornando al presidio e facendo cenno a Marius e Claudius che erano rimasti in disparte di portare via il corpo.

« Quando l’ho vista l’ultima volta, tre anni fa, non lo era. »

Atilius non gli rispose e continuò a camminare, la guardia aprì loro la porta del castrum ed entrarono nel cortile illuminato. Stava già pensando che forse avrebbe potuto dormire ancora un paio d’ore quando sentì un urlo provenire dai suoi alloggi. Lui e Fortunatus corsero dentro finendo quasi per scontrarsi nel corridoio buio, quando entrarono nella sua stanza. La finestra era aperta e il chiarore di una torcia all’esterno faceva intravedere una figura con un’ampia tunica accovacciata su Formosa. Il suono che si sentiva nella stanza buia era osceno, raccapricciante, un risucchio liquido e maligno. Si lanciò contro la figura magra, un uomo pallido e con la barba e questi, dopo averlo spinto via con una facilità quasi ridicola, saltò fuori dalla finestra e scomparve. Si rialzò e andò da Formosa che, nuda, sussultava sul letto in preda alle convulsioni. Il suo colorito era grigio e i suoi occhi brillavano nel buio, colmi di terrore. Le prese la mano vedendo il sangue che la abbandonava dal collo squarciato e, per la prima volta da quando l’aveva comprata, provò dell’affetto per lei. Sarebbe morta tenuta per mano da uno che le voleva bene, almeno.

« Io … libera … » farfugliò lei gorgogliando sangue schiumoso dalla bocca.

« Cosa? » le chiese chinandosi per sentire le sue ultime parole.

« Lui detto che se lo seguivo, io libera nell’aldilà. Libera con lui. » disse e morì.

Si rialzò terrorizzato, infuriato, stremato. « Portate Formosa e l’altro corpo nel salone. Che qualcuno li vegli.»


2

Da due giorni vegliava i due corpi, stava per crollare. Nessuno dei due corpi puzzava e nessuna mosca si avvicinava loro. Esasperato prese della terra nel cortile e avvicinatosi a Formosa, gliela versò addosso. Un pugnetto di terra sulla coperta che ricopriva il suo corpo, una sepoltura per non lasciarla vagare tra i vivi, secondo gli antichi. Era mezzogiorno e il corpo della ragazza tremò, come se qualcosa di non umano la stesse muovendo da dentro. La rigidità della morte la abbandonò tutto a un tratto e vi fu come un lampo di luce.

« Padrone, come stai? » gli chiese mettendosi a sedere e aprendo gli occhi. Erano rossi, e famelici. La coperta, come tostata dai lineamenti della ragazza durante quel lampo, era caduta sulle sue ginocchia e lui vide quel corpo che, adesso, era più bello di quanto fosse mai stato in vita. Il suo corpo reagì a quella bellezza, ma lui sapeva che era un trucco, una malia, e che quello era solo un cadavere.

« Ti aspettavo, Formosa. »

« Ora sono libera, padrone mio, vieni con me e vivremo in eterno col mio nuovo padre. » e aprì la bocca mostrando delle zanne bianche e lunghe che sarebbero state bene in bocca a un mastino. Aveva voglia di baciarla, di correre da lei. Rimase fermo a fissare quelle zanne e aspettò.

Lei scese dal tavolo e camminò verso di lui, sensuale come Venere e lo abbracciò aprendo la bocca. « Sarai mio e insieme … » e la voce le si spezzò quando la spada di Fortunatus, che era nascosto dietro alla tenda, le trapassò la schiena e il cuore. Si voltò verso di lui e ruggendo lo spinse contro il muro con una manata, ma Atilius ne approfittò per tagliarle la testa con un colpo di gladio. A terra, davanti a loro, il corpo maleodorante e gonfio di una donna morta da due giorni.

« Bruciateli. » ordinò ai suoi uomini e uscì fuori. Una donna giudea lo aspettava vicino a un soldato. Si inginocchiò ai suoi piedi e, con un pesante accento, disse: « Io so chi è il mostro, è mio figlio. Vi dirò dove si trova. » La donna non piangeva, non più, ma sembrava aver pianto tutte le lacrime di una vita intera.

« E chi è tuo figlio, donna? » e mentre glielo chiedeva gli sembrava di averla già vista.

« Mio figlio lo avete crocifisso un mese fa. » rispose fiera la donna con il suo accento aramaico « E ora vi chiedo di ucciderlo di nuovo. È con i suoi discepoli adesso, e li ha infettati quasi tutti, ormai. »

Atilius chiamò Fortunatus che si stava massaggiando il gomito che si era sbucciato contro il muro e gli disse: « Formazione da battaglia, tutte le armi disponibili, e molte torce. » e poi rivolto alla donna: « Dimmi tutto quello che sai, donna. Tra un’ora, ci porterai da tuo figlio e faremo quello che va fatto, se gli Dei lo vorranno. »

« Se Dio lo vorrà. » puntualizzò lei e una lacrima, una sola, le scese lungo la guancia.


3

La donna aveva detto che quello che era stato suo figlio si svegliava a mezzogiorno in punto. Alcuni di quelli che erano con lui erano quelli che aveva ucciso, ma i suoi discepoli erano diversi, li aveva convinti a bere il suo sangue e ora erano in suo totale potere. Insomma … « … Sono in quindici là dentro, 11 umani e 4 … 4 di quelle cose, il capo è quello magro con la barba, quello che abbiamo crocifisso un mese fa.» spiegò ai suoi uomini, poi guardò Fortunatus e gli fece cenno di andare. « Tra poco andiamo, appena Fortunatus sarà al suo posto. »

Dopo poco, neanche il tempo di bere due sorsi d’acqua dalla borraccia, sentirono il richiamo del cuculo, era il segnale. « Via! » disse e si lanciarono contro la porta dell’albergo dove risiedevano i discepoli dai giorni di festa appena passati.

Appena la porta crollò sotto i loro colpi furono aggrediti dai discepoli, che avevano lo sguardo allucinato e sembravano come addormentati. Ebbero ragione di loro in poco tempo, ma poi arrivarono i due uomini e la donna che erano già stati trasformati, gli occhi color sangue e le zanne sguainate. Fu un combattimento tremendo, sei soldati furono uccisi ancor prima di aver superato del tutto la porta, ma gli altri, con i loro gladi fecero a pezzi i mostri che crollarono a terra e avvizzirono come mummie. Atilius inseguì il capo che era fuggito dalla porta sul retro e che stava fuggendo più simile ad un animale che a un uomo su per il fianco di una collina.

« Ehi tu! » gli urlò e poi aggiunse: «Yeshua figlio di Yosef! Scappi? »

Quello che solo un mese prima aveva visto tirar giù da una croce dopo una breve agonia, quello che aveva visto morto e irrigidito in braccio alla madre in lacrime, quel rivoltoso che aveva osato sfidare Roma si girò verso di lui e ruggì, più che urlare: « Romano! Mi sfidi? » e si lanciò verso di lui, quando una freccia lo trapassò da dietro e lo fece cadere bocconi.

Atilius salì in fretta verso di lui e disse: « Una freccia di legno di frassino, il mio soldato sapeva come sconfiggerti, lamia. » e, con un colpo di gladio, decapitò il mostro. Il corpo di quest’ultimo, che a differenza di quelli dei suoi simili era in pieno sole, prese fuoco come un foglio di carta e sembrò sollevarsi nell’aria mentre si inceneriva.

Atilius tornò verso la locanda insieme a Fortunatus e raggiunse i suoi uomini e i prigionieri, che sembravano adesso come appena risvegliati da un lungo sonno. Stavano guardando verso la collina dove il loro Messia era appena bruciato e, in lacrime, dicevano tra loro: “È asceso al cielo, avete visto? «»

« Cosa facciamo di questi poveri mentecatti? » chiese Fortunatus.

« Non penso che siano più pericolosi. » rispose Atilius guardandoli con malcelato disgusto « La cosa importante, adesso, è andare a Betania per eliminare quel Lazzaro che aveva infettato lui un paio di anni fa. Questi, pazzi come sono, al massimo si metteranno a venerare quel mostro come un dio. Sono innocui. »


FINE.