domenica 10 febbraio 2013

LA CASA SULLA COLLINA. XL.

6

Premi e punizioni.

Si stava svegliando, in anni e anni di vita sulle portaerei e nelle basi e nei suoi viaggi nello spazio Franco aveva imparato ad addormentarsi e a svegliarsi a comando. Prima di staccare la spina aveva collegato l’espressione di Filippo Malerba, quell’espressione di chi ha appena capito qualcosa di importante, con una cosa che gli aveva detto Carla la notte che aveva passato con lei. Aveva detto che in cima alla collina, quella collina che, vista in piena notte dal balcone di una casa in cui si erano intrufolati tra un bacio e l’altro, lo aveva tanto inquietato, aveva detto stavo dicendo che quella villa là in cima era quella in cui abitava il suo scolaro Alessandro Malerba. Alessandro Malerba proprio come Filippo Malerba.
Doveva avere sorriso mentre cedeva al sonno, per quel guizzo holmesiano, e poi come al solito aveva dormito un sonno senza sogni, sonno che adesso, alle tre, come aveva deciso mentre si coricava, si era interrotto.
Si stiracchiò e aprì gli occhi pronto ad alzarsi per andare in cerca di segreti degli alieni. E non si trovò nella sua stanza. Richiuse gli occhi velocemente perché la luce di quella stanza lo aveva abbagliato. Era in un enorme stanzone dalle pareti metalliche, illuminato da quelle luci degli alieni che non si riusciva mai a capire troppo bene da dove venissero. – Cazzo! – disse riaprendo gli occhi e tentando di alzarsi, ma qualcosa lo teneva attaccato al lettino, e non era nulla di prosaico o spezzabile come delle corde. No, gli alieni non usavano corde, ma campi di forza o altre diavolerie simili. Si guardò intorno e vide due uomini e molti alieni. Un uomo era Ettore ed era in piedi vicino agli alieni; l’altro era Filippo ed era coricato su un lettino simile al suo, anche se ancora non si era svegliato. Gli alieni erano una ventina ed erano divisi in due gruppi. Una quindicina erano vicino a Ettore e stavano confabulando telepaticamente con lui. Gli altri cinque erano vicino ai lettini e li fissavano con le loro facce di marmo.
Evidentemente le loro orecchie telepatiche erano state capaci di arrivare fino a loro mentre parlavano bevendo i loro caffè.
- Era curioso, signor Rondanini? – gli chiese l’alieno con un pensiero dal tono beffardo.
- Sì, pezzo di merda ammuffita! – gli disse.
L’alieno sorrise sollevando impercettibilmente gli angoli della sua boccuccia, poi gli disse: - E ora saprà tutto, e poi lo dimenticherà. –
- Cosa stai dicendo, sgorbio schifoso? - gli chiese urlando e sputandogli addosso delle goccioline di saliva che rimasero lì a spiccare sulla pelle liscia e grigia dell’alieno.
- Caro signor Rondanini, deve sapere che per entrare nella sua mente abbiamo bisogno che lei ce lo permetta. E noi allora le faremo sapere tutto, ma proprio tutto quello che la incuriosisce su di noi. E allora la sua mente si aprirà e noi potremo insinuarci in lei come, cosa sta pensando, serpi? Sì, signor Rondanini, come serpi, e ci metteremo a … le ruberò la parola che ha pensato, è troppo carina … ci metteremo a pasticciare con la sua mente fino a che lei sarà il nostro miglior alleato. E non si renderà neanche conto di pensare i pensieri che noi le daremo, sa? Saranno pensieri suoi, e sarà felice di pensarli. – e alzò una manina affusolata per fare cenno ai suoi compagni di cominciare, quando Franco lo richiamò.
- Un’ultima cosa, stronzo! – gridò.
- Cosa, umano? –
- Ho mai subito questo trattamento? –
L’alieno sorrise e i suoi occhi di vetro nero parvero illuminarsi dall’interno, come se all’interno del suo enorme testone ci fosse stata della brace pronta a ustionare chi la toccasse fino all’osso. – Non so neanche io quante volte, signor Rondanini. Lei è molto curioso e molto intelligente, scopre sempre qualcosa e noi, sempre, lo sappiamo prima di lei. Noi sappiamo tutto di lei.
E poi il procedimento cominciò, la verità, sotto forma di immagini, suoni, sensazioni e odori, si riversò nella mente di Franco come metallo fuso nella forma di argilla che lo trasformerà in una statua, e intanto i pensieri di Franco venivano riplasmati come meglio piaceva agli alieni.
Ma … c’era un ma. Le altre volte Franco era arrivato lì solo con paura e curiosità, e gli alieni sapevano sfruttarli e placarli. Questa volta c’era anche quello che lui provava per Carla, qualcosa di non comprensibile, non quantificabile, non misurabile o traducibile in grafici e numeri. I suoi ricordi erano intrecciati a questo qualcosa e in questo qualcosa si andarono a rintanare per non essere spazzati via.
Questo qualcosa, che gli alieni ignoravano e non sapevano modificare, era l’amore.

sabato 2 febbraio 2013

LA CASA SULLA COLLINA.

XXXIX.

5

Franco.

- E così non aveva la minima idea di quello che avrebbe trovato quassù? –
L’uomo scosse la testa con quello sguardo un po’ allucinato che Franco aveva visto già tante volte, quattro anni prima sulla sua faccia in un piccolo specchio nella Stazione Spaziale. Lo sguardo di chi sta tentando di venire a patti con quello che ha visto, perché quello che ha visto non rientra minimamente nel novero del possibile, proprio no, come se entrando in una camera uno vi trovasse il proprio cane che legge la Bibbia annotandola di sua zampa nei passaggi più importanti. – No. per niente. Sapevo che c’era qualcosa, ma … - e con un movimento della mano indicò l’ambiente allo stesso tempo avveniristico e antico che li contornava. - … questo davvero no. io mi immaginavo qualcosa di losco, sapevo cosa vuol dire questo anello. – e indicò l’anello d’oro che portava vicino a una normale vera.
- Io pensavo che i portatori dell’anello … - disse Franco.
- Dovessero seguire gli Elfi al di là del mare? – gli chiese l’uomo sorridendo.
- Colpito e affondato! – e brindarono scoppiando a ridere – Io pensavo che chi porta quell’anello facesse parte di un’elite di privilegiati. Ecco … -
- Che è quello che avevo capito anche io. – si guardò intorno tentando di capire quanto fossero distanti dagli altri. Franco pensò che le persone non avrebbero potuto sentirli, ma quanto agli alieni, non aveva la minima idea di quanto lontano arrivasse il loro orecchio telepatico. Sperava che non arrivasse fino a loro e anche che il simpatico ultramiliardario non se ne preoccupasse. E infatti Filippo continuò: - Era l’anello di mio padre, questo, e io glielo ho sempre visto portare pensando che significasse qualcosa. Poi, quando lui è morto una decina di anni fa, l’ho indossato e … non dovrei parlarne a chi non ne indossa uno … va be’! … Quel collega di mio padre che le ho detto prima, mi ha portato a una riunione con alcune persone … -
- Massoni? – gli chiese Franco.
- Sì. Anzi … no. Non lo so. Penso che siano, anzi, siamo, collegati con la massoneria, ma siamo come massoni dei massoni. Abbiamo i nostri riti, le nostre logge, le nostre parole segrete … -
- E le vostre strette di mano? –
- Anche. – disse Filippo e deglutì, si sentiva colpevole, e insicuro.
- E, se posso chiedertelo, che cosa fate? –
Filippo si guardò di nuovo intorno, nessuno li ascoltava, parlavano tutti del più e del meno, ma per gli alieni, con quelle facce da manichini, Franco non sapeva che pensare. Gli fece cenno di continuare e Filippo disse: - Parliamo, ci confrontiamo, prendiamo decisioni. –
- Decisioni su? –
- Decisioni. – gli rispose Filippo. Poi si guardò di nuovo alle spalle e gli disse, a voce molto bassa: - Ma tu non puoi sapere che gente c’è lì, tutti quelli che contano. Ma se ho capito bene, e oggi ne ho avuto la prova, io sono come un novizio e non mi hanno mai detto quasi nulla. –
- Wow! –
- E sì. Anche se … -
- Cosa? –
- Ho paura. Io non ho scelto di fare parte di ‘sta cosa, credimi, mi ci sono trovato. E non mi piace per niente. –
- Come me. Io volevo solo volare nello spazio per arrivare fino là dove nessun uomo è mai giunto prima, e invece mi sono ritrovato a fare l’aiutante di questi cosetti odiosi. –
- Anche a te fanno paura? – gli chiese Filippo?
- Sì. – gli rispose Franco – Anche perché ho scoperto una cosa … -
- Cosa? –
- Sono già stati sulla terra, credimi, ho visto una loro base, ma non ci hanno mai detto di esserci stati. E la base se ne sta lì, sotto gli occhi di tutti, a Genova. È incredibile. –
- E come sarebbe questa base? – gli chiese Filippo a cui si erano illuminati gli occhi. Franco vedendo quell’espressione ricordò il giorno di Natale del 1987. Era stato il giorno in cui suo fratello Damiano aveva capito che quello che portava i regali era papà e non babbo Natale. Aveva visto in quegli occhi la delusione, la disillusione, e insieme la soddisfazione per avere capito l’inganno. L’uomo che aveva davanti aveva appena capito che Babbo Natale non esisteva.
- Quella che ho visto io è esattamente come questa, una specie di enorme piramide, solo che è ricoperta di case e sulla cima c’è … -
- Una villa. – lo interruppe Filippo. – Una grande villa che ha sostituito una antica chiesa. Chiesa che a sua volta aveva preso il posto di un tempio. –
- L’hai vista anche tu? –
- Sì. – rispose semplicemente Filippo, fece un’espressione strana, simile a quella che aveva Jim Carrey in “the Truman show” quando toccava letteralmente il cielo con la sua mano. – Sì. – ripeté Filippo.
E allora franco aggiunse: - E c’è anche un’altra cosa. Una mia amica mi ha detto che suo fratello, un geologo, aveva scoperto qualcosa sotto terra, qualcosa di simile a un’astronave, ma enorme, e … -
- E … - disse Filippo.
- L’intero cantiere è esploso. Sono morti tutti. –
- Il cantiere per le scorie radioattive? – gli chiese Filippo.
- Penso di sì. –
- Ci lavora una azienda che mi appartiene. – sorrise con una faccia per nulla allegra e poi ripeté come per stamparselo bene in testa: - Ci lavora un’azienda che mi appartiene. –
Franco stava per dire qualcosa, non sapeva neanche lui cosa, quando un uomo anziano e estremamente elegante arrivò a passo veloce e chiamò Filippo appoggiandogli una mano sulla spalla. All’anulare di quella mano brillava un anello uguale a quello di Filippo. – dobbiamo andare, Filippo. – gli disse.
- Va bene, Ettore. – si alzò e gli indicò Franco – Questo è Franco Rondanini., un astronauta. –
- Lo conosco. – disse Ettore sorridendo, ed era uno di quei sorrisi che sembrano paciosi e belli, ma che a guardarli con un po’ più di attenzione, nascondono un’arma letale. – Il signor Rondanini ci è stato molto utile negli ultimi quattro anni. –
E così si diedero la mano e si salutarono. E Franco andò verso la sua stanza a dormire. Quella notte, perché all’interno della struttura venivano simulate le ventiquattro ore terrestri, quella notte dicevo avrebbe tentato di scoprirne di più su quei misteriosi alieni e sui loro inquietanti aiutanti terrestri.
E avrebbe scoperto molte cose, anche se non nel modo che sperava.

venerdì 1 febbraio 2013

LA CASA SULLA COLLINA.

XXXVIII.

4

Filippo.

Il suo ufficio non era grande, non in proporzione alla ricchezza e potenza della sua azienda, ma era luminoso. E soprattutto aveva il più bel panorama che si potesse immaginare, il mare e, sulla sinistra, la città di Genova. In piedi, appoggiato col fondoschiena alla sua scrivania, guardava il panorama con dei fogli in mano. Lontano, a poche miglia dalla costa, una tromba d’aria scendeva dal cielo grigio a un mare ancora più grigio, mentre pochi coraggiosi gabbiani compivano le loro evoluzioni lì vicino al porto.
- Mi hai chiamato, Filippo? – gli chiese Ettore Rossi, che stava lì in azienda già da molti anni quando lui aveva preso il posto di suo padre dopo essersi tagliato i capelli. Per tutto il primo periodo che aveva passato lì, quello in cui lui aveva fatto esperienza mentre la potenza della sua azienda, già grande, esplodeva fino a diventare enorme, era stato in realtà Ettore a comandare. A volte gli sembrava che questo succedesse anche adesso, e quella era proprio una di quelle giornate in cui quell’impressione era più forte.
- Sì, Ettore. Belli questi progetti. – disse senza staccare lo sguardo dalla tromba d’aria che adesso si stava allungando incurvandosi sulla destra. Presto si sarebbe allungata tanto da sfilacciarsi e tornare ad essere una normale nuvola.
- Costerà un po’ il primo, ma se lo costruiamo avremo praticamente in mano tutti i voli intercontinentali. – disse Ettore.
- E il secondo, dovrebbe fruttare un bel po’ anche lui, no? – la tromba d’aria stava sparendo adesso, come un sogno al mattino, quando gli pareva quasi di essere ancora in giro per il mondo con …
- Il nuovo procedimento di fracking? –
- Sì, quello. Abbiamo già comprato molti terreni adatti, no? –
- Sì. –
- Petrolio per i prossimi cinquant’anni. –
- Tutto nostro, diventerai più ricco del re dell’Arabia Saudita. –
Filippo ripensò alla sua infanzia, alla neve che cadeva nel giardino di casa e al pupazzo che aveva fatto a cinque anni. E alle estati al mare con mamma. Ore e ore a giocare con la sabbia e poi, tre ore dopo il pranzo, giù in acqua, a tentare di prendere i pesci. Neanche sapeva di essere ricco allora.
- Allora ti piacciono? – gli chiese Ettore.
Mezzo euro di croccantini a Kevin, pranzo e cena con cinque euro, quindici euro alla settimana alla lavanderia, quando non lavava in un fiume. Ecco la ricchezza che lo aveva reso felice, altro che tutto l’oro nero d’Arabia. Si rese conto che gli aveva fatto una domanda, si scosse vedendo che là dove un attimo prima c’era stata la tromba d’aria un raggio di sole scendeva obliquo sul mare stile ira di Dio. Gli aveva chiesto se … - Sì. Ottimi progetti. – il raggio di sole si spostava veloce sul mare, e il mare luccicava come un diamante sotto al sole.
- Ettore … Posso farti una domanda? –
- Certo. –
- Da dove vengono questi progetti? – e adesso si era girato a guardarlo.
- Dal nostro centro ricerche, dalle università che sovvenzioniamo. Spendiamo centinaia di milioni in ricerca, lo sai. –
- Ettore. – sorrise – Questo anello che io porto, lo porti anche tu. E anche se tu sei su un livello molto più alto del mio, non sono così scemo da non capire che ci sono cose che non mi vengono dette. –
- Filippo, ma non sono su un livello più alto! –
- Ettore, non credermi così scemo. Ho visto che la stretta di mano che usi è diversa dalla mia. E ho visto che gli altri iniziati fanno solo finta di guardare me, ma in realtà aspettano un tuo cenno. –
- Filippo, tuo padre … -
- È morto. Mio padre è morto una decina di anni fa. E io mi sono messo il suo anello. –
- Ecco … - disse Ettore, ma ora era lui a non guardarlo negli occhi, sembrava che stesse guardando i gabbiani. – Hai ragione, Filippo. Ci sono cose che non sai. –
- Da dove vengono questi progetti? Da dove vengono tutti i progetti che ci hanno fatto arricchire così in fretta e così enormemente? –
Ettore non gli rispose, sorrise e disse: - Mi concedi un attimo? Devo chiedere una cosa a una persona. –
- Abbiamo tutti uno più in alto di noi, eh? –
- Sì, Filippo. Torno subito. – e uscì dall’ufficio. Il mare era più scuro adesso, e il sole non passava più come una lama tra le nuvole. Lontano, a ovest, una colonna di pioggia scendeva sull’acqua scura. Ancora più indietro, alla fonda sulla linea dell’orizzonte, una petroliera aspettava come lui delle notizie.
- Filippo, eccomi. – gli disse Ettore entrando, sembrava agitato, e non lo aveva mai visto agitato. –
- E allora? – gli chiese sedendosi sulla sedia con la gamba destra accavallata in quella posa che a Carla aveva tanto ricordato Michael Corleone.
- Ricordi il tuo giuramento? –
- Certo, Ettore. Eri vicino a me quando l’ho pronunciato. Nessuna delle cose che vedrò, udirò e farò mentre sarò dove mi porterà questo anello uscirà mai dalla mia bocca se non perché voluto da questo anello. –
- E poi? –
- Che la morte mi possa portare via ai miei cari se mancherò a questo giuramento. – disse Filippo sbuffando.
- Sono parole sacre, Filippo, tuo padre le ha dette prima di te e il suo prima di lui. E così via fino all’origine dei tempi. –
- Me lo hai già detto Ettore, anni fa quando mi hai portato alla mia prima riunione. –
- Non fa mai male dare un ripassino, Filippo. –
- E come ti ho già detto pochi istanti fa, e allora? – e indicò i fogli poggiati sulla scrivania. –
- Chiama a casa e avverti che devi partire per lavoro. Torneremo domani. –
- Dove si va? – gli chiese sorridendo.
- Te avverti a casa. Sarà una sorpresa. –
Dopo che ebbe parlato con Aisha e l’ebbe avvertita, solite cose oltre quello, come va, come non va, come sta Alessandro, ti amo, mi manchi, ci vediamo domani, seguì Ettore sul tetto, dove l’elicottero dell’azienda li aspettava con la pale già in moto.
- Ci si va volando? –
Ettore sorrise e disse: - E sì! Ci si va volando. – e gli batté una mano sulla spalla – Ci si va proprio volando, a conoscere i soci di tuo padre. Sarà proprio un bel volo. –

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