martedì 7 settembre 2021

Un'idea balzana.

E se il protagonista di un giallo, se il Sherlock Holmes, l'Auguste Dupin, l'Hercule Poirot di un romanzo fosse un cane?

Quanto si potrebbe rendere credibile una storia simile? Quanto dovrebbe essere sospesa la credulità del lettore per fargli credere che un cane indaghi per salvare una persona in pericolo? Si potrebbe spostare il piano delle indagini solo e soltanto su un livello canino fatto di odori, suoni e immagini?

Questo è un primo capitolo di prova, e l'investigatore è Peste, il mio cane, non troppo diverso da come è in realtà. 


PROLOGO


Era sceso dall'autobus numero 7 una mattina di primavera, tranquillo, libero, amichevole con tutti. Subito si era seduto davanti al negozio del pollivendolo che prepara quel meraviglioso pollo arrosto che mi compro una volta a settimana, e il signore era uscito dopo qualche minuto con una fettina di arrosto di tacchino che lui aveva mangiato con calma e ottimo appetito. Una leccata alla mano dell'uomo era stato un ringraziamento molto gradito. Poi era andato alla fontanella e aveva spinto il pomello di acciaio con la sua zampa bevendo al volo l'acqua che cadeva sulla grata.

Il quartiere gli era piaciuto e lì era rimasto a vivere. Era alto forse una quarantina di centimetri al garrese, ma era tanto magro da sembrare più alto. Come tutti i levrieri aveva il naso lungo e sottile, appena un po' aquilino nel suo caso, e il suo sguardo era sempre attento, a parte quando, ogni tanto, sembrava perdersi tra ricordi e fantasie e socchiudeva i suoi grandi occhi nocciola e muoveva solo le narici e le orecchie seguendo la brezza.

Addosso, a parte la sua pelliccia nera appena un po' sbiadita dal sole e brizzolata dagli anni, aveva solo un collarino di cuoio nero e sul collarino una medaglietta di ottone con su scritto “Peste”, solo il nome, niente numero di telefono del padrone.

Le prime notti dormì accanto al bidone della spazzatura, dove qualche sporcaccione aveva gettato un divano sfondato, ma poi entrò nel mio giardino e mi fece capire che gli piaceva il mio sottoscala. Una cuccia, un cuscino e una coperta apparvero come per magia il giorno dopo, se il fatto che io li avessi portati si può definire magia, e qualche tavola di legno andò presto a ripararlo dagli spifferi. Da allora dorme lì, non è il mio cane e io non sono il suo padrone: quello, se esiste, non lo ha mai cercato e io mi limito solo a portarlo dal veterinario quando deve fare le vaccinazioni e gli lascio una ciotola di croccantini e dell'acqua fresca e pulita. Lui in cambio mi sta accanto quando lavoro in giardino o leggo un libro e, quando ne ha voglia, mi lancia la pallina per farmi giocare.

La sua casa è il quartiere, lo gira in lungo e in largo, ha tutta una sua ghenga di amici umani in ogni negozio che lo rifornisce di leccornie in cambio di coccole e un branco di cagnetti di tutte le taglie, alcuni alti il doppio di lui e di almeno sei volte più pesanti del suo esile corpo da levriero, che eseguono i suoi ordini e aspettano in silenzio il suo giudizio.

Capii definitivamente che non era un cane normale, il dubbio in realtà lo avevo già da un po', quando la Marta arrivò piangendo in piazzetta. Siamo un quartiere che è un piccolo paese, con al centro la piazzetta e nella piazzetta il bar. Io ero lì con la mia birra in mano, seduto su una scomoda sedia di alluminio a leggere la Gazzetta, quando la Marta è arrivata in lacrime perché aveva perso le chiavi di casa. Era uscita per andare a comprare qualcosa di importantissimo come un mezzo litro di latte o una sciarpa di seta, non mi ricordo, ma comunque aveva girato per tutto il quartiere per una buona mezzora, fatta la tara un'ora e qualcosa, e arrivata a casa non aveva trovato le chiavi nella borsa. E ora come sarebbe entrata in casa? I vigili del fuoco avrebbero sfondato la porta e lei … il mio cervello aveva già cominciato a ricordare le canzoni dei Queen per salvarsi da quel perpetuo pianto quando Peste era arrivato col suo passo sicuro e dinoccolato, è probabilmente il gigante più basso della Galassia, e si è avvicinato a Marta. Dovete sapere che Peste è gentile con tutti, ma preferisce alcuni ristretti gruppi di persone, e precisamente le donne, le donne giovani, e le donne giovani e belle. Marta avrà avuto forse 29 anni all'epoca e brutta non è di certo, e così il Peste, vedendola piangere, si avvicinò per controllare. Lei interruppe la geremiade per accarezzargli la piccola testa e poi ricominciò a piangere. Tutti guardavano lei e io guardavo Peste. La annusava. Si alzò per un attimo ad annusare la borsa, infilando con gran fatica il suo naso affilato all'interno, poi annusò le gambe della donna e infine, con estrema cura, annusò i suoi piedi. Poi partì nella direzione da cui lei era arrivata. Lasciai cinque euro sotto al bicchiere vuoto della mia birra e gli andai dietro.

Camminava impettito, guardando continuamente a destra e a sinistra, e ogni pochi passi, quando vedeva una pianta, o una cartaccia o una pozzanghera, si fermava ad annusarle. Arrivato a un bivio fece pochi passi a destra, annusò in terra, si fermò ad occhi chiusi, poi tornò indietro e andò a sinistra. Dopo un'altra annusata ripartì con decisione, guardò dentro alla porta di un negozio, esaminò con cura una carta di una caramella al miele, Marta le mangia sempre, poi attraversò la strada e annusò un ciuffo di erba che cresceva vicino a una vetrina di un negozio di scarpe, poi ripartì e, sempre fermandosi ad annusare cose apparentemente insignificanti, arrivò in un piccolo slargo del marciapiede che era all'ombra. Il posto adatto dove guardare lo smartphone senza fatica, camminò tra l'erba resa verde e folta dalle ultime piogge e, dopo pochi passi tortuosi, trovò le chiavi. Erano legate a un nastro e così lui le prese in bocca e, dopo avermi fatto un cenno cn la sua piccola testa appuntita, ripartì a passo veloce raggiungendo in pochi minuti la ragazza che, naturalmente, stava ancora piangendo. Le si avvicinò, le sfiorò il ginocchio con il naso umido e, mentre lei si girava per guardare cosa l'avesse sfiorata, si alzò in piedi poggiandole praticamente in mano le chiavi. Temetti di dover prendere al volo i bulbi oculari di Marta, da tanto li strabuzzò vedendo il minuscolo levriero che le riportava quello che aveva perduto, ma poi si accucciò e baciò il cane che, aveva una posizione di un certo livello, insomma!, fece doverosamente finta di non gradire quelle smancerie. Poi ordinò per il cane un piattino di prosciutti e se ne tornò a casa tutta contenta mentre il cane si godeva il premio ottenuto.

Annusandole le gambe e le scarpe aveva riconosciuto i posti dove era stata e, annusando l'interno della borsa, aveva identificato l'odore di caramelle al miele che l'avrebbe guidato a trovare le chiavi. Un genio della deduzione, con il cervello grande come un gheriglio di noce.

Peste, il protagonista della nostra storia.