lunedì 22 agosto 2022

Una notte insonne.

 Dopo mesi, forse anni, di blocco dello scrittore, negli ultimi giorni ho scritto questo racconto che potrebbe essere, se le Muse lo vorranno, il primo capitolo di una novella o romanzo.

Boh, io ve lo offro, ditemi se vi piace. 

Buona lettura.

Una notte insonne.

Continuava a rigirarsi nel letto senza che il sonno facesse minimamente capolino nella stanza, si, vabbè, stanza, nella cella in cui era stato messo a dormire. Il sole aveva picchiato per tutto il giorno sul muro esterno, naturalmente la sua cella era a sud, ça va sans dire, e anche se l'aria della notte era scesa dai raccapriccianti 38° del pomeriggio a dei fastidiosi, ma più umani, 27°, la temperatura nella stanza non accennava a passare la boa dei 30°. pensava di non avere mai sudato tanto in vita sua, le lenzuola di cotone ruvido come carta vetro grana 12 gli si appiccicavano addosso come carta moschicida e la maccaia gli faceva sentire il peso dei 150 km di atmosfera che gravavano su di lui.

E poi … c'era lei. Nella cella accanto alla sua dormiva Anna, la sentiva russare piano, la sentiva borbottare nel sonno. L'aveva intravista dalla porta socchiusa, mutandine di cotone e maglietta vecchia e lisa, gambe sode, chiappe perfettamente rotonde, il monte di Venere a gonfiare appena il semplice slip e dei capezzoli che sembravano sul punto di perforare la stoffa sottile. Erano due ore che si rigirava nel letto con un'erezione molto scomoda agitando le mani in aria per tentare, inutilmente, di ammazzare le zanzare.

Sentiva una lieve brezza all'esterno e uscì, indosso solo i calzoncini color cachi. La porta di Anna era chiuso, meglio, nessuna tentazione guardonista, camminò nel corridoio buio usando la piccola torcia a tre pile che si era comprato apposta per lo scavo, passò un cancello di ferro, un altro cancello di ferro, una porta e infine, dopo un corridoio con vari uffici amministrativi ai lati, aprì il portone trovandosi all'esterno. Spense la torcia, la luna calante da due giorni illuminava sufficientemente il panorama intorno a lui.

Si era messo le scarpe da ginnastica e quindi poté allontanarsi dal lastricato camminando tra la bassa vegetazione stentata risultato di millenni di sole a picco e un paio di secoli di capre. Passeggiò sul sentiero godendosi quel po' di fresco portato dalla brezza marina e, giunto sul crinale, si voltò a guardare il carcere in disarmo che li ospitava. La prof aveva detto che l'interno era era un perfetto panopticon di benthamiana memoria, ma dall'esterno sembrava solo un orrido casermone di tre piani che incombeva nero nella notte, simile nella luce innaturale della luna ad una architettura aliena di Lovecraft. Passò il crinale e si addentrò in quel campo di erba medica che era stato duemila anni prima la necropoli della piccola colonia Flavia Marittima e lasciò il sentiero per avvicinarsi alla tomba a cappuccina che lo smottamento provocato dal piccolo nubifragio di tre giorni prima aveva portato allo scoperto.

La prof stava impazzendo tentando di capire perché cacchio i seppellitori di Marco Attilio Bradua, morto alla ragguardevole età di 85 anni, sei mesi e due giorni, centurione della Legione XII Fulminata e duoviro per tre volte della colonia Flavia, avessero infilato dei lunghi chiodi nei coppi che chiudevano la copertura della fossa, dei pioli di ferro così lunghi da andare a sfiorare il corpo del defunto.

Si sedette accanto alla tomba, tolte le tegole e i coppi il corpo meravigliosamente mummificato del vegliardo duoviro era protetto dall'umidità della notte solo da un telo di plastica tenuto a posto da sei grosse pietre posate sull'orlo della fossa, schiaffeggiandosi in maniera alquanto maldestra per uccidere una zanzara che gli ronzava vicino all'orecchio notò che una delle pietre stava scivolando giù nella fossa trascinando con sé il telo e un sacco di terra. La sollevò e, tentando di rimettere a posto il telo, vide un luccichio. Cosa avevano messo negli occhi del morto? Tolse il telo e scese con attenzione nella buca di due metri per uno dalle pareti di mattoni. Illuminò gli occhi raggrinziti di quel volto di cartapecora teso sul teschio e non vide nulla. Non c'era vetro o metallo sotto le palpebre, sembrava solo che ci fosse … l'occhio.

Grattandosi distrattamente il polpaccio con le unghie, ah che piccolo piacere della vita il grattarsi quando si ha prurito, si abbassò a guardare da vicino la mummia. Aveva i capelli e le sopracciglia, perfetti, e la toga era marcita sul suo corpo mantenendo la sua forma. Non odorava di spezie orientali, non era una mummia egizia fatta da un mummificatore professionista, ma non aveva nemmeno il minimo odore di putrefazione. Gli ricordava l'odore della pelle di suo padre quando da piccolo lo abbracciava dopo essersi fatto la barba. Sì, sotto a quelle palpebre raggrinzite, in quelle orbite praticamente svuotate, c'erano ancora gli occhi e, chissà come, luccicavano alla luce della Luna.

Grattandosi la schiena e il polpaccio, l'altro, salì fuori dalla tomba. Quel vecchio corpo incorrotto, come quelli dei santi secondo sua nonna, lo inquietava. Solo nella notte buia si infilò una mano nei pantaloncini e si grattò le palle, tra il sudore e le zanzare il prurito lo stava facendo impazzire, guardava quel volto di un uomo che aveva gironzolato per il mondo negli stessi anni di Gesù e intanto si grattava con entrambe le mani in preda a un prurito sempre più forte.

Illuminò con la pila il corpo, SCIAFF!, ecco una zanzara spiaccicata che non lo avrebbe punto, e vide che i tre chiodi vi avevano lasciato delle piccole macchie di ruggine sopra. Sulla fronte, sullo sterno e sull'addome. Si grattò una gamba e la crosticina di un graffio che si era fatto camminando tra i rovi saltò via. Il sangue che gli sporcò le dita era nero nella luce della Luna, riprese a grattarsi, sembrava che volessero impedire al corpo di … alzarsi, sì, se avesse appoggiato le mani in quei punti a una persona coricata … si grattò il retro del collo, e l'orecchio, e di nuovo lo stinco e il polpaccio, sembrava avere un nugolo di zanzare lì attorno, e quei puntini, sì, era sangue, si stava grattando a sangue … non volevano che il morto si alzasse, quell'uomo era stato in Terra santa negli anni di Gesù, “alzati e cammina, Lazzaro” aveva detto quel fricchettone moltiplicatore di pani e pesci, e Lazzaro si era alzato … il prurito alle palle era spaventoso, grattarsi era un dolore piacevole in maniera quasi erotica, si trovò a pensare ad Anna, là nella cella a un centinaio di metri da lui, ebbe un'erezione e il prurito era così … non volevano che si alzasse, si accucciò sul bordo grattandosi l'avambraccio e sentiva l'umido del sangue sotto alle unghie, le zanzare ronzavano anche sul morto, gli si infilavano in bocca, tra i denti che luccicavano nel buio, come gli occhio, che riflettevano la luce gelida della luna … Anna era là che dormiva, il prurito, si grattava lo lo scroto così forte, il dolore, il piacere, ma … cosa … si era ferito davvero così gravemente, era un testicolo che sentiva ...grattandosi le gambe, le braccia, le palle martoriate, tentò di allontanarsi dalla tomba, ma a ogni passo si fermava, il prurito era spaventoso, le unghie gli scavavano nella pelle e … vedeva la Luna adesso, era coricato a terra, doveva essere caduto, un nugolo di zanzare gli vorticava sul volto e con le unghie continuava a lacerarsi la pelle, il prurito era così … un'ombra, gli occhi luminosi nel buio, era sopra di lui, no … no … e poi fu solo il prurito, e poi niente.