giovedì 13 ottobre 2016

Per sapere di cosa si sta parlando.

In questi giorni sul quotidiano “La Repubblica” si sono potuti leggere degli interventi di vari personaggi pubblici, politici o intellettuali, riguardo al referendum sulle riforme istituzionali che si terrà il 4 dicembre.
In particolare mi riferisco allo scambio di lettere e risposte tra Scalfari stesso e il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky sull’argomento “democrazia e oligarchia”, dove Scalfari, per riassumere, dice che la democrazia vera e propria, la democrazia totale dove è solo il popolo a decidere, non esiste e non è mai esistita e, se c’è stato a volte qualcosa di simile, come nei primi tempi della Rivoluzione Francese, ha portato solo al Terrore e a una susseguente dittatura, e la vera democrazia è solo un’oligarchia che trae il suo potere dal voto popolare, mentre Zagrebelsky, che vede il rischio di una deriva oligarchica nelle riforme che si voteranno il mese prossimo, dice che la democrazia è o non è, e che se lo è, è contraria all’oligarchia che il professore identifica alla fine con la dittatura, un’oligarchia alla massima potenza.
Teorie interessanti, magari un filino troppo affini ai bizantinismi e ai discorsi sul sesso degli angeli, ma, soprattutto, la gente lo sa di cosa stanno parlando i due dotti contendenti?
Se io scrivo democrazia la casalinga di Voghera capisce cosa sto dicendo? Sa cos’è l’oligarchia? Sa cosa sono la democrazia delegata, la dittatura, i referendum e il famigerato “combinato disposto”?
Proviamo a mettere qualche puntino sulle “i”, non volendo fare i costituzionalisti, non lo sono, ma solo spiegando il significato delle parole e la loro origine.
Democrazia, oligarchia, dittatura, monarchia, aristocrazia, demagogia, tirannide, repubblica, elezione, rappresentanza, sovranità, populismo, plutocrazia … cosa vogliono dire queste parole e quale è la loro storia? E, soprattutto, cosa vogliono dire nell’ambito di cui stiamo parlando?
Cominciamo da due paroline che troveremo spesso, -archia e –crazia. La prima viene dal greco “archìa” e vuol dire governo. La seconda viene dal greco “crazìa” e vuol dire forza, cioè chi ha la forza, il potere, e quindi chi governa, e diventano quindi sinonimi.
Eccoci quindi a democrazia, dal greco “demos” (popolo) e “crazìa” (potere, governo) e quindi il governo del popolo.
E l’oligarchia? Viene dal greco “oligos”, cioè poco, e quindi è una forma di governo in cui ad avere il potere (crazìa), sono “oligoi”, cioè pochi. Non è il popolo nel suo insieme a governare, ma sono solo pochi.
Dittatura, dal latino “dictator” che era un magistrato che veniva eletto solo in caso di grave pericolo (perché ne esiste forse di un altro genere? Chiederebbe il colonnello Nathan Jessup) e che rimaneva in carica per soli sei mesi. Era una carica, praticamente l’unica, non collegiale, a ricoprirla era quindi un’unica persona che non doveva consigliarsi e trattare con un altro. Lo usiamo in italiano però per esprimere un concetto alquanto diverso, riconducibile più che altro al sinonimo “tirannide” dal greco “tyrannos” che definiva invece l’uomo che governava da solo una città, cosa molto comune nel 6° sec. a. C. come Policrate a Samo o Ippia ad Atene. Tanto per capirci Mussolini, un dittatore, era più simile a un tiranno che a un dictator.
La monarchia è il governo di un “monos” che in greco vuol dire “uno”, quindi il governo di uno solo. Anche la dittatura è quindi a rigor di logica una monarchia, ma noi lo intendiamo come una forma di governo in cui il potere è ereditario, tanto che sinonimo di monarca è re.
Ed eccoci all’aristocrazia, il governo degli “aristoi”, in greco i migliori, che ricorda assai il latino “optimates” che erano i senatori e la loro classe. Da questo deriva il significato che diamo in italiano alla parola, cioè il governo dei nobili, cioè della classe nobiliare che si trasmetteva i titoli e i poteri per eredità. Quando Scalfari parla di oligarchia dovrebbe in realtà usare la parola “aristocrazia” per definire il governo nelle mani dei migliori, degli eletti, ma non lo fa perché al palato di un italiano quella parola dà subito uno sgradevole retrogusto di tizi incipriati con parrucche grigie che indossano attillatissimi pantaloni al ginocchio (le culottes) e che godono come scimmie ad assistere al Re che fa i suoi bisogni.
Demagogia, da “demagogos” cioè in greco “colui che conduce il popolo”, parola che definisce in modo dispregiativo gli arruffapopolo che con la loro parlantina riescono a far fare alla Ggente quello che desiderano. È praticamente sinonimo di populismo, cioè quella forma di politica che solletica gli istinti più bassi del popolo promettendo mari e monti e dando poi in cambio, secondo una vecchia e logora battuta, al massimo una pizza.
E ora “repubblica”, come il giornale e come l’Italia. Viene da “res publica”, in latino “la cosa pubblica”, cioè lo stato, che appartiene a tutti (“publicus” ha la stessa radice di “populus”) e definisce una forma di Stato in cui a governare, ad essere sovrano, è il popolo e non un monarca. Repubblica viene quindi usato in contrapposizione a monarchia.
Elezione, si discute tanto di legge elettorale, elezione diretta, elezione indiretta o di secondo grado, ma cosa vuol dire eleggere? Dal latino “eligere” che vuol dire scegliere, scegliere bene, nominare, che poi in italiano arriva anche al significato di “preferire” (p.e. : il mio luogo d’elezione, cioè il mio posto preferito), cosicché arriviamo al significato di scegliere bene, cioè scegliere il meglio, i migliori, da cui il ragionamento di Scalfari che definisce la democrazia in Italia un’oligarchia (ma abbiamo già spiegato che avrebbe dovuto usare il termine aristocrazia perché a governare sono (dovrebbero essere) i migliori).
E la rappresentanza? Citando Google è “In un ambito di rapporti e manifestazioni ufficiali o di attività connesse al commercio, il potere, riconosciuto o espressamente conferito, di agire in nome e per conto altrui.” E quindi la democrazia rappresentativa è quella in cui il popolo vota, cioè elegge dei rappresentanti che agiranno in suo nome e per suo conto.
Sovranità. Chi è il sovrano? E chi ha il potere e chi è la fonte del potere. Nelle monarchie assolute è il re, detto infatti anche sovrano, mentre nelle monarchie costituzionali e nelle repubbliche è il popolo. Anche nei nostri tribunali infatti si emettono le sentenze “in nome del popolo sovrano” e l’art. 1 della Costituzione dice “… la sovranità appartiene al popolo …”. Il sovrano di solito non governa da solo, ma tramite dei suoi rappresentanti, ministri o governo.
E infine la plutocrazia, dal greco “plutos” che vuol dire ricco, è una forma di governo in cui ad avere il potere sono i ricchi. Una specie di aristocrazia non di sangue, ma di censo, ed è quella che Zagrebelsky descrive quando rispondendo a Scalfari descrive l’oligarchia.

Ecco, penso di aver fatto un po’ di chiarezza sui termini che i due dotti contendenti avevano usato senza preoccuparsi del fatto che i lettori capissero o no il significato delle parole. Ci sarebbe da parlare anche dei poteri di uno Stato, di democrazia diretta o delegata, di bicameralismo o monocameralismo, di leggi elettorali, ma si andrebbe troppo per le lunghe. Leggete gli articoli su Repubblica ogni giorno e fatevi una vostra idea, io la mia ce l’ho già
Buona vita a tutti!

martedì 19 luglio 2016

Lettera a un possibile, ma non augurabile, Primo Ministro.

Questa è una lettera che, tramite il sito internet della Camera dei Deputati, ho inviato all'onorevole Luigi Di Maio, quello che molto probabilmente sarà il candidato premier del Movimento 5 Stelle. Io aspetto la sua risposta e, naturalmente, nel caso che l'Onorevole mi risponda, pubblicherò tale risposta qui sul mio Blog. Voi che ne dite, mi risponderà?



Onorevole Di Maio, Le scrivo perché, come cittadino italiano ed elettore penso di avere il diritto di farLe delle domande e di avere da Lei delle risposte.
Mi chiamo Stefano Di Giacomo, non ho mai votato per il Suo partito e, per quanto prevedere il futuro non sia possibile, penso che non lo voterò mai.
Però, Onorevole, dai sondaggi pare possibile o, Dio non voglia, addirittura probabile, che il Suo partito si troverà nella condizione di governare il Paese in cui vivo e quindi me. E, leggendo i giornali, pare di capire che Lei, per quanto la cosa mi sembri priva di senso vedendoLa agire, sarà il candidato premier del suo partito. È quindi possibile che, da qui a un paio di anni, Lei si trovi a governare l’Italia e ad essere il mio Presidente del Consiglio.
Che Lei vinca o no le prossime elezioni però, Onorevole Di Maio, Lei è comunque adesso un parlamentare della Repubblica Italiana e quindi, già adesso, Lei a norma di costituzione rappresenta me, cittadino che non L’ha votata. E quindi, Onorevole, ho il diritto di farLe delle domande sulla politica Sua e del Suo partito e credo fermamente che Lei abbia il dovere di rispondermi.
Le farò quelle domande che, a mio parere, dovrebbero farLe e rifarLe i giornalisti che invece evitano di proporGliele.
Prima domanda.
Lei è un parlamentare, però dice di essere un portavoce. A norma di Costituzione vigente Lei, come tutti i parlamentari, rappresenta tutti i cittadini, però dice di essere solo il portavoce della Rete, intendendo con tale termine gli iscritti al blog di Beppe Grillo (ora Blog dei 5 stelle, ma comunque di proprietà di Grillo e Casaleggio). Lei, Onorevole, rappresenta me, o porta solo la voce degli iscritti del Blog?
Seconda domanda.
Lei, come tutti i suoi compagni di partito, pur definendosi “portavoce” prende in realtà decisioni e vota, e anzi, facendo parte del cosiddetto “Direttorio”, decide anche riguardo agli altri. Che diavolo c’entra la parola “portavoce” con quello che Lei fa? Le sembra onesto definirsi con una parola che non La descrive?
Terza domanda.
Voi parlamentari pentastellati (uso questa parola pensando che Lei la possa preferire all’usuale definizione di “grillini”) dipendete dalle decisioni del Blog (a volte e senza una chiara regola che dica quando si vota e quando non è richiesto farlo), ma chi vota sul Blog? Chi sono gli iscritti? Chi decide chi può o non può iscriversi? Chi decide gli argomenti su cui si vota e quelli su cui non si vota? Chi certifica il risultato delle votazioni? Si rende conto, Onorevole, che una votazione ha il valore della certificazione del suo risultato e che se ha certificarlo è chi l’ha indetta senza che un terzo controlli, essa non ha alcun valore?
Quarta domanda.
“Uno vale Uno” era all’inizio il motto del suo partito, ma ora a comandare è il Direttorio, cioè Lei e altri 4 onorevoli. Tre di voi sono stati scelti direttamente da Grillo (e da Casaleggio) e gli altri due sono stati votati, sul Blog (e quindi do alla votazione il valore che ho spiegato al punto 3) tra una rosa di 5 scelti da Grillo (e Casaleggio). Si può definire quindi il Direttorio una entità eletta dai votanti o esso non è piuttosto un’emanazione dei due dirigenti del partito? Se, come io penso, è giusta la seconda risposta, non rappresenta il Direttorio solo i due dirigenti di cui sopra?
Quinta domanda.
Grillo e Casaleggio (Gianroberto) hanno fondato il partito, e ora Grillo e Casaleggio (il figlio) lo comandano.
In base a quali regole? Chi li ha eletti (Le ricordo che viviamo in democrazia)? Quali sono i loro poteri? Quale altro dirigente può controllarli e giudicarli? A quale altro potere ci si può appellare se non si è d’accordo con una loro decisione? Quanto dura la loro carica? Quante volte si possono ricandidare a tale carica? Quando e come verranno eletti i loro successori? Chi avrà diritto di voto in tale elezione? Chi ne certificherà il risultato?
Sesta domanda.
I sindaci che avete eletto in queste elezioni che andate a dire in giro, falsamente a mio parere, di avere vinto, hanno detto di aver firmato un contratto che li impegna, pena il pagamento di una multa da 150.000 euro, a far controllare alla Casaleggio & Associati (una ditta privata che come tale ha solo fine di lucro) tutti i loro atti e le loro nomine e, contestualmente, a dimettersi se tale ditta dirà che hanno preso una decisione non in conformità col programma e il codice etico di cui tale ditta è garante, quindi se la loro decisione sarà difforme da quella suggerita dalla C&A. A governare quindi queste città è di fatto un sindaco che non rappresenta i suoi concittadini che lo hanno eletto, ma una ditta privata. Le sembra giusto? Le sembra costituzionale? In caso di Sua elezione a primo ministro, anche Lei rispetterebbe tale regola? Io, come cittadino italiano, sarei quindi governato da una ditta che per sua ragione sociale ha come fine ultimo solo far guadagnare i suoi proprietari?

Onorevole Di Maio, io non L’ho votata e penso che mai La voterò, ma penso che Lei debba rispondere a queste mie domande, come cittadino lo esigo.

Queste mia lettera sarà anche pubblicata sul mio blog ( http://raccontidiggia.blogspot.com/ ) e sulla mia pagina Facebook, come anche la sua risposta che attendo fiducioso.

Distinti saluti,

Stefano Di Giacomo.

lunedì 30 maggio 2016

Di riforme e di (pseudo) riformisti.

Prima di tutto, permettetemi di buttarvi qui un po’ di citazioni dai programmi delle varie coalizioni di centrosinistra che abbiamo votato negli ultimi 22 anni (Io personalmente non votai per la prima perché ancora minorenne).
Sono scritti in programmese, lingua strettamente imparentata col politichese e quindi illeggibile. Fate un piccolo sforzo e leggeteli, per favore.

Programma dell’alleanza dei democratici alle elezioni politiche del 1994. (Candidato premier Achille Ochetto)
“Proponiamo:
- una nuova legge elettorale, che preveda il doppio turno e la scelta esplicita della maggioranza parlamentare e del Presidente del Consiglio, per realizzare gli stessi obiettivi conseguiti con la recente legge sull'elezione diretta del Sindaco e del Consiglio comunale;
- il rafforzamento tanto dell'Esecutivo quanto del Parlamento - nella distinzione dei ruoli, rispettivamente di governo e direzione dell’amministrazione, e di indirizzo, controllo e grande legislazione - con:
- il governo di legislatura;
- la riduzione del numero tanto dei ministri quanto dei parlamentari; .
- l'incompatibilità tra gli incarichi di ministro e di parlamentare;
- il potere di nomina e di revoca dei ministri da parte del Presidente del Consiglio;
- il superamento del bicameralismo paritario attribuendo ad una Camera le funzioni proprie di un Assemblea nazionale e all'altra quella di una Camera delle Regioni;
- un'estesa delegificazione e il contenimento dell’uso dei decreti legge;
- la riforma dell'art. 81 della Costituzione in modo da limitare nei soli programmi di investimento il finanziamento in disavanzo;
- rigorosi meccanismi di valutazione e verifica per rendere effettivo il principio della copertura finanziaria delle decisioni di spesa;
- uno statuto dell'opposizione parlamentare, che la doti di poteri e di garanzie per l’esercizio delle funzioni di controllo (ad es. costituzione di commissioni di inchiesta), per la nomina di componenti di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale, per deliberazioni sulle quali è giusto prevedere un consenso parlamenta- re più ampio, rispetto alle maggioranze.” (Dal sito www.magdanegri.it)

Da “le tesi nel Programma dell’Ulivo del 1996” (Candidato premier romano Prodi):
Tesi n.°1
“La nuova forma di governo che è necessaria, modellata sull'esperienza delle grandi democrazie parlamentari del Continente, si fonda non sulla distruzione dei partiti, sostituendoli con aggregazioni e limitate al momento elettorale. Dai partiti del passato che interferivano con la vita delle istituzioni si deve passare, anche attraverso nuove regole, a partiti programmatici che si impegnano a perseguire obiettivi di legislatura e che ne rispondono con un preciso mandato politico davanti ai cittadini-arbitri.

Il Governo del Primo Ministro

Per ottenere questi risultati appare opportuna nel nostro Paese l'adozione di una forma di governo centrata sulla figura del Primo Ministro investito in seguito al voto di fiducia parlamentare in coerenza con gli orientamenti dell'elettorato. A tal fine è da prevedere, sulla scheda elettorale, l'indicazione - a fianco del candidato del collegio uninominale - del partito o della coalizione alla quale questi aderisce e del candidato premier da essi designato.

Secondo i modelli vigenti negli altri Paesi in cui la forma di governo si orienta intorno al Primo Ministro, appare opportuno dare vita ad una convenzione costituzionale secondo la quale un cambiamento di maggioranza di Governo richieda di norma e comunque in tempi brevi lo scioglimento della Camera politica e il ricorso a nuove elezioni. Viceversa resta possibile la sostituzione del Premier all'interno della medesima maggioranza col metodo della sfiducia costruttiva.

Ai fini di una maggiore legittimazione democratica per ciò che concerne il sistema elettorale, appare preferibile l'adozione del collegio uninominale maggioritario a doppio turno di tipo francese.”
Tesi n.°4
“Una Camera delle Regioni

La realizzazione di un sistema di ispirazione federale richiede un cambiamento della struttura del Parlamento.

Il Senato dovrà essere trasformato in una Camera delle Regioni, composta da esponenti delle istituzioni regionali che conservino le cariche locali e possano quindi esprimere il punto di vista e le esigenze della regione di provenienza.

Il numero dei Senatori (che devono essere e restare esponenti delle istituzioni regionali) dipenderà dalla popolazione delle Regioni stesse, con correttivi idonei a garantire le Regioni più piccole.

Le delibere della Camera delle Regioni saranno prese non con la sola maggioranza dei votanti, ma anche con la maggioranza delle Regioni rappresentate.

I poteri della Camera delle Regioni saranno diversi da quelli dell'attuale Senato, che oggi semplicemente duplica quelli della Camera dei Deputati. Alla Camera dei Deputati sarà riservato il voto di fiducia al Governo. Il potere legislativo verrà esercitato dalla Camera delle Regioni per la deliberazione delle sole leggi che interessano le Regioni, oltre alle leggi costituzionali.”

Dal programma dell’Ulivo del 2001 (candidato premier Francesco Rutelli):
Sulla legge elettorale: “Una democrazia autorevole deve poter contare su un governo che operi in tranquillità per tutta una legislatura, e che gli elettori devono poter giudicare a partire dai fatti. Stabilità, maggiore forza e autonomia del presidente del Consiglio, se legati al consenso e a un preciso mandato popolare, significano maggiore responsabilità. In questo senso devono andare le riforme, a cominciare dalla legge elettorale, ma anche per una nuova forma di Stato. Un grande successo va certamente considerata l’approvazione del disegno di legge costituzionale sul federalismo, incomprensibilmente non votato dall’opposizione. Bisogna ora procedere, con il concorso di tutti, a una modifica della seconda parte della Costituzione che porti, anche, superando l’attuale bicameralismo, a una Camera federale.”
E sul Senato Federale e sulla legge elettorale: “Occorre dare stabilità ai governi, legando i destini dell’esecutivo a quelli della legislatura. Con una legge elettorale che affidi al voto la scelta della maggioranza governativa e del presidente del Consiglio. L’ordinamento italiano va allineato a quello dei paesi europei di democrazia consolidata, studiando forme di partecipazione di parlamento e Regioni alle decisioni comunitarie, e definendo modalità di raccordo tra Stato e Regioni per l’attuazione di normative e decisioni dell’Unione europea. Il nostro nuovo ruolo internazionale ci impone inoltre decisioni rapide e tempestive laddove l’Italia sia chiamata ad assumere particolari responsabilità per la difesa e il consolidamento della pace e della convivenza civile.
La prossima legislatura deve quindi portare a termine, col concorso di maggioranza e opposizione, la modernizzazione istituzionale del paese, in armonia con la costruzione dell’Europa politica.
Intendiamo pertanto garantire la trasformazione del Senato in una Camera federale coerente con la legge sul federalismo e corrispondente alle tradizioni del nostro paese. A un parlamento riformato, autorevole nel suo ruolo di indirizzo e di controllo, numericamente ridotto nel numero (la Camera federale non deve superare i 100 componenti), deve corrispondere un governo con maggiore responsabilità e autonomia con al centro il Primo ministro, capace di svolgere un ruolo di coordinamento e di raccordo fra Stato centrale, Unione europea e sistema delle Regioni e delle autonomie. Il presidente del Consiglio deve poter proporre al Capo dello Stato la nomina e la revoca dei ministri e il decreto per lo scioglimento
anticipato del parlamento, qualora non abbia più la fiducia della sua maggioranza – a meno che sia stata avanzata una mozione di sfiducia costruttiva, coerente col mandato elettorale, e sottoscritta da almeno un terzo dei componenti l’assemblea.”

Dal programma dell’unione del 2006 (candidato premier Romano Prodi):
“Un nuovo Senato per Regioni e autonomie
La riforma del Titolo V realizzata nel 2001 dal governo di centrosinistra ha ristrutturato profondamente lo Stato in senso autonomistico e pluralistico. La riforma federale, però, non si è compiuta: il centrodestra non le ha fatto infatti seguire la predisposizione degli strumenti necessari. Bisogna coinvolgere le autonomie territoriali nella definizione dell’indirizzo politico
nazionale.
Per fare questo è necessario completare la riforma superando l’attuale bicameralismo paritario, ovvero istituendo un Senato che sia camera di effettiva rappresentanza delle regioni e delle autonomie.
Su questo punto la riforma costituzionale del centrodestra imbroglia e complica le cose, appesantendo il procedimento legislativo sul piano procedurale e creando un Senato “doppione” della Camera dei Deputati, che consente l’eleggibilità di candidati sradicati dal territorio di riferimento e non realizza alcuna concreta rappresentanza degli enti locali Noi intendiamo invece realizzare un efficace bicameralismo differenziato, attraverso un Senato che sia luogo di effettiva rappresentanza delle autonomie territoriali, titolare di competenze legislative differenziate rispetto alla Camera dei Deputati.
Crediamo che i senatori debbano essere effettivi rappresentanti degli interessi del proprio territorio. Il numero dei senatori sarà ridotto a 150.”

Dal programma del PD alle elezioni politiche del 2008 (candidato premier Walter Veltroni):
33. 11 DEMOCRAZIA GOVERNANTE Una democrazia che decida e riduca i costi della politica. Le riforme si fanno insieme. Il Pd propone una sola Camera legislativa, con 470 deputati, eletti in collegi uninominali, col doppio turno. Scelti con le Primarie e col vincolo di genere (art. 51 Costituzione). Un Senato delle Autonomie, con 100 membri. Governo con 12 Ministeri e non più di 60 membri: fiducia dell’unica Camera al solo Presidente del Consiglio, che può chiedere al Capo dello Stato la revoca dei Ministri. Statuto dell’opposizione. Adesso una Italia nuova. 12 AZIONI DI GOVERNO Si può fare. www.partitodemocratico.it

E infine, dal programma del PD nel 2013 (candidato premier Pierluigi Bersani):
“Sulla riforma dell’assetto istituzionale, siamo favorevoli a un sistema parlamentare semplificato e rafforzato, con un ruolo incisivo del governo e la tutela della funzione di equilibrio assegnata al Presidente della Repubblica. Riformuleremo un federalismo responsabile e bene ordinato che faccia delle autonomie un punto di forza dell’assetto democratico e unitario del Paese. Sono poi essenziali norme stringenti in materia di conflitto d’interessi, legislazione antitrust e libertà dell’informazione. Daremo vita a un percorso riformatore che assicuri concretezza e certezza di tempi alla funzione costituente della prossima legislatura.”

E ora, dopo questo tour de force di programmi elettorali, le mie considerazioni:
Più o meno, dal 1994 in poi, il centrosinistra, con vari nomi, varie coalizioni, vari leader, ci ha proposto la stessa cosa:
1) Legge elettorale maggioritaria a doppio turno, che privilegia la governabilità rispetto alla rappresentanza.
2) Maggior potere del Capo del Governo.
3) Fine del Bicameralismo paritario, affidando alla sola Camera dei Deputati, eletta col maggioritario, il potere di votare la fiducia al Governo.
4) Trasformazione del Senato della Repubblica in Camera delle Autonomie o delle Regioni, con pochi (100 o 150) componenti rappresentanti degli Enti locali.

Ora, cari miei, sono le cose che ci sono in questa riforma di marca renziana che voteremo in un referendum ad ottobre. Ed è proprio perché fin dalla prima volta che ho votato ho in effetti votato per chi mi proponeva tali riforme, che io ad ottobre voterò SI'.
Quanto agli altri, liberissimi tutti di essere a favore o contrari, come dicevano nei vecchi film americani agli esuli scappati dalla Russia: “Questo è un Paese libero”.
Ma perché, e vorrei davvero sapere PERCHE’, i signori D’Alema, Bersani, Cuperlo e Speranza, sono contrari a una riforma che è quella che loro stessi ci propongono da quando io andavo ancora al liceo?
Vorrei che me lo spiegassero, ci terrei molto.

p.s. Come al solito, risponderò con piacere a chiunque volesse commentare, anche se in disaccordo con la mia tesi. Solo, si prega di essere educati.

mercoledì 18 maggio 2016

Di sindaci e prestanome.

Di sindaci e prestanome.

La volta scorsa (link: http://raccontidiggia.blogspot.it/2016/05/di-massimi-e-minimi-sistemi.html ) abbiamo affrontato l’argomento della democraticità interna del MoVimento 5 stelle (da qui in avanti M5s) e di chi in effetti comandi al suo interno. Oggi parleremo della sua democraticità e rispondenza ai valori costituzionali all’esterno del partito M5s, riferendoci in particolare ai comuni e ai sindaci.
Partiremo da una notizia uscita pochi giorni fa: Il candidato sindaco m5s a Bologna Massimo Bugani ha detto (vedi http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/05/15/candidati-grillini-pronto-il-contratto-con-la-casaleggioBologna02.html?ref=search ) che lui e gli altri candidati M5s, come quelli di Roma ( vedi http://www.repubblica.it/politica/2016/05/18/news/grillo_o_vinciamo_in_un_anno_o_a_casa-140054957/?ref=HREC1-3 ) hanno firmato un contratto con la Casaleggio & associati (da qui in avanti C&A) in cui si impegnano a far passare per la C&A tutti i documenti e le delibere e le nomine del Comune e in cui si impegnano anche a pagare, in caso la C&A li ritenga inadempienti rispetto al programma e al codice etico del M5s, una penale da 150 mila euro.
Lo stipendio del sindaco di una grande città è, all’incirca, sui 4000 euro al mese e quindi questi signori si sono impegnati a pagare alla C&A una multa che corrisponde a 3 anni di stipendio.
E quindi, questi candidati sindaci del M5s, comanderanno le loro città coi poteri di un sindaco e rappresenteranno i cittadini della loro città facendolo?
Se tutti i loro atti e le loro delibere dovranno obbligatoriamente passare per la C&A e se, disobbedendo al parere della C&A loro saranno passibili di una multa pari a 3 anni di stipendio, possiamo pensare che questi signori saranno liberi di governare nel modo che riterranno migliore? Evidentemente no, direi.
E quindi, chi governerà davvero queste città, nel malaugurato caso di una vittoria di questi candidati? A governare sarà il fantomatico staff della C&A e non il sindaco regolarmente eletto o il consiglio comunale rappresentante della totalità dei cittadini.
La legge italiana permette che il governo di una città sia demandato a una ditta privata? No.
È quindi regolare o legale quello che queste persone candidamente ammettono o rivendicano? No, evidentemente.
La C&A è una ditta privata, e come tutte le ditte appartenenti a privati, ha un solo fine. Questo fine è il profitto dei suoi soci. Ora, perché la città di Bologna o la città di Roma o qualunque altra città italiana dovrebbero essere governate da persone non elette e non responsabili dei loro atti, la firma sarebbe naturalmente sempre quella dei sindaci, che non rispondono delle loro decisioni ai cittadini, ma ai soci di una ditta che cerca il profitto?
Ma è un sindaco chi ammette di non voler governare la città, ma solo di voler prendere ordini da qualcun altro di non eletto? Conosciamo noi in Italia qualcuno che abbia fatto qualcosa di simile?
Sì, certo. Quando la Mafia, o la Camorra o qualunque altra entità del crimine organizzato vuole fare affari con un’azienda o cerca di governare un comune, lo fa in proprio? No, non può. E allora cosa fa? Mette al posto di comando un prestanome. Il prestanome è un incensurato, una persona che ha tutti i requisiti per accedere al titolo di sindaco o per dirigere un’azienda che possa partecipare alle gare di appalto, il prestanome è la maschera che la Mafia indossa per lavorare nel mondo civile, il prestanome è il burattino che nasconde dentro di sé la mano della Mafia che lo muove.
Bugani, Raggi, Brambilla e Corrado, quello che è candidato a Milano e che sembra, lombrosianamente parlando, un dirigente Fininvest degli anni ’80, non sono quindi candidati sindaci, ma meri prestanome di una ditta che aspira, illecitamente, a governare degli enti pubblici come i Comuni e poi, chissà, anche tutto lo Stato.
È possibile accettare questo? Lo Stato Italiano può permetterlo?


Naturalmente, anche oggi, sarei molto contento di rispondere a chiunque volesse commentare questo post, anche per dissentire, solo con moderazione ed educazione.

giovedì 5 maggio 2016

Di massimi e minimi sistemi.

Questo dovrebbe essere un blog di narrativa, ma già gli ultimi post sono stati se così si può dire degli articoli che ho scritto sulla situazione del torrente Polcevera dopo lo sversamento di petrolio.
Oggi questo post è qualcosa di diverso; duellando ogni giorno sul sito di Repubblica con i grillini mi è venuto in mente di puntualizzare per iscritto chi sono loro e cosa sia il loro partito e ho pensato che potrebbe interessare a qualcuno leggere le mie conclusioni. Buona lettura!

DI MASSIMI E DI MINIMI SISTEMI

“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”

L’articolo uno della Costituzione della Repubblica Italiana, lo abbiamo studiato tutti, pochi lo ricordano e quasi mai nella sua interezza.
Ci dice che nella Repubblica Italiana, quindi non c’è nessun Re, è il popolo ad essere il sovrano e che questo esercita il suo potere nelle FORME e nei LIMITI della Costituzione, espressi nei 138 articoli successivi.
Cosa ci dicono in breve gli articoli successivi? Il popolo è sovrano e fonte delle leggi, si esprime ogni 5 anni con elezioni a suffragio universale di tutti i cittadini maggiori di 18 anni eleggendo i suoi rappresentanti, i 630 deputati e i 315 senatori.
Questi parlamentari, per 5 anni, rappresentano la volontà popolare.
I parlamentari votano in seduta comune il Presidente della Repubblica che quindi, tramite loro, viene eletto dal popolo. Il Presidente nomina poi un Presidente del Consiglio che, formato un governo, deve ricevere dalle due Camere il voto di fiducia, ricevendo quindi una doppia investitura da parte di rappresentanti del popolo.
Vi è poi la Magistratura, altro potere dello Stato, che è composta da magistrati vincitori di un concorso e si autogoverna tramite il Consiglio Superiore della Magistratura, che è presieduto dal Presidente della Repubblica e composto da rappresentanti scelti dal Presidente stesso, dal Parlamento e dai magistrati.
Il Parlamento rappresenta il potere legislativo, quello che scrive le leggi che normano il funzionamento dello Stato, il Governo rappresenta il potere esecutivo, che governa il Paese in base a quelle leggi e la Magistratura rappresenta il potere legislativo che, in nome del Popolo Italiano e in base alle leggi, amministra la giustizia.
La Costituzione, all’art. 49, dice che i cittadini “hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
È naturale e addirittura banale che i partiti che si candidano a governare il Paese accettino e dimostrino in ogni loro aspetto la loro adesione alla democrazia e allo stato di diritto, perché un partito che propugnasse una dittatura, pur eletto alle elezioni da una maggioranza, si troverebbe ad agire in contrasto con i principi enunciati nella Costituzione.

E passiamo ora dai massimi sistemi ai minimi. Parliamo di un partito che non si definisce partito, un partito i cui esponenti, dei politici, dicono che tutti i politici fanno politica solo per rubare. Parliamo del MoVimento 5 stelle (da qui in avanti M5s).
Per essere democratico, n.b. non per essere il Partito Democratico, un partito deve funzionare secondo i principi della Costituzione, perché come potrebbe agire democraticamente una volta al potere un partito che sia dittatoriale? Ci domanderemo quindi: il M5s è democratico?
Chi è il “sovrano” nel M5s? Chi è fonte delle leggi, cioè dello statuto, nel M5s? Chi amministra la legge, cioè applica lo statuto, nel M5s? Chi governa, cioè comanda il partito dettandone la linea e decidendo come votare, nel M5s?
A parole a comandare è la Rete. Ma chi è la Rete, forse il World Wide Web nel suo complesso? No, la cosiddetta Rete è in realtà un piccolo numero di iscritti al Blog di Beppe Grillo, orbitanti intorno al numero di 40.000.
Chi sono questi iscritti? Boh! A decidere se ci si possa o no iscrivere al Blog è il gestore del Blog stesso, e cioè la Casaleggio & associati. Chi decide quando e come si vota sul Blog? La Casaleggio & associati. Chi certifica quanti siano stati i votanti ad ogni votazione e quale ne sia stato il risultato? La Casaleggio & associati.
Quindi, per quanto il sovrano nel M5s sia a parole la Rete, il sovrano è a tutti gli effetti una ditta privata appartenente a Gianroberto Casaleggio e ora, dopo la sua morte, a suo figlio Davide.
Come funziona il partito M5s, quale è la sua legge fondamentale? È il cosiddetto “non-statuto”, che noi, essendo persone serie, chiameremo da qui in avanti statuto.
Lo statuto in questione dice che i parlamentari eletti nel partito M5s non rappresentano i cittadini italiani (art. 67 della C. I.) ma sono solo “portavoce” della Rete e quindi, come abbiamo spiegato, della Casaleggio & associati. Addirittura da poco tempo sono tenuti a firmare un contratto, evidentemente illegale, in cui si impegnano a votare in conformità al programma scritto dalla Casaleggio & associati pena il pagamento di una penale da 150.000 euro.
Chi ha scritto lo statuto? Beppe Grillo e Casaleggio. Chi lo ha modificato di volta in volta? Grillo e Casaleggio. Chi esercita il potere nel M5s in base a questo statuto? Grillo e Casaleggio.
Chi decide quando applicarlo e quando non farlo? Grillo e Casaleggio, e lo fanno molte volte, essendo stati espulsi alcuni parlamentari del M5s perché erano andati in tivù mentre ora ci vanno continuamente senza nessun problema, ed essendo stati espulsi altri per mancata rendicontazione delle spese mentre un membro del cosiddetto “Direttorio”, Luigi Di Maio, è lì in una posizione dirigente pur non avendo rendicontato le spese come loro.
Chi comanda nel partito M5s? Grillo e Casaleggio, le due guide del M5s, e il Direttorio. E chi sono i componenti del Direttorio?
Sono 5, di questi 3 sono stati scelti direttamente da Grillo e Casaleggio e gli altri 2 sono stati scelti tramite voto del Blog, che abbiamo già spiegato prima che valore abbia, tra 5 candidati prescelti da Grillo e Casaleggio. Quindi questo Direttorio, pur avendo una parvenza di legittimazione “popolare”, si configura in realtà come un Consiglio del Re.
Il duo Grillo-Casaleggio è quindi il sovrano e la fonte delle leggi, ma è ad esse sottoposto o è sciolto dalle leggi come un sovrano del Seicento? Lo statuto dice chiaramente che chi sia pregiudicato, sotto processo o indagato non può candidarsi nel M5s, ma Beppe Grillo, guida del partito, è pregiudicato per vari reati tra cui l’omicidio colposo e la diffamazione. Ciò che vale per un candidato qualunque non vale quindi per lui che questi candidati li comanda. Altra regola inderogabile è che non si possano fare più di due mandati, perché la politica non deve essere un lavoro, ma tale regola non vale per Grillo e Casaleggio che sono lì al loro posto a vita.
Chi li ha eletti i due capi? Nessuno, sono i fondatori del partito M5s e nessuna regola dello statuto dice in quale modo potrebbero essere sostituiti, e anzi, se non bastasse, morto G. Casaleggio il suo posto è stato preso, per via ereditaria, da suo figlio Davide, senza che il Blog sia stato in alcun modo chiamato a confermargli l’incarico.
Abbiamo quindi due persone, una Diarchia, che è fonte delle leggi, amministra le leggi, giudica in base a queste leggi ma non può essere giudicata in base a queste leggi, e l’incarico di queste due persone è a vita e non elettivo, ma ereditario.
Questa non è e da nessuno può essere definita una democrazia, ma è a tutti gli effetti una monarchia (diarchia) assoluta di stampo seicentesco, come lo Stato francese sotto Luigi XIV.
Come un partito simile possa candidarsi alle elezioni in Italia e come le leggi glielo possano permettere, è uno di quei grandi misteri di cui potrebbe occuparsi, forse, Voyager.

lunedì 25 aprile 2016

Ultimo (si spera) scritto sul Polcevera.

Tutto è bene quel che finisce bene?

Stamattina sono andato di nuovo, dopo due giorni di assenza, sul ponte sul Polcevera di cui vi ho già detto nei giorni scorsi. Come al solito mi accompagnava il buon Peste, il mio piccolo levriero italiano che sempre è venuto con me a vedere quale fosse la situazione.
Ed ecco cosa ho visto oggi. Il torrente era più pieno d’acqua degli altri giorni, è piovuto un po’ un paio di giorni fa, ed era totalmente pulito. L’acqua era completamente limpida e scorreva cristallina verso il mare (solo una volta ho visto una macchia iridescente grande sì e no come un pugno), e il fondo, che gli altri giorni appariva impiastricciato di materiale marrone e viscido che potevano essere alghe morte, ma che molto più probabilmente era petrolio, era invece totalmente pulito.
Alcune alghe verdi si muovevano nella corrente e, cosa che assolutamente non mi aspettavo di vedere, anche due gruppi di piccoli pesci nuotavano nelle vicinanze del ponte.
Più a monte ho visto operai che continuavano il loro lavoro di ripulitura e, sulla strada sul lato destro del torrente, quella che le auto seguono andando verso il centro, erano parcheggiati quattro camion che dovevano raccogliere evidentemente la sabbia e le pietre contaminate dal petrolio.
Ecco, questo è quello che ho visto stamattina e non penso proprio che ci sarà più il bisogno di raccontarvi la situazione del Polcevera, essendo essa tornata, a mio giudizio, alla normalità.

venerdì 22 aprile 2016

Di nuovo sulla situazione del Polcevera.

Terzo “reportage” sulla situazione del torrente Polcevera.
Oggi sono tornato sul lungo torrente e ho poi allungato il giro attraversando il ponte e facendo un tratto della strada sulla riva destra, quella di chi viaggia in auto verso sud, fino a risalire oltre al punto in cui il petrolio, dal rio Fegino, è sboccato nel Polcevera.
Allora, cominciamo dall’inizio: sotto al ponte all’altezza della separazione tra Certosa e Sampierdarena il torrente era di nuovo sporco, ricoperto diciamo per il 60% della sua superficie da una patina oleosa. I lavori, poco più a monte, continuavano con vari operai, ruspe e idrovore che aspiravano il petrolio dall’acqua ferma dietro alle barriere di ghiaia e sassi.
Quando ho attraversato il ponte e ho cominciato a risalire verso Bolzaneto, verso nord per i non Genovesi, ho visto che il lavori continuavano in vari punti, fino a che la strada è passata su quello che deve essere evidentemente il tratto terminale del rio Fegino, affluente occidentale del Polcevera. Se avete visto quei film americani in cui qualcuno con auto, moto o camion, passa su quelle orrende fiumare dal fondo di cemento, avete presente Terminator 2?, ecco, sapete quanto un fiume possa essere violentato dalla nostra cosiddetta civiltà, ma il rio Fegino, là dove si getta nel Polcevera, è in questo ambito un capolavoro inarrivabile. Praticamente questo rio corre in un corridoio, largo sì e no tre metri e stretto tra pareti di cemento alte, così a spanne, 4 o 5 metri. Emerge anche da sotto terra, essendo coperto da una strada, e quindi è praticamente una galleria. Di solito è totalmente in secca.
Oggi il fondo di pietre di questo obbrobrio di rio era totalmente impiastrato di petrolio e vi stavano appoggiati tubi di idrovore che risucchiavano il petrolio e l’acqua inquinata prima che potessero riversarsi nel Polcevera.
A monte di questo sventurato zombie di fiumiciattolo il Polcevera passa su uno di quei gradini che interrompono nel nostro mondo moderno i nostri fiumi rendendoli non navigabili e ghiaiosi come spiagge. Al di sopra di questo sbarramento, naturalmente, il torrente era pulito e abbondavano gli uccelli acquatici, come i germani reali e i gabbiani, con in mezzo anche quei piccoli uccelli dai movimenti aggraziati che io conosco col nome di “ballerine” e dei grossi uccellacci neri che, nella mia ignoranza ornitologica, posso identificare come corvi o cornacchie.
Uno dei germani reali sembrava sporco e si puliva le piume col becco mentre le sue ali, basse, tremavano. Gli altri erano tutti in ottima salute.
Anche in questa parte di torrente, che in questa stagione non è certo a secco di acqua, non ho visto alcun pesce.
Comunque i lavori continuavano ovunque e spero che non piova forte come è stato previsto da stanotte in poi, perché sul fondale del torrente sotto al ponte che ho percorso negli ultimi giorni la guazza oleosa sembra davvero abbondante.

p.s. L’altro giorno su Facebook una persona, evidentemente non genovese, commentava l’inquinamento del Polcevera da parte di questo petrolio con una frase tipo: “hanno un paradiso e lo rovinano così!”
Ecco, il Polcevera non è un paradiso, petrolio o non petrolio. Per chiunque non creda a questa mia affermazione, consiglio una visitina alla confluenza del Torbella, affluente orientale, col torrente in questione. Le acque del rachitico torrentello devono passare in una massa di macerie che io penso siano il resto di ponti abbattuti durante i bombardamenti della II guerra mondiale e formano una serie di pozze piene di spazzatura galleggiante e ricoperte da uno strato di alghe nere e marce. Ecco, lì il petrolio non c’è arrivato, ma il paradiso non lo ricorda proprio.

giovedì 21 aprile 2016

Seconda parte sul torrente.

Sono 4 giorni che vado sul ponte sul Polcevera che si trova all'altezza del confine tra Certosa e Sampierdarena e se il primo giorno il torrente sembrava normale, il secondo, quando ho scritto il post precedente, il suo aspetto era desolante, una pozza di olio maleodorante che invece che stagnare come tutte le pozze di olio, scorreva oleosa e viscida verso il mare.
Ieri la cosa era già cambiata, il torrente sembrava diviso in due parti come quei grandi fiumi, mi viene in mente il Nilo a Khartoum, che alla confluenza con un immissario scorrono per chilometri e chilometri uniti ma divisi con le acque di due colori diversi. Ecco, se la parte sinistra del torrente era ancora ricoperta di olio, più denso del giorno prima, la parte destra era limpida.
Ma oggi ... oggi la situazione del torrente mi ha davvero sorpreso. Io parlo per la parte che ho visto, che si trova a metà tra la zona dello sversamento di petrolio e la foce, e posso descrivere solo quei 200/250 metri che vedevo dal ponte. Ecco, a monte c'erano gli operai che lavoravano e avevano fatto una barriera di terra e sassi per bloccare l'acqua inquinata, e da lì l'acqua usciva fangosa, come sempre quando si smuove la terra, ma totalmente priva di chiazze oleose, che si formavano solo quando l'acqua, nelle vicinanze del ponte, andava a toccare una grossa chiazza nera di sabbia sporca di petrolio solido.
E quindi posso immaginare che i lavori di pulizia, cominciati bloccando l'acqua vicino alla foce per impedire per quanto possibile l'arrivo del petrolio in mare, siano cominciati contemporaneamente anche nel luogo dell'incidente per poi scendere a valle.
Non credevo ai miei occhi stamattina, un danno che mi sembrava enorme e irrimediabile era stato praticamente azzerato.
Spero che la reale condizione del torrente e del suo alveo corrispondano a quello che ho visto e che per tutto il suo corso i lavori siano andati così bene.
Se ci saranno altre novità ve le farò sapere, ciao!

martedì 19 aprile 2016

Il mio amico torrente.

Il mio amico Polcevera.

Prima di tutto … Polcèvera, non Polcevèra. Vi prego, non sfregiatene anche il nome.
Scorre da monte al mare, ha una grande vallata col suo nome, è entrato varie volte nella storia, ma non è un fiume, è un torrente.
Nel secondo secolo avanti Cristo i Romani lo citarono in una lunga iscrizione, come confine tra due tribù tra cui mediavano, anche se allora lo chiamavano “Porcobera”.
Poi ha debellato un’invasione francese, se non sbaglio, nel diciassettesimo secolo, perché chi comandava l’armata di Mangiarane fu così furbo da accamparsi sul greto asciutto per la siccità, piovve e Genova fu salva. Ricordiamo Giobatta Perasso per una sassata e non parliamo mai del nostro “fiume”; mah! I Giapponesi su una cosa simile, il Vento Divino, c’hanno inventato i kamikaze.
E poi … io l’ho visto in piena, il mio torrente, color caffelatte e gorgogliante come le rapide del Colorado, l’ho visto in secca con le piante assetate nel suo greto, c’ho portato a giocare il mio cane venti e passa anni fa, quando ancora la strada sul lungo torrente non lo aveva separato in maniera totale dalla strada.
E poi, ancora … ci ho visto germani reali, aironi, aironi cinerini, oche, cinghiali, capre, tutti insieme a mangiare erbe e alghe, l’ho passato sui ponti d’inverno quando il vento ti fa gelare e d’estate quando la brezza ti rinfresca in maniera divina.
Ho visto come lo hanno ridotto nei secoli, il torrente su cui i Bizantini riuscirono a portare, controcorrente, un’intera flotta per combattere contro i Goti, ho visto quegli sbarramenti che lo hanno reso un susseguirsi di laghetti o pozze le cui acque si riversano giù da piccole dighe quando non affogano tra la sabbia e i sassi, ho visto gli argini, i benedetti argini che hanno reso salubre e abitabile il fondovalle in cui sono nato e vivo, stringere il suo letto pazzerello, si spostò una volta da un lato all’altro di Bolzaneto, in una sorta di camicia di forza di pietre e cemento.
E oggi sono andato a vederlo dopo lo sversamento di petrolio.
Sembrava brodo di pollo, di quello fatto lasciando la pelle, che il grasso si fonde e viene a galla; sembrava la padella del fritto, quando dopo aver fritto e aver messo l’olio usato in una bottiglia per darlo alla differenziata, ci faccio bollire dell’acqua e sapone per pulirla, e l’acqua viene brutta e torbida e macchiata come se avesse la psoriasi. Sembrava una pozzanghera di quelle che c’è andato dell’olio di macchina, con quegli aloni multicolori e opalescenti. L’ho guardato a lungo, il mio torrente, il mio amico, mentre scorreva verso il mare ricoperto da quello strato schifoso di olio che mi ha fatto venire il mal di testa, tra la sabbia sporca di chiazze nere e il fondale da cui si staccavano le alghe marroni. E non li ho visti i pesci, quelli che un paio di mesi fa, quando era piovuto un bel po’ e c’era tanta acqua profonda, si muovevano nelle acque del torrente come i banchi di sardine nell’oceano, non li ho visti, perché non c’erano più.
E io lo so che il mio amico torrente, il mio amico Polcevera, si riprenderà come tutti i fiumi sanno fare, lo so che i pesci torneranno e le canne cresceranno rigogliose sulla sabbia di nuovo pulita, lo so che i germani reali nuoteranno di nuovo nell’acqua pulita seguiti da una fila pigolante di anatroccoli gialli, lo so e lo spero, ma oggi il mio torrente, il mio amico, sembrava morto. E anche il mio cuore si è fermato con lui.

venerdì 22 gennaio 2016

La maledizione del Tartaro. 1.

Ed ecco una nuova avventura del nostro caro gigante Nubiano che si chiama come un giocatore della Samp che fu.
Questo capitolo iniziale mi è apparso praticamente nella sua interezza l'altra sera mentre lavavo i piatti e stasera l'ho scritto in una mezzoretta scarsa. Non ho ben chiaro come andrà avanti, ma se metti Okaka in una situazione di ehm ... palta diciamo, se lo metti nei guai in qualche modo ne uscirà, o no?
Comunque, cari amici, eccovi Okaka e la sua nuova avventura! Spero che vi piaccia leggerla quanto a me è piaciuto scriverla e, se volete, aspetto vostri commenti o giudizi. Buona lettura!

La maledizione del Tartaro.

Tornare alla nave era semplicemente fuori questione, molto meglio utilizzare tutte le proprie forze per sopravvivere alle onde alte come colline e all’acqua fredda. Quando un’onda lo portava su in alto sul livello del mare, prima di sprofondare giù fin nell’abisso, si sforzava di guardarsi intorno sperando in un fulmine, ma le poche volte che riusciva a vedere qualcosa, tutto quello che il lampo bluastro della collera degli dei gli mostrava era una distesa infinita di onde infuriate.
Continuò a nuotare e a tenere il respiro quando finiva sott’acqua per un tempo che per qualunque altro uomo sarebbe stato troppo per sopravvivere, ma il gigante nubiano che aveva nome di Okaka non era un uomo normale, e così andò avanti per un tempo indefinito a nuotare e a ritirarsi su dal fondo del mare, fino a che il vento parve smettere di ululare contro di lui e la pioggia smise di cadere a secchiate su un mare che, di minuto in minuto, andava calmandosi. Solo i fulmini, sempre più rari e lontani, rischiaravano la tavola ondulata che era ora il mare, nera come l’inchiostro sotto a un celo altrettanto scuro e invisibile, tranne per le effimere chiazze azzurrognole che apparivano intorno al filo incandescente del lampo.
- Se cadrai in acqua con questo tempo, - gli aveva detto moltissimi anni prima Neto, il cuoco della nave di pirati su cui aveva navigato quando era ancora uno scricciolo dai capelli ricci neri e che era stato per lui una specie di padre, - se cadrai in acqua stanotte, l’unico modo che avrai per farti vedere da noi sarà ridere, perché sei nero esattamente come l’inchiostro che queste nuvole hanno sparso sul mare e sul cielo. –
Anche adesso, immerso nell’acqua gelida di un mare invernale, nel buio quasi solido di una notte senza stelle, Okaka non poté fare a meno di ridere. – Mi vedi, Neto? Mi vedi da lassù, vecchio balordo? Sono abbastanza bianchi i miei denti? – e rise, e rise ancora in quella situazione disperata, perché, alla luce di un lampo, aveva visto una cosa. Il buon Neto, da quell’angolo che di straforo doveva aver sottratto ai Giusti e agli Dei lassù nella Terra dei molti, aveva voluto aiutarlo. Nel mare piatto e nero aveva visto una sottilissima striscia bianca. Le onde che si infrangevano su una spiaggia o su una scogliera, l’unica cosa visibile in quel nero quasi appiccicoso.
Perso in mezzo all’acqua gelida, lontano diverse miglia da quella striscia bianca subito scomparsa che poteva benissimo essere un miraggio, il gigante nubiano rise in facci al destino. E, quando un altro uomo avrebbe solo potuto soccombere al freddo e alla stanchezza, a forza di bracciate cominciò a nuotare verso quella terra sconosciuta.
Quando, un paio d’ore dopo, arrivò alla costa, scoprì che non era affatto una spiaggia, ma una scogliera su cui la risacca si abbatteva con violenza. Le onde per ben tre volte lo sbatterono sulle rocce come uno di quei bastoncini che i ragazzi si divertono a gettare in acqua per vederli sparire nei gorghi della corrente, ma il dolore non poteva fermare il pur esausto gigante dalla pelle di ebano, e così, alla luce delle stelle che avevano cominciato a spuntare in piccoli squarci di sereno, Okaka si preparò e, alla successiva onda, riuscì ad attaccarsi con le sue dita d’acciaio a uno scoglio scivoloso di alghe inzuppate. Rimanere attaccato alla roccia e arrampicarsi fuori dall’acqua fu forse ancora più faticoso delle ore di nuotata in mezzo alla tempesta, ma alla fine, ansimante e ricoperto di graffi che bruciavano per il sale dell’acqua d mare, il nubiano poggiò finalmente i piedi sulla terra ferma. La lunga notte invernale non era ancora arrivata a metà e molte ore sarebbero passate prima che un debole sole sorgesse a illuminare la terra su cui era arrivato e a scaldargli le ossa.
La vista sovrumana che già molte volte lo aveva salvato in sotterranei infestati di mostri cannibali gli permetteva però di vedere qualcosa. Davanti a sé vedeva uno spiazzo, che fosse una radura o una grande pianura non lo poteva sapere, ma di certo poteva andare avanti e scoprirlo. Il mare gli aveva strappato tutti i vestiti e solo la sua cintura di cuoio con la fodera del suo pugnale di ossidiana era rimasta attaccata alla sua cintola, sciolse il laccio e prese l’arma dall’ormai familiare impugnatura.
Camminò nel buio immaginando più che intravedendo ciò che si trovava di fronte a lui, quando, nelle vicinanze di una macchia di alberi le cui fronde di un nero appena meno carico della tenebra intorno a loro stormivano nella gelida brezza della notte, qualcosa si mosse nell’erba alta vicino a lui. Non era una cosa che camminava, ma una cosa che strisciava. Ed era una cosa che si portava dietro un odore schifoso di morte e di putridume. Si girò verso il fruscio con il coltello in mano e aspettò l’attacco. Un gemito sibilante preannunciò il tocco di quelle dita fredde e viscide. Al gigante nubiano sembrò che il tocco stesso di quelle dita sulla sua caviglia fosse sbagliato, perché quelle erano dita che non avrebbero dovuto muoversi. Afferrò quel braccio scheletrico e la carne molle e viscida che lo ricopriva gli si sfaldò tra le mani come un mucchio di foglie marce dopo la pioggia; diede uno strattone per tirare su il suo gemente aggressore e si sorprese per la sua leggerezza, perché non c’era molto più che un braccio, una testa e poco meno che mezzo torace. Quella cosa continuò a fischiare il suo agghiacciante gemito e, mentre il gigante lo teneva per le ossa del polso, mordeva l’aria facendo schioccare i denti in degli inutili morsi a vuoto. Con il suo pugnale colpì quei poveri pezzi di uomo trapassandoli, ma la cosa continuò a mordere l’aria divincolandosi dalla sua ferrea presa. Lo gettò lontano da sé e di nuovo quella cosa indegna strisciò verso di lui, gli schiacciò le ossa della mano e del polso con il suo piede e quel fetido e rabbioso rimasuglio continuò come se niente fosse a muoversi verso di lui. Solo quando con un fendente gli piantò il pugnale dentro al cranio ricoperto da pochi ciuffi di capelli marci quella cosa si fermò. Morta, finalmente.
Dopo pochi istanti passati a calmarsi respirando a pieni polmoni, degli altri fruscii arrivarono alle sue orecchie da tutte le direzioni e, alla luce delle stelle, intravide delle forme barcollanti che, gemendo, si avvicinavano a lui. Il loro odore non lasciava adito a dubbi, erano morti come quella cosa che aveva appena ucciso. Erano troppi per combatterli in quella notte buia, troppi e troppo interessati alla carne che lo ricopriva, sembrava, e così Okaka si lanciò verso gli alberi sperando che quei cadaveri ambulanti non fossero in grado di arrampicarsi. Ne abbatté un paio spingendoli a terra, un altro, un bambino a guardare la sua altezza, lo colpì così forte al cranio da ucciderlo e altri tre li decapitò con un fendente del suo pugnale. E poi, arrivato vicino all’albero dal tronco cavo e ritorto come la mente degli uomini, si arrampicò. Rimase lì, fermo su un grande ramo a una decina di braccia di altezza, guardando quelle sagome barcollanti che si aggiravano gemendo in tondo intorno al tronco e, quando fu abbastanza sicuro che non sapessero salire fino a lassù, si abbandonò alla stanchezza e si addormentò.