giovedì 10 agosto 2023

Il suo cibo non è di questo mondo.

 

IL SUO CIBO NON È DI QUESTO MONDO.


1

« Centurione! » disse una voce nel buio.

« Cosa? » borbottò tentando di tirarsi fuori dalle appiccicose spire del sonno.

« Centurione, deve assolutamente venire a … c’è bisogno di lei. » spiegò Fortunatus. Era un bravo ragazzo, nato a Roma e nemmeno una goccia di sangue romano dentro di lui, un barbaro d’oltre Reno fatto e finito. Il tipico mattone con cui era costruito quell’enorme edificio che era Roma. « Cosa c’è Fortunatus? I barbari alle porte? »

« È successo di nuovo. » rispose il ragazzo fermo sulla porta, il corridoio malamente illuminato da un paio di lucerne alle sue spalle.

« Cazzo. » sbuffò il centurione Atilius Bradua alzandosi di scatto e indossando in fretta il perizoma. Formosa, la schiava che si era comprato il mese prima continuò a dormire non accorgendosi nemmeno che lui si era alzato; di molte cose sembrava non accorgersi, quella bella nubiana di sedici o diciassette anni che capiva sì e no una ventina di parole di latino, anche quando lo facevano sembrava sempre pensare alle nuvole. « Dove? »

« Dietro alla porta nord, nel vicolo dei pescivendoli. » rispose il giovanotto biondo.

« Bene, pure la puzza … » borbottò il centurione infilandosi la lorica e la corazza. L’elmo lo tenne in mano, che se no si sarebbe andato a bloccare in tutte le porte.

« C’è già qualcuno? » chiese al ragazzo che, già pallido di suo e mai abbronzato, alle luci delle torce nel vestibolo pareva avere il colorito di un cadavere.

« Marius e Claudius. »

« Bene, andiamo. » e uscì nella sera fredda. Quel posto di merda era così, a maggio di giorno crepavi dal caldo e la notte si gelava. Camminarono tenendo le torce in mano e svoltarono un paio di angoli andando a finire in un vicolo stretto e corto che puzzava di pesce marcio e, di solito, ronzava di mosche fameliche. Ora non c’erano.

Raggiunsero quel fagotto scomposto e i suoi occhi opachi biancheggiarono alla luce delle loro torce. Spesso i volti dei morti sono sconvolti e orrendi, ma il terrore espresso da quegli occhi sbarrati e dalla bocca spalancata con la lingua di fuori era quasi insopportabile. «Si sa chi è? »

« Uno schiavo di un fornaio. Era andato a prendere la legna per il forno al deposito là in fondo e poi … non lo hanno visto tornare e sono venuti a cercarlo.»

Atilius si accucciò sul corpo e lo esaminò. Più che pallido, terreo, molto più del normale. Il collo era lacerato da una serie di morsi e le vene e le arterie sbucavano fuori dall’osceno foro dai bordi slabbrati. Neanche una goccia di sangue lordava la tunica giallastra o le pietre sudice del lastricato. « Come gli altri tre.» disse pulendosi le mani sul suo fazzoletto anche se era stato attento a non toccare nulla. « Hai visto che stranezza? »

« Quale? » chiese Fortunatus con uno sguardo tra lo sbalordito e lo scherzoso.

« Vero. Hai visto una nuova stranezza? » gli rispose e poi gli indicò il corpo. «Niente? Va bene, niente mosche. È morto da un bel po’ e non ci sono mosche addosso. »

« Mia nonna avrebbe saputo cosa dire. » mormorò il soldato.

« Tua nonna? Era esperta di cadaveri? »

« In Germania ne vedeva un bel po’ … gente abbastanza violenta, se intende cosa dico. Diceva sempre che non era mai stata tranquilla come dopo che l’avevano catturata e venduta a Mediolanum. »

« Dare la tranquillità ai barbari, il fardello dell’uomo romano. » sentenziò Atilius guardando ancora gli occhi sbarrati e vacui del morto. « E cosa avrebbe detto? »

« No, cazzate, signore. Solo che mi raccontava che … storielle da bambini, a cui solo un barbaro può credere. »

« Quale momento migliore per una storiella, Fortunatus, su! »

« Ecco, diceva che quando lei era bambina, sarà stato al tempo delle Guerre Civili, non lo so, una sessantina di anni fa … comunque diceva che un morto non era … non era morto, ecco. Si era suicidato e le mosche non lo toccavano e non marciva, e così lo seppellirono solo dopo un po’. E … »

« E … cosa? » non gli piaceva questa storiella per bambini barbari, non di notte in una città che li odiava davanti al cadavere semidilaniato di un povero fornaio. «Cosa? »

« Ecco, non che io ci abbia mai creduto, ma quell’uomo tornò dalla tomba e di notte aggrediva le persone e le vacche, e uccise alcune ragazze … » si vergognava come un ladro quello spilungone dai capelli biondi, tra adulti non si raccontano le storielle che ci facevano tremare da piccoli. Da adulti e tra soldati si parla solo delle donne con cui si è stati e delle loro tette.

« E come andò a finire? »

« Mia nonna mi raccontava che anche le ragazze tornarono come lui, e i guerrieri dovettero fare qualcosa … li catturarono un mattina, quando dormivano e li decapitarono e li bruciarono. »

« E finì lì? »

« E finì lì. Non vennero mai più a tormentare la gente, mai più. »

« Delle lamie. » disse Atilius poggiando una coperta sul viso del morto che sembrava fissarlo senza riuscire a metterlo a fuoco.

« Cosa? » chiese il ragazzo.

« Delle lamie, dei mostri succhiasangue, ne ho sentito parlare quando combattevo in Pannonia una decina di anni fa, lì li chiamavano Wemper, morti redivivi che succhiano sangue ai vivi infettandoli. »

« Ma cose simili non esistono! »

« Tua nonna ti ha mai detto di aver visto gli Dei, Fortunatus? »

« No. »

« Però credi che esistano, gli Dei, no? »

« Sì. »

« Però non le credi quando ti dice di aver visto delle lamie. Tua nonna è pazza? » gli chiese tornando al presidio e facendo cenno a Marius e Claudius che erano rimasti in disparte di portare via il corpo.

« Quando l’ho vista l’ultima volta, tre anni fa, non lo era. »

Atilius non gli rispose e continuò a camminare, la guardia aprì loro la porta del castrum ed entrarono nel cortile illuminato. Stava già pensando che forse avrebbe potuto dormire ancora un paio d’ore quando sentì un urlo provenire dai suoi alloggi. Lui e Fortunatus corsero dentro finendo quasi per scontrarsi nel corridoio buio, quando entrarono nella sua stanza. La finestra era aperta e il chiarore di una torcia all’esterno faceva intravedere una figura con un’ampia tunica accovacciata su Formosa. Il suono che si sentiva nella stanza buia era osceno, raccapricciante, un risucchio liquido e maligno. Si lanciò contro la figura magra, un uomo pallido e con la barba e questi, dopo averlo spinto via con una facilità quasi ridicola, saltò fuori dalla finestra e scomparve. Si rialzò e andò da Formosa che, nuda, sussultava sul letto in preda alle convulsioni. Il suo colorito era grigio e i suoi occhi brillavano nel buio, colmi di terrore. Le prese la mano vedendo il sangue che la abbandonava dal collo squarciato e, per la prima volta da quando l’aveva comprata, provò dell’affetto per lei. Sarebbe morta tenuta per mano da uno che le voleva bene, almeno.

« Io … libera … » farfugliò lei gorgogliando sangue schiumoso dalla bocca.

« Cosa? » le chiese chinandosi per sentire le sue ultime parole.

« Lui detto che se lo seguivo, io libera nell’aldilà. Libera con lui. » disse e morì.

Si rialzò terrorizzato, infuriato, stremato. « Portate Formosa e l’altro corpo nel salone. Che qualcuno li vegli.»


2

Da due giorni vegliava i due corpi, stava per crollare. Nessuno dei due corpi puzzava e nessuna mosca si avvicinava loro. Esasperato prese della terra nel cortile e avvicinatosi a Formosa, gliela versò addosso. Un pugnetto di terra sulla coperta che ricopriva il suo corpo, una sepoltura per non lasciarla vagare tra i vivi, secondo gli antichi. Era mezzogiorno e il corpo della ragazza tremò, come se qualcosa di non umano la stesse muovendo da dentro. La rigidità della morte la abbandonò tutto a un tratto e vi fu come un lampo di luce.

« Padrone, come stai? » gli chiese mettendosi a sedere e aprendo gli occhi. Erano rossi, e famelici. La coperta, come tostata dai lineamenti della ragazza durante quel lampo, era caduta sulle sue ginocchia e lui vide quel corpo che, adesso, era più bello di quanto fosse mai stato in vita. Il suo corpo reagì a quella bellezza, ma lui sapeva che era un trucco, una malia, e che quello era solo un cadavere.

« Ti aspettavo, Formosa. »

« Ora sono libera, padrone mio, vieni con me e vivremo in eterno col mio nuovo padre. » e aprì la bocca mostrando delle zanne bianche e lunghe che sarebbero state bene in bocca a un mastino. Aveva voglia di baciarla, di correre da lei. Rimase fermo a fissare quelle zanne e aspettò.

Lei scese dal tavolo e camminò verso di lui, sensuale come Venere e lo abbracciò aprendo la bocca. « Sarai mio e insieme … » e la voce le si spezzò quando la spada di Fortunatus, che era nascosto dietro alla tenda, le trapassò la schiena e il cuore. Si voltò verso di lui e ruggendo lo spinse contro il muro con una manata, ma Atilius ne approfittò per tagliarle la testa con un colpo di gladio. A terra, davanti a loro, il corpo maleodorante e gonfio di una donna morta da due giorni.

« Bruciateli. » ordinò ai suoi uomini e uscì fuori. Una donna giudea lo aspettava vicino a un soldato. Si inginocchiò ai suoi piedi e, con un pesante accento, disse: « Io so chi è il mostro, è mio figlio. Vi dirò dove si trova. » La donna non piangeva, non più, ma sembrava aver pianto tutte le lacrime di una vita intera.

« E chi è tuo figlio, donna? » e mentre glielo chiedeva gli sembrava di averla già vista.

« Mio figlio lo avete crocifisso un mese fa. » rispose fiera la donna con il suo accento aramaico « E ora vi chiedo di ucciderlo di nuovo. È con i suoi discepoli adesso, e li ha infettati quasi tutti, ormai. »

Atilius chiamò Fortunatus che si stava massaggiando il gomito che si era sbucciato contro il muro e gli disse: « Formazione da battaglia, tutte le armi disponibili, e molte torce. » e poi rivolto alla donna: « Dimmi tutto quello che sai, donna. Tra un’ora, ci porterai da tuo figlio e faremo quello che va fatto, se gli Dei lo vorranno. »

« Se Dio lo vorrà. » puntualizzò lei e una lacrima, una sola, le scese lungo la guancia.


3

La donna aveva detto che quello che era stato suo figlio si svegliava a mezzogiorno in punto. Alcuni di quelli che erano con lui erano quelli che aveva ucciso, ma i suoi discepoli erano diversi, li aveva convinti a bere il suo sangue e ora erano in suo totale potere. Insomma … « … Sono in quindici là dentro, 11 umani e 4 … 4 di quelle cose, il capo è quello magro con la barba, quello che abbiamo crocifisso un mese fa.» spiegò ai suoi uomini, poi guardò Fortunatus e gli fece cenno di andare. « Tra poco andiamo, appena Fortunatus sarà al suo posto. »

Dopo poco, neanche il tempo di bere due sorsi d’acqua dalla borraccia, sentirono il richiamo del cuculo, era il segnale. « Via! » disse e si lanciarono contro la porta dell’albergo dove risiedevano i discepoli dai giorni di festa appena passati.

Appena la porta crollò sotto i loro colpi furono aggrediti dai discepoli, che avevano lo sguardo allucinato e sembravano come addormentati. Ebbero ragione di loro in poco tempo, ma poi arrivarono i due uomini e la donna che erano già stati trasformati, gli occhi color sangue e le zanne sguainate. Fu un combattimento tremendo, sei soldati furono uccisi ancor prima di aver superato del tutto la porta, ma gli altri, con i loro gladi fecero a pezzi i mostri che crollarono a terra e avvizzirono come mummie. Atilius inseguì il capo che era fuggito dalla porta sul retro e che stava fuggendo più simile ad un animale che a un uomo su per il fianco di una collina.

« Ehi tu! » gli urlò e poi aggiunse: «Yeshua figlio di Yosef! Scappi? »

Quello che solo un mese prima aveva visto tirar giù da una croce dopo una breve agonia, quello che aveva visto morto e irrigidito in braccio alla madre in lacrime, quel rivoltoso che aveva osato sfidare Roma si girò verso di lui e ruggì, più che urlare: « Romano! Mi sfidi? » e si lanciò verso di lui, quando una freccia lo trapassò da dietro e lo fece cadere bocconi.

Atilius salì in fretta verso di lui e disse: « Una freccia di legno di frassino, il mio soldato sapeva come sconfiggerti, lamia. » e, con un colpo di gladio, decapitò il mostro. Il corpo di quest’ultimo, che a differenza di quelli dei suoi simili era in pieno sole, prese fuoco come un foglio di carta e sembrò sollevarsi nell’aria mentre si inceneriva.

Atilius tornò verso la locanda insieme a Fortunatus e raggiunse i suoi uomini e i prigionieri, che sembravano adesso come appena risvegliati da un lungo sonno. Stavano guardando verso la collina dove il loro Messia era appena bruciato e, in lacrime, dicevano tra loro: “È asceso al cielo, avete visto? «»

« Cosa facciamo di questi poveri mentecatti? » chiese Fortunatus.

« Non penso che siano più pericolosi. » rispose Atilius guardandoli con malcelato disgusto « La cosa importante, adesso, è andare a Betania per eliminare quel Lazzaro che aveva infettato lui un paio di anni fa. Questi, pazzi come sono, al massimo si metteranno a venerare quel mostro come un dio. Sono innocui. »


FINE.


mercoledì 7 giugno 2023

Recensione di "Ultima notte a Soho" di Edgar Wright.

 

Prima di parlare di “Ultima notte a Soho” permettetemi una premessa sul rapporto tra cinema horror e problemi ritenuti socialmente rilevanti.

Il cinema di genere, soprattutto nella sua declinazione thriller e horror, tende per sua natura a sintonizzarsi sulle paure e le pulsioni della società che lo crea e a cui è rivolto. La cosa può essere causata dalla genialità degli autori o dei produttori o forse è più che altro un naturale risultato del fatto che i suddetti autori e produttori sono parte della società.

Per esempio nella seconda metà degli anni '40 negli Stati Uniti vi fu il problema del ritorno a casa di milioni di reduci di guerra che dovevano essere reinseriti nel mondo del lavoro, trovando però i “loro” posti occupati dalle donne che, durante la guerra, erano andate a lavorare nelle fabbriche e negli uffici al posto dei giovani uomini arruolati e mandati oltre oceano. Ecco quindi che il cinema di genere, nelle sue declinazioni maschile e femminile, creò due tipi di personaggi femminili: nei film del genere commedia romantica, genere femminile per eccellenza, il personaggio della protagonista passò dal “maschiaccio” in pantaloni di Katharine Hepburn alla romantica mogliettina in gonnellina e capelli cotonati che cucinava la cena per il marito al ritorno dal lavoro; mentre nel noir, genere “maschile”, nacque il personaggio della dark lady, la cattiva, una donna bella e affascinante, non giovanissima, che è ricca e manipola e ostacola il protagonista, di solito un investigatore privato, ma comunque, sempre, un reduce di guerra, nelle sue indagini e nella sua vita.

Ecco il messaggio: donne, ci siete servite in fabbrica, ma ora i maschietti sono tornati ed è ora che torniate al vostro posto, a infornare torte di mele e a sfornare giovani e biondissimi bambini americani.

Nel decennio successivo, quello in cui il cinema “alto” produce storie di giovani tormentati come Brando in motocicletta o James Dean in auto, mentre le letteratura ci racconta la storia di ragazzi che avrebbero tutto e che si disperano tentando di capire dove finiscano le oche del parco in inverno, nascono tutta una serie di film su ragazzi violenti in moto o, nel molto più ruspante genere horror, di giovani licantropi o mostri di Frankenstein adolescenti.

Avremo poi, dopo la guerra in Vietnam e l'omicidio Kennedy, tutto il filone delle invasioni aliene con mostri travisati tra noi e storie di congiure governative con poveri uomini innocenti ipnoticamente “programmati” per andare e uccidere ad un certo comando.

Negli anni '70 in cui Redford imperversava nel cinema “alto” combattendo contro congiure governative ne “I tre giorni del Condor” o, più realisticamente, scopriva gli altarini di Nixon in “Tutti gli uomini del Presidente”, il cinema di genere si buttava su falsi viaggi su Marte e intere cittadine spazzate via dal governo per la caduta di satelliti segreti.

Negli anni '80 poi, con l'edonismo reaganiano e una società mai così spietata e classista, si arrivò a film visionari come Society di Yuzna dove i ricchi divoravano letteralmente la classe inferiore o degli alieni molto, ma molto capitalistici, governavano attraverso messaggi subliminali ubiqui la povera gente in “Essi vivono” di Carpenter.

Ora, dopo questo (troppo) lungo preambolo, passerò al film di cui voglio parlare. “Ultima notte a Soho” di Edgar Wright.

Prima un'altra, doverosa, premessa. Provo una incredibile, e totalmente immotivata, antipatia per l'attrice Anya Taylor Joy, una delle due protagoniste del film, e praticamente ogni volta che entrava in scena speravo che un'auto tirasse sotto il suo personaggio e quindi questo ha impedito una mia empatica vicinanza nei confronti della povera Sandie.

Allora, il film è tecnicamente un gioiello. Effetti speciali, di quelli “invisibili” che servono per la storia e che non la sostituiscono, perfetti e ipnotizzanti. Attori meravigliosi, i giovani e i vecchi, vero e proprio florilegio questi ultimi, di divi del cinema british degli anni Sessanta, scenografie e ambienti di una bellezza abbacinante e direzione, anche coreografica, degli attori, da applausi a scena aperta. E, il che non guasta, musica anni Sessanta di quella stupenda, anche se il vecchio fan di Lost che sta nascosto in me nel momento in cui Sandie cantava “Downtown” di Petula Clark si è inevitabilmente distratto ricordando Desmond laggiù nel bunker che schiacciava un tasto ogni 99 minuti.

La storia, dopo i primi minuti in cui l'ingenua ragazzina con poteri medianici lascia il paesino che fa sembrare le varie “Midsomer pizzaefichi” di Barnaby delle metropoli tentacolari, scorre che è una meraviglia e ci si trova a seguire sempre più rapiti la storia delle due ragazze e della loro inesorabile caduta agli inferi.

La storia delle due, ingenue, protagoniste ci porta per mano in un incubo a occhi chiusi e aperti che per una delle due è la vita in mano a uno sfruttatore (come fa bene il laido Matt Smith!) e che per l'altra è una continua fuga tra incubi e apparizioni di fantasmi senza volto.

E poi, alla fine, il colpo di scena, la ragazzina non aveva capito niente, non era un fantasma quella in cui si immedesimava e non volevano ucciderla i fantasmi, veri, che la perseguitavano, ma chiedevano il suo aiuto. E la vecchina, la ancora viva e assassina Sandie, dà sfogo alla sua pazzia tra tazze di tè avvelenate e forbici piantate nella panza del ragazzo corso in soccorso, più inutile in effetti del cuoco Halloran nel film Shining.

Fino a qui tutto bene, ma, ahimè, il regista si ricorda che la nostra società in questo momento teme due mostri, il “patriarcato” dei “maschi bianchi eterosessuali”, MBE, e i malvagi uomini violentatori e sopraffattori alla Weinstein e così sbrocca, senza rendersi conto che già, nel suo film, non esistono personaggi maschili positivi se non un ragazzo di colore, quindi non MBE, perché il personaggio di Lindsay, sia nella versione giovane di Claflin che in quella vecchia di Stamp, è comunque laido da morire e il poliziotto che ascolta Thomasin è un pirla che vorrebbe farla internare, mentre la poliziotta le crede.

Allora, spoileriamo senza remore, Sandie uccide Il Dott... Jack per legittima difesa col coltello che lui stava per usare per accopparla, ma gli altri li uccide volontariamente dopo averli attirati in casa sua, serial killer a tutti gli effetti, con capacità muratoriali notevoli, tra l'altro. E qui, dopo aver ucciso una ventina di uomini a pugnalate, dopo aver avvelenato una ragazzina innocente, dopo aver pugnalato un ragazzo buono e indifeso, inspiegabilmente, e intendo davvero inspiegabilmente, smette di cercare di uccidere la protagonista e tenta il suicidio con la faccina triste; e, alla ragazza che un attimo prima voleva ammazzare, dice che “loro se lo erano meritato”. E lei le dà ragione. Erano zozzi? Sì. Erano uomini sgradevoli? Sì. Andavano con una giovane prostituta fregandosene della sua felicità? Sì. Meritavano per questo di essere sgozzati e murati in segreto? Eheeee.... no. E poi, sfidando il ridicolo, l'assassina diventa premurosa e le dice “Scappa e salva il tuo amico!” Ed eccoci al finale taralluccevinesco, con la ragazzina che diventa stilista con una sfilata di abiti bomboniera brutti come la morte e i fantasmi di mammà e Sandie che le sorridono da tutte le superfici riflettenti.

Il film era stato perfetto nel mostrarci la tragica storia di una povera ragazza finita nelle grinfie di una società maschilista e cattiva, nel farci vivere il suo inferno, e poi, con un finale fatto apposta per piacere alle attiviste del Metoo, il regista rovina maldestramente un film che era un vero e proprio gioiello assolutamente “femminista” già nei primi nove decimi di film.

Peccato, con un finale meno didascalicamente schierato e più logico, sarebbe stato un film praticamente perfetto.

mercoledì 3 maggio 2023

Il ritratto di Vespertilia

 

«Pronto? Dove sei Anna?»

«Entrata adesso in autostrada, tra un'oretta, un'oretta e venti dovrei essere a casa, fai scappare le modelle di Playboy.»

«Sai bene che non mi piacciono le tette finte.»

«Non è la cosa più rassicurante da dire a una moglie, Walteruccio caro.»

«Lo so.»

«Dovrebbe essere un'imitazione di Han Solo?»

«Certo. Han Solo è il mio maestro di vita.»

«Pessima imitazione, comunque. Cosa stai facendo?»

«Sto per mettermi a dipingere, ho tutto pronto.»

«Ti do fastidio, forse?»

«No, anzi, parlando con te col vivavoce rimango tranquillo.»

«Cos'è che devi dipingere?»

«La copertina di quella raccolta di racconti sui vampiri per Sperling&Kupfer.»

«Quello di quegli schizzi che facevi sul tuo blocco, con la vampira dagli occhi rossi?»

«Sì. Sarebbe il mostro di “Un mistero della campagna romana” di Anne Crawford.»

«Vespertina?»

«Quelle sono le scuole serali, tonta! Vespertilia!»

«Ehi, Ciccio, Tonta dillo a tua moglie!»

«Tonta! E Ciccio dillo a tuo marito!»

«Ciccio!»

«Ma saremo stupidi, eh, Annuccia?»

«I più fessi del mondo. Ma dimmi un po', che pazzi preparativi hai fatto, su, dimmelo.»

«Niente di che, un po' di foto un'attrice degli anni '20, tale Martha Pershing, che mi ha ispirato tantissimo, profilo, fronte, tre quarti, figura intera...»

«Foto nuda, ne hai trovate? Eh? Maiale!»

«È morta 61 anni fa.»

«Oh, caro mio, al pisellino degli ometti che ho conosciuto nella mia vita il fatto che delle tette fossero passate a miglior vita decenni prima non ha mai fatto né caldo né freddo.»

«Comunque una, sì. Gran fisico, quasi come te.»

«Ahi! La captatio benevolentiae, ahi ahi ahi, allora c'era stata una certa qual reazione del walterino del piano di sotto,»

«Solo un po', ma proprio un pochino. Sembra un incrocio tra la Bellucci e la Greene.»

«Una mia sosia, in effetti.»... «Ma dimmi un po', foto di 'sta gnocca d'antan, e poi?»

«Statue romane, per i vestiti, foto di occhi di predatori nel buio, un teschio di un cane per copiare i denti, delle foto di un cadavere per il colorito e le vene, un po' di immagini di vampiri del grande schermo per farla con lo stesso atteggiamento, un piattino con qualche goccia del mio sangue...»

«La foto di un cadavere e … un po' del tuo sangue? Cosa?»

«Sì, perché, insomma, i colori sono importanti, nei film li sbagliano sempre.»

«Qualche giorno ti mettono dentro, caro mio, e io dovrò trovarmi un uomo sano di mente.»

«Noioso! Ma dai, mi sono punto il dito con la lancetta per misurare il diabete di mio padre, non fa nemmeno male.»

«E la foto?»

«Diciamo che sono andato alle camere mortuarie e … non vorrei confessare reati su una linea che potrebbe essere intercettata.»

«Lo sai che sei matto come un cavallo?»

«È una delle mie doti più irresistibili.»

«Sì, vabbè.» … «E ora, che fai?»

«Sto cominciando a stendere i colori, la sagoma di lei chiara nel buio, come faceva Caravaggio.»

«Quindi una figura illuminata che emergerà dal buio, bello.»

«Grazie. Puoi fare la faccia cattiva e dirmi qualcosa?»

«E perché?»

«Il tono mi passerà immediatamente l'espressione.»

«Se non ti comprano questo quadro per 2000 euro ti caccio di casa.»

«Un attimo … ecco, l'espressione va bene, ma manca qualcosa … Puoi dirmi qualcosa di eccitante, tipo cosa vorresti farmi quando arrivi?»

«Dopo una giornata di incontri e riunioni ho bisogno di essere fatta … rilassare... e poi vorrei fare una doccia per togliermi di dosso il tuo sudore e i colori che mi avrai lasciato dappertutto.»

«Ecco, e ora l'espressione è completa. Ah, walterino ha gradito.»

«Walterino porcellino! Ah! Ah! E ora cosa stai dipingendo?»

«Lo sfondo, sono tombe della via Appia, lapidi, e … ecco, la luna piena in cielo. Per te di che colore ha i capelli Vespertilia?»

«Castani scuri, ma un po' ramati.»

«Aspetta, mescolo questo, questo e … un po' di viola, ci vuole, e un tocco di giallo oro, mescolo. Perfetti. E il nero dove c'è l'ombra, perfetta.»

«Le si vedono le tette?»

«Cara mia, è la copertina di un libro S&K, mica la copertina di Zora la Vampira. Si vede il décolleté, e sotto alla tunica si indovinano le forme.»

«Se è a metà tra la Bellucci e la Greene c'è un bel po' da indovinare, povera tunica che sforzo!»

«Preferivi la Jovovich?»

«Quell'infame manico di scopa? E poi avresti dovuto metterci i dobermann spellati, lei non si muove mai senza.»

«Avercene di infami manici di scope di quel genere...»

«Dormi sul divano.»

«Cacchio. Ma sai bene che tu sei l'unica donna per me!»

«Citi Alan Sorrenti?»

«Dovrei sapere chi è per farlo.»

«'gnurant!»

«E ora le mani … le unghie lunghe, quasi artigli, livide... le mani hanno le vene verdi visibili, ecco la sfumatura giusta... ecco, la vena va così', e così ...»

«Hai copiato dalle tue mani?»

«Mi conosci, eh? E ora, il colorito del collo e del décolleté, guardiamo la foto … un tocco di blu, un po' di verde, e grigio … perfetto, perfetto, la pelle di un cadavere, perfetto.»

«Disgustoso!»

«Eccheccaspio, Anna, è una vampira sepolta in un sarcofago da 1800 anni, mica può sembrare Shirley Temple.»

«Che era in film in bianco e nero, no?»

«Riccioli d'oro, sarà stata in technicolor, ma boh... che ne so, per me una vampira deve essere pallida.»

«E il sangue a che ti serviva?»

«Ha appena bevuto, cola all'angolo della bocca e le lorda la tunica.»

«Ma allora è gonfia di sangue come una sanguisuga, non deve essere pallida, ma congestionata.»

«Cazzo! Hai ragione. Intanto correggo lo sfondo, mentre ci penso, un po' di iscrizioni, questa è bellissima, era per una bambina morta piccola, “Terra sii lieve su di lei, lei lo è stata su di te”.»

«Porcaloca, esiste davvero?»

«Sì. Bella, eh?»

«Sto invecchiando, Walter, mi sono commossa.»

«Anche io, Anna, anche io. Siamo due vecchi romanticoni.»

«Però tu sei pure un po' stronzo.»

«Ti piaccio per quello, no?»

«L'errore è nella premessa, mi sa.»

«Bugiarda! Ma dimmi un po', è morta e quindi è livida, ma ha appena bevuto sangue e allora è congestionata e gonfia come una sanguisuga... come faccio?»

«Boh! La fronte e le occhiaie dovrebbero essere livide, come la mani, mentre le guance e il collo … quasi rossi. Ce la fai?»

«Metodo Stanislavskij, aiutami tu! Hop!»

«Che hai fatto?»

«Sto facendo la verticale, tra un minuto avrò la faccia congestionata e potrò copiarla guardandomi allo specchio.»

«Ah! Ah! Cioè, adesso sei appoggiato sulle mani con i piedi in alto? Porca zozza che marito scemo che ho!»

«Ah-a! Brava, ma per l'arte si fa di tutto.»

«A me sembri scemo.»

«Un attimo … Argh … aspetta ...»

«Eccomi!»

«Sei vivo?»

«Sì. Aspetta che do qualche ritocchino, la mia faccia allo specchio era perfetta, gonfio e arrossato, ecco … meravigliosa, gli occhi cerchiati, la fronte terrea, la faccia gonfia, congestionata, una sanguisuga nascosta in un corpo da dea ...»

«Ti ho dato un buon consiglio, allora, eh?»

«Sei la mia musa, Anna, senza di te sarei solo uno che sa disegnare nelle proporzioni giuste. E ora, le ultime ombre sui capelli, le mani, gli artigli … sporchi di terra, ha scavato nel sarcofago per uscire, e gli occhi ...»

«Luccicano nel buio? E di che colore sono?»

«Non lo so, perché gli animali li hanno verdi, azzurri, ma lei vorrei che fosse rossa... ma temo l'effetto led.»

«Intanto metti il sangue, lo hai già preparato il colore? Sì, aspetta, rosso rubino, un po' di nero, e bianco, è lucente, aspetta … ecco e … ecco. Uguale!»

«Uguale? Lo hai provato col tuo sangue?»

«Sì, su un foglio, uno sbafo di pennello di sangue e uno di colore, uguali.»

«Lo stesso pennello?»

«Sì. Perché?»

«Quindi ora stai dipingendo anche col tuo sangue, le stai dipingendo addosso il tuo sangue.»

«Boh, sì. In quantità infinitesimale, sì.»

«Mi sa di stregoneria, non farlo.»

«Mi stai diventando superstiziosa? Non è che andrai dalle santone che moltiplicano gnocchi e pizze, vero?»

«No, è solo che … mi pare sbagliato.»

«È sangue, cara, solo siero e globuli rossi, praticamente acqua arrugginita.»

«Mah! Com'è venuta?»

«Stupenda. Mancano solo gli occhi, verdi come i tuoi, naturalmente. Gli occhi più magnetici del mondo. E la luce … questo, questo, e … et voilà! Cazzo, sembra viva.»

«Sei soddisfatto?»

«Sì, Anna, è incredibile, non ho mai fatto qualcosa di simile, è come la Gioconda al Louvre, mi pare che mi segua, gli occhi, non ho mai dipinto occhi simili … Vespertilia è qui.»

«Questo in un romanzo horror sarebbe il momento in cui … Walter, cos'era? Walter? WALTER!!!»

«Cos'era quel rumore? Eddai, muoviti porta del garage, cazzo! Arrivo, Walter, cos'è questo suono? Sei caduto? Ti sei fatto male? Walter? Eccomi, senti che apro la porta, Walter...»

«Eccomi... Walter, dove sei? Cos'è questo casino? E questo... sangue? Se è uno scherzo non fa ridere, stronzo! Walter, dove sei?»

E dal quadro una voce rispose: «Qui, Anna, sono qui.» lei fece appena in tempo a intravvedere le due figure dagli occhi rossi dipinte nel quadro prima che esse saltassero fuori dalla tela con gli artigli sguainati verso di lei.


FINE.