domenica 28 ottobre 2012

Voci. V


Dove i nostri eroi esplorano l’anfiteatro e a Nicola viene un dubbio.

Daniele, Anna e Nicola camminarono per una decina di minuti fotografando tutto, prendendo appunti sulle cose più belle e indicandosi a vicenda quello che generazioni di archeologi avevano solo potuto immaginare.
Infine si trovarono di fronte la mole gigantesca dell’anfiteatro, una caccola in confronto al Colosseo, ma comunque con muri alti almeno dieci metri. Un lato era crollato formando un cumulo di macerie che occupavano quasi totalmente la strada. Si infilarono nell’arena da un vomitorium e rimasero delusi trovandola invasa da un bosco di querce secolari, ma salirono poi sulle gradinate fino all’ordine più alto, al di sopra dei tetti della città.
Videro allora che la città sorgeva all’interno di una conca tra le basse colline boscose dove avevano trovato le tombe, circondata da mura intatte in tutto il loro circuito. All’estremità nord le mura finivano su un laghetto in cui evidentemente si scaricavano le acque reflue della cloaca.
- Ammazza che schifo quel lago! – disse Daniele – Se ci va l’acqua di quella fogna puzzolente. –
- Puzzolente? – chiese Nicola – E di che? –
Daniele arrossì e poi disse: - quando prima ho vomitato, ce l’ho fatta ad arrivare a un tombino, ma c’era tanta puzza che quasi vomitavo di nuovo. –
- Puzza di merda, dopo 1800 anni? –
- Non di merda. – disse Daniele arricciando il naso – Era più … fetido, come di carne marcia, ma peggiore. –
- Puzza di morte. – disse Nicola – Ora che ci penso si sente ovunque in questa città, puzza di morte. –
- Così mi fate paura, - disse Anna spingendo Nicola – specialmente qui nell’arena! –
- Qui di gente ce ne è morta ben poca. – disse Daniele – Era una città troppo piccola per permettersi scontri all’ultimo sangue. –
- Be’, per fortuna! – disse Anna – Soprattutto pensando a quello che ha detto Mirko quando abbiamo passato le mura: “Non andare nel posto dove i morti camminano.” –
- E che schifo! – disse Daniele – Cosa è, pazzo? –
- No! – disse sorridendo Nicola – Solo che ha letto un libro di King, “Pet semetary” dove un fantasma dice al protagonista che, quando sono in un cimitero con le lapidi, sono nel posto dove i morti parlano, e lo ammonisce a non passare mai una barriera di tronchi che li separa dal posto dove i morti camminano. –
- Ma leggete quei libri lì? – chiese schifata Anna.
- Sì! – rispose ridendo Nicola – E un altro libro che piace tantissimo sia a lui che a me è “Le notti di Salem”, dove un vam… - e si interruppe saltando in piedi.
- T’ha punto una tarantola? – gli chiese Daniele.
- No. – rispose Nicola guardando intorno a sé la città deserta. Rimase in silenzio e poi disse: - Dove sono andati Mirko e Elena? –
Daniele e Anna si guardarono stupiti, non capendo cosa stesse dicendo il loro amico. – Sono andati a nord, - disse Daniele – ha detto che voleva trovare la cloaca. –
- Mio Dio! – disse Nicola – È impazzito! –
Anna schizzò in piedi gridando quasi: - Perché? – ma prima un vero urlo giunse alle loro orecchie, era Elena che gridava aiuto come in preda ad una crisi isterica.
Nicola partì di corsa come un centometrista, saltando come uno stambecco da un gradino dell’arena all’altro e i due amici lo seguirono a fatica perdendolo di vista dopo un paio di minuti.

venerdì 26 ottobre 2012

Voci. IV.

IV

Dove i nostri eroi esplorano ancora la città senza l’allegria di prima.

Nicola guardò i suoi amici seduti sul lastricato, bianchi in volto e spaventati come bambini. Sapeva di avere la loro stessa espressione e pensò di fare un po’ lo scemo per alleggerire la tensione. Prese dalla tasca la trote, la cazzuolina che usano gli archeologi, e la lanciò in aria riprendendola al volo – Splendido lavoro l’archeologia! – disse con voce tronfia – Non ti pagano un cazzo e ti devi fare un culo così, ma puoi vedere delle belle scene di morte vissuta! –
Risero tutti e cinque senza troppa convinzione, poi Elena chiese: - Chi erano? –
- Romani o Francesi? – aggiunse Daniele.
- Romani! – disse Nicola – Un tizio ha sgozzato gli altri e poi si è suicidato. –
- Ed erano barricati dentro. – aggiunse Mirko – Come gli Ebrei a Masada. –
- Ma quelli preferirono uccidersi piuttosto che diventare schiavi dei Romani! – disse Anna – Questi di chi avevano paura, dei briganti o dei barbari? –
Daniele tossicchiò prima di riuscire a parlare comprensibilmente – Nel 130 qui non c’erano barbari, e i briganti avrebbero rubato tutte le cose preziose, ma qui intorno ho visto monete d’oro e vasellame in argento posati sui tavoli. –
- E i Francesi? – chiese Nicola alzandosi e guardando le creste delle colline che cingevano in un anfiteatro la città.
- Aggrediti da qualcosa. Di certo non hanno vinto. – disse Daniele.
- Aggrediti durante la notte. – disse Nicola – i fucili erano accatastati e i cavalli legati a una colonna al riparo e in terra ho visto una pietra annerita da un fuoco proprio in mezzo ai resti dell’accampamento. –
- Andiamo via! – disse Elena prendendo il coraggio a due mani e mostrando tutta la sua paura – Non voglio stare qui un minuto di più. –
- Sono d’accordo. – disse Anna – Ho troppa paura. –
Nicola e Daniele rimasero in silenzio, ripensando alla pecora e al cinghiale che erano stati praticamente sbranati, ma non volendosi mostrare paurosi, ma Mirko disse: - Qualunque cosa ci fosse qua, non c’è più da secoli, e io non voglio scappare via da una città inesplorata solo perché voi avete paura di non so che! –
Loro guardarono in basso con le braccia incrociate e lui continuò: - Dividiamoci in gruppi e giriamo qua attorno fino alle cinque, poi avremo tre ore buone di sole per tornare in paese. –
Daniele annuì e anche Nicola si era convinto. Quest’ultimo disse alle ragazze: - Dipende da voi, bimbe, se voi volete andiamo via subito, se no andiamo via prima che faccia buio. –
Elena non disse niente e guardò Anna, che chiese: - Promettete che andiamo via, non è che poi volete stare qui? –
Mirko rise, Daniele scosse la testa sorridendo e Nicola disse: - Non passerei la notte nella città fantasma neanche pagato. –
Ammucchiarono tutte le loro cose sotto al portico, tra le statue di Tito e di Ve-spasiano, poi, presi con sé gli zainetti con le cose indispensabili, si divisero in gruppi per esplorare la città. Mirko e Elena andarono a nord, Anna, Daniele e Ni-cola a sud, promettendosi di ritrovarsi lì alle cinque.
Mirko e Elena camminarono senza dire una sola parola per cinque o sei minuti, lui davanti fischiettando e saltellando da una pietra all’altra, lei una decina di passi indietro continuando a schiacciare tutti i tasti del cellulare.
- Non c’è campo? – chiese lui stando in equilibrio su una sottile colonnina posta davanti alla porta di una casa.
- No. A casa saranno preoccupati. –
- Non c’è più stata ricezione da quando abbiamo scavalcato la cresta e siamo entrati nella megacasseruola. –
Elena rise e poi disse: - Perché sei così allegro? - Mirko saltò giù a piè pari e le disse, indicando con un cenno la città intorno a loro: - Sono un archeologo e sono in una città di duemila anni fa praticamente intatta! –
- Mi spaventa. – disse lei – Non è naturale che sia rimasta così. –
Mirko rise, le appoggiò un braccio sulle spalle e disse: - Pensavi di trovare gli abitanti? –
- Scemo! –
- Allora avresti preferito trovare una distesa di terra coperta di arbusti e pun-teggiata da casolari abitati da contadini puzzolenti e armati di fucile come Dinamite Bla? –
- Sì! Sarebbe stato più naturale di questo cimitero onorario a cielo aperto. Questa non è una città, è una distesa di tombe vuote. E poi puzza! –
- Puzza? – chiese lui.
- Sì. Non so come fai a non sentirlo. – disse lei arricciando il naso – Questo posto puzza più di una fogna. –
- Ottimo! – disse lui dandole una pacca sulla schiena – Sono venuto di qui proprio per cercare la fogna. –
- E che sei, scemo? – disse lei sgranando gli occhi – Con tutta una città a tua disposizione tu vai a cercare un merdaio? –
Mirko si incamminò e disse: - È per la mia tesi. –
- Ma se la fai sui riusi medievali! – disse raggiungendolo a passo veloce.
- Ne ho parlato con la prof. – disse – Ho deciso di cambiarla un mese fa. – e si lanciò di corsa al centro della strada in cui si stavano immettendo, seguito da Ele-na che proprio non voleva trovarsi da sola tra quei ruderi vuoti.
- Eccola! – disse lui accucciandosi e spostando con grande fatica una pietra quadrata. Al di sotto si apriva un pozzo quadrato largo circa mezzo metro, di cui non si vedeva il fondo. Vi infilò la testa e urlò: - Eccomi, sono arrivato! –
L’eco rispose ripetendo una o due volte – ATOOOO – mentre anche Elena si accucciava coprendosi il naso e la bocca con la mano. – Qui c’è ancora più puzza. – disse – Ma cos’è, pieno di topi morti? –
- È una fogna, - disse lui tirando su la testa – tutta la sporcizia della città finisce qui quando piove. Magari ci sono finiti anche gli abitanti. –
Elena rabbrividì e si alzò. Mirko guardò ancora nel pozzetto buio ridendo e, quando si voltò per dirle qualcosa vide che si era allontanata e si trovava di fronte alla porta di un grosso edificio in buone condizioni di conservazione.
- È quello che penso io? – chiese lei indicando un fallo di pietra che sporgeva dal muro.
- Sì. È il bordello, il casino, il postribolo. – disse lui ridendo – Qui c’era pieno di donnine allegre. –
Arrivato al suo fianco appoggiò la mano sulla porta di legno marcio e disse: - È permesso? Giuro che non siamo perditempo! – Sorridendo entrarono e, dopo una piccola stanza, imboccarono un corridoio su cui davano molte porte, ognuna chiusa un tempo da una tenda, di cui qualche brandello pendeva ancora qua e là. Sopra le porta dei riquadri ad affresco indicavano la specialità della ragazza che lavorava nel cubicolo. Guardarono ridendo quel variegato campionario di posizioni sessuali e, quando Elena si avvicinò a un riquadro tentando di capire cosa stesse succedendo in quell’intrico di membra, Mirko le cinse le spalle col braccio e le chiese: - Questo tu lo hai mai fatto? –
- Ma sei scemo? – disse lei scostandosi.
- E perché? Non ci sarebbe nulla di male. –
Mirko entrò in una delle stanzette e si sedette sul letto, un pagliericcio polveroso e smangiucchiato poggiato su un gradino in mattoni. – Sono circa 1800 anni che nessuno scopa più qui. – disse battendo la mano sul pagliericcio.
- Ciò non toglie che ti sei seduto sulla paglia più lurida del mondo. – disse Elena – Non penso che lo cambiassero spesso quello schifo. –
Mirko si guardava attorno felice e meravigliato, come se si fosse trovato in una stanza affrescata e piena di specchi e cristalli e non in una topaia cui 1800 anni di abbandono non avevano tolto del tutto la puzza di sperma e sudore. – Tu avresti fatto furore qui! – disse.
- Sarebbe un complimento? –
- Non senti le voci di chi è stato qui? – disse guardandola in modo strano - So-no ancora qui e ci parlano. –
Elena aveva la pelle d’oca e voleva solo tornare all’aperto, dove il sole, già basso sull’orizzonte, avrebbe dissolto quell’atmosfera fetida, e poi via da quell’orribile cratere dove una città non era morta del tutto e forse, come diceva Mirko, delle voci sussurravano ancora oscenità alle loro orecchie.
- Li senti? – disse ancora lui – Li senti ora? Ci stanno dicendo che è tardi per noi. È la stessa città a dirci che abbiamo solo quest’ultima possibilità. Vieni qui, vivi con me finché possiamo, facciamo l’amore su questo orrendo materasso fino a che verrà la notte e il tempo di questa città sarà tutt’uno col nostro. –
Forse era vero, era inutile opporsi, o almeno le pareva che così avesse detto un pensiero nella sua testa, e già le sue mani stavano sollevando la sua maglietta, quando vide il sole ancora più basso e capì che erano quasi le cinque. – Tu sei pazzo! – disse e infilò il corridoio per uscire.
- Vieni! – le urlò afferrandole il braccio – Torna qui e scoperemo per sempre! –
- Ma neanche morta! – urlò divincolandosi e fuggendo fuori, al sole. Si guardò i segni rossi sul braccio, mi verranno i lividi pensò, spaventata da quelle voci che stupidamente aveva pensato di sentire là dentro.
Mirko uscì anche lui e chiuse gli occhi abbagliato dal sole. – Scusami. – le disse, poi guardò l’orologio e aggiunse: - Manca un quarto alle cinque, forse c’è ancora tempo. –
Lei lo guardò incredula per quello che il timido Mirko, il ragazzo dolce e as-sennato che tutti volevano come amico, aveva appena fatto, e per quello che forse era stato sul punto di fare. Lo vide avvicinarsi al pozzetto della fogna e forse non fu troppo stupita quando lui disse: - Forse puoi ancora fare in tempo. – e saltò giù.

martedì 16 ottobre 2012

Voci. 3.

III

Dove i nostri eroi scoprono misteri sempre più oscuri

Mangiarono in silenzio, sovrastati dall’enormità della loro scoperta. Se infatti a Pompei milioni di turisti non credono ai loro occhi passando tra le strade di una città rasa al suolo da un cataclisma, loro cinque stavano invece passeggiando tra case che, in molti casi, avrebbero richiesto solo una bella ripulita per tornare ad essere abitate. Dopo aver studiato per anni dei mozziconi di muro tentando di capire come fosse la costruzione a cui appartenevano, potevano ora passare da porte magari un po’ cadenti, ma ancora in piedi, camminare su pavimenti con ancora un tetto sopra la testa e sentirsi degli intrusi entrando in una stanza e trovandovi letti sfatti e culle a cui mancava solo il bambino.
Decisero di entrare nel tempio tutti insieme e di dividersi poi per esplorare la città, per poi riunirsi per piantare le tende e passare la notte.
Camminando verso l’alto edificio fu Daniele il primo a vedere qualcosa di strano in mezzo all’ampio spiazzo del Foro. Nel raggio di una decina di metri c’erano almeno otto fucili napoleonici ad avancarica, fibbie di zaini, elmi da dragoni e sacchetti per polvere da sparo. Lì vicino, evidentemente un tempo legati a una colonna del tempio, le ossa di 4 cavalli, bianche come il gesso alla luce del sole. Si fermarono ad esaminare quei pochi oggetti arrugginiti e marci, cercando intorno quello che mancava; - C’è tutto – disse Anna –tutto tranne i soldati! –
- Come gli abitanti della città. – disse Nicola che si trovava tra le colonne del tempio e che armeggiava su una di esse con un coltellino. Gli si avvicinarono incuriositi, quando lui si girò tenendo qualcosa in mano. – Non so dove siano finiti i soldati … - disse, poi lanciò quel qualcosa a Daniele che lo prese al volo – ma so che non lo hanno fatto senza tentare di difendersi. –
Daniele aprì la mano e tutti videro cosa era uscito dal foro, uno dei tanti che notavano solo ora sulle facciate degli edifici là intorno; era un pallino di piombo, un proiettile sparato da uno di quei fucili.
Salirono la scalinata del tempio e, mentre tutti insieme tiravano il portone per farlo girare sui vecchi cardini, Daniele disse: - I soldati saranno stati uccisi dai contadini del luogo, come si chiamavano, i Sanfedisti. –
Nicola, che era riuscito ad infilare le dita tra i battenti di legno di quercia, usando tutta la sua forza e il suo peso riuscì a farne girare uno e, molto lentamente, lo spalancò davanti ai suoi compagni. Si appoggiò esausto alla porta e ridendo disse. – Che coglione che sei, i Sanfedisti erano nel Regno delle due Sicilie. E poi la gente qua intorno, se ha avuto troppa paura per venire a rubare tutte le cose preziose che abbiamo trovato, di certo non aveva il coraggio … - e si interruppe vedendo gli sguardi terrorizzati dei quattro amici che non lo ascoltavano e guardavano dentro al tempio.
Si voltò e vide una quindicina di corpi mummificati ai piedi delle statue in marmo degli dei e un’altra mummia vicino al portone, con una spada arrugginita che sporgeva dall’addome e dalla schiena.
Anna e Elena fecero alcuni passi indietro fino a tornare alla luce del sole, Daniele fuggì via e lo sentirono vomitare i due tramezzini dietro a un angolo. Mirko e Nicola entrarono nella cella e cominciarono ad esaminare quegli scheletri coperti da pelle secca scura come il tabacco.
- Questo ha fatto harakiri. – disse Mirko guardando il corpo che giaceva a pochi passi dalla porta – Penso che fosse un uomo. –
Nicola, sentendo in bocca un sapore acido e con lo stomaco in subbuglio, contò i cadaveri ammucchiati ai piedi di Giove – Sembrerebbero sei donne, due uomini e otto bambini, uno è un neonato. Tutti sgozzati. –
Mirko alzò la testa e lo guardò, indeciso su cosa pensare, quando Nicola alzò un braccio a indicare il portone alle sue spalle. – Ecco perché tanta fatica per aprirlo! – disse – Lì fuori c’era qualcosa che li spaventava più della morte. – e Mirko si voltò e vide i tripodi e i vasi di offerte ammucchiati contro il portone per sbarrarlo e sentì un brivido percorrergli il corpo da capo a piedi.
Usciti alla luce del sole si sentirono rinfrancati e Mirko si accese una sigaretta offrendone una a Nicola che accettò e tossì inspirando il fumo.
- Non sono molto abituato a fumare, - disse ridendo –ma oggi ce ne era proprio bisogno. –
Mirko annuì e soffiò tre anelli di fumo, poi disse: - Che schifo là dentro, era un vero incubo. –
- Io poi non avevo mai visto un morto, e ora 16 tutti insieme, morti a quella maniera e mummificati! –
- Io l’avevo già visto, - disse Mirko – ma era impressionante lo stesso. –
- Chi era? – chiese Nicola.
- Mio nonno. – disse,poi riprese a parlare dopo essersi fatto una bella tirata – Aveva l’Alzheimer, si faceva tutto addosso, sbavava, cadeva dal letto e non sapeva più chi era. Urlava tutte le notti che i mostri gli mordevano le gambe, per otto anni prima di tirare le cuoia. –
- Cazzo! – disse Nicola.
- Io non voglio finire così, voglio morire d’un colpo. – disse Mirko, poi indicando la sigaretta disse con un sorriso aggiunse: - E possibilmente prima di invecchiare. –
- Contento te! – disse Nicola e si diressero, ridacchiando e guardando ogni tanto indietro la mole del tempio, verso Anna e Elena che parlavano con Daniele, seduto in terra e bianco come la farina.

sabato 13 ottobre 2012

Voci. 2.

Dove i nostri eroi esplorano la città e fanno tante belle scoperte.

Camminarono per almeno venti minuti sulla via lastricata, incredibilmente in buone condizioni per avere almeno 1800 anni. Sia a destra che a sinistra continuavano a vedere tombe, in buone condizioni o diroccate, fino a che videro di fronte a loro della mura ricoperte di un intonaco rosso, dove i secoli non avevano portato allo scoperto le grosse pietre squadrate.
Le mura, alte almeno 5 metri, si interrompevano sulla strada, dove si trovava una porta tra due torrioni squadrati alti una decina di metri e orlati da merlature erase dalla pioggia e dal vento. Due giganteschi battenti di legno di quercia rinforzato con borchie di bronzo pendevano quasi totalmente marci da cardini che erano ormai grumi di ruggine.
Passarono sbigottiti nell’ampia fessura tra i due battenti e si trovarono di fronte la città.
Rabbrividirono vedendo il cardine massimo che svaniva lontano, tra edifici diroccati o con parti del tetto ancora in piedi. Erba cresceva tra una pietra e l’altra, alberi erano cresciuti dove degli edifici erano crollati e cumuli di macerie sfioravano il marciapiede obbligando a scendere sulla carreggiata, ma, ignorando questi pochi segni di antichità e distruzione, la città sembrava ancora viva, forse solo addormentata.
Camminarono lungo il cardine con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, incapaci di parlare, saltando da una pietra all’altra, sbirciando nelle porte che, marciti i battenti, si aprivano come bocche di oscure macchine del tempo. Quasi tutti i tetti erano crollati e anche alcuni muri, ma altre volte bastava infilare la testa in una finestra per vedere le travi del tetto sorreggere ancora i tegoloni, i pavimenti in cotto a spina di pesce coperti appena da un velo di polvere e, in qualche caso, mobili tarlati su cui erano ancora posati vasi e oggetti vari.
Si divisero e cominciarono a esplorare vie traverse e edifici, tornando indietro ogni volta con racconti incredibili. Vi erano papiri polverosi appoggiati sui tavoli, letti sfatti, piatti di portata con dentro i semi della frutta che avevano contenuto e, su tavoli, coppe, bottiglie e pani totalmente rinsecchiti, duri come vere e proprie pietre.
Superati una ventina di isolati arrivarono al Foro, che era lastricato con splendide pietre squadrate, appena un po’ sconnesse, ai cui lati si ergevano tra portici adornati di statue in bronzo e in marmo, una basilica, una biblioteca e un tempio dedicato alla triade capitolina.
- Statue in bronzo? – disse all’improvviso Nicola – Ma ne vedo almeno dieci qui intorno, vi rendete conto? –
- E le iscrizioni hanno tutte le lettere di bronzo, non ne avevo mai viste prima. – disse Elena.
- Ma qui … Da quanto tempo non viene nessuno qui? - disse Daniele – Ho trovato delle monete appoggiate sulla strada, e due erano d’oro. –
- Se è per questo in una casa lì sulla destra, - disse Nicola – ho visto addirittura delle finestre coi vetri. Intatti! Qui non c’è venuta neanche una banda di teppistelli a tirare pietre dal 130 d. C., con ben tre paesi nei dintorni e intere generazioni di pastorelli annoiati a un tiro di sputo da qui. –
Anna chiese: - E come fai a sapere che non ci viene nessuno dal 130? –
Nicola si incamminò sulla strada che si apriva alla loro destra e indicò una scritta dipinta in rosso sull’intonaco: - Vuol dire: “Tutti i reduci delle guerre daciche vi dicono di eleggere per la 4a volta come duo viro il nostro illustre concittadino Decimo Popilio Rufo, amico del divo Traiano” e queste scritte venivano cancellate ogni anno. Noi abbiamo visto la sua tomba e vuol dire che in questa città non ci sono più state elezioni dopo la sua morte nel 130. –
- Ma perché cazzo hanno abbandonato la città? – chiese Daniele.
- Vorrei vedere te a sapere di vivere in un cratere meteoritico o in una caldera! – disse Mirko posando a terra lo zaino.
Tutti lo imitarono ridendo e, sedendosi sui gradini davanti a un portico, cominciarono a mangiare i loro panini.

giovedì 11 ottobre 2012

Voci. 1.

Questo è un altro mio scarabocchio, l'ho scritto nel 2005. La pubblicazione durerà sette puntate.

VOCI

“Tuttavia, prima di arrivare al verso finale, aveva già compreso che non sarebbe mai più uscito da quella stanza, perché era previsto che la città degli specchi (o degli specchietti) sarebbe stata spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini nell’istante in cui Aureliano Babilonia avesse terminato di decifrare le pergamene, e che tutto quello che vi era scritto era irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra.”
Gabriel Garcìa Màrquez. “ Cent’anni di solitudine.”


I
Dove i nostri eroi si addentrano in una terra inesplorata e trovano ciò che cercavano.

Faceva male. Il paesaggio era così bello da fare male. Uscendo dal paese arroccato sulla collina, camminarono sulla sterrata che scendeva sull’altro lato del crinale. Lì la temperatura era più bassa di uno o due gradi e il vento aveva cambiato direzione.
Erano entrati in un vasto anfiteatro di colline, le cui creste più lontane apparivano azzurrine a una trentina di chilometri. Nell’ampia conca sorgevano delle collinette boscose di un verde smeraldo visto poche volte.
Il sentiero percorrevano scendeva serpeggiando in un’ampia fascia di campi coltivati a grano ed erba medica, seguiti da prati ora ripidi ora pianeggianti la cui erba era increspata di onde dal vento fresco e costante.
In questi campi, fino a dove l’occhio riusciva a spingersi, mandrie e greggi brucavano l’erba in un continuo scampanellio.
Camminarono per una buona ora addentrandosi sempre più in basso nella conca, vedendo ora dove cominciavano le colline e il bosco, formato di alberi alti e folti.
Il bosco distava da loro sette o ottocento metri, e il sentiero tagliava campi curati e verdi e, dopo due edicole poste ai suoi lati, una fascia di campi cespugliosi con rari alberi che sembrava la savana.
Intorno a loro decine di pecore brucavano calme, guardandoli con i loro occhi ottusi.
- Ehi, Nick, tu che sei spocchioso, ce l’hai una qualche idea sull’origine di ‘sto posto? –
- A parte che mi chiamo Nicola e che se mi chiami ancora Nick ti strappo le palle e te le faccio mangiare, caro dottor Greene, le possibilità sono queste: casualità, caldera vulcanica o caduta di un asteroide. –
Daniele, che odiava essere chiamato come il personaggio di ER cui assomigliava per l’altezza e la testa pelata, rispose: - Una caldera vulcanica in Liguria? Ma ti sei bevuto il cervello? E l’altra poi, l’asteroide … Tu bevi troppo! –
- E allora è una pura casualità, come quella che ci ha portato qui. –
Anna, Elena e Mirko risero a questa battuta e Daniele sbottò: - Ma non lo volete capire che stiamo per fare la scoperta archeologica del secolo, una città romana abbandonata e mai più ritrovata? –
“ Come il tuo cervello!” pensò Nicola. – Guarda che siamo venuti qua solo perché ce lo ha chiesto la professoressa Musatti, perché nessuno di noi ha ancora capito perché lì – e indicò le colline di fronte a loro – dovrebbe esserci questa famosa città. –
Si fermò e, appoggiatosi al bastone rispose: - Che palle, ve lo ho già spiegato… Strabone dice che a nord di Genua, a metà strada da Libarna, “ giace in una ampia e fertile conca la colonia di Augusta Victrix, costruita su basse colline e ricca di sorgenti. È nota tra i Liguri per l’allevamento di pecore e bovini.” Non vi ricorda qualcosa? –
Nicola sbuffò ed Elena disse: - Ti basi su questo? Non è un po’ poco? –
- Non è poco, se pensi che nei paesi vicini, come Bastia, Serravalle Canneto e San Michele da cui siamo appena passati, questa conca la chiamano l’Augusta. –
- Anche mia zia si chiama Augusta. – disse Nicola – E se anche fosse, che ne fu di questa città? –
Daniele rise e disse: - Non si sa, per Strabone era una cittadina ricca e fiorente, sappiamo che uno degli ufficiali che riuscirono quasi a catturare Decebalo era il ligure Decimo Popilio rufo di Augusta Victrix, sappiamo da una moneta che Adriano la visitò nel 128 d. C. Poi basta, scomparsa dalla storia. –
- E noi siamo gli scemi che vogliono riportarcela. – disse Mirko facendo ridere tutti. Ripresero a camminare sbuffando sotto il sole ormai caldo essendo le dieci, schiacciati dal peso degli zaini, quando Anna chiese: - Ma se ci fosse una città non dovrebbe saperlo qualcuno? –
- Boh! – disse Daniele – appena arrivati nella savana lo chiediamo a quei due Masai – e indicò le due persone meno simili a dei Masai che avessero mai visto, due vecchietti, uno pelato e con l’aspetto da contadino ligure e l’altro con una ridicola zazzera di capelli bianchi.
- Che stanno facendo? – chiese Daniele.
- Sembra che stiano scavando. – rispose Nicola stringendo gli occhi miopi dietro agli occhiali da sole.
In due o tre minuti li raggiunsero e Daniele alzò una mano per salutarli - Salve! –
I due vecchi risposero a cenni e smisero di scavare guardando i cinque giovani in arrivo.
- Caldo, eh? – disse Daniele - Potrei chiedervi una cosa? –
Col calore tipico delle genti che vivono tra la Liguria e il basso Piemonte i due si guardarono in silenzio e ricominciarono a scavare.
Daniele guardò i suoi compagni che ridacchiavano e tornò all’attacco: - Siamo studenti dell’Università di Genova e pensiamo che in mezzo a quelle colline, ci possano essere le rovine di una città. Ne sapete qualcosa voi? –
Crapapelata non rispose, ma Zazzera li guardò dal fondo della buca e disse: - Quando ci sono andato da ragazzo, ho visto delle pietre, forse dei muri, ma niente di più. State perdendo tempo. –
- Ah…Va be’, grazie lo stesso, - disse Daniele –dato che ormai siamo qui andiamo a dare un’occhiata. – e si avviò verso il bosco.
Il vecchio disse qualcosa sottovoce a Zazzera, che poi disse: - Mio padre dice che sono muretti a secco di quando c’erano le vigne, meglio se tornate indietro. –
Daniele si fermò ridacchiando, ammiccò ad Elena e poi disse: - Guardi, grazie, ma al massimo facciamo una passeggiata. – e andò avanti.
Nicola, arrivato vicino ai due vecchi indicò Daniele e disse: - È un testone, quando si mette in testa qualcosa… - sbirciò in fondo alla buca e chiese: - Ci piantate un albero? –
Fu di nuovo Zazzera, che non era poi così vecchio, a rispondere: - No, ci seppelliamo quei due animali. – e indicò un telo che copriva qualcosa di voluminoso. Nicola domandò se poteva guardare; fecero cenno di sì e sollevò il telo. Vide una pecora e un cinghiale sgozzati, anzi quasi sbranati tra la mascella e la spalla; Anna fuggì, lasciando lì Nicola e Mirko. – Lupi? – chiese Nicola.
- No! – rispose il vecchio.
- Saranno cani inselvatichiti. – disse senza aspettare la risposta – E stanno nel bosco? –
Il vecchio annuì.
- Dovremo stare attenti, soprattutto stanotte. –
- Non potete stare lì di notte! – disse il vecchio e il figlio che aggiunse: - Io ci sono andato venti anni fa, da ragazzino. Credetemi, non è sicuro.-
Nicola si sporse sul bordo della fossa e strinse la mano ai due scavatori dicendo: - Vi ringrazio, ma se non seguiamo quello con la testa a palla di biliardo passiamo dei guai! Staremo attenti. Buona giornata. –
- Buon lavoro e buon giorno! – disse Mirko col suo tono di voce scherzoso, e affrettarono il passo per raggiungere i tre davanti.
Pco prima di entrare nel bosco Nicola e Mirko raggiunsero Elena e Anna che stavano guardando lontano nella valle. – Cercate Brad Pitt? – chiese Nicola.
- Stupido! – disse Elena – Anna ha notato che tutto intorno al bosco, a metà tra il prato curato e la savana, c’è un cerchio di edicole con crocifissi e madonne, tutte rivolte verso l’interno. –
Nicola aguzzò la sua poca vista e vide una ventina di edicole, in uno spicchio che non era neanche un quarto della conca, tutte ben imbiancate di calce e col tetto di coppi nuovi. – Sono gente strana, sono soliti non sposarsi, vivere con le loro sorelle e lasciare i loro beni alla Chiesa; tempo cent’anni e si saranno estinti. –
- E poi come tutti i pastori, quei due si chiavano le pecore! – disse Mirko tutto serio.
Gli altri tre risero e Elena disse: - Che schifo! – poi lui spiegò: - Guardate che è vero, lo fanno tutti i pastori nelle fredde notti sui monti! Se no come lo spiegate che Zazzera ha buttato un ramo di rose nella fossa, prima di seppellire quelle bestie? –
- Rose? – chiese Nicola – E dove le ha prese? –
- Quelle rose selvatiche, come si chiamano… rose canine! È pieno là fuori, sembrano quasi siepi. –
Nicola annuì e guardò verso il prato e i due che scavavano, poi seguì in silenzio nel bosco i suoi compagni.
Dopo cinque minuti di cammino ritrovarono Daniele, fermo a guardare nel bosco alla sua destra.
Mirko si sedette su una pietra e gridò: - Ehi Daniele, non è che ci hai portati qui per dei muretti a secco? –
- No! –
- E come fai a esserne sicuro? E soprattutto, quei due, il vecchio e il Richard Gere dei poveri, pensi che siano scemi? –
- Non sono scemi, evidentemente il bosco è loro e temono l’esproprio. –
- E in base a cosa dovrebbero espropriare il terreno, in base alle tue idee? – chiese Mirko.
- No! – rispose – In base alla strada su cui stiamo camminando e a ciò che la affianca. –
I quattro affrettarono il passo per raggiungerlo e si accorsero subito che il sentiero era cambiato. Era pieno di foglie secche e di cespugli, ma si vedevano benissimo i grossi lastroni di calcare tipici di una strada romana e il marciapiede da un lato, fatto delle stesse pietre. Rimasero senza parole arrivando vicino a Daniele e vedendo ciò che lui stava osservando già da un po’.
In mezzo al bosco, a un paio di metri dalla dalla strada, sorgeva un piccolo edificio pressoché cubico, con una porta di pietra e adorno di marmi decorati e modanati. Sul davanti un’epigrafe diceva che lì giaceva “ Decimo Popilio Rufo, che aveva vissuto 56 anni, duoviro della città di Augusta Victrix, tribuno comandante d’ala nella campagna dacica, uccisore di Decebalo, decorato personalmente dall’imperatore Traiano, benefattore della città, la cui tomba era stata costruita per lui e per i suoi discendenti su terreno donato dall’ordine dei Decurioni della colonia Augusta victrix nel 13° anno di regno dell’imperatore Adriano.”
Rimasero per un attimo in silenzio e si guardarono intorno vedendo spuntare qua e là nel bosco decine di stele e cippi, poi Nicola si avvicinò a Daniele, gli diede una pacca sulla spalla e disse: - Complimenti spilungone, hai appena scoperto una città tutta tua! – poi sbatté forte le mani e disse: - Su ciurma, io oggi a mezzogiorno vorrei mangiarmi un panino seduto nel Foro di questa maledetta città! – e si avviò fischiettando tra le tombe, seguito dagli altri.