giovedì 11 ottobre 2012

Voci. 1.

Questo è un altro mio scarabocchio, l'ho scritto nel 2005. La pubblicazione durerà sette puntate.

VOCI

“Tuttavia, prima di arrivare al verso finale, aveva già compreso che non sarebbe mai più uscito da quella stanza, perché era previsto che la città degli specchi (o degli specchietti) sarebbe stata spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini nell’istante in cui Aureliano Babilonia avesse terminato di decifrare le pergamene, e che tutto quello che vi era scritto era irripetibile da sempre e per sempre, perché le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra.”
Gabriel Garcìa Màrquez. “ Cent’anni di solitudine.”


I
Dove i nostri eroi si addentrano in una terra inesplorata e trovano ciò che cercavano.

Faceva male. Il paesaggio era così bello da fare male. Uscendo dal paese arroccato sulla collina, camminarono sulla sterrata che scendeva sull’altro lato del crinale. Lì la temperatura era più bassa di uno o due gradi e il vento aveva cambiato direzione.
Erano entrati in un vasto anfiteatro di colline, le cui creste più lontane apparivano azzurrine a una trentina di chilometri. Nell’ampia conca sorgevano delle collinette boscose di un verde smeraldo visto poche volte.
Il sentiero percorrevano scendeva serpeggiando in un’ampia fascia di campi coltivati a grano ed erba medica, seguiti da prati ora ripidi ora pianeggianti la cui erba era increspata di onde dal vento fresco e costante.
In questi campi, fino a dove l’occhio riusciva a spingersi, mandrie e greggi brucavano l’erba in un continuo scampanellio.
Camminarono per una buona ora addentrandosi sempre più in basso nella conca, vedendo ora dove cominciavano le colline e il bosco, formato di alberi alti e folti.
Il bosco distava da loro sette o ottocento metri, e il sentiero tagliava campi curati e verdi e, dopo due edicole poste ai suoi lati, una fascia di campi cespugliosi con rari alberi che sembrava la savana.
Intorno a loro decine di pecore brucavano calme, guardandoli con i loro occhi ottusi.
- Ehi, Nick, tu che sei spocchioso, ce l’hai una qualche idea sull’origine di ‘sto posto? –
- A parte che mi chiamo Nicola e che se mi chiami ancora Nick ti strappo le palle e te le faccio mangiare, caro dottor Greene, le possibilità sono queste: casualità, caldera vulcanica o caduta di un asteroide. –
Daniele, che odiava essere chiamato come il personaggio di ER cui assomigliava per l’altezza e la testa pelata, rispose: - Una caldera vulcanica in Liguria? Ma ti sei bevuto il cervello? E l’altra poi, l’asteroide … Tu bevi troppo! –
- E allora è una pura casualità, come quella che ci ha portato qui. –
Anna, Elena e Mirko risero a questa battuta e Daniele sbottò: - Ma non lo volete capire che stiamo per fare la scoperta archeologica del secolo, una città romana abbandonata e mai più ritrovata? –
“ Come il tuo cervello!” pensò Nicola. – Guarda che siamo venuti qua solo perché ce lo ha chiesto la professoressa Musatti, perché nessuno di noi ha ancora capito perché lì – e indicò le colline di fronte a loro – dovrebbe esserci questa famosa città. –
Si fermò e, appoggiatosi al bastone rispose: - Che palle, ve lo ho già spiegato… Strabone dice che a nord di Genua, a metà strada da Libarna, “ giace in una ampia e fertile conca la colonia di Augusta Victrix, costruita su basse colline e ricca di sorgenti. È nota tra i Liguri per l’allevamento di pecore e bovini.” Non vi ricorda qualcosa? –
Nicola sbuffò ed Elena disse: - Ti basi su questo? Non è un po’ poco? –
- Non è poco, se pensi che nei paesi vicini, come Bastia, Serravalle Canneto e San Michele da cui siamo appena passati, questa conca la chiamano l’Augusta. –
- Anche mia zia si chiama Augusta. – disse Nicola – E se anche fosse, che ne fu di questa città? –
Daniele rise e disse: - Non si sa, per Strabone era una cittadina ricca e fiorente, sappiamo che uno degli ufficiali che riuscirono quasi a catturare Decebalo era il ligure Decimo Popilio rufo di Augusta Victrix, sappiamo da una moneta che Adriano la visitò nel 128 d. C. Poi basta, scomparsa dalla storia. –
- E noi siamo gli scemi che vogliono riportarcela. – disse Mirko facendo ridere tutti. Ripresero a camminare sbuffando sotto il sole ormai caldo essendo le dieci, schiacciati dal peso degli zaini, quando Anna chiese: - Ma se ci fosse una città non dovrebbe saperlo qualcuno? –
- Boh! – disse Daniele – appena arrivati nella savana lo chiediamo a quei due Masai – e indicò le due persone meno simili a dei Masai che avessero mai visto, due vecchietti, uno pelato e con l’aspetto da contadino ligure e l’altro con una ridicola zazzera di capelli bianchi.
- Che stanno facendo? – chiese Daniele.
- Sembra che stiano scavando. – rispose Nicola stringendo gli occhi miopi dietro agli occhiali da sole.
In due o tre minuti li raggiunsero e Daniele alzò una mano per salutarli - Salve! –
I due vecchi risposero a cenni e smisero di scavare guardando i cinque giovani in arrivo.
- Caldo, eh? – disse Daniele - Potrei chiedervi una cosa? –
Col calore tipico delle genti che vivono tra la Liguria e il basso Piemonte i due si guardarono in silenzio e ricominciarono a scavare.
Daniele guardò i suoi compagni che ridacchiavano e tornò all’attacco: - Siamo studenti dell’Università di Genova e pensiamo che in mezzo a quelle colline, ci possano essere le rovine di una città. Ne sapete qualcosa voi? –
Crapapelata non rispose, ma Zazzera li guardò dal fondo della buca e disse: - Quando ci sono andato da ragazzo, ho visto delle pietre, forse dei muri, ma niente di più. State perdendo tempo. –
- Ah…Va be’, grazie lo stesso, - disse Daniele –dato che ormai siamo qui andiamo a dare un’occhiata. – e si avviò verso il bosco.
Il vecchio disse qualcosa sottovoce a Zazzera, che poi disse: - Mio padre dice che sono muretti a secco di quando c’erano le vigne, meglio se tornate indietro. –
Daniele si fermò ridacchiando, ammiccò ad Elena e poi disse: - Guardi, grazie, ma al massimo facciamo una passeggiata. – e andò avanti.
Nicola, arrivato vicino ai due vecchi indicò Daniele e disse: - È un testone, quando si mette in testa qualcosa… - sbirciò in fondo alla buca e chiese: - Ci piantate un albero? –
Fu di nuovo Zazzera, che non era poi così vecchio, a rispondere: - No, ci seppelliamo quei due animali. – e indicò un telo che copriva qualcosa di voluminoso. Nicola domandò se poteva guardare; fecero cenno di sì e sollevò il telo. Vide una pecora e un cinghiale sgozzati, anzi quasi sbranati tra la mascella e la spalla; Anna fuggì, lasciando lì Nicola e Mirko. – Lupi? – chiese Nicola.
- No! – rispose il vecchio.
- Saranno cani inselvatichiti. – disse senza aspettare la risposta – E stanno nel bosco? –
Il vecchio annuì.
- Dovremo stare attenti, soprattutto stanotte. –
- Non potete stare lì di notte! – disse il vecchio e il figlio che aggiunse: - Io ci sono andato venti anni fa, da ragazzino. Credetemi, non è sicuro.-
Nicola si sporse sul bordo della fossa e strinse la mano ai due scavatori dicendo: - Vi ringrazio, ma se non seguiamo quello con la testa a palla di biliardo passiamo dei guai! Staremo attenti. Buona giornata. –
- Buon lavoro e buon giorno! – disse Mirko col suo tono di voce scherzoso, e affrettarono il passo per raggiungere i tre davanti.
Pco prima di entrare nel bosco Nicola e Mirko raggiunsero Elena e Anna che stavano guardando lontano nella valle. – Cercate Brad Pitt? – chiese Nicola.
- Stupido! – disse Elena – Anna ha notato che tutto intorno al bosco, a metà tra il prato curato e la savana, c’è un cerchio di edicole con crocifissi e madonne, tutte rivolte verso l’interno. –
Nicola aguzzò la sua poca vista e vide una ventina di edicole, in uno spicchio che non era neanche un quarto della conca, tutte ben imbiancate di calce e col tetto di coppi nuovi. – Sono gente strana, sono soliti non sposarsi, vivere con le loro sorelle e lasciare i loro beni alla Chiesa; tempo cent’anni e si saranno estinti. –
- E poi come tutti i pastori, quei due si chiavano le pecore! – disse Mirko tutto serio.
Gli altri tre risero e Elena disse: - Che schifo! – poi lui spiegò: - Guardate che è vero, lo fanno tutti i pastori nelle fredde notti sui monti! Se no come lo spiegate che Zazzera ha buttato un ramo di rose nella fossa, prima di seppellire quelle bestie? –
- Rose? – chiese Nicola – E dove le ha prese? –
- Quelle rose selvatiche, come si chiamano… rose canine! È pieno là fuori, sembrano quasi siepi. –
Nicola annuì e guardò verso il prato e i due che scavavano, poi seguì in silenzio nel bosco i suoi compagni.
Dopo cinque minuti di cammino ritrovarono Daniele, fermo a guardare nel bosco alla sua destra.
Mirko si sedette su una pietra e gridò: - Ehi Daniele, non è che ci hai portati qui per dei muretti a secco? –
- No! –
- E come fai a esserne sicuro? E soprattutto, quei due, il vecchio e il Richard Gere dei poveri, pensi che siano scemi? –
- Non sono scemi, evidentemente il bosco è loro e temono l’esproprio. –
- E in base a cosa dovrebbero espropriare il terreno, in base alle tue idee? – chiese Mirko.
- No! – rispose – In base alla strada su cui stiamo camminando e a ciò che la affianca. –
I quattro affrettarono il passo per raggiungerlo e si accorsero subito che il sentiero era cambiato. Era pieno di foglie secche e di cespugli, ma si vedevano benissimo i grossi lastroni di calcare tipici di una strada romana e il marciapiede da un lato, fatto delle stesse pietre. Rimasero senza parole arrivando vicino a Daniele e vedendo ciò che lui stava osservando già da un po’.
In mezzo al bosco, a un paio di metri dalla dalla strada, sorgeva un piccolo edificio pressoché cubico, con una porta di pietra e adorno di marmi decorati e modanati. Sul davanti un’epigrafe diceva che lì giaceva “ Decimo Popilio Rufo, che aveva vissuto 56 anni, duoviro della città di Augusta Victrix, tribuno comandante d’ala nella campagna dacica, uccisore di Decebalo, decorato personalmente dall’imperatore Traiano, benefattore della città, la cui tomba era stata costruita per lui e per i suoi discendenti su terreno donato dall’ordine dei Decurioni della colonia Augusta victrix nel 13° anno di regno dell’imperatore Adriano.”
Rimasero per un attimo in silenzio e si guardarono intorno vedendo spuntare qua e là nel bosco decine di stele e cippi, poi Nicola si avvicinò a Daniele, gli diede una pacca sulla spalla e disse: - Complimenti spilungone, hai appena scoperto una città tutta tua! – poi sbatté forte le mani e disse: - Su ciurma, io oggi a mezzogiorno vorrei mangiarmi un panino seduto nel Foro di questa maledetta città! – e si avviò fischiettando tra le tombe, seguito dagli altri.

Nessun commento:

Posta un commento