sabato 13 ottobre 2012

Voci. 2.

Dove i nostri eroi esplorano la città e fanno tante belle scoperte.

Camminarono per almeno venti minuti sulla via lastricata, incredibilmente in buone condizioni per avere almeno 1800 anni. Sia a destra che a sinistra continuavano a vedere tombe, in buone condizioni o diroccate, fino a che videro di fronte a loro della mura ricoperte di un intonaco rosso, dove i secoli non avevano portato allo scoperto le grosse pietre squadrate.
Le mura, alte almeno 5 metri, si interrompevano sulla strada, dove si trovava una porta tra due torrioni squadrati alti una decina di metri e orlati da merlature erase dalla pioggia e dal vento. Due giganteschi battenti di legno di quercia rinforzato con borchie di bronzo pendevano quasi totalmente marci da cardini che erano ormai grumi di ruggine.
Passarono sbigottiti nell’ampia fessura tra i due battenti e si trovarono di fronte la città.
Rabbrividirono vedendo il cardine massimo che svaniva lontano, tra edifici diroccati o con parti del tetto ancora in piedi. Erba cresceva tra una pietra e l’altra, alberi erano cresciuti dove degli edifici erano crollati e cumuli di macerie sfioravano il marciapiede obbligando a scendere sulla carreggiata, ma, ignorando questi pochi segni di antichità e distruzione, la città sembrava ancora viva, forse solo addormentata.
Camminarono lungo il cardine con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata, incapaci di parlare, saltando da una pietra all’altra, sbirciando nelle porte che, marciti i battenti, si aprivano come bocche di oscure macchine del tempo. Quasi tutti i tetti erano crollati e anche alcuni muri, ma altre volte bastava infilare la testa in una finestra per vedere le travi del tetto sorreggere ancora i tegoloni, i pavimenti in cotto a spina di pesce coperti appena da un velo di polvere e, in qualche caso, mobili tarlati su cui erano ancora posati vasi e oggetti vari.
Si divisero e cominciarono a esplorare vie traverse e edifici, tornando indietro ogni volta con racconti incredibili. Vi erano papiri polverosi appoggiati sui tavoli, letti sfatti, piatti di portata con dentro i semi della frutta che avevano contenuto e, su tavoli, coppe, bottiglie e pani totalmente rinsecchiti, duri come vere e proprie pietre.
Superati una ventina di isolati arrivarono al Foro, che era lastricato con splendide pietre squadrate, appena un po’ sconnesse, ai cui lati si ergevano tra portici adornati di statue in bronzo e in marmo, una basilica, una biblioteca e un tempio dedicato alla triade capitolina.
- Statue in bronzo? – disse all’improvviso Nicola – Ma ne vedo almeno dieci qui intorno, vi rendete conto? –
- E le iscrizioni hanno tutte le lettere di bronzo, non ne avevo mai viste prima. – disse Elena.
- Ma qui … Da quanto tempo non viene nessuno qui? - disse Daniele – Ho trovato delle monete appoggiate sulla strada, e due erano d’oro. –
- Se è per questo in una casa lì sulla destra, - disse Nicola – ho visto addirittura delle finestre coi vetri. Intatti! Qui non c’è venuta neanche una banda di teppistelli a tirare pietre dal 130 d. C., con ben tre paesi nei dintorni e intere generazioni di pastorelli annoiati a un tiro di sputo da qui. –
Anna chiese: - E come fai a sapere che non ci viene nessuno dal 130? –
Nicola si incamminò sulla strada che si apriva alla loro destra e indicò una scritta dipinta in rosso sull’intonaco: - Vuol dire: “Tutti i reduci delle guerre daciche vi dicono di eleggere per la 4a volta come duo viro il nostro illustre concittadino Decimo Popilio Rufo, amico del divo Traiano” e queste scritte venivano cancellate ogni anno. Noi abbiamo visto la sua tomba e vuol dire che in questa città non ci sono più state elezioni dopo la sua morte nel 130. –
- Ma perché cazzo hanno abbandonato la città? – chiese Daniele.
- Vorrei vedere te a sapere di vivere in un cratere meteoritico o in una caldera! – disse Mirko posando a terra lo zaino.
Tutti lo imitarono ridendo e, sedendosi sui gradini davanti a un portico, cominciarono a mangiare i loro panini.

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