venerdì 26 ottobre 2012

Voci. IV.

IV

Dove i nostri eroi esplorano ancora la città senza l’allegria di prima.

Nicola guardò i suoi amici seduti sul lastricato, bianchi in volto e spaventati come bambini. Sapeva di avere la loro stessa espressione e pensò di fare un po’ lo scemo per alleggerire la tensione. Prese dalla tasca la trote, la cazzuolina che usano gli archeologi, e la lanciò in aria riprendendola al volo – Splendido lavoro l’archeologia! – disse con voce tronfia – Non ti pagano un cazzo e ti devi fare un culo così, ma puoi vedere delle belle scene di morte vissuta! –
Risero tutti e cinque senza troppa convinzione, poi Elena chiese: - Chi erano? –
- Romani o Francesi? – aggiunse Daniele.
- Romani! – disse Nicola – Un tizio ha sgozzato gli altri e poi si è suicidato. –
- Ed erano barricati dentro. – aggiunse Mirko – Come gli Ebrei a Masada. –
- Ma quelli preferirono uccidersi piuttosto che diventare schiavi dei Romani! – disse Anna – Questi di chi avevano paura, dei briganti o dei barbari? –
Daniele tossicchiò prima di riuscire a parlare comprensibilmente – Nel 130 qui non c’erano barbari, e i briganti avrebbero rubato tutte le cose preziose, ma qui intorno ho visto monete d’oro e vasellame in argento posati sui tavoli. –
- E i Francesi? – chiese Nicola alzandosi e guardando le creste delle colline che cingevano in un anfiteatro la città.
- Aggrediti da qualcosa. Di certo non hanno vinto. – disse Daniele.
- Aggrediti durante la notte. – disse Nicola – i fucili erano accatastati e i cavalli legati a una colonna al riparo e in terra ho visto una pietra annerita da un fuoco proprio in mezzo ai resti dell’accampamento. –
- Andiamo via! – disse Elena prendendo il coraggio a due mani e mostrando tutta la sua paura – Non voglio stare qui un minuto di più. –
- Sono d’accordo. – disse Anna – Ho troppa paura. –
Nicola e Daniele rimasero in silenzio, ripensando alla pecora e al cinghiale che erano stati praticamente sbranati, ma non volendosi mostrare paurosi, ma Mirko disse: - Qualunque cosa ci fosse qua, non c’è più da secoli, e io non voglio scappare via da una città inesplorata solo perché voi avete paura di non so che! –
Loro guardarono in basso con le braccia incrociate e lui continuò: - Dividiamoci in gruppi e giriamo qua attorno fino alle cinque, poi avremo tre ore buone di sole per tornare in paese. –
Daniele annuì e anche Nicola si era convinto. Quest’ultimo disse alle ragazze: - Dipende da voi, bimbe, se voi volete andiamo via subito, se no andiamo via prima che faccia buio. –
Elena non disse niente e guardò Anna, che chiese: - Promettete che andiamo via, non è che poi volete stare qui? –
Mirko rise, Daniele scosse la testa sorridendo e Nicola disse: - Non passerei la notte nella città fantasma neanche pagato. –
Ammucchiarono tutte le loro cose sotto al portico, tra le statue di Tito e di Ve-spasiano, poi, presi con sé gli zainetti con le cose indispensabili, si divisero in gruppi per esplorare la città. Mirko e Elena andarono a nord, Anna, Daniele e Ni-cola a sud, promettendosi di ritrovarsi lì alle cinque.
Mirko e Elena camminarono senza dire una sola parola per cinque o sei minuti, lui davanti fischiettando e saltellando da una pietra all’altra, lei una decina di passi indietro continuando a schiacciare tutti i tasti del cellulare.
- Non c’è campo? – chiese lui stando in equilibrio su una sottile colonnina posta davanti alla porta di una casa.
- No. A casa saranno preoccupati. –
- Non c’è più stata ricezione da quando abbiamo scavalcato la cresta e siamo entrati nella megacasseruola. –
Elena rise e poi disse: - Perché sei così allegro? - Mirko saltò giù a piè pari e le disse, indicando con un cenno la città intorno a loro: - Sono un archeologo e sono in una città di duemila anni fa praticamente intatta! –
- Mi spaventa. – disse lei – Non è naturale che sia rimasta così. –
Mirko rise, le appoggiò un braccio sulle spalle e disse: - Pensavi di trovare gli abitanti? –
- Scemo! –
- Allora avresti preferito trovare una distesa di terra coperta di arbusti e pun-teggiata da casolari abitati da contadini puzzolenti e armati di fucile come Dinamite Bla? –
- Sì! Sarebbe stato più naturale di questo cimitero onorario a cielo aperto. Questa non è una città, è una distesa di tombe vuote. E poi puzza! –
- Puzza? – chiese lui.
- Sì. Non so come fai a non sentirlo. – disse lei arricciando il naso – Questo posto puzza più di una fogna. –
- Ottimo! – disse lui dandole una pacca sulla schiena – Sono venuto di qui proprio per cercare la fogna. –
- E che sei, scemo? – disse lei sgranando gli occhi – Con tutta una città a tua disposizione tu vai a cercare un merdaio? –
Mirko si incamminò e disse: - È per la mia tesi. –
- Ma se la fai sui riusi medievali! – disse raggiungendolo a passo veloce.
- Ne ho parlato con la prof. – disse – Ho deciso di cambiarla un mese fa. – e si lanciò di corsa al centro della strada in cui si stavano immettendo, seguito da Ele-na che proprio non voleva trovarsi da sola tra quei ruderi vuoti.
- Eccola! – disse lui accucciandosi e spostando con grande fatica una pietra quadrata. Al di sotto si apriva un pozzo quadrato largo circa mezzo metro, di cui non si vedeva il fondo. Vi infilò la testa e urlò: - Eccomi, sono arrivato! –
L’eco rispose ripetendo una o due volte – ATOOOO – mentre anche Elena si accucciava coprendosi il naso e la bocca con la mano. – Qui c’è ancora più puzza. – disse – Ma cos’è, pieno di topi morti? –
- È una fogna, - disse lui tirando su la testa – tutta la sporcizia della città finisce qui quando piove. Magari ci sono finiti anche gli abitanti. –
Elena rabbrividì e si alzò. Mirko guardò ancora nel pozzetto buio ridendo e, quando si voltò per dirle qualcosa vide che si era allontanata e si trovava di fronte alla porta di un grosso edificio in buone condizioni di conservazione.
- È quello che penso io? – chiese lei indicando un fallo di pietra che sporgeva dal muro.
- Sì. È il bordello, il casino, il postribolo. – disse lui ridendo – Qui c’era pieno di donnine allegre. –
Arrivato al suo fianco appoggiò la mano sulla porta di legno marcio e disse: - È permesso? Giuro che non siamo perditempo! – Sorridendo entrarono e, dopo una piccola stanza, imboccarono un corridoio su cui davano molte porte, ognuna chiusa un tempo da una tenda, di cui qualche brandello pendeva ancora qua e là. Sopra le porta dei riquadri ad affresco indicavano la specialità della ragazza che lavorava nel cubicolo. Guardarono ridendo quel variegato campionario di posizioni sessuali e, quando Elena si avvicinò a un riquadro tentando di capire cosa stesse succedendo in quell’intrico di membra, Mirko le cinse le spalle col braccio e le chiese: - Questo tu lo hai mai fatto? –
- Ma sei scemo? – disse lei scostandosi.
- E perché? Non ci sarebbe nulla di male. –
Mirko entrò in una delle stanzette e si sedette sul letto, un pagliericcio polveroso e smangiucchiato poggiato su un gradino in mattoni. – Sono circa 1800 anni che nessuno scopa più qui. – disse battendo la mano sul pagliericcio.
- Ciò non toglie che ti sei seduto sulla paglia più lurida del mondo. – disse Elena – Non penso che lo cambiassero spesso quello schifo. –
Mirko si guardava attorno felice e meravigliato, come se si fosse trovato in una stanza affrescata e piena di specchi e cristalli e non in una topaia cui 1800 anni di abbandono non avevano tolto del tutto la puzza di sperma e sudore. – Tu avresti fatto furore qui! – disse.
- Sarebbe un complimento? –
- Non senti le voci di chi è stato qui? – disse guardandola in modo strano - So-no ancora qui e ci parlano. –
Elena aveva la pelle d’oca e voleva solo tornare all’aperto, dove il sole, già basso sull’orizzonte, avrebbe dissolto quell’atmosfera fetida, e poi via da quell’orribile cratere dove una città non era morta del tutto e forse, come diceva Mirko, delle voci sussurravano ancora oscenità alle loro orecchie.
- Li senti? – disse ancora lui – Li senti ora? Ci stanno dicendo che è tardi per noi. È la stessa città a dirci che abbiamo solo quest’ultima possibilità. Vieni qui, vivi con me finché possiamo, facciamo l’amore su questo orrendo materasso fino a che verrà la notte e il tempo di questa città sarà tutt’uno col nostro. –
Forse era vero, era inutile opporsi, o almeno le pareva che così avesse detto un pensiero nella sua testa, e già le sue mani stavano sollevando la sua maglietta, quando vide il sole ancora più basso e capì che erano quasi le cinque. – Tu sei pazzo! – disse e infilò il corridoio per uscire.
- Vieni! – le urlò afferrandole il braccio – Torna qui e scoperemo per sempre! –
- Ma neanche morta! – urlò divincolandosi e fuggendo fuori, al sole. Si guardò i segni rossi sul braccio, mi verranno i lividi pensò, spaventata da quelle voci che stupidamente aveva pensato di sentire là dentro.
Mirko uscì anche lui e chiuse gli occhi abbagliato dal sole. – Scusami. – le disse, poi guardò l’orologio e aggiunse: - Manca un quarto alle cinque, forse c’è ancora tempo. –
Lei lo guardò incredula per quello che il timido Mirko, il ragazzo dolce e as-sennato che tutti volevano come amico, aveva appena fatto, e per quello che forse era stato sul punto di fare. Lo vide avvicinarsi al pozzetto della fogna e forse non fu troppo stupita quando lui disse: - Forse puoi ancora fare in tempo. – e saltò giù.

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