martedì 11 settembre 2012

Capitolo 58, (Epilogo) I Perdenti.

LVIII

Kasia Kowalsky stava seduta sulla sua sedia mentre la truccatrice le dava del fondo tinta per nascondere i due nei che aveva sulla guancia sinistra. Chissà perché, ma se una modella deve fare delle foto, non deve avere nei. Tutti hanno nei, cazzo, e non erano nei enormi, irregolari e pelosi, da strega, ma due piccoli e vezzosi puntini color caffè. Forse che una qualunque casalinga del mondo non avrebbe comprato gli slippini alla brasiliana che lei doveva indossare nelle prossime foto solo perché lei sulla guancia aveva due minuscoli puntini color caffè?
Certo che ultimamente era proprio di umore nero. Negli ultimi tre giorni aveva già avuto quattro attacchi di asma, voleva dire che era proprio in crisi.
- Hai dormito poco, Kasia? – le chiese la truccatrice, una cinquantenne tirata come l’arco di Robin Hood che pensava di sembrare una ventenne e sembrava invece una cinquantenne tirata come l’arco di Robin Hood.
- Stanotte niente, Miriam, niente di niente. –
- Vacci piano, con quella roba. – le disse la donna sorridendo.
E dajete! Pensò Kasia. Sono una modella, non ho dormito, ergo mi sono fatta di cocaina. Lei al massimo si faceva le canne, e manco spesso. L’ultima se l’era fatta quando era a casa con Richie e aveva avuto visioni che le avevano causato un sacco di incubi.
- Mi mancava il mio ragazzo. – disse Kasia, e poi pensò che ci voleva un bel po’ di fantasia per chiamarlo ragazzo. Aveva trentasei anni più di lei, cazzo, ma gli voleva un gran bene.
In realtà quella notte non è che non aveva proprio dormito per niente. Solo che quando si era addormentata, aveva sempre avuto incubi su Richie. Richie nel buio, Richie insieme a quei suoi strambi amici, Richie che teneva la mano allo scrittore che era coricato per terra, addirittura Richie che combatteva con un mostro, però il mostro non riusciva proprio a focalizzarlo.
E così continuava a svegliarsi, cazzo, le era successo quattro volte la notte prima.
E poi c’era l’altra cosa. Aveva avuto un ritardo, roba di pochi giorni, niente da segnalare, ma per quei due o tre giorni aveva pensato di poter essere incinta di Richie. E, come si può dire, ci aveva messo un po’ il cuore su questa idea.
Quando poi le erano venute, non è che avesse tirato il sospiro di sollievo che si era aspettata. Anzi. Aveva pianto, aveva pianto un bel po’ a dire il vero.
E aveva incominciato a immaginarsi con Richie e un loro figlio, come sarebbe stato essere mamma, avere qualcuno da abbracciare quando aveva paura, qualcuno che ti ama in un modo totale, qualcuno per cui sei la cosa più importante.
Lei e Richie, madre e padre. Una coppia tremendamente assortita a dire il vero, ma tant’è l’idea le era entrata in testa e … aveva provato a chiamarlo, ma non era raggiungibile. Neanche il suo agente ne sapeva più nulla, scomparso nel nulla insieme ai suoi amici, lo scrittore, l’architetto con la moglie, il poliziotto col braccio al collo e la dottoressa sexy.
E così Kasia aveva continuato a lavorare, in Toscana, sulle Alpi, in un albergo a Portofino, dovunque il pubblicitario avesse immaginato che sarebbe stato bello fotografarla con tre o quattro centimetri quadrati di pizzo e seta a coprirle le vergogne.
Ora la stavano pettinando, lunghi capelli setosi con riflessi da notte stellata. Il parrucchiere ci stava andando giù pesante con la lacca, roba da riaprire il buco dell’ozono, pensò distrattamente, mentre intorno alla sua cabina si andava assembrando un po’ di gente.
Le foto le avrebbe fatte in piazza, in mezzo a una piazza a Roma con indosso solo reggiseno, di pizzo, tanga, di pizzo, e autoreggenti nere. Roba da scappare via, in piazza davanti a una chiesa, che poi nella foto si sarebbe intravista sì e no una colonna, ma vuoi mettere scrivere “location Piazza del Pantheon”, si vende molto di più.
E mentre la stavano pettinando, sentì esplodere nel cervello una parola. RICHIE! pensò tutto il suo cervello nello stesso momento, come un urlo dentro alla scatola cranica. Senza neanche sapere cosa stesse facendo, con addosso solo la sofisticata lingerie e un accappatoio di stoffa bianca, uscì camminando sulle scarpe dagli altissimi tacchi che erano state scelte per il servizio. Non vide neanche le persone che la fissavano, i ragazzetti che si davano gomitate ammiccando, perché sentiva solo che doveva andare verso l’enorme colonnato del Pantheon.
E quando fu ai piedi dei gradini vecchi di quasi duemila anni sentì un suono, come un piccolo botto all’interno. Come se qualcosa fosse atterrato proprio al centro dell’enorme tempio.
“È Richie.” pensò e sorrise, perché sapeva che era vero. Continuò a camminare salendo i gradini e passò a passo veloce ma calmo tra le enormi colonne, mentre il fotografo e i truccatori la chiamavano senza riuscire a distrarla dal suo compito.
Poggiò le mani sul portone alto come una casa e questo si aprì senza alcuno sforzo, e vide l’interno del tempio, l’enorme rotonda illuminata dal cerchio di cielo in cima alla cupola.
E al centro, proprio sotto al foro nel tetto, Richie e i suoi amici. Lo scrittore non c’era, ma al suo posto c’era un bambino biondo magro come un’acciuga malata.
I sei si guardavano intorno stupiti, in evidente stato di shock, incapaci di accorgersi della sua presenza. A guardarli bene sembrava che non fossero neanche del tutto lì, perché per un brevissimo istante le sembrò di vedere attraverso i loro corpi.
E poi furono lì, del tutto, sentiva il loro respiro ansimante, la puzza del loro sudore e della polvere schifosa che ricopriva i loro vestiti infangati e insanguinati. Camminò verso di loro, guardandoli come avrebbe potuto guardare degli alieni, perché quello le erano sembrati per un poco.
Arrivò vicino a loro e loro la guardarono come non capendo bene dove e quando fossero, poi il bambino cominciò a respirare a fatica, risucchiando l’aria con un sibilo che lei conosceva benissimo.
- Eds. – disse Richie al piccolo, poi lo prese in braccio e andò verso di lei. – Non respira, Kasia.- disse con un’espressione stralunata, come quella di chi è appena scampato a un disastro e non si rende ancora conto di essere in salvo. – Eddie non respira. –
- Ci penso io, Richie. – disse lei vedendo la preoccupazione di un padre nel viso di Richie, si infilò la mano nella tasca dell’accappatoio e ne tirò fuori un inalatore. – Ci penso io, caro. – ripeté e infilò il piccolo aggeggio tra le labbra ormai bluastre del bambino. Spruzzò la medicina e vide il bimbo, Eddie si chiama pensò, lo vide riprendere a respirare, riprendere colore, e lo vide rilassarsi tra le braccia di Richie mentre anche gli altri si alzavano. E andavano da loro.
- Sei tornato, Richie! – disse piangendo Kasia, poi lo abbracciò stringendo a sé anche il piccolo Eddie che la guardava con amore infinito. Li abbracciò tutti e due, nell’enorme magia di quell’antico tempio in cui Ben li aveva portati.

FINE

Ringraziamenti.

Vorrei ringraziare tutte le persone grazie a cui ho scritto questo pseudo romanzo.
Per primo Stephen King. Naturalmente. Senza di lui non esisterebbe, perché i personaggi erano già perfettamente descritti e non è stata una grande fatica farli andare avanti.
Poi The Ego, l’ideatore di questo gruppo anobiano dei lettori di King, perché avrebbe potuto benissimo dirmi di smetterla di scrivere una cosa che non c’entrava nulla con un gruppo di appassionati di King, e non lo ha fatto. Insieme a lui vorrei ringraziare anche tutti quelli che non avranno gradito per niente quel messaggio quotidiano: “una nuova risposta a il mio omaggio a It” e non mi hanno mai mandato a pascolare. Grazie per la vostra pazienza.
E poi, soprattutto, grazie a tutti i miei lettori, quelli che si sono palesati e quelli che non lo hanno fatto. Però, se permettete, il mio grazie va soprattutto ai primi, perché se non fosse stato per loro, non sarei mai andato oltre al primo capitolo. Spero di elencarli tutti:
Mirca
B Rosy57
Dr. Russell (Sol)
Wfm 83
Giox
Cardenio
AnotherEmpire
Sevy
Strampamolly
Mad Max Rockatansky
Gargaros
Zetetes
Paolopanda
Jewel85
Snoopina.

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