sabato 2 febbraio 2013

LA CASA SULLA COLLINA.

XXXIX.

5

Franco.

- E così non aveva la minima idea di quello che avrebbe trovato quassù? –
L’uomo scosse la testa con quello sguardo un po’ allucinato che Franco aveva visto già tante volte, quattro anni prima sulla sua faccia in un piccolo specchio nella Stazione Spaziale. Lo sguardo di chi sta tentando di venire a patti con quello che ha visto, perché quello che ha visto non rientra minimamente nel novero del possibile, proprio no, come se entrando in una camera uno vi trovasse il proprio cane che legge la Bibbia annotandola di sua zampa nei passaggi più importanti. – No. per niente. Sapevo che c’era qualcosa, ma … - e con un movimento della mano indicò l’ambiente allo stesso tempo avveniristico e antico che li contornava. - … questo davvero no. io mi immaginavo qualcosa di losco, sapevo cosa vuol dire questo anello. – e indicò l’anello d’oro che portava vicino a una normale vera.
- Io pensavo che i portatori dell’anello … - disse Franco.
- Dovessero seguire gli Elfi al di là del mare? – gli chiese l’uomo sorridendo.
- Colpito e affondato! – e brindarono scoppiando a ridere – Io pensavo che chi porta quell’anello facesse parte di un’elite di privilegiati. Ecco … -
- Che è quello che avevo capito anche io. – si guardò intorno tentando di capire quanto fossero distanti dagli altri. Franco pensò che le persone non avrebbero potuto sentirli, ma quanto agli alieni, non aveva la minima idea di quanto lontano arrivasse il loro orecchio telepatico. Sperava che non arrivasse fino a loro e anche che il simpatico ultramiliardario non se ne preoccupasse. E infatti Filippo continuò: - Era l’anello di mio padre, questo, e io glielo ho sempre visto portare pensando che significasse qualcosa. Poi, quando lui è morto una decina di anni fa, l’ho indossato e … non dovrei parlarne a chi non ne indossa uno … va be’! … Quel collega di mio padre che le ho detto prima, mi ha portato a una riunione con alcune persone … -
- Massoni? – gli chiese Franco.
- Sì. Anzi … no. Non lo so. Penso che siano, anzi, siamo, collegati con la massoneria, ma siamo come massoni dei massoni. Abbiamo i nostri riti, le nostre logge, le nostre parole segrete … -
- E le vostre strette di mano? –
- Anche. – disse Filippo e deglutì, si sentiva colpevole, e insicuro.
- E, se posso chiedertelo, che cosa fate? –
Filippo si guardò di nuovo intorno, nessuno li ascoltava, parlavano tutti del più e del meno, ma per gli alieni, con quelle facce da manichini, Franco non sapeva che pensare. Gli fece cenno di continuare e Filippo disse: - Parliamo, ci confrontiamo, prendiamo decisioni. –
- Decisioni su? –
- Decisioni. – gli rispose Filippo. Poi si guardò di nuovo alle spalle e gli disse, a voce molto bassa: - Ma tu non puoi sapere che gente c’è lì, tutti quelli che contano. Ma se ho capito bene, e oggi ne ho avuto la prova, io sono come un novizio e non mi hanno mai detto quasi nulla. –
- Wow! –
- E sì. Anche se … -
- Cosa? –
- Ho paura. Io non ho scelto di fare parte di ‘sta cosa, credimi, mi ci sono trovato. E non mi piace per niente. –
- Come me. Io volevo solo volare nello spazio per arrivare fino là dove nessun uomo è mai giunto prima, e invece mi sono ritrovato a fare l’aiutante di questi cosetti odiosi. –
- Anche a te fanno paura? – gli chiese Filippo?
- Sì. – gli rispose Franco – Anche perché ho scoperto una cosa … -
- Cosa? –
- Sono già stati sulla terra, credimi, ho visto una loro base, ma non ci hanno mai detto di esserci stati. E la base se ne sta lì, sotto gli occhi di tutti, a Genova. È incredibile. –
- E come sarebbe questa base? – gli chiese Filippo a cui si erano illuminati gli occhi. Franco vedendo quell’espressione ricordò il giorno di Natale del 1987. Era stato il giorno in cui suo fratello Damiano aveva capito che quello che portava i regali era papà e non babbo Natale. Aveva visto in quegli occhi la delusione, la disillusione, e insieme la soddisfazione per avere capito l’inganno. L’uomo che aveva davanti aveva appena capito che Babbo Natale non esisteva.
- Quella che ho visto io è esattamente come questa, una specie di enorme piramide, solo che è ricoperta di case e sulla cima c’è … -
- Una villa. – lo interruppe Filippo. – Una grande villa che ha sostituito una antica chiesa. Chiesa che a sua volta aveva preso il posto di un tempio. –
- L’hai vista anche tu? –
- Sì. – rispose semplicemente Filippo, fece un’espressione strana, simile a quella che aveva Jim Carrey in “the Truman show” quando toccava letteralmente il cielo con la sua mano. – Sì. – ripeté Filippo.
E allora franco aggiunse: - E c’è anche un’altra cosa. Una mia amica mi ha detto che suo fratello, un geologo, aveva scoperto qualcosa sotto terra, qualcosa di simile a un’astronave, ma enorme, e … -
- E … - disse Filippo.
- L’intero cantiere è esploso. Sono morti tutti. –
- Il cantiere per le scorie radioattive? – gli chiese Filippo.
- Penso di sì. –
- Ci lavora una azienda che mi appartiene. – sorrise con una faccia per nulla allegra e poi ripeté come per stamparselo bene in testa: - Ci lavora un’azienda che mi appartiene. –
Franco stava per dire qualcosa, non sapeva neanche lui cosa, quando un uomo anziano e estremamente elegante arrivò a passo veloce e chiamò Filippo appoggiandogli una mano sulla spalla. All’anulare di quella mano brillava un anello uguale a quello di Filippo. – dobbiamo andare, Filippo. – gli disse.
- Va bene, Ettore. – si alzò e gli indicò Franco – Questo è Franco Rondanini., un astronauta. –
- Lo conosco. – disse Ettore sorridendo, ed era uno di quei sorrisi che sembrano paciosi e belli, ma che a guardarli con un po’ più di attenzione, nascondono un’arma letale. – Il signor Rondanini ci è stato molto utile negli ultimi quattro anni. –
E così si diedero la mano e si salutarono. E Franco andò verso la sua stanza a dormire. Quella notte, perché all’interno della struttura venivano simulate le ventiquattro ore terrestri, quella notte dicevo avrebbe tentato di scoprirne di più su quei misteriosi alieni e sui loro inquietanti aiutanti terrestri.
E avrebbe scoperto molte cose, anche se non nel modo che sperava.

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