venerdì 1 febbraio 2013

LA CASA SULLA COLLINA.

XXXVIII.

4

Filippo.

Il suo ufficio non era grande, non in proporzione alla ricchezza e potenza della sua azienda, ma era luminoso. E soprattutto aveva il più bel panorama che si potesse immaginare, il mare e, sulla sinistra, la città di Genova. In piedi, appoggiato col fondoschiena alla sua scrivania, guardava il panorama con dei fogli in mano. Lontano, a poche miglia dalla costa, una tromba d’aria scendeva dal cielo grigio a un mare ancora più grigio, mentre pochi coraggiosi gabbiani compivano le loro evoluzioni lì vicino al porto.
- Mi hai chiamato, Filippo? – gli chiese Ettore Rossi, che stava lì in azienda già da molti anni quando lui aveva preso il posto di suo padre dopo essersi tagliato i capelli. Per tutto il primo periodo che aveva passato lì, quello in cui lui aveva fatto esperienza mentre la potenza della sua azienda, già grande, esplodeva fino a diventare enorme, era stato in realtà Ettore a comandare. A volte gli sembrava che questo succedesse anche adesso, e quella era proprio una di quelle giornate in cui quell’impressione era più forte.
- Sì, Ettore. Belli questi progetti. – disse senza staccare lo sguardo dalla tromba d’aria che adesso si stava allungando incurvandosi sulla destra. Presto si sarebbe allungata tanto da sfilacciarsi e tornare ad essere una normale nuvola.
- Costerà un po’ il primo, ma se lo costruiamo avremo praticamente in mano tutti i voli intercontinentali. – disse Ettore.
- E il secondo, dovrebbe fruttare un bel po’ anche lui, no? – la tromba d’aria stava sparendo adesso, come un sogno al mattino, quando gli pareva quasi di essere ancora in giro per il mondo con …
- Il nuovo procedimento di fracking? –
- Sì, quello. Abbiamo già comprato molti terreni adatti, no? –
- Sì. –
- Petrolio per i prossimi cinquant’anni. –
- Tutto nostro, diventerai più ricco del re dell’Arabia Saudita. –
Filippo ripensò alla sua infanzia, alla neve che cadeva nel giardino di casa e al pupazzo che aveva fatto a cinque anni. E alle estati al mare con mamma. Ore e ore a giocare con la sabbia e poi, tre ore dopo il pranzo, giù in acqua, a tentare di prendere i pesci. Neanche sapeva di essere ricco allora.
- Allora ti piacciono? – gli chiese Ettore.
Mezzo euro di croccantini a Kevin, pranzo e cena con cinque euro, quindici euro alla settimana alla lavanderia, quando non lavava in un fiume. Ecco la ricchezza che lo aveva reso felice, altro che tutto l’oro nero d’Arabia. Si rese conto che gli aveva fatto una domanda, si scosse vedendo che là dove un attimo prima c’era stata la tromba d’aria un raggio di sole scendeva obliquo sul mare stile ira di Dio. Gli aveva chiesto se … - Sì. Ottimi progetti. – il raggio di sole si spostava veloce sul mare, e il mare luccicava come un diamante sotto al sole.
- Ettore … Posso farti una domanda? –
- Certo. –
- Da dove vengono questi progetti? – e adesso si era girato a guardarlo.
- Dal nostro centro ricerche, dalle università che sovvenzioniamo. Spendiamo centinaia di milioni in ricerca, lo sai. –
- Ettore. – sorrise – Questo anello che io porto, lo porti anche tu. E anche se tu sei su un livello molto più alto del mio, non sono così scemo da non capire che ci sono cose che non mi vengono dette. –
- Filippo, ma non sono su un livello più alto! –
- Ettore, non credermi così scemo. Ho visto che la stretta di mano che usi è diversa dalla mia. E ho visto che gli altri iniziati fanno solo finta di guardare me, ma in realtà aspettano un tuo cenno. –
- Filippo, tuo padre … -
- È morto. Mio padre è morto una decina di anni fa. E io mi sono messo il suo anello. –
- Ecco … - disse Ettore, ma ora era lui a non guardarlo negli occhi, sembrava che stesse guardando i gabbiani. – Hai ragione, Filippo. Ci sono cose che non sai. –
- Da dove vengono questi progetti? Da dove vengono tutti i progetti che ci hanno fatto arricchire così in fretta e così enormemente? –
Ettore non gli rispose, sorrise e disse: - Mi concedi un attimo? Devo chiedere una cosa a una persona. –
- Abbiamo tutti uno più in alto di noi, eh? –
- Sì, Filippo. Torno subito. – e uscì dall’ufficio. Il mare era più scuro adesso, e il sole non passava più come una lama tra le nuvole. Lontano, a ovest, una colonna di pioggia scendeva sull’acqua scura. Ancora più indietro, alla fonda sulla linea dell’orizzonte, una petroliera aspettava come lui delle notizie.
- Filippo, eccomi. – gli disse Ettore entrando, sembrava agitato, e non lo aveva mai visto agitato. –
- E allora? – gli chiese sedendosi sulla sedia con la gamba destra accavallata in quella posa che a Carla aveva tanto ricordato Michael Corleone.
- Ricordi il tuo giuramento? –
- Certo, Ettore. Eri vicino a me quando l’ho pronunciato. Nessuna delle cose che vedrò, udirò e farò mentre sarò dove mi porterà questo anello uscirà mai dalla mia bocca se non perché voluto da questo anello. –
- E poi? –
- Che la morte mi possa portare via ai miei cari se mancherò a questo giuramento. – disse Filippo sbuffando.
- Sono parole sacre, Filippo, tuo padre le ha dette prima di te e il suo prima di lui. E così via fino all’origine dei tempi. –
- Me lo hai già detto Ettore, anni fa quando mi hai portato alla mia prima riunione. –
- Non fa mai male dare un ripassino, Filippo. –
- E come ti ho già detto pochi istanti fa, e allora? – e indicò i fogli poggiati sulla scrivania. –
- Chiama a casa e avverti che devi partire per lavoro. Torneremo domani. –
- Dove si va? – gli chiese sorridendo.
- Te avverti a casa. Sarà una sorpresa. –
Dopo che ebbe parlato con Aisha e l’ebbe avvertita, solite cose oltre quello, come va, come non va, come sta Alessandro, ti amo, mi manchi, ci vediamo domani, seguì Ettore sul tetto, dove l’elicottero dell’azienda li aspettava con la pale già in moto.
- Ci si va volando? –
Ettore sorrise e disse: - E sì! Ci si va volando. – e gli batté una mano sulla spalla – Ci si va proprio volando, a conoscere i soci di tuo padre. Sarà proprio un bel volo. –

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