venerdì 10 dicembre 2021

La Maledizione del Tartaro. II

 E, dopo qualcosa come sei anni scarsi, arriva il secondo capitolo della quarta avventura del nostro gigante Nubiano.

Rimanete in attesa per il seguito, ho una mezza idea su come far finire il tutto.

La Maledizione del Tartaro. II.


L’alba illuminò lentamente le cose che lo aspettavano. Erano stati uomini, donne e bambini, ma non lo erano più. Cadaveri ambulanti, ecco cos’erano, cadaveri ambulanti e affamati. Camminavano in tondo barcollando come ubriachi e alzavano le braccia scheletriche verso di lui, che era totalmente fuori dalla loro portata, agitando le loro dita rattrappite e mordendo l’aria tra un sibilo e l’altro. Erano dodici, bassi ed esili, molti di loro portavano ancora traccia delle ferite che li avevano uccisi e ad alcuni di loro mancavano interi arti. Uno di loro, un maschio che sembrava essere morto da non troppo tempo, indossava ancora dei vestiti putridi che avrebbe potuto utilizzare per scaldarsi in quella mattina fredda e ventosa; saltò giù dall’albero e, a forza di pugni e calci abbatté una decina di quei cosi, un altro lo decapitò e, alla fine, affrontò quello grosso e ancora vestito, stando attento a non rovinare quel poco che indossava. Tempo pochi minuti e li aveva eliminati tutti e aveva trovato da coprirsi. Ora doveva solo muoversi e scoprire cosa avesse creato quelle cose, come eliminarle e se esistesse ancora qualcuno di vivo in quella terra.

Camminò in quella mattina fredda in mezzo a lande desolate e abbandonate, campi coltivati lasciati alle erbacce, villaggi bruciati e semi diroccati e, soprattutto, torme di cadaveri ambulanti che si aggiravano con il loro passo lento e ciondolante in ogni luogo, quando non erano costretti dall’assenza di arti a strisciare in mezzo all’erba alta. Ne uccise più che poteva e, quando erano troppi, scappò. Arrivò a al momento in cui il sole era alto nel cielo prima di vedere qualcuno vivo. Una donna e un bambino, fuggivano da dei morti che li inseguivano. La donna, uno scricciolo alta sì e no come mezzo Okaka, era ferita e trascinava una gamba. Sul polpaccio spiccava un morso umano. Il bambino sembrava sano. Okaka saltò giù dalla roccia su cui era salito e, con un robusto bastone che si era procurato divellendolo da una staccionata, l'arma migliore per abbattere quei morti viventi come aveva scoperto nelle ultime ore, fece strame di quell'orda di mostri in meno di sette respiri. La donna strisciò verso di lui parlando in una strana e incomprensibile lingua, per quanto il gigante di ebano parlasse cento lingue, sempre altre cento ancora più incomprensibili erano quelle che gli parlavano le genti che incontrava, gli diede il bambino che sembrava prossimo alla morte per sete, fame e fatica. Okaka la rassicurò prendendo il bambino e guardò senza troppe cerimonie la gamba della donna. L'infezione era risalita oltre al ginocchio e neri fili di morte risalivano sotto pelle fino allo sterno e alle braccia. Un occhio era iniettato di sangue. Guardò prima i morti e poi la gamba di lei e lei annuì. Disse una parola senza senso per lui, la ripeté e indicò il bimbo ripetendola per la terza volta. “Sì, il bambino.” disse lui annuendo e sfiorando la testa sporca del cucciolo con fare paterno. Lei annuì e sorrise, poi, poggiata la mano sul bastone, se lo poggiò sulla testa annuendo. “Sì.” disse il gigante e, veloce e delicato, le evitò senza dolore di divenire uno di quei mostri. Altri stavano arrivando, lontani tra gli alberi o nell'erba alta, ma aveva il tempo di raccogliere un po' d'acqua dal pozzo per il bambino. Vicino c'era una collina e vi salì sopra, vedendo, a non più di due ore di cammino, un villaggio circondato da una palizzata. Un filo di fumo saliva da una capanna, un filo regolare, da focolare, non il risultato di un incendio. Raccolto un frutto e datone metà al bimbo che lo mangiò come un piccolo animale affamato, si preparò alla corsa che lo aspettava. Un uomo che avesse passato quello che aveva passato lui in mare e in terra nelle ultime ore si sarebbe accasciato in terra senza forze, ma lui era Okaka del Mare dei Mostri e la fatica non lo aveva mai preoccupato. Partì di corsa e, tranne un paio di volte che fu costretto a fermarsi per sfondare il cranio a due piccoli gruppi di cadaveri rianimati, riuscì ad evitarli grazie alla sua velocità e alla furtività sviluppata nei suoi anni lontani anni da ladruncolo a Kaunia, la città di pietra sul mare che ricordava con una specie di crescente nostalgia.

Arrivato alla palizzata che circondava il villaggio fu fatto entrare da tre guerrieri armati di lance che esaminarono i corpi suoi e del bambino con cura che sarebbe sembrata eccessiva a chiunque tranne che a chi fosse stato inseguito da un morto vivente. Poi, rivestiti con dei panni puliti, furono portati davanti a uno stregone che offrì loro del povero cibo, pannocchie e carne secca e che raccontò, a gesti e con poche parole kainuane che conosceva, come da una settimana la loro isola fosse stata invasa dal morbo della morte famelica.

Come è successo?” gli chiese il nubiano rosicchiando l'ultimo pezzo di durissima carne secca che aveva il sapore di una mummia del Kitai.

Il nostro cantore aveva perso la sua sposa annegata in mare e ha vegliato il suo corpo per giorni, poi ha detto che avrebbe commosso gli Dei dell'Oltretomba con la sua musica per farla tornare indietro e si è infilato in un cunicolo che sorge sul fianco della montagna di fuoco che torreggia sui nostri villaggi.”

Avrebbe commosso gli Dei dell'Oltretomba con la sua musica?” chiese incredulo il gigante nubiano e l'uomo annuì. “È tornato sei giorni dopo …” disse il vecchio stregone “... e, con l'aspetto di un vecchio morente e lo sguardo folle, ha baciato il corpo della sua donna che avevamo conservato nella camera dell'affumicazione. Quando l'ha baciata sulla bocca lei si è rialzata e ha morsicato lui e due guerrieri.

Da allora la cosa si è diffusa come una lebbra e solo con enorme fatica e sacrifici abbiamo salvato, per ora, il nostro villaggio.”

Ha detto qualcosa, lo stolto, prima di morire o … trasformarsi?”

il vecchio annuì e disse: “Ha detto che a causa sua gli Inferi sono nel caos e che, quando i morti non possono più essere contenuti negli Inferi, camminano tra i vivi.”

Okaka annuì in silenzio e finì la sua coppa di latte fermentato. Rimase in silenzio ripensando a quello che aveva saputo e poi si alzò. “Vado a dormire fino a domani, e poi andrò a riparare il danno fatto da quel folle.”


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