mercoledì 28 ottobre 2015

Gli Dei di Dagshepan. 2.

Seconda puntata della nuova e super pulp avventura del gigante nubiano Okaka. Vi ricordo che il nome il protagonista lo aveva avuto in onore del giocatore della Samp, ora nella Samp non c'è più, ma mica potevo cambiargli il nome in Muriel, no? Buona lettura!

2

Gli dissero in seguito che era rimasto privo di sensi per tre giorni, ma quando esaminò le sue ferite si rese conto che un uomo normale sarebbe semplicemente morto nelle sue condizioni. Presto una nuova cicatrice rosta avrebbe percorso il suo enorme petto color dell’ebano, ma oramai da anni aveva smesso di contarle.
Comunque passarono alcuni giorni prima che riuscisse ad alzarsi in piedi, e fu forse una decina di giorni dopo il suo arrivo che uscì dalla capanna delle brave persone che lo avevano accolto e curato.
Per un paio di giorni fece una vita da vecchietto, a letto fino a tardi e poi a letto preso la sera, un passeggiata con un bastone al pomeriggio e un bel po’ di tempo seduto a guardare il mondo che si muoveva intorno a lui. Fu strano per un essere che era più azione che altro come lui, ma fu anche interessante.
La gente che abitava in quella enorme pianura era la più strana che avesse mai incontrato, e aveva avuto a che fare con uomini scimmia cannibali una vota su un’isola nel Mare dei Mostri, ma questi li battevano di un bel po’. L’ultima volta che aveva misurato la sua altezza, e aveva solo 14 anni all’epoca, era alto sette piedi. Solo una volta aveva incontrato un uomo più alto di lui, ed era un povero disgraziato che sembrava tenuto in piedi dai vestiti e che si appendeva miseramente ad un bastone per non cadere quando c’era una bava di vento.
Qui a Dagshepan, questo era il nome del loro paese, almeno la metà degli uomini era più alta di lui e il più basso che aveva incontrato era alto solo un paio di dita meno di sei piedi e mezzo. E le donne? Le donne erano alte almeno sei piedi, tutte, e un paio erano alte esattamente come lui. Erano tutti grandi e grossi, con spalle larghe e, le donne, fianchi robusti e seni enormi. Gli uomini coltivavano la terra senza dei buoi che tirassero l’aratro, perché erano loro a tirarlo. Ecco, quegli uomini erano effettivamente forti come dei buoi.
Ogni donna aveva almeno un paio di figli, sembravano esserci solo coppie di gemelli, ma di solito ogni donna sembrava avere almeno tre coppie di figli, e tutti i bambini erano cicciottelli e alti per la loro età.
La pianura era totalmente coltivata a frumento, legumi e verdure e la terra sembrava la più grassa e fertile che mai fosse stata zappata da mani umane. Tutto intorno alla radura stava la foresta infestata da quei mostri e nulla, non un muro e nemmeno una palizzata, separava quella terra benedetta dall’abbondanza da quell’oscura selva da cui arrivavano ringhi e fischi così acuti da perforare le nubi. A difesa di Dagshepan non c’erano fortificazioni, fossati o soldati, no, c’erano solo quegli enormi animali bianchi alla cui famigli apparteneva l’essere che lo aveva trovato prima che perdesse i sensi.
Sembravano essere una versione bianca, buona e pacioccona, di quegli esseri spaventosi che abitavano nella foresta, una specie di uccello predatore alto circa dieci piedi, dal muso simile a quello di un coccodrillo e con delle dita artigliate molto robuste sulle ali. Venivano chiamati Critton e giravano per tutto il giorno avanti e indietro, controllando la foresta e correndo là dove si era sentito un verso di un loro simile non addomesticato, si coricavano nei momenti di calma a prendere il sole lungo i sentieri e lasciavano che i bambini giocassero salendo addosso alle loro groppe. Erano come degli enormi cagnoloni, solo più brutti.
Già alla seconda giornata di passeggiate e riposini sulla panchina il gigante nubiano aveva capito alcune cose. Quelle persone erano forti ma lente, buone e gentili ma irrimediabilmente stupide, e avevano una stranissima composizione riguardo alla popolazione.
Si era accorto quasi subito che non c’erano vecchi. I più anziani sembravano avere quarant’anni o giù di lì, ed erano donne che avevano ancora i figli da allattare. Gli uomini adulti erano pochi, forse un quarto delle donne e le famiglie erano formate invariabilmente da un marito e quattro mogli. I bambini erano maschi e femmine, metà e meta come è naturale,e così era fino ai diciassettenni, ma dai diciotto anni in poi tre quarti dei maschi sparivano.
Fu solo quando si era ormai ripreso quasi del tutto che capì la cosa che gli ronzava in testa da un po’. Fu quando sentì un urlo agghiacciante arrivare dal bosco a non più di mezzo migliaio di passi da lui. Conosceva quel verso, la bestia che lui aveva ferito a morte aveva gridato proprio così. Dopo l’urlo della bestia morente aveva sentito una risata che conosceva bene, la risata cristallina di Leka. Appena la risata arrivò al suo orecchio un terzetto di animali corse facendo tremare la terra nella direzione del grido. “Sembrano cani da pastore che hanno sentito un lupo.” pensò e di colpo si rese conto che tra sé e sé aveva già paragonato gli uomini del posto a dei buoi e le donne, grandi, prosperose e sempre intente ad allattare dei figli ciccioni, a delle vacche. Dagshepan, quella terra benedetta dall’abbondanza, era un allevamento. Quegli animali, i critton, erano messi a guardia del gregge da un padrone che poi, di questo gregge, doveva in qualche modo nutrirsi. E la cosa doveva andare avanti da un bel po’, considerando come quegli umani fossero stati selezionati per bene per diventare ottime e mansuete bestie da carne.
Il padrone, il mangiatore di carne umana, doveva evidentemente vivere sulla montagna che sorgeva al centro della pianura e la cui cima, dove sorgeva secondo i suoi ospiti la sacra e inavvicinabile fortezza di Qasrdag-nor sempre nascosta dalle nubi in tempesta.
Secondo quella povera gente là vivevano gli dei Bou-si, quelli che avevano salvato, innumerevoli generazioni prima, i loro antenati che si erano persi nella foresta venendo decimati dai mostri, e là, presso gli dei, andavano ogni trimestre i prescelti, giovani uomini e persone in là con gli anni, per godere in eterno delle gioie del Paradiso.
Là, su quel monte perso tra le nubi, sarebbe presto salito anche lui, perché voleva proprio incontrare questi famosi Bou-si e i loro sacerdoti che, secondo i suoi amici, sarebbero arrivati tra loro di lì a un mese.

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