sabato 23 gennaio 2021

Il Terno.

 La mia cara amica Marina ha fatto l'errore di raccontarmi un suo incubo, mangia leggero alla sera, Mari', e la mia ispirazione ormai quasi defunta si è risvegliata portano a queste cinque paginette. 

Grazie Marina, scrivere per me è un piacere ormai sempre più raro, e questo lo devo a te.

Buona lettura!

Il Terno.


Appoggiando le borse a terra Mari pensò per l'ennesima volta che chi aveva progettato quelle porte doveva essere o un genio o un solenne idiota, e lei in vita sua non aveva mai incontrato alcun genio. Che servisse la chiave per aprire la porta dall'esterno, qui siamo d'accordo tutti, ma perché ci voleva anche dall'interno? Ma ci voleva tanto a metterci una cacchio di manopola da girare? E invece no, doveva poggiare le borse, prima o poi doveva comprarsi quella macchinetta israeliana per fare l'acqua frizzante in casa, non poteva tutte le volte fare la salita dal supermercato con il peso di 4 bottiglie di acqua frizzante, e comunque, poggiate le borse doveva prendere le chiavi nella borsa, pareva che c'avessero le gambette quelle piccole dentute dispettose che andavano sempre a nascondersi in fondo, tra il pacchetto semivuoto dei fazzoletti di carta e le due monetine di rame che amoreggiavano ormai da una anno e mezzo con le caramelle alla menta. Infilò la grossa chiave la cui comoda impugnatura di gomma nera si stava consumando e diede due giri. La porta si bloccò del tutto divenendo un blocco unico col muro. “Fanculo ladri!” disse riprendendo le borse e andando in cucina attraverso il lungo corridoio senza finestre che era sempre buio come una navata di una chiesa in un convento di suore di clausura depresse.

Entrò in cucina e guardò il sole che tingeva il cielo di rosso là a ovest dietro al ponte e rimase per qualche istante rapita dal colore delle nubi che passavano dal rosso all'arancio e poi, impercettibilmente al grigio ferro. “Però il gelato si fonde, magari” borbottò tra sé e sé e infilò la vaschetta di limone e fragola nel piccolo spazio rimasto nel freezer da sbrinare, ormai da sei mesi.

Infilò nella credenza i pacchi di spaghetti e mezze penne, mise l'olio nello sportello in alto e rimase per un istante immobile. Cosa aveva visto? Si guardò intorno senza riuscire a capire … niente. Le merendine nello sportello in basso, sotto al lavello il detersivo per piatti e il lavaincera, le spugnette nuove, blu invece che verdi, una botta di vita, e l'infame acqua frizzante che le aveva disarticolato le spalle dal supermercato a casa. Prese le quattro bottiglie tra le braccia e camminò nel corridoio verso l'armadio nell'entrata che usava a mo' di dispensa. Lo aprì e infilò le bottiglie a destra della bottiglia di Cola e vicino alla scatola di panettone che stava lentamente sbocconcellando da quasi quindici giorni. Ancora un po' e avrebbe fatto la muffa, mannaggia alla sua tendenza a ingrassare, una volta non era così, una volta... sigaretta, in cucina c'era odore di sigaretta e l'ultimo che aveva fumato lì era stato l'imbianchino due anni prima. Deglutì mentre le sue braccia si ricoprivano di pelle d'oca e ricordò chiaramente il cilindretto di cenere nel lavabo … qualcuno aveva fumato e aveva buttato la cenere dimenticandosi di far scorrere l'acqua. Non aveva chiuso le grate alla finestra della cucina e qualcuno … qualcuno era in casa, se aveva sentito bene, uno starnuto soffocato con le mani sul volto, ma qualcuno aveva starnutito in camera. Si appoggiò al muro mentre il suo cuore cominciava a battere così forte da arrossarle il volto e coprire i rumori, qualcuno aveva spostato un piede. E ora, sì, una parola a mezza bocca, sottovoce, ma in camera c'erano due uomini, almeno due uomini. Vicino a lei c'era la porta, ma le chiavi erano in cucina, nella borsa appoggiata sul tavolo vicino alla confezione di uova. Da un cassetto del suo cervello saltò fuori senza alcuna ragione l'immagine di uova che saltavano fuori dal contenitore cuocendo sul tavolo … Zul! La mente è una scimmia, di tutto poteva avere bisogno in quel momento meno che di ricordare un esilarante film di quando era bambina, non doveva pensare a Zul, a Gozer e al Mastro di Chiavi, no, doveva solo arrivare alla sua borsa dove c'erano le chiavi e il cellulare, doveva fare i dodici metri fino alla cucina, maledetto appartamento lungo e stretto, entrare, prendere la borsa e poi, velocemente, correre fino all'entrata e uscire... sì, poteva farcela, ma solo se quei due, forse due, uomini non avevano interesse a fermarla. Perché se invece volevano … le sfuggì un mugolio disperato e guardò la porta. Senza chiavi era come un pezzo di muro, inutile pensare di aprirla. Intanto era sempre più buio ed era andata lì senza accendere la luce, avendo le braccia occupate da tutte quelle bottiglie d'acqua.

Sì, doveva andare in cucina, ma prima … un'arma, qualcosa con cui difendersi, solo che … e se … cosa aveva comprato per sua madre per portargliela su la prossima volta che sarebbe tornata su in Liguria? Un'accetta. Sì, era nel salotto, lì accanto a lei, nel mobiletto del televisore, non aveva trovato nessun altro posto e ora era lì.

Sei passi fino al corridoio, svolta a destra, altri sei o sette passi fino al mobiletto del televisore e poi … dieci o quindici secondi, e poi … riaprì l'armadio e prese una bottiglia d'acqua. Dubitava fortemente che si potesse nuocere a qualcuno con una bottiglia di plastica con dentro un litro e mezzo d'acqua frizzante, ma meglio che niente. Andò a passo veloce ma tranquillo, che fino a quel momento in effetti non le avevano fatto niente, forse si erano nascosti più spaventati di lei, topi d'appartamento che dovevano temere come la peste la presenza nella casa svaligiata del derubato per non finire dal comodo reato di furto alla ben più grave rapina aggravata; svoltò in corridoio e poi in sala ed entrò con ostentata nonchalance dirigendosi al mobiletto. Era buio ormai, solo un tenue grigiore arrivava dalla finestra che dava a ovest, ma anche il cielo ormai era grigio sempre più scuro. Aprì l'anta del mobiletto e vide il manico di legno levigato e duro. Ma che se ne faceva mamma di un'accetta, dei del cielo, a settantacinque anni voleva l'accetta per il giardino. Afferrò il manico e cadde. Sì, fu inaspettato, e più che cadere fu lanciata in terra. Picchiò malamente con lo zigomo destro e l'occhio le si riempì di lacrime. Si voltò e vide l'uomo che si ergeva su di lei, da terra le sembrava alto come il soffitto, uno scimmione di tre metri i cui lineamenti sparivano nel buio. Anche se a dire il vero le parve che nemmeno le avesse i lineamenti. Però aveva un coltello, nel buio la lunga lama luccicava riflettendo la fioca luce della finestra. Lui si abbassò dicendo qualcosa che lei non capì, la prese per la spalla, la sollevò e le tirò un pugno spaventoso in faccia. Tutto divenne rosso e luminoso, tutto le girò intorno e poi si sentì mancare mentre il dolore del labbro rotto sugli incisivi e del naso pesto le invadevano la mente. Aveva la bottiglia, senza nemmeno sapere cosa stava facendo gliela diede sulla parte sinistra del volto e lui, stupito più che colpito, la mollò. Cadde di schiena sul pavimento sentendo un dolore alla spina dorsale che la svegliò. Approfittò di uno dei pochi punti deboli del corpo maschile rispetto a quello femminile nella lotta, senza perdere tempo a pensare. Gli piantò entrambi i piedi nelle palle con tutta la sua forza e, con un grugnito simile al muggito di una vacca al macello, l'uomo cadde in ginocchio davanti a lei. Senza rialzarsi gli piantò i piedi sul volto sentendo con chiarezza, e inaspettato piacere, il naso dell'omone che si piegava innaturalmente. Si rialzò e per un attimo si fermò mentre afferrava l'accetta che stava lì vicino ai suoi piedi. Sì o no? Voleva farlo davvero? Poi sentì i passi degli altri due e, con tutta la sua forza, piantò la lama in mezzo alla schiena dell'uomo che tentava di rialzarsi. Il sangue le schizzò in faccia, caldo e col suo odore di rame, colpì di nuovo, per sicurezza, e guardò con calma curiosità l'uomo che stramazzava prono al suolo muovendo le braccia e le gambe con lentezza. Il sangue si stava allargando sul pavimento, nero nel buio ormai quasi totale.

Avrebbe avuto tempo in futuro per sentirsi male per quello che aveva appena fatto, ad essere molto fortunata, per ora fu felice. Si lanciò nel corridoio e vide due uomini grossi come il colosso che moriva rantolando sul pavimento del suo salotto che le si lanciavano addosso dalla porta della sua camera con dei coltelli in pugno. Non la presero perché cadde, aveva esagerato col lava incera sulle piastrelle di gres lucido e scivolò malamente picchiando nel muro, ma le braccia dell'assalitore si chiusero nel nulla sopra alla sua testa. Gattonò velocemente e diede un calcio nel ginocchio dell'uomo rialzandosi. Lui piombò a terra con un grido acuto e ridicolo e lei guadagnò l'entrata della cucina, si sbatté la porta alle spalle e, con le mani viscide di sangue, afferrò le chiavi dalla borsa e se le ficcò in tasca. Li sentì correre verso la porta ed ebbe un'idea. Sotto al lavabo, sì, grazie a dio aveva vissuto a Genova e amava il pesto. Prese il mortaio di marmo, 4 chiletti buoni di marmo massiccio, e aspettò che il primo entrasse. Anche lui senza volto nel buio, solo massa e violenza. Lanciò il mortaio e lo colpì alla faccia, il rumore fu uno schiocco spaventoso, che la deliziò. L'uomo rovinò a terra come un palazzo demolito con le cariche esplosive, facendo inciampare il suo compagno. Mentre tentava di rialzarsi, le spalle larghe come un culturista sfatto dagli anabolizzanti, lei gli calò l'accetta con tutte le sue forze. Un'altra doccia di sangue, che schifo, e, per sicurezza, un doppio colpo, come diceva il saggio Columbus. L'altro si alzò a fatica, il volto invisibile per il buio e il sangue che lo lordava, solo gli occhi visibili nel buio come due fari terrorizzati. Si voltò e fece per tornare nel corridoio e lei, oramai totalmente fuori di sé, lo colpì nel mezzo della schiena, dividendogli a metà la spina dorsale. La lama rimase incastrata nelle ossa spaccate e lui se la portò via nei due passi che riuscì a fare, e nella schiena rimase anche quando cadde a terra di faccia, senza nemmeno alzare le braccia per proteggersi dalla caduta. In tre erano entrati e tre ne aveva uccisi.

Terno secco sulla ruota di Roma.” disse ridacchiando mentre si sedeva sulla sua sedia a tavola, guardando quella massa di membra morte che intasavano la porta. “Chissà quanto ho vinto!” disse ancora ridendo e spaventandosi per quella voce e per quella risata che non sembravano affatto sue.

Rimase seduta lì al buio ancora un bel po', aspettando di svegliarsi da quell'incubo orrendo, sperando di svegliarsi da quell'incubo.

FINE


Nessun commento:

Posta un commento