venerdì 11 ottobre 2024

Vivere e morire a Coruscant. (episodio IV).

 Finisce l'avventura di Riyo/Morgan e di Rex/Raider.

Essendo un noir non è previsto il lieto fine, ma il vecchio romanticone che sta nascosto in me ha voluto metterci una piccola gocciolina di miele. 

Buona lettura!


«Sveglia, Riyo, svegliati. Dobbiamo andare!» le stava dicendo lui scuotendole la spalla.

«Cosa? Come…» ci mise alcuni istanti per capire dove era e chi era. E, purtroppo, ricordò anche la notte appena passata, quel momento a lungo sognato e diventato un incubo. Perché, perché doveva perdere tutto? «Hai trovato la donna misteriosa?» gli chiese alzandosi e andando in bagno con indosso solo mutandine e canottiera.

«No. È un’altra cosa, ma ti farà piacere.» le disse indossando dei vestiti assolutamente comuni e una felpa con cappuccio.

Lei si lavò in fretta e dopo una decina di minuti erano per strada. Presero la navetta di Rex e andarono a uno dei livelli inferiori, in un vicolo. Lì c’era un clone che li aspettava e che fece un cenno con la testa verso una porta.

Rex rispose con un cenno della mano e poi le disse: «Quando stavamo portando via il tuo “corpo” dal carcere un inserviente … diciamo che ha mancato pesantemente di rispetto a te, ai morti e… a noi cloni. Diciamo che sta per avere un incidente.»

«Cosa mi ha fatto?»

«Non è meglio se questo non te lo dico?»

«Sto per vederti massacrare di botte uno sconosciuto, preferirei sapere perché.» gli disse con voce fredda.

Rex alzò lo sguardo e inspirò, poi sbuffò. Parlò velocemente, senza guardarla. «Ha fatto degli apprezzamenti sul tuo corpo guardandolo a lungo, ti ha strizzato un seno e, dicendo che eri una senatrice molto soda, ha detto che ti avrebbe dato molto volentieri una bottarella. Contenta?»

«No.» gli rispose ancora più fredda. «Per niente, ma preferisco saperlo.»

Dopo pochi minuti, l’uomo uscì e l’altro clone lo seguì in silenzio, poi, vicino alla navetta di Rex, lo prese alle spalle e gli bloccò le braccia. Rex. Con il cappuccio calato in testa, scese dal mezzo e lo aggredì con una decina di pugni all’addome e al mento. Poi l’altro mollò il poveretto che crollò a terra come uno straccio bagnato. Riyo, scesa anche lei, si avvicinò e guardò quell’uomo. «Che mano ha usato?»

«Cosa?»

«Con che mano mi ha strizzato la tetta?» e la sua voce era quasi una lama tagliente.

«La sinistra.»

Lei girò intorno all’uomo che si lamentava penosamente e gli calò il tacco sulle dita con tutta la sua forza. Il rumore di ossa sbriciolate fu sia soddisfacente che agghiacciante. Poi camminò ancora intorno all’uomo che, raggomitolato, si stringeva, piangendo, la mano martoriata e gli diede un calcio fortissimo nei genitali. Il rantolio dell’uomo fu quasi musica, un accordo del diavolo, ma sempre musica. Guardò Rex e disse, sottovoce: «Una bottarella.»

Rex strinse la mano all’altro clone e risalirono sulla navetta per tornare all’appartamento in attesa dei filmati. Riyo era fredda, lontana.

«Ti piace quello che stai diventando?» chiese all’improvviso, guardando la distesa infinita di palazzi davanti a sé.

«In che senso?» le chiese lui che aveva notato che era diversa.

«Eri un soldato, eri un capitano. Ora cosa sei? Un giustiziere? Mi sei sembrato quasi un mafioso, con il tuo picciotto che ti ha aiutato a punire l’infame che ti aveva mancato di rispetto.»

«Siamo in guerra.» le rispose lui.

Lei non disse nulla, continuò a guardare davanti a sé, poi fece un sorriso che era quasi una smorfia. «La guerra c’è già stata, e l’abbiamo persa. Il Lato Oscuro non ha vinto perché un Sith è l’Imperatore e i Jedi sono estinti, il Lato Oscuro ha vinto perché anche noi ne siamo ormai impregnati. La paura, la disperazione, la rabbia… la vendetta, la vendetta è la via del Lato Oscuro, dicevano i Jedi, e noi ci sguazziamo dentro.»

Rex la guardò e annuì.

Lei continuò «Non pensi mai che combattere una guerra già persa sia inutile? Vuoi davvero sconfiggere l’Impero salvando un clone alla volta? Nel momento in cui te diventi quello che ha appena massacrato un poveraccio e io voglio sputare sul cadavere di chi mi ha tolto tutto, l’Impero non ha già stravinto?»

«È un modo di vedere le cose, sì.» le disse lui.

«Non pensi mai di andare via da tutta questa morte, da tutto questo orrore, abbandonare questo pianeta che sembra una distesa infinita di mastodontiche lapidi a andare a strappare quel po’ di vita e di luce che ti è rimasta?»

Lui ci pensò un attimo. Poi disse: «Due miei fratelli sono andati via. Sono su un pianeta che avevano visitato durante la guerra, è una specie di deserto. Cacciano degli enormi animali simili a vermi, che sono straordinariamente buoni da mangiare. Vivono così, da soli, cacciando. Senza nessuno che gli dica cosa fare e senza nessuno per cui preoccuparsi. Era da un po’ che accarezzavo l’idea di raggiungerli.»

«E ora non ci pensi più?»

Lui la guardò e le rispose: «Ora ho trovato te.»

Lei lo guardò con un sorriso triste, gli accarezzò la guancia e disse: «Morgan è solo una maschera, Rex. E non so più cosa ci sia nascosto dietro.»

Erano arrivati, in silenzio salirono al minuscolo appartamentino e furono troppo occupati a guardare ore di filmati per parlare ancora.

 

«Eccola!» disse all’improvviso Riyo indicando una donna che passava in strada e che si infilava in un vicolo. Da quel vicolo era passato, circa nello stesso momento, anche il professore che si era fatto esplodere. Rex andò a vedere l’ologramma, dopo ore gli sembravano tutti uguali, e la guardò con attenzione. Umana, o forse una Mirialana, aveva dei tatuaggi sugli zigomi e, per quanto si poteva capire dall’ologramma traslucido e azzurrino, la sua pelle poteva essere sicuramente di una qualche tonalità di verde. Sembrava avere un occhio artificiale e una ferita sulla fronte.

«Dici che è lei?»

«Guarda qua.» gli disse e selezionò sul visore un altro filmato. Era l’immagine di una decina di minuti prima che lei si infilasse nel negozio di scarpe, il vicolo dove si apriva la porta del magazzino, una Mirialana con un occhio finto che si infilava nel vicolo.

«Quindi era entrata prima di te.»

«Evidentemente mi aveva già incantata, o ipnotizzata, prima. Lei è entrata e ha aspettato che arrivassi.»

«Sì. Può essere, ma potrebbe essere un caso.»

«Come ti ho già detto, non sei un granché come investigatore, Rex. Guardala bene quando cammina. Fai attenzione… ecco. Visto? Hai visto?»

«Zoppica. Zoppica dalla gamba destra.»

«Esatto! E ora guarda questo, è un filmato del parco dove l’ufficiale era andato a correre la mattina che ha ammazzato i cloni alla partita. Guarda la donna che mangia un gelato… Ora!»

Rex guardò la figura in secondo piano, una donna alta e magra, impossibile essere più precisi, lontana com’era, ma … zoppicava, zoppicava dalla gamba destra. E la silhouette… sì, senza dubbio. Sorrise a Riyo e le diede una spinta alla spalla, poi riportò il proiettore alla prima immagine. Ingrandì il volto, lo ingrandì ancora, poi lo rimpicciolì perché l’immagine cominciava a sgranarsi.  «Ersz’Beth … qualcosa, Ersz’Beth Shalwin, sì, Ersz’Beth Shalwin, una Jedi.»

«Cosa?»

«L’ho vista una volta mentre parlava con generale Skywalker, ne sono sicuro. Era una Maestra Jedi ed aveva un padawan, anche lui Mirialano, un ragazzino di dodici anni.»

Riyo guardò la donna stringendo la mano così forte da sbiancare le nocche. «Era sfregiata, quando l’avevi vista?»

«Non era sfregiata e non zoppicava.»

«E ora sappiamo cosa ha contro i cloni.» disse Riyo, poi, a voce bassa e con un tono gelido da far male, aggiunse «La stronza.»

Prima che potessero decidere come utilizzare questa loro scoperta, arrivò un messaggio urgente a Rex. Veniva dalla sua rete clandestina di cloni, diffusa in tutti i gangli dell’Impero. Ascoltò il messaggio e poi si voltò verso Riyo, era terrorizzato.

«Cosa c’è?» gli chiese sentendo un gelo correrle lungo la schiena. Spaventare quell’uomo era davvero difficile.

«Stamattina è scomparsa Halle Burtoni, la senatrice kaminoana.»

«Una delle poche rimaste del popolo che vi ha creato, quella che faceva di tutto perché il Senato foraggiasse la vostra produzione di massa.»

«Esatto. Ma, prima di eclissarsi e sparire, è entrata in un laboratorio e ha rubato delle provette di un’arma sperimentale.»

«Che tipo di arma?»

«Una tossina manipolabile, chi ha dato l’allarme ha detto che può essere regolata per colpire chi ha caratteristiche comuni, parti di DNA, origini geografiche… Se venisse calibrata sulla Burtoni, che è nata e cresciuta su Kamino, quella tossina, liberata in aria, potrebbe uccidere migliaia di persone nate e cresciute nello stesso luogo.»

«Cioè i cloni.» disse Riyo. Poi, guardando fuori dalla finestra, disse: «Domani è festa, stasera il 79 sarà pienissimo. Potrebbero esserci anche un paio di migliaia di cloni là intorno.»

Rex guardò il locale, chiuso a quell’ora e simile ad un magazzino, poi picchiò il pugno contro il muro. «Ti va di andare a ballare, Morgan? Conosco un bel localino qua vicino.»

«Certo, Raider, ne ho una gran voglia. Voglio proprio veder ballare una certa persona.»

 

Dopo sei ore, erano davanti al 79, che avrebbe aperto di lì a cinque minuti. Erano eleganti, una bella coppia, e si sbaciucchiavano su una panchina. Tutti e due facevano finta, ma Rex notava che lei si stava sforzando moltissimo. Cosa diamine era successo tra loro? Dove era finita la Morgan che stonava canzoni d’amore bevendo buon vino, la Morgan che flirtava con lui con la gioia negli occhi, la Morgan che gli aveva strappato i boxer di dosso ridendo gioiosa? Ma non era quello il momento per quel tipo di domande, ora erano in missione.

«Guarda là.» gli disse indicando l’angolo destro della costruzione con un cenno del capo.

Lui guardò con la coda dell’occhio e vide il grugno inconfondibile della senatrice Burtoni, famosa per aver portato a livelli inauditi la bruttezza tipica dei Kaminoani. Era dietro al muro e sbirciava. Controllava quanti cloni stavano arrivando. Il pienone sarebbe stato di lì a un’ora.

«Passiamo dietro.» le disse e si infilarono nel vicolo pieno di casse e scatole vuote dove gli inservienti del locale scaricavano i rifornimenti e i rifiuti. Camminarono in silenzio ed entrambi presero in mano i loro blaster. Svoltarono l’angolo e videro la senatrice Burtoni, in piedi, ferma, con un atteggiamento da zombie. Evidentemente era in attesa di ordini dalla Jedi. Si guardarono e cominciarono ad avvicinarsi all’altissima aliena quando i blaster furono strappati dalle loro mani e volarono in terra ai piedi di una figura incappucciata, poi una Forza inarrestabile li lanciò contro al muro, dove rimasero appesi a un paio di metri d’altezza, incapacitati a muoversi. La figura incappucciata avanzò, si abbassò il cappuccio e li guardò ridendo. «CT-7567, Capitano Rex, per essere morto nell’incidente all’incrociatore Jedi tre anni fa è davvero in ottima forma. E anche lei, Senatrice Chuchi, per essere cadavere da cinque giorni, è davvero meravigliosa. Un po’ … sbiadita, forse.» e di nuovo rise. Si avvicinò loro e li guardò, passando da una all’altro, un sorriso malefico sulle labbra mentre si gustava i loro sforzi, vani, per liberarsi dalla presa dei suoi poteri.

Con un cenno della mano spostò una grossa cassa fin dietro di lei e vi si sedette sopra, poi li guardò e disse: «Volete sapere qualcosa? Volete spiegazioni? Volete far parlare il cattivo per prendere tempo?»

Fu Riyo a parlare, e la sua voce era gelida e affilata come una lama. «I cloni ti hanno sparato addosso, ti hanno azzoppata e sfregiata, e ti vuoi vendicare. Sei sbalordita?»

La Jedi batté le mani lentamente atteggiando il viso in un’espressione sbalordita. «Senatrice Chuchi! No.» con un lieve cenno strinse le spire della Forza intorno al collo di Rex, poco, ma comunque abbastanza per rendergli faticoso respirare. «No. Cioè, sì, mi hanno ferito, ma su certe cose potrei sorvolare, ma il mio padawan … Mohand aveva 12 anni, idolatrava i suoi amici cloni, e gli hanno sparato alla schiena. Alla schiena, a tradimento, e io sono scappata con lui.»

«Mi dispiace.» disse con voce strozzata Rex.

«CT-7567, Capitano Rex, Raider … ti dispiace? Davvero?» e strinse ancora un pochino la presa. Con un sorriso che le allargava gli angoli della bocca, ma che non sfiorava minimamente gli occhi, gli disse: «A me dispiace di più che le sue ferite si siano infettate, che dal secondo giorno abbia cominciato a piangere, che dalla notte del terzo giorno, mentre ci nascondevamo nel bosco, abbia cominciato ad urlare mentre le mosche brulicavano sulla sua schiena, mi dispiace di più che abbia cominciato a delirare e che fosse impossibile calmarlo. Mi dispiace soprattutto di averlo dovuto sopprimere come un animale quando la sofferenza è diventata così forte da farlo impazzire. Sì, clone, mi dispiace davvero.»

«Lo sai che è stato il chip nella loro testa? Lo sai che non potevano ribellarsi, lo sai che lo hanno vissuto come una violenza?»

«Senatrice Chuchi, Riyo … Morgan, lo sai che non me ne frega un cazzo di come lo hanno vissuto? Gli animali pericolosi vanno sterminati, gli esseri nocivi vanno uccisi dal primo all’ultimo, tutti quei cloni e quegli idioti, come te, che li difendono, devono morire.»

«E io? Io ho forse partecipato all’uccisione del tuo padawan?»

«No, Riyo, no. Tu hai solo difeso queste cose uscite da una provetta, tu volevi dare loro dei diritti, tu volevi dare loro una pensione, tu, addirittura, tramavi nell’ombra per salvarli. Ho solo pensato che, se davvero li amavi tanto, avrei potuto fare in modo che anche loro amassero te. Almeno una ventina di loro, in una stessa sera, in ogni singolo stramaledetto orifizio che la natura ti ha dato!» e si mise a sghignazzare battendo le mani come un ragazzino che ha detto una battuta cattiva, ma divertente. Rex si mosse nella morsa del potere della Jedi decaduta e questa strinse la mano schiacciandolo ancora di più contro il muro, «No, no, caro il mio playboy, stai fermo, che ora arrivo anche a te.»

Si voltò verso di lui e, con un cenno, chiuse la bocca a Riyo che non poteva più aprire le labbra o muovere la mascella.

«Devi sapere, CT-7567, o Rex, o Raider, come preferisci chiamare quel lembo di tessuto ingiustamente sviluppato che sei, che i miei piani verso la tua bella erano semplici, farla sbattere per diritto e per traverso dai suoi amati cloni, fargliene uccidere uno e, poi, lasciarla a marcire in una cella.

Poi ho saputo che si era uccisa e, credimi, ho brindato a me stessa, immaginarmela appesa ad un cappio era stupendo. Ma … grazie, devo ringraziarvi, mi avete fatto un regalo. Vi ho visti, vi ho scoperti mentre indagavate. Il redivivo Rex e la rediviva Riyo Chuchi, sotto le mentite spoglie dei fidanzatini Raider e Morgan.

Devi sapere, Rex, che la nostra bella senatrice, nel suo piccolo petto blu, aveva un cuoricino che già da due anni batteva per il bel clone tenebroso che l’aveva salvata. Pensava a te, nelle notti tristi e sole, e poi … l’hai salvata, non aveva più niente, nemmeno la sua faccia, ma tu eri lì.» guardò Riyo e rise sguaiatamente. «Guardala! Guardala che occhi che ha, non vuole che te lo dica, non vuole…

E ti sognava, lì nell’appartamentino che dividevate, sognava il suo Raider, addirittura si era immaginata con in braccio un bimbo dalla pelle celeste e dagli occhi nocciola. Che tenera!

E poi, mentre io ero lì, dietro ad un muro spesso appena dieci centimetri, finalmente, vi siete decisi, ecco la vostra notte d’amore. Non avete idea che fatica ho fatto per non mettermi a sghignazzare così forte da farmi sentire da voi. Finalmente la piccola Chuchi faceva l’amore con il suo Raider…» e la guardò con una faccina fintamente triste, canzonandola e deridendola.

«La sua mente sta gridando, Rex, mi sta implorando di non dirti che regalo le ho fatto, mentre eravate nel pieno del vostro schifoso rapporto. Non vuole che tu lo sappia, che le ho fatto ricordare tutti insieme i rapporti con i tuoi fratelli, come li chiami tu, le ho fatto ricordare quando l’ho stuprata tramite di loro, e così ho reso uno stupro anche quello che facevi tu!» e di nuovo si batté le mani da sola, soddisfatta della sua abilità.

«Sì, Rex. Esatto, quando ti ha detto che aveva avuto un crampo, stava ricordando i 20 stupri che le avevo fatto subire, stava vivendo anche il rapporto con te come uno stupro, ma tu le hai creduto. Piccina, non voleva farti soffrire, voleva che, almeno per te, rimanesse un bel momento.»

Rex, schiacciato contro il muro, con la gola stretta e il respiro affannoso, guardò Riyo con gli occhi sbarrati.

«Lo sai cosa sta pensando? Lo sai Riyo, cosa sta pensando il tuo bello? “Perché non me lo hai detto, perché non mi hai fermato?”» e qui, guardando lei, scoppiò a ridere battendo i pugni sulle sue ginocchia.

«Ma voi siete manna dal cielo, vi adoro!» e guardò Rex. «Lo sai cosa ha pensato? Lo sai qual è la risposta alla tua domanda? Lo sai cosa ha pensato la tua Morgan? “Ma perché tu non lo hai capito? Perché hai continuato?”

Ecco, ecco cosa ha pensato. E l’odio, il risentimento, la delusione, non hai idea, Rex, non hai idea di quanto tu l’abbia delusa credendo a quell’idiozia del crampo.»

Li guardò sorridendo, poi guardò la Kaminoana, che, col suo fare da zombie, l’aveva chiamata.

«Pare che ci sia il pienone. Almeno un paio di migliaia di cloni, e tutti, compreso lui» e indicò Rex a Riyo, «Moriranno tra poco soffocando nel loro stesso sangue.»

Si fermò e guardò Riyo che si stava sforzando. Mosse una mano in aria e le disse «Parla! Dì le ultime parole, prova a convincermi a non fare una strage, fai appello alla filosofia Jedi, fai appello alla mia umanità, implorami per l’uomo che ami!»

Riyo la guardò con disprezzo e le disse: «Tu non sai nemmeno vendicarti, idiota! Se io potessi ucciderti, se potessi farti a pezzi, sapresti che sono stata io a farlo, oh se lo sapresti! L’ultima immagine a registrarsi nei tuoi occhi morenti sarebbe questa, io che ti sputo in faccia. Vuoi ucciderli così, a tradimento, senza nemmeno dirgli che sei stata tu? Sei una codarda, una schifosa e patetica assassina codarda.»

La Jedi la guardò e annuì. «Lo sai che è vero? Ottima idea, grazie, Senatrice.» e fece sollevare in aria tutte le scatole e le casse che erano nel vicolo, facendole poi schiantare al suolo. Dopo pochi istanti le porte di sicurezza si aprirono e qualcosa come duecento o trecento cloni spuntarono nel vicolo con le facce spaventate e incuriosite. La Jedi si voltò verso di loro, facendo intanto alzare alla Senatrice Burtoni una fialetta, pronta a romperla gettandola in terra.

La Jedi guardò i cloni che la fissavano e urlò: «Cloni! Ascoltatemi, sono la Jedi Ersz’Beth Shalwin e sono qui per vendicare il mio piccolo padawan che avete ucciso! Io sto per ammazzarvi tutti!»

I cloni si guardavano interdetti e continuavano a dire uno all’altro «Una Jedi? È una Jedi? Cosa vuole fare?», quando Riyo gonfiò il petto e sconfiggendo il potere dell’assassina, si preparò ad urlare.

Rex, che aveva capito, la guardò implorandola di non farlo, tutto, ma non quello, ma lei urlò con tutta la voce che aveva in corpo: «Eseguite l’ordine 66!»

La Jedi capì, improvvisamente capì, si voltò verso di lei per … non sapeva nemmeno lei per fare cosa, forse stritolarla, forse ucciderle Rex davanti agli occhi, ma i trecento cloni nel vicolo erano già partiti. Alcuni di loro avevano dei blaster, alcuni avevano dei coltelli, tutti avevano braccia forti e pugni poderosi. Le furono addosso in troppi perché il suo potere potesse salvarla, alcuni furono spinti via, alcuni morirono, ma il linciaggio fu inevitabile.

Quando si allontanarono dal corpo, ridotto a una ben misera cosa, mentre la senatrice Burtoni si risvegliava chiedendosi dove fosse e perché avesse una provetta in mano, mentre Rex piangeva con il volto appoggiato al muro, Riyo si avvicinò al corpo. La Jedi rantolava, l’occhio sano ancora aperto. Riyo si fermò su di lei, sorrise, e le sputò addosso.

Sì, il Lato Oscuro aveva proprio vinto su tutto e tutti.

 

Scapparono nel loro appartamento, e poi nel garage delle sorelle Martez. Fecero i bagagli, chiamarono Echo, Echo arrivò per portare Riyo alla sua destinazione definitiva, un piccolo e dimenticato pianeta dell’Orlo Esterno dove nessuno avrebbe notato una Pantoriana che assomigliava ad una senatrice defunta.

Fecero tutto velocemente, con cura. Senza parlarsi più di quanto fosse assolutamente necessario. Troppe cose li dividevano, troppi atti irreparabili, troppe scelte imperdonabili. Lei prese la valigetta che conteneva l’antidoto al siero che le aveva cambiato i lineamenti, e prese i due codici a catena, quello di Morgan con cui avrebbe viaggiato e quello della Pantoriana che sarebbe tornata ad essere.

Salutò Rafa e Trace, con affetto, Andò verso la navetta di Echo, poi, di colpo, si voltò e tornò da Rex. Gli prese le mani e lo guardò, vedendo le lacrime che stavano per sgorgare dai suoi occhi.

«Giurami che non sognerai più Ahsoka che urla terrorizzata mentre le spari. Giurami che la notte, stanco per aver cacciato quell’enorme mostro coi tuoi fratelli, sognerai Morgan che canta, stonatissima, una sdolcinata canzone d’amore e bacia la tua bocca che sa di gamberi e buon vino.

Giurami che ci incontreremo in sogno, amore mio!» e lo baciò sulla bocca. Si strinsero, per un attimo, poi si separarono e lei partì per non vederlo mai più.

 

EPILOGO

 

Il ragazzo correva a perdifiato per le vie della cittadina, doveva assolutamente dirlo a sua madre. La notizia che l’Impero aveva distrutto totalmente Alderaan l’aveva colpita in maniera fortissima, gli aveva parlato del suo amico Bail, gli aveva mostrato l’ologramma in cui lei, giovane, bellissima, elegante, era insieme a Bail, Mon, Padme e al rodiano Onaconda. Aveva pianto per i suoi amici, disperata.

Ora correva per darle la notizia, fin nell’emporio che lei gestiva da sedici anni in mezzo al paese. Entrò e la vide, dietro al banco, una bella Pantoriana di mezza età, che guardò il figlio adolescente che entrava di corsa.

«Hanno sconfitto l’Impero, mamma, hanno distrutto la Morte Nera!» e si abbracciarono, Riyo Chuchi e il suo splendido figlio dalla pelle celeste e gli occhi nocciola, il suo amatissimo Rex.

 

                                                                                                                                                            FINE

giovedì 10 ottobre 2024

Vivere e morire a Coruscant. (Episodio III).

 Terzo episodio, indagini, idillio e dramma. Continuano le (dis) avventure di Riyo e Rex, buona lettura!


Riyo stava spostando i mattoncini nell’ologramma del gioco più diffuso, aveva lasciato un incastro a croce e, finalmente, le era uscito il pezzo che stava aspettando. Lo posizionò e tre livelli scomparvero insieme. Mille punti, con tanto di piccoli fuochi artificiali.

«Sono a cinquemila e ottocento punti, Rex.» disse all’uomo che stava immobile da più di due ore a fissare fuori dalla finestra con un piccolo binocolo in mano.

«Complimenti!» disse lui.

«Lo sai che posso indovinare che cosa hai visto in queste due ore lì immobile?»

«Cosa?»

«Cloni. Centinaia, migliaia di cloni che entrano al 79 con le tasche piene di soldi e il passo fermo e ne escono più poveri e barcollanti perché ubriachi fradici.»

Lui si girò e la guardò, era coricata sul letto, il mento appoggiato sulle mani e i piedi agitati in aria. Sembrava una ragazzina, in versione umana. «Sto cercando chi ammazza i cloni, quale posto migliore del 79 per trovarlo?»

«Quanti cloni sono stati uccisi qua a Coruscant?» gli chiese.

«Ventotto, nell’ultimo mese. Dodici di loro erano stati al 79 nei tre giorni precedenti.»

«Quasi la metà di loro nei tre giorni precedenti erano stati al 79, bene. Se prendessi cento cloni a caso per strada, quanti di loro sarebbero stati al 79 nei tre giorni precedenti?»

«Tra i quaranta e i cinquanta, direi. È il locale preferito dai cloni.»

«Quanti sono stati uccisi al 79?»

«Nessuno.»

Riyo alzò gli occhi al cielo e inspirò per poi sbuffare. «Rex, tu sei un ottimo soldato e un grande comandante, ma come investigatore davvero fai pena!»

Lui si alzò e si andò a sedere sul letto. «Hai idee migliori, Riyo?»

Lei si sedette a gambe incrociate appoggiando la schiena alla parete e gli rispose: «Certo. Per beccare questo assassino di cloni, le ultime persone che dobbiamo seguire sono i cloni.»

«Parla!» le disse.

«Descrivimi i fatti, di nuovo.»

«Allora … un insegnante dell’accademia per la re-immissione dei cloni nella società, un volontario che aveva lasciato un posto ben remunerato perché voleva aiutare i cloni a cui doveva la vita, si è fatto saltare in classe causando la morte di 18 cloni.»

«E uno. Un insegnante. E poi?»

«Un ufficiale che aveva servito su un incrociatore Jedi insieme ai cloni e che stava raccogliendo firme per farli riammettere nell’esercito imperiale, si è presentato ad una partita di palla volante tra due squadre di cloni e ha ucciso con un blaster nove di loro tra giocatori e pubblico, prima di essere catturato.»

«Un ufficiale. E poi?»

«Una senatrice ha ucciso a pugnalate un clone con cui aveva passato la notte.» le disse a bassa voce.

«Un insegnante, un ufficiale e … una senatrice. Quanti di loro erano avventori abituali del 79?»

«Nessuno. Solo la senatrice c’era stata per motivi politici un paio di anni fa.»

Lei si sfregò le mani e sorrise: «Non che non gradisca passare delle ore in questa stanza micragnosa vedendo la tua schiena mentre stai fermo a guardare fuori dalla finestra, Rex, ma è semplicemente inutile.»

«Tu che faresti, Riyo?»

«Lo sai che se ti scappa un “Riyo” per strada, finiamo tutti e due all’ergastolo a Narkina?»

«Sì, “Morgan”, ma se tu continui a chiamarmi Rex e non Raider …» le disse sorridendo.

«Opps!» disse lei e risero per un po’ nella stanza in penombra, illuminata solo dai neon dei locali aperti nella notte fuori dalla finestra.

«Allora, Morgan,» e sottolineò il nome con un cambio di tono di voce «Tu da cosa cominceresti?»

«Non abbiamo idea di dove sarà l’assassino, ma direi che possiamo ragionevolmente immaginare dove sia stato.»

«Dove?»

«Abbastanza vicino all’insegnante, all’ufficiale e … a me.»

«Gli olo-video della sorveglianza.» disse lui.

«Tombola! 50 crediti al signor Raider!» disse lei.

«Devo procurarmi quelli dell’insegnante e dell’ufficiale, chiamo un mio contatto.»

«I miei li hai già?» gli chiese.

«Sì, Riyo … Morgan, sì, ma … non devi guardare quella roba.»

«Devo, purtroppo.» gli disse, poi gli sollevò il mento e gli sorrise «Posso farcela, Raider, credimi.»

Lui prese dallo zainetto una scheda di memoria e la inserì nel proiettore al posto del gioco. Ne uscì un sommario e lei disse: «Questo.»

Lui fece partire le immagini, una bettola da due soldi, al bancone un notevole gruppo di alieni e umani, tutti evidentemente alticci. In fondo, seduta in minigonna e con le gambe accavallate, Riyo che beveva da un bicchiere. Aveva una pettinatura molto più semplice del solito, una scollatura molto profonda e degli stivali con i tacchi alti che le arrivavano fino al ginocchio. Era molto truccata e sembrava già molto brilla. Un clone andò a parlarle e, dopo aver confabulato un po’, si alzarono e andarono fino a una porta fuori dall’immagine.

Rex era arrossito e guardava in basso, bloccò la registrazione prima che partisse la parte registrata dalla telecamera in bagno. Lei fissava il fermo immagine che la riprendeva di spalle mentre si allontanava col clone.

«Mi dispiace, Riyo.» le disse lui.

«Anche a me.» disse lei, poi fece tornare indietro l’immagine. Guardò la pantoriana ripresa nel locale. Sorrise. «Tombola! Cento crediti alla signorina Morgan!»

«Cosa hai visto?» le chiese lui. Hai riconosciuto qualcuno?»

«No. Rex. E non ho riconosciuto nessuno perché stiamo guardando il filmato sbagliato.»

«Non sei tu?» le chiese con un’espressione sbalordita e speranzosa.

«Oh, no. Sono proprio io, innegabilmente, ma né quei vestiti né quegli stivali sono miei. Ma mi vanno a pennello, quindi la persona che mi ha fatto quello schifo me li ha fatti comprare personalmente. Se ci siamo incontrati, è stato prima. Dobbiamo scoprire in quale negozio ho comprato quel completo da battona.»

«E come facciamo?»

«Semplice, domani mattina Raider e Morgan, da bravi fidanzatini in vacanza a Coruscant, faranno un giretto per le vie dello struscio e cercheranno un negozio che venda roba simile tra quella bettola e il mio ufficio, che è l’ultimo posto dove mi hanno visto quel giorno.»

Rex la guardò sbalordito. La senatrice si rivelava una donna molto più capace di quanto lui avesse pensato.

«Ottima idea!» disse, e poi le chiese: «E ora?»

Lei lo guardò e disse: «E ora Morgan si è davvero stufata di stare a guardare la schiena di Raider e i due usciranno per andare a cena in quel bel localino che fa cucina di Naboo all’angolo.» si alzarono e, indossate due giacche leggere, uscirono nel corridoio. Lei si issò sulle punte dei piedi e gli disse all’orecchio: «La senatrice Chuchi avrebbe offerto volentieri, ma Morgan è abbastanza al verde, Raider.» e si diressero ridendo all’ascensore.

 

Avevano mangiato fin quasi a scoppiare, avevano riso come ragazzini e, sì, avevano flirtato in maniera sfacciata. E ora erano tornati nella stanza che avevano affittato per la sua inutile caccia ad un assassino nel posto dove non sarebbe affatto andato, e, finalmente, si erano messi a dormire. Riyo, Morgan, doveva chiamarla Morgan, dormiva coricata su un fianco sul letto, rivolta verso il muro, mentre lui stava supino sul divano, una trapunta leggera tirata su fino al petto e le mani intrecciate dietro alla testa. Guardava la giovane donna che respirava rumorosamente, russando ogni tanto, incapace di capire cosa stesse succedendo. Era una donna che aveva perso tutto, ma letteralmente tutto, dal nome all’aspetto fisico, dalla dignità di senatrice rispettata ai parenti che stavano piangendo la sua morte, eppure rideva e scherzava come una ragazzina spensierata.

Non andava bene, aveva visto soldati fare così, dopo battaglie in cui avevano perso tutti i loro fratelli, e quell’allegria eccessiva non era mai un buon segno.

Però, pensò coricandosi su un fianco e guardando la sagoma della donna che dormiva a un paio di metri da lui, bisogna anche dire che nei tre anni passati da quando era stato fondato l’Impero la povera Riyo era vissuta letteralmente nel terrore, avendo osato più volte opporsi all’Imperatore, e ora questa tensione era passata e quella giovane donna si era spogliata sia delle sue paure che dell’inamidata veste di senatrice che si faceva carico dei bisogni del popolo.

Però, continuò nel suo soliloquio silenzioso, un’altra cosa che non gli piaceva era stato quel “Magda non lascerà Coruscant fino a che non vedrà il cadavere di quello stronzo ai suoi piedi”, e questo davvero non gli piaceva per niente. La Senatrice Chuchi un qualcosa di simile non lo avrebbe nemmeno mai pensato, a suo modesto parere. E, sommando una innaturale leggerezza a una frase che le era estranea come un paio di branchie, per sua esperienza si poteva solo prevedere un crollo rovinoso.

E poi c’era un’altra cosa che non gli piaceva, e non riguardava affatto lei. Era un’idea che gli si era infilata in testa, l’idea che lei fosse così allegra perché… era con lui. E questa idea non gli piaceva perché … avrebbe dato un braccio perché fosse vera. Riyo gli era sempre piaciuta, ma alla maniera professionale di un soldato clone, ma Morgan … Morgan lo stava conquistando e questo gli faceva perdere lucidità, lo esponeva ai sentimenti, e non aveva mai visto nessuno uscire bene da un errore simile, soprattutto se con il suo corredo genetico.

Chiuse gli occhi pregando qualunque divinità stesse in ascolto di non fargli sognare Morgan, di non fargli assaporare, seppure in sogno, una felicità a cui non era abituato e per la quale non era stato addestrato. Nessun dio doveva essere in ascolto, naturalmente, e sognò di loro due.

 

Lei aveva identificato in fretta quale tipo di negozi avrebbe potuto vendere quel tipo di vestiti e calzature e vi si erano diretti la mattina successiva, dopo una robusta colazione. Il posto era solo un paio di livelli sotto il parco del monte Umate e lei aveva detto che, se fossero voluti sembrare davvero turisti, avrebbero dovuto andarci. Così, casomai qualcuno li avesse controllati, le telecamere di sorveglianza avrebbero mostrato due turisti con buffi cappellini e souvenir.

La piazza era davvero bella, e lui non l’aveva mai vista. In mezzo c’era una roccia che emergeva, l’unico punto della superficie del pianeta ancora visibile. Era un monte alto dodicimila metri, ed emergeva dal selciato per forse cinque metri. Lei, mangiando un gelato che le sgocciolava sulle dita, accese l’olo-guida e videro le immagini dell’alpinista che, 28.000 anni prima, aveva scalato per primo il monte. Una catena montuosa sterminata e ricoperta di nevi eterne si stendeva alle sue spalle e, all’orizzonte, si vedeva una pianura, o un mare.

«Lo hanno coperto, lo hanno nascosto. Ma lui c’è ancora, qua sotto.» disse lei e la sua espressione si incupì, le lacrime parvero affacciarsi alle sue palpebre, ma poi si scosse e lo guardò sorridendo. Diede un morso al gelato e, vedendo il liquido dolce sulle sue dita, allungò una mano verso di lui e disse: «Assaggialo, Raider!»

Lui le sorrise e, controvoglia, baciò quelle dita assaporando il gelato. Controvoglia perché le dimostrazioni di affetto in pubblico lo avevano sempre infastidito, ma anche perché desiderava con una forza incredibile che quella non fosse solo una recita, però sorrise e disse: «Buono.» poi pensò di entrare meglio nella parte del fidanzato innamorato e aggiunse: «E, buona.» e quelle parole false gli sembrarono troppo vere per non fargli male.

 

Passeggiarono avanti e indietro per la via tenendosi mano nella mano mentre lei guardava le vetrine. Poi si fermò e disse: «Eccoli!» e indicò degli stivali.

Rex li guardò avvicinandosi alla vetrina e chiese: «Cosa hanno di diverso da tutti gli altri stivali alti e col tacco che ci sono in ogni vetrina di questa via?»

Lei lo guardò con uno sguardo deluso, poi scosse la testa e disse: «Uomini.» Poi lo guardò e sorridendo disse: «E ora guarda quanto riesce a sapere Morgan. Ricordati che tu sei il fidanzatino che deve pagare.» ed entrò nel negozio. C’era una commessa, una twi’lek alta ed elegante.

«Buongiorno!» disse con una voce più acuta di forse un’ottava «Sono meravigliosi quegli stivali in vetrina. Me-ra-vi-glio-si! Lo dica al mio Raider, glielo dica anche lei quanto starei bene con quegli stivali!»

La commessa le sorrise e la guardò mentre roteava davanti a Raider e disse: «Lei ha delle bellissime gambe, ma quel tacco… oh, quel tacco la slancerebbe in maniera meravigliosa.» e poi, guardando Rex che era incredibilmente stupito dalla scena che gli si stava svolgendo davanti, gli disse: «Non ci crederà a quanto sarà bella la sua ragazza, signore.»

«Si chiama Raider, il mio magnifico ragazzone!» disse Morgan e gli saltò al collo stampandogli un bacio sulla guancia.

La commessa portò gli stivali, aveva naturalmente azzeccato il numero, e Morgan si sedette per provarli.

La commessa la guardava soddisfatta, quando disse: «Che strano, ho avuto un … come si dice… un dejà vu, sì, ho avuto un dejà vu.»

«Cosa?» le chiese Morgan sorridendo a 32 denti e tirando su la cerniera che chiudeva l’altissimo stivale che le arrivava al ginocchio.

«Cinque o sei giorni fa, no, quattro giorni fa, ho venduto esattamente gli stessi stivali a una giovane donna che era identica a lei, almeno le gambe. Uguale, cioè, uguale.»

«Davvero?» chiese Morgan sbarrando gli occhi e facendo un sorriso incredibilmente ebete. «Hai sentito, Raider, ho anche io un sosia, come te!»

«Io ne ho circa due milioni e mezzo.» disse lui.

«Sempre il solito precisino!» disse lei facendo una smorfia esagerata, e poi, alla commessa: «Ma mi dica, come è questa mia sosia, voglio saperlo!»

La commessa la squadrò tentando di ricordare, poi disse: «No, in realtà non era una sosia, era … sì, era blu. Aveva la pelle blu.»

«Una twi’lek? Le twi’lek sono bellissime, ma lei lo sa.»

«No, non era una twi’lek, era una di quelle con i tatuaggi dorati, una… ce l’ho sulla punta della lingua, oh! Una Pantorana, sì, era una Pantorana. Siete davvero simili, a parte la pelle e gli occhi, davvero similissime.»

«E aveva anche lei uno splendido ragazzo?» e si avvicinò a Rex abbracciandolo e sollevando vezzosamente la gamba inguainata nei pantaloni e negli altissimi stivali.

«No, era con un’amica che le suggeriva cosa scegliere, la consigliava in tutto. Era …» e qui la commessa fece un’espressione stranissima. «Era … oh mamma mia, che stranezza!»

«Cosa?» e qui l’espressione di dolce ebetudine di Morgan fu davvero miracolosa.

La commessa era sbalordita, incredula. «Nel mio lavoro è importante riconoscere i clienti, un cliente che si sente salutare e si sente ricordato a mesi da quando è venuto qui, è, se mi capite, un cliente ben disposto a spendere. Ma … se tento di ricordare quella donna, no, niente. Mi ricordo la Pantorana come se la vedessi qui, ora, ma la sua amica … è come se me la avessero cancellata dal cervello, c’è un buco nero al posto della amica.»

«Che strano!» disse con un’espressione fintamente ottusa Riyo guardando Rex, poi, con la voce squillante di Morgan disse: «Ci sarebbe da pagare queste meraviglie, Raider!» e, dopo pochi minuti, uscirono con un sacchetto che conteneva l’enorme scatola con dentro gli stivali.

«È come se gliel’avessero cancellata dal cervello.» disse Rex mentre svoltavano l’angolo.

«Ma dubito che abbia potuto cancellarsi dalle telecamere di sorveglianza, no?» gli disse indicando con un cenno del capo le onnipresenti olo-camere e gettando in un cestino gli stivali.

 

Un contatto di Rex, aveva un’enorme rete di contatti il ragazzo, pessimo investigatore, ma ottimo cospiratore, avrebbe fornito loro copie delle registrazioni della strada dei negozi di scarpe, e di quelle vicine che portavano all’ufficio di Chuchi, oltre che i filmati delle strade adiacenti a dove erano scomparsi l’ufficiale e il professore prima di riapparire nelle vesti di ammazza cloni.

Fino ad allora, ed erano solo le nove di sera, non avevano proprio nulla da fare. Provarono un altro ristorantino, cucina aldeeraniana, non la preferita da Rex, però si divertirono molto, soprattutto quando un suonatore ambulante di cetra lothaliana venne a suonare proprio per loro una sdolcinatissima canzone d’amore. Rex avrebbe voluto sprofondare fino al semimitologico mare di Coruscant, dove da decine di migliaia di anni si aggiravano draghi Krait acquatici albini e ciechi, nutrendosi dei malcapitati che si fossero persi nelle profondissime e ormai dimenticate fogne degli strati inferiori. Chuchi, invece, alla quale il personaggio di Morgan sembrava calzare a pennello, cantò a squarciagola la canzone dalle rime banali facendo gli occhi dolci e finendo lo spettacolo con un bacio al suo fidanzato Raider. Cioè, no, la scena finì in realtà con una bella mancia data da Rex al suonatore.

Comunque, mangiarono almeno un milione di stuzzichini e contorni, bevvero vini dolci e frizzanti, e completarono la divertente cena con un gelato enorme diviso tra loro. Poi tornarono a piedi al loro piccolo appartamentino in affitto, dove si servirono a turno del bagno e si prepararono per dormire.

Rex si sentiva leggero, gli sembrava di camminare a un palmo da terra, e non pensava che fosse solo per i tre calici di vino. Era lei, era la frizzante e divertente Morgan, che gli stava sgretolando la corazza che difendeva il suo cuore.

Riyo, mentre lui si lavava in bagno, stava seduta sul letto, con indosso solo dei pantaloncini e una canottiera, canticchiando la stupida canzone del suonatore ambulante, ricordandosi il sapore di gamberi sorganiani in salsa rosa che avevano le sue labbra. Chuchi non avrebbe mai baciato un uomo in un ristorante, non avrebbe cantato in pubblico, stonata com’era, ma Morgan … Morgan le piaceva, Morgan non era come Riyo che, a due anni da quando Rex l’aveva salvata dal clone assassino, non aveva ancora saputo dirgli di … provare qualcosa per lui. Morgan non pensava, agiva, e Morgan … non esisteva, Morgan era una maschera, del trucco pesante impiastricciato sulla sua vita distrutta, e, forse, Rex era solo un filo d’erba a cui stava tentando di afferrarsi per non precipitare nel nulla.

Per sicurezza si coricò prima che lui uscisse dal bagno, rivolta verso il muro, facendo finta di essere già addormentata. “Codarda” disse Morgan a Riyo, e Riyo fu totalmente d’accordo.

 

Alle tre di notte, l’ora degli incubi, l’ora in cui i malati gravi si arrendono e muoiono, Rex urlò agitandosi sotto alla coperta. Chuchi si svegliò di soprassalto, chiedendosi per un breve istante cosa stesse succedendo e, soprattutto, dove diavolo fosse, ma poi sentì le urla di Rex e saltò giù dal letto andando a svegliarlo. La luce delle insegne dei locali lì intorno illuminava la stanza e lei vide gli occhi sbarrati dell’uomo.

Era terrorizzato, tremava, ansimava, le lacrime gli bagnavano il viso. Quando lui si sedette sul divano lei lo abbracciò e lo strinse forte. «Cosa c’è Rex? Hai fatto un brutto sogno?»

«Ahsoka… Ahsoka era davanti a me e io le sparavo in faccia. La mia mente urlava No, No, NO, ma le mie orecchie continuavano a sentire la voce dell’Imperatore che ripeteva di eseguire il maledetto Ordine 66 e le mie mani si alzavano e le sparavo in faccia e lei … lei questa volta non faceva in tempo a parare i colpi e la sua testa … è esplosa, la sua testa è esplosa e l’ultima cosa che ho visto erano i suoi occhi che imploravano pietà, che guardavano delusi il suo amico che le sparava.» e cominciò a singhiozzare sulla sua spalla. A volte Riyo faceva fatica a ricordare che, anche se sembrava un suo coetaneo a causa dell’invecchiamento accelerato dei cloni, e per molti aspetti era un suo coetaneo, il povero Rex era in realtà ancora un ragazzino di sedici anni, un ragazzino di sedici anni che aveva combattuto e perso una guerra vedendo morire praticamente tutti quelli a cui voleva bene.

Gli sollevò il mento e gli chiese: «Tu la ami, vero? Tu ami Ahsoka?»

Lui ci pensò un po’, ci pensò un bel po’, poi disse: «Ahsoka è la persona a cui voglio più bene nell’intera Galassia, morirei per lei, in qualunque momento.» poi abbassò lo sguardo e la voce e disse: «Però è un’altra la donna che amo.» e poi, sottovoce, in un sospiro, «Tu.»

Chuchi rimase immobile, le mani sulle spalle robuste dell’uomo in lacrime, incapace di parlare, e anche Morgan non parlava. Lui non piangeva più, ma tremava ancora. Lei gli alzò di nuovo il viso e lo guardò negli occhi. «Ami Riyo o Morgan?» gli chiese.

Lui sorrise, piegò la testa da un lato e disse: «Te.»

Lei gli strappò di dosso la coperta e lo baciò, poi, continuando a baciarsi e ad abbracciarsi, si liberarono dei loro pochi indumenti e lasciarono che quello che avevano pensato e desiderato in quei pochi giorni avvenisse.

Però, a un certo punto, mentre lui le stava tra le gambe che lei gli aveva intrecciato dietro alla schiena e faceva l’amore con lei tenendo la fronte appoggiata contro il suo collo, lei ricordò … improvvisamente i ricordi di quando era stata guidata, manovrata, stuprata da una mente aliena usando come strumenti i corpi di uomini identici in tutto e per tutto a lui, riemersero e pensò che avrebbe urlato, sentì un disgusto e un dolore dentro di sé che sembravano volerla uccidere. Rex la sentì irrigidirsi, si allontanò un po’ da lei e, guardandola in faccia nella penombra della stanza, le chiese: «Cosa c’è, Riyo?»

Volendo urlargli di uscire da lei, volendo urlare il suo terrore e la sua rabbia, vide lo sguardo dolce di quel buon uomo e mentì. «Ho avuto un piccolo crampo al piede. Ma è passato, amore.» e sopportò in silenzio che la cosa finisse. Non voleva rubare quel momento di felicità a un uomo a cui voleva bene. Ma anche questo avrebbe pagato, la stronza, oh se avrebbe pagato, pensava mentre lui si abbandonava ansimante su di lei.


mercoledì 9 ottobre 2024

Vivere e morire a Coruscant. (Episodio II)

 Ecco il secondo episodio di questa fanfiction starwarsiana che ho davvero amato scrivere.

Quanto mi hanno fatto compagnia Riyo/Magda e Rex/Raider mentre scrivevo!

Buona lettura!


L’ometto, che era il tenente dell’ISB Milo, guardava il corpo blu della pantoriana steso sulla branda. Aveva provato un azzardo e aveva perso.

Il Cielo gli aveva mandato quella fortuna, una senatrice dell’opposizione in una situazione perfetta, colpevole in tutta evidenza di reati gravissimi, e lui avrebbe solo dovuto raccogliere il frutto che gli veniva porto dalla buona sorte. Era una donna ricca e viziata, abituata ad agi, comodità e rispetto, con un po’ di fortuna avrebbe parlato dopo una notte lì, senza nemmeno maturare un po’ rosolando sulla graticola di Narkina, e lui avrebbe avuto tutto, nomi, cognomi, luoghi, parole d’ordine. Aveva pensato che quell’accenno al suicidio l’avrebbe fatta crollare, e che, magari, un tentativo di suicidio l’avrebbe spezzata del tutto, ma non aveva proprio pensato che una donna così giovane potesse crepargli tra le mani perdendo tutta l’importanza che aveva. Droga, shock, botte, maledetti soldati, ma chi gli aveva detto di picchiarla così forte… e ora era lì, morta, fredda, rigida, inutile da morta quanto doveva esserlo stata come senatrice, e tutto per il suo azzardo.

«Portatela all’inceneritore.» disse gettandole addosso la coperta con cui si era uccisa, la coperta che lui, idiota, le aveva dato.

Gli inservienti sollevarono sbadatamente il corpo e lo gettarono sulla barella che spinsero per i corridoi parlando del più e del meno, presero un ascensore, fecero altri due corridoi, aprirono una porta ed entrarono in una sala dove un inserviente addetto agli scarichi per i detenuti morti stava chiacchierando con un uomo delle pulizie calvo.

Quando furono vicino alla capsula l’addetto la aprì e loro vi gettarono dentro il corpo.

«L’avevi mai vista una senatrice nuda?» chiese uno all’addetto, che era un clone come il tizio delle pulizie.

L’uomo guardò la donna morta e disse: «No, mai.»

«Davvero non male, la troietta.» disse l’altro portantino, che allungò una mano e strizzò un seno della donna. «Bella soda, la senatrice! Io le darei quasi una bottarella.» e rise.

L’addetto all’inceneritore rispose, bruscamente: «Certe schifezze le fai in un altro obitorio.»

«Che palle, voi cloni, ma non ridete mai? Era una cazzo di battuta, una cazzo di battuta idiota!» e uscì con il suo collega lasciando i due cloni da soli col corpo.

«Dai, facciamo in fretta, Capitano!» disse l’addetto a Rex, che tolse delle lenzuola dal carrello e scoprì il corpo di un barbone che giaceva non reclamato da un anno in obitorio. Andò a prendere in braccio Riyo e la poggiò con delicatezza nel carrello coprendola con la sua coperta e le lenzuola, mentre il suo amico metteva nella capsula il corpo e lo scaricava nell’inceneritore.

«Grazie, Roadmap.» disse spingendo il carrello verso la porta, poi si fermò e chiese: «Come si chiama quello stronzo con un enorme senso dell’umorismo?»

«Mee-Lon, signore.»

«Chissà che non gli capiti un incidente nei prossimi giorni.» disse Rex e uscì sentendo suo fratello che rideva. Spinse il carrello per i corridoi e arrivò all’hangar, salì sulla navetta, partì, volò tranquillo nelle corsie riservate ai mezzi di servizio e deviò in un vicolo. Lì lo aspettavano la sua navetta personale e il vero addetto alle pulizie, un clone suo amico anche lui. Scese dalla navetta dell’impresa di pulizie portando in braccio Riyo avvolta con cura nella coperta e salutò l’amico che gli rispose con un saluto militare e chiamandolo Capitano. Poggiò con delicatezza Riyo sul sedile del passeggero e si diresse al pozzo di Coruscant, immettendosi nella corsia di discesa. Le sorelle Martez lo attendevano sulla piattaforma della loro officina, al livello 1313, pronte a prendersi cura della sua amica.

Ce l’aveva fatta. Si sedette a terra stanco e soddisfatto, mentre Trace e Rafa portavano dentro Riyo per lavarla e rivestirla. Mee-Lon, sì, sarebbe stato aggredito in un vicolo e il rapinatore lo avrebbe colpito con una violenza davvero eccessiva al basso ventre, povero Mee-Lon. Un piccolo problema alla volta, Riyo era fuori pericolo e lo stronzo sarebbe stato punito. Ora gli restava solo il piccolo impiccio di scoprire chi stesse ammazzando i cloni e i loro alleati su Coruscant.

 

Rex e le sorelle Martez stavano facendo colazione nella cucina del piccolo appartamento delle due strambe ragazze, quando Riyo entrò con i capelli violetti bagnati e dei semplici vestiti addosso, molto diversi dal suo solito stile senatoriale. Trace si alzò per aiutarla a sedersi, era evidentemente molto dolorante e lei guardò la ragazza dai capelli ricci e neri che la sovrastava di almeno dieci centimetri. «Da dove vengono questi pantaloni che calzano a una piccoletta come me?»

Trace le rispose dopo essersi seduta, mentre mordeva con evidentissima soddisfazione un dolce di forma triangolare ripieno di una appetitosa crema gialla «Diciamo che, quando ritira i vestiti in lavanderia, Rafa non sempre si limita alla sua asciugatrice.» e le due ragazze e Rex risero rumorosamente.

Riyo li guardò con l’espressione di chi si chiede in quale dello zoo sia caduta per sbaglio, poi rise anche lei. «Mi servirebbero anche delle scarpe, e vi pregherei di non rubacchiarle nello spogliatoio di una piscina.»

Rafa, che stava mangiando una fetta di torta ricoperta di una marmellata quasi nera, le disse con fare molto serio: «Ma per favore! Io vado in palestra, non in piscina!» e giù altre risate, a cui si unì anche Riyo, mettendo nel suo piatto un dolce uguale a quello di Trace. «Buono!» disse dopo averlo assaggiato, lo mangiò rendendosi conto di avere una gran fame e bevve del latte dal colore sospettosamente troppo blu a quello che le servivano di solito a casa o al Senato, poi, raccogliendo le briciole come faceva da bambina, disse: «Grazie. Grazie, ragazze, grazie, Rex, io … io …» e scoppiò a piangere.

I tre si guardarono un po’ indecisi, poi Trace le chiese: «Come è morire, Senatrice?»

Lei si asciugò gli occhi e guardò le sue mani. Il loro blu era perfettamente pulito, ma a lei sembrava di vedervi ancora il sangue di quell’uomo. Si sentiva ancora sporca, dentro e fuori. Abbozzò un sorriso e disse: «Malgrado la bontà dei dolci, devo ammettere che il paradiso è molto deludente.» disse e fu contenta di vederli ridere. Rex la guardava con affetto, e vedeva che rideva solo con una parte della faccia, e della mente. «A parte gli scherzi … fa davvero male quella pillola, Capitano, fa davvero malissimo!»

«Però funziona.» disse lui, poi prese un frutto arancione e, spellandolo con le sue dita grosse e robuste, le disse: «Non sono più capitano di niente, Senatrice, mi chiami Rex.»

«E io non sono più senatrice, pare. Riyo va benissimo, Rex.»

«Certo, senatrice.» le rispose ammiccando.

Mentre mangiavano e scherzavano l’oloproiettore trasmetteva uno spettacolo musicale con una banda di alieni male assortiti che suonavano una specie di jazz molto orecchiabile, ma, all’improvviso, lo spettacolo fu interrotto da un’edizione straordinaria del notiziario.

“Edizione Straordinaria! La Senatrice Chuchi, nota oppositrice antipatriottica che tante volte ha tentato di danneggiare in Senato le leggi dell’Impero, è morta ieri sera.

Arrestata in flagrante per abuso di droga, prostituzione e omicidio, la nota sovversiva si è suicidata in cella quando è stata posta di fronte all’inevitabilità della sua condanna.

Siamo certi che il nostro glorioso Senato lavorerà meglio, senza questa squallida debosciata.” Disse la voce dello speaker mentre scorrevano immagini della senatrice Chuchi in Senato, e poi di lei in manette con addosso la coperta e, alla fine, in una fuggevole inquadratura del suo corpo nudo gettato su una branda, con due ridicole pecette a coprirle sesso e seni.

Riyo si morse la mano stretta a pugno mentre Rex correva a spegnere l’oloproiettore, e quando lui tornò al tavolo vide che le lacrime si stavano affacciando dalle sue palpebre, mentre lei tremava e respirava rumorosamente e rabbiosamente. Strizzò gli occhi e inspirò, poi, con voce stridula, chiese: «Chi mi ha fatto questo? Chi diavolo ha il potere di prendere una persona e farle fare quelle cose orribili come una marionetta?»

Rex scosse la testa, le posò una mano sulla mano sinistra stretta a pugno intorno al tovagliolo e le rispose: «Non lo so, Riyo. Non lo so.»

Lei guardò l’oloproiettore spento e si alzò andando verso la finestra che dava sul pozzo, tipico panorama dei poveri di Coruscant, e non il peggiore tra quelli possibili, poi disse, senza intonazione: «Lo avranno visto anche i miei genitori. Immagino che non li abbiano nemmeno avvertiti, che si siano trovati quella notizia davanti così, all’improvviso.»

Rex provò a parlarle «Riyo, non …» ma lei continuò con voce sempre più alterata «I miei assistenti, i miei domestici, Bail, Mon … tutti hanno visto quelle immagini.» e crollò in terra piangendo.

Rex guardò le sue due amiche facendo cenno di lasciarli soli e loro due uscirono con i piatti sporchi. Lui si alzò e andò a sedersi in terra a gambe incrociate vicino a lei, in silenzio, aspettando che la rabbia e il dolore sbollissero abbastanza da permetterle di parlare.

«Chi mi ha fatto questo?» disse singhiozzando e tirando su col naso.

«Sono venuto qua proprio per scoprirlo, Riyo.» disse lui pensando di prenderle la mano, ma poi si fermò. Forse lei non avrebbe gradito.

«Qualcuno mi ha fatto drogare, capisci? Mi ha fatto ubriacare, mi ha fatto prostituire! Mi hanno mostrato le immagini, c’ero io in ginocchio con quei soldati e … e io gli facevo, no! No!» e cominciò a strapparsi i capelli urlando.

Lui le fermò le mani e la abbracciò tenendola stretta, fino a che smise di muoversi. «Lo so.» le disse a voce bassa, calmo.

Lei lo guardò con rabbia e delusione. «Cosa sai? Dimmi, cosa sai, tu? Non sei tu che stavi in ginocchio a succhiare cazzi! Non sei tu che ti sei svegliato con la passera sporca di, no, lurida di sperma di uno sconosciuto, non sei tu che hai ucciso un poveraccio con le tue mani! Non sai nulla, non puoi sapere nulla!»

Lui continuò a stringerla, accarezzandole la schiena con delicatezza, mentre lei ansimava e singhiozzava, poi, sempre stretto a lei, le disse: «Io ho sparato ad Ahsoka. Capisci? Io, come se nulla fosse, ho sparato ad Ahsoka, per ucciderla.

È bastato che l’Imperatore mi dicesse via radio “Eseguire l’ordine 66” e io ho preso i blaster e ho sparato ad Ahsoka.

La conosco da quando era bambina, abbiamo vissuto insieme tre anni, l’ho vista crescere, l’ho vista diventare donna, le ho salvato la vita e lei l’ha salvata a me, la amo più di quanto amerei una sorella, e una cosa che mi hanno infilato in testa quando ero un embrione mi ha comandato come un cazzo di droide, costringendomi a spararle.

Pensi che io non possa capire? Io me lo ricordo, quel momento, mi ricordo le mie dita sui blaster e il suo sguardo terrorizzato. Io, il suo Rex, suo fratello, che le sparava in faccia.

Certo che so cosa provi, Riyo, lo so benissimo. Ahsoka può avermi perdonato, ma quel ricordo nessuno me lo potrà mai togliere.»

Riyo si staccò da lui con il viso stravolto dal pianto, tremante, e disse: «Scusami, Rex. Scusa.» e lo abbracciò. Quell’abbraccio non risolveva i problemi, non sarebbe servito a trovare chi l’aveva voluta colpire così crudelmente, non avrebbe raccontato la verità ai suoi genitori su Pantora, ma era un abbraccio e tutti e due furono rasserenati piangendo insieme.

 

Riyo andò a dormire sulla cuccetta che le avevano preparato in una stanza adoperata come sgabuzzino e al suo risveglio trovò delle scarpe della sua misura. Quelle due ragazze erano meravigliose, allegre e divertenti, oltre che pazze, ma dovevano averla presa per una diciassettenne, a giudicare dai vestiti e dalle calzature che le avevano procurato. Erano comunque vestiti puliti, forse avrebbe dovuto cominciare ad abituarsi alla sua nuova vita. Uscì dallo stanzino rendendosi conto che, finalmente, il mal di testa da sbornia le era passato. Il male alla schiena per la botta data col blaster e il dolore allo sterno per il più che probabile massaggio cardiaco invece c’erano ancora, ma sarebbero passati, quelli erano dolori che sarebbero passati. Agli altri, forse, per ora era meglio tentare di non pensarci.

Le due ragazze non c’erano, da quel che aveva capito avevano una quantità di traffichi, più o meno legali, in giro per tutto quel livello. Rex era insieme a suo fratello Echo, che aveva collaborato con lei alla catena di rifugi e protezione per i cloni. Era sempre mortalmente pallido, oltre ad avere dei bulloni in testa dove lo avevano attaccato a un computer i Separatisti durante la Guerra dei Cloni. Ecco, quelle erano ferite e dolori che non sarebbero certo passati.

«Echo! Che piacere vederti!»

«Senatrice Chuchi!» le disse abbozzando un saluto militare, poi si mosse verso di lei e le diede la mano. Lei lo guardò e lo abbracciò, era un brav’uomo, e un caro amico.

«Pare che non lo sia più, Echo, non lo hai saputo?»

«Rex mi ha riferito tutto, Senatrice.» le rispose, facendo evidentemente finta di non aver visto il servizio trasmesso in tutta la Galassia, in segno di rispetto nei suoi confronti. Quando i cloni erano brave persone, erano tra le migliori.

«Visita di cortesia?» gli chiese sedendosi al tavolo e versandosi una tazza di thè di Naboo.

«Tra le altre cose, Senatrice.» le rispose sorridendo e i due cloni si sedettero al tavolo con lei. Mentre Rex versava il thè per sé e per il fratello questi tirò fuori dallo zaino una serie di aggeggi assortiti. Due li riconobbe, erano codici a catena, con accanto una macchinetta per hackerarli e falsificarli, e poi c’era una siringa dall’aspetto inquietante.

«Devo morire di nuovo?» chiese prendendola.

«No.» le rispose Rex, poi fece una smorfia e aggiunse: «Ma da quello che mi aveva raccontato il generale Kenobi, fa abbastanza male anche questa.»

Fissando la siringa li guardò e chiese: «Cosa fa ‘sta roba?»

«Riscrive totalmente i lineamenti di una persona.»

«Cioè?»

«Basta programmarla e trasforma le caratteristiche della persona a cui viene iniettata. Dovrebbero essere nano droidi o qualcosa di simile.» disse Rex.

«Sì, sono nano droidi.» disse Echo.

«Quindi mi iniettate questa e divento una twi’lek?» chiese ai due cloni.

Echo alzò entrambe le mani e disse: «Non è magica, fa solo un po’ di cambiamenti, sposta un pochino i lineamenti, cambia il colore della pelle. Di certo non può farle crescere i lekku.»

«Stavo scherzando.» e continuava a guardare la siringa. Sapeva di non poter uscire con quella sua faccia, anche se risultava morta era comunque nella memoria di tutti i sistemi di sicurezza, però … la sua faccia, cos’altro le rimaneva? «E in cosa vorreste trasformarmi? Riyo The Hutt?»

Rex rise alla battuta e disse: «Pensavo a qualcosa di minimale, appena sufficiente a confondere i cervelloni della Sicurezza, per esempio toglierle totalmente l’aspetto da Pantoriana.»

«Cioè, farmi diventare rosa? È reversibile?»

«Sì. E dovrebbe tingersi i capelli.» disse Echo. poggiando sul tavolo una confezione di tintura castana.

Riyo si guardò intorno e inspirò rumorosamente. Pensava di avere perso tutto, ma la sua faccia e la sua razza non le aveva messe in conto. Bene! Prese siringa e tintura e si diresse al bagno.

«Senatrice! Le sopracciglia, deve tingersi anche le sopracciglia.»

Lei guardò la confezione di tintura e disse: «Torno tra una mezz’oretta.»

Entrata in bagno si spogliò e si guardò nello specchio. Una bella pantoriana, giovane e in forma. Aveva qualche livido e dei tagli sulla mano destra, per il resto era davvero in ottime condizioni. Improvvisamente in procinto di piangere, entrò nella doccia e cominciò a bagnarsi i capelli, li lavò e poi li cosparse con la tintura. Ne passò un po’ sulle sopracciglia specchiandosi nel vetro ricoperto di gocce. «Tanti saluti, Riyo!» disse. Nei venti minuti successivi si lavò accuratamente il corpo da uno sporco che, probabilmente, era nella mente più che sulla pelle, poi risciacquò i suoi lunghi capelli che le arrivavano fino al sedere.

Uscita dalla doccia si fissò nello specchio appannato, dopo averlo ripulito con l’asciugamano. I capelli castani erano ridicoli, sul suo corpo blu e con i suoi occhi dorati. Prese le forbici e si tagliò i capelli corti e irregolari. Una strana figura estranea la guardava dalla superficie riflettente, poi prese la siringa e se la infilò nella coscia premendo lo stantuffo. Sentì un calore risalire dalla gamba, poi come un formicolio in tutta la pelle, e poi il formicolio divenne un bruciore quasi insopportabile, anche gli occhi sembravano bruciare nelle orbite, si inginocchiò e pianse mentre il suo corpo bruciava. Poi, gradatamente, finì e riuscì ad aprire gli occhi, col dorso della mano si tolse le lacrime che le impedivano di vedere chiaramente e guardò lo specchio.

A diciotto anni, col suo ragazzo dell’epoca, era uscita dalla tenda in campeggio subito prima dell’alba e avevano visto, passeggiando mano nella mano, la rugiada che ricopriva tutte le piante e le rocce scomparire gradualmente quando il sole la colpiva. Era stato magico, uno strato di realtà che spariva davanti ai loro occhi. Ecco, il blu della sua pelle stava evaporando allo stesso modo, tutto il suo corpo stava passando dal bellissimo blu che aveva ereditato da mamma a un rosa molto più chiaro di quello della pelle delle sorelle Martez o di Rex, e che le ricordò il viso della sua amica Padme. Le sue labbra passarono dal lillà a un rosa carico, mentre i suoi bellissimi, grandi occhi dalle iridi dorate diventavano un po’ più piccoli e verdi come un campo di erba in primavera.

Ora una donna sconosciuta, una bellissima umana, la fissava dal vetro. Anche i suoi tatuaggi dorati, simbolo della sua famiglia, che le attraversavano le guance sotto agli occhi, sparirono, lasciando solo degli zigomi regolari.

Sì, ricordava un po’ Padme, la sua amica morta tre anni prima, subito dopo la nascita dell’Impero.

Quanto altro avrebbe perso, prima che quella storia fosse finita? Cosa sarebbe rimasto di sé stessa, alla fine?

Si rivestì e sentì quegli abiti semplici, giovanili, adatti a questa giovane donna che la guardava dallo specchio, faticando a riconoscere in quella figura in maglietta e pantaloni la senatrice dalle elaborate acconciature.

Uscì e fu divertita dallo sguardo sbalordito dei due cloni.

«Come si chiama questa bella umana?» chiese ad Echo.

Lui infilò il codice a catena nel lettore e lesse: «Magda Ross, Senatrice.»

«Non c’è nessuna Senatrice, Echo. C’è solo Magda.» e si avvicinò a Rex che la guardava incredulo. «Cosa pensi di Magda Ross, Rex?»

Lui sorrise e disse: «Che non avrà alcun problema a superare i controlli e a lasciare Coruscant.»

«Ma Magda non lascerà Coruscant, Rex.» gli disse ergendosi impettita almeno 20 centimetri sotto di lui, «Magda Ross e il suo socio Rex sono qui per indagare e scoprire chi sta facendo del male ai cloni e ai loro alleati. Magda non lascerà Coruscant fino a che non vedrà il cadavere di quello stronzo ai suoi piedi.»

martedì 8 ottobre 2024

Vivere e morire a Coruscant. (Episodio I).

 Ormai ci ho preso gusto, sono alla terza fanfiction starwarsiana, e in questo caso è un noir con protagonisti il Capitano Rex e la senatrice Riyo Chuchi, nel terzo anno dalla Fondazione dell'Impero (16 prima della battaglia di Yavin, per i fedeli della Forza).

Ho cominciato a scrivere questa storia avendo in mente praticamente solo le prime righe e i due protagonisti, ma, devo ammetterlo, mi sono letteralmente innamorato di loro. Scrivere le loro avventure mi ha tenuto compagnia per una decina di giorni e, già, mi mancano.

E ora, vi lascio al primo episodio, primo di cinque, penso, con la nostra bella senatrice dalla pelle blu che ha un risveglio orribile e una proseguimento di giornata ancora peggiore. 

Buona lettura!


Vivere e morire a Coruscant

 

 

Fu un risveglio improvviso. Stava per vomitare, scese dal letto e, scivolando sul pavimento, riuscì ad entrare nel bagno picchiando violentemente col fianco contro lo stipite della porta. Si accucciò sul water dando una fortissima ginocchiata e vomitò. Non pensava di aver mai sentito un sapore peggiore in vita sua, ma quando rigettò per una seconda e una terza volta fu ancora peggio. Finalmente le parve che la nausea si stesse attenuando e poté così rendersi conto del dolore agli addominali, contratti per lo sforzo, della gola bruciante e della testa, che sembrava letteralmente sul punto di esplodere per il dolore.

Appoggiò il braccio destro sul bordo del water e vi appoggiò la fronte, ansimando. Stava male come poche volte in vita sua, e non c’era parte del corpo che le dolesse. E come caspita aveva fatto a ubriacarsi così? Lei era praticamente astemia fin dagli anni dell’accademia su Pantora. Aprì gli occhi e vide i suoi lunghi capelli violetti che andavano a insozzarsi nel fondo del gabinetto impiastrato dal suo vomito. Si alzò tentando di ridere della sua goffaggine, ma fu terrorizzata dalla scoperta di non essere nel bagno del suo appartamento. Non era nemmeno nel bagno del suo ufficio in Senato, anzi, le sembrava il bagno di una bettola da pochi crediti. Andò con passo incerto al lavabo e si guardò allo specchio. Il volto stravolto di una pantorana con i postumi di una sbornia spaventosa, il trucco sfatto sulla pelle di un azzurro che tendeva al grigio/verdastro e il rossetto sbavato, gli occhi … le pupille erano così dilatate da cancellare quasi le sue iridi dorate. Ma si era anche fatta di spezia? Una volta aveva visto occhi simili, erano quelli di un fumatore di deathstick, e lei non aveva mai e poi mai fumato quella robaccia. Alzò una mano per togliersi un ciuffo di capelli dalla fronte e, vedendo la sua mano, saltò all’indietro così improvvisamente da cadere. Scivolò e picchiò nella parete con schiena e nuca. La sua mano era imbrattata di sangue. Guardò i suoi piedi e capì che quella scivolata mentre correva in bagno, di cui non si era quasi accorta, era dovuta a del sangue su cui era passata. Una pozza di sangue.

Si alzò a fatica, le campane del palazzo reale di Pantora a risuonarle tra le tempie, vedendo con orrore che non indossava nulla. Si guardò tra le gambe e scoprì con orrore di essere schifosamente impiastricciata, cosa diavolo le avevano fatto? Si fece coraggio e tornò nella stanza. Una men che dozzinale stanza da motel, letto, comodino, un armadio da due soldi. Sul letto, immobile, un uomo sfigurato a coltellate, nudo. Accanto al corpo, sulle lenzuola inzuppate di un sangue già quasi raggrumato, un coltello.

Si coprì il volto con le mani e pensò che avrebbe urlato, ma le uscì solo una specie di rantolio ansimante.  Si avvicinò all’uomo e gli girò il volto. Un clone. Contava forse quindici coltellate, e la sua mano, lorda di sangue, aveva anche qualche taglio sulle dita, come quando si maneggia una lama ormai viscida.

Sentì una voce che continuava a ripetere ossessivamente «No! No! No!» e solo dopo un bel po’ si rese conto che era la sua voce. Voleva lavarsi, voleva fuggire e dimenticare, ma … avrebbe dovuto chiamare la polizia, sì, le guardie della capitale, era suo dovere…

E fu in quel momento che la porta fu sfondata e, prima che potesse reagire in alcun modo, degli stormtrooper le furono addosso buttandola a terra e poggiandole un ginocchio sulla schiena mentre la ammanettavano. La rimisero in piedi con violenza e lei pensava che era nuda e non poteva nemmeno coprirsi con le mani, e tutti quegli uomini la spingevano qua e là come un oggetto, e guardavano quell’orrore sul letto, e poi la guardavano commentando il sangue, e andavano avanti e indietro, uno, dieci, venti, non sapeva più quanti fossero, e lei aspettava solo di svegliarsi da quell’incubo, ma l’incubo non finiva, Si concentrò su un suo piede, era finito sul sangue sgocciolato dalle coperte inzuppate, guardò le sue dita blu con le unghie dipinte con un vezzoso smalto verde, appoggiate in quella pozza di sangue rosso cupo, e si sforzò di guardare solo quello, mentre uomini sconosciuti le passavano accanto prendendole le braccia, le mani, la rigiravano con malagrazia per controllare il sangue e se ci fossero ferite, e poi uno la guardò e disse al vicino «La troia pare non aver gradito troppo la scopata col suo caro clone.» e l’altro rise come un animale sotto al suo casco bianco.

Si rese conto di singhiozzare incessantemente, fino a che le si fece di fronte un ometto più basso di lei, divisa da imperiale dell’IDF, con i capelli neri impomatati e un ridicolo monocolo sull’occhio, che la guardò con severità e, solo dopo un bel po’, prese una coperta e gliela poggiò sulle spalle facendo in modo che i lembi, incrociandosi, ricoprissero le sue nudità esposte. Lei alzò lo sguardò e fissò il ridicolo ometto tentando di smettere di singhiozzare, deglutendo e raddrizzandosi, finché lui le disse: «Senatrice Riyo Chuchi, la dichiaro in arresto per omicidio.»  e fu allore che la portarono via.

La trascinarono per strada, a piedi nudi e con indosso solo una ruvida coperta svolazzante, in quello che sembrava uno dei livelli inferiori di Coruscant, arrivarono a una navicella militare e, con molta rudezza, la fecero sedere ammanettandole le mani ad un anello che spuntava dal sedile tra le sue ginocchia. L’ometto in divisa e i soldati parlavano tranquillamente mentre lei tentava senza troppo successo di tenere chiusa la coperta. Poi, arrivati alla caserma sul livello superiore, la fecero scendere e la trascinarono per un braccio fino ad una stanza dove fu ammanettata ad un tavolo. Mentre stava lì a tremare dal freddo, con la testa che continuava a dolerle da impazzire e un bisogno sempre più impellente di orinare, venne una donna in divisa da infermiera che le prelevò del sangue dal polso. Non le chiese nemmeno il permesso, la ignorò totalmente.

Dopo un bel po’, non aveva modo di sapere quanto, entrò nella stanza l’ometto insieme a due soldati armati che si posizionarono ai lati della porta, dietro alle sue spalle. L’ometto si sedette e cominciò a sfogliare un tablet annuendo, ingrandendo immagini, borbottando, il tutto senza degnarla della minima attenzione. Poi, senza alzare lo sguardo, le chiese: «Lei è Chuchi Riyo, nata a Pantora 32 anni fa?» e quando lei rispose di sì digitò qualcosa sul tablet e ricominciò a sfogliare svogliatamente ignorandola.

«Ho bisogno di andare in bagno.» disse lei con uno sforzo di volontà inaudito.

L’uomo alzò un attimo gli occhi e le disse a bassa voce: «Tra un attimo.» e ricominciò a leggere. Lei ormai non ce la faceva più, tremava e si sentiva male, stava ingobbita e le veniva da piangere. «Io devo andare in bagno, adesso!» disse.

«Abbassi la voce, Chuchi. Andrà in bagno quando potrà andare in bagno.» le disse con noncuranza.

«Senatrice Chuchi.» disse lei alzando la testa.

«Non mi risulta.» disse l’uomo continuando a leggere il tablet.

«Sono la senatrice di Pantora Riyo Chuchi e io ho dei diritti!» disse alzando la voce.

L’ometto sorrise con uno sguardo cattivo e fece un cenno a uno dei soldati che le staccò le manette dall’anello imbullonato sul tavolo. L’agente ISB le porse il tablet e le disse: «Legga qui.»

Lei, così in preda all’ira da non sentire quasi più lo stimolo a orinare o il mal di testa, lesse l’articolo 7 del regolamento del Senato dell’Impero Galattico. “I senatori sono tenuti a comportarsi con dignità e onore.” Lesse. «Sì, e allora?» chiese all’ometto con voce alterata.

L’uomo le sorrise di nuovo e disse: «Abuso di sostanze stupefacenti e prostituzione, Chuchi, lei non è più una senatrice. Lei non ha diritti se non quelli che le concederò io.»

«Come si permette! Io non sono una drogata! Io non sono una prostituta!» urlò alzandosi anche se questo fece cadere la coperta dalle sue spalle. Si sedette tentando di rimettersi addosso quello straccio per coprirsi anche se con le manette era quasi impossibile.

L’ometto rise e le mostrò di nuovo il tablet, erano le sue analisi del sangue. «Abuso di spezia raffinata, detta “deathstick”. È un reato di seconda classe, dieci anni di lavori forzati.»

«Io non …»

«E poi …» disse l’uomo con una finta aria di circostanza accendendo l’oloproiettore. «Guardi un po’, forse avrebbe dovuto fare attenzione alle telecamere nel bar, sono anche nei bagni.»

Lei guardò quelle immagini azzurrine, tremende nella loro fredda tridimensionalità. Lei, innegabilmente lei, in un bar. Stava bevendo un alcolico e parlava con un clone. Poi si alzavano e andavano in bagno, dove lei … lei faceva … e poi lui le dava dei crediti. «Mi permetta di andare avanti veloce, saltiamo i preliminari al bancone.» e le mostrò una sequenza di immagini dai bagni, lei con cloni sempre diversi, lei in ginocchio che … e si inginocchiò vomitando schiuma acida sul pavimento.

«Spero che usasse un buon coluttorio.» disse sarcasticamente l’ometto. «Prostituzione, altro reato di seconda classe. Fanno 25 anni di lavori forzati, Chuchi.»

Lei si rialzò a fatica senza che nessuno l’aiutasse, con l’odore acre del suo vomito a riempire la stanza. L’oloproiettore continuava a proiettare immagini di lei che praticava fellatio a vari cloni, a ripetizione. «L’esame del suo vomito nel bagno del motel ha confermato la cosa, naturalmente.»

«Io non …» disse di nuovo lei, incapace di continuare, mentre quelle degradanti immagini andavano avanti, e avanti, e avanti. «Io non …»

L’ometto la guardò sorridendo e le disse, con voce calma e amichevole: «Vede Chuchi, avrei una domanda per lei. Ne abbiamo discusso con i miei uomini e non ce l’abbiamo fatta a giungere ad una conclusione. Può aiutarmi?»

Lei controvoglia annuì.

«Bene. Io ho detto ai miei uomini che lei poteva soddisfare solo tre cloni alla volta, ma i miei uomini mi hanno detto che sono troppo ingenuo e che lei, con quelle belle tette, può soddisfarne anche sei alla volta, capisce? Mi sfugge un po’ la logistica, ma, mi dica, tre, cinque o sei? Quanti alla volta?»

Lei scattò ruggendo e gli saltò addosso tempestandolo di pugni con le mani ammanettate, nuda su di lui, incapace di fermarsi.

Una botta col calcio di un blaster in mezzo alla schiena la fece stramazzare a terra. Mentre, coricata su un fianco e incapace di respirare, si orinava addosso, l’ometto si aggiustò i capelli impomatati e le disse: «E questa è aggressione a un pubblico ufficiale. Ergastolo, Riyo, ti sei appena guadagnata l’ergastolo ai lavori forzati nella colonia penale di Narkina.» e rise.

«Bastardo!» disse lei piangendo.

«Può essere.» e poi, ai soldati: «Portatela in cella e lasciatele quella coperta, magari ci risparmia tanta fatica e ci si impicca.» disse, e poi, rivolto a lei: «O magari si fa furba e ci racconta tutto sulla ridicola Ribellione di cui fa parte e si risparmia qualche decennio di carcere.» e i soldati la trascinarono via.

I due soldati in armatura bianca la trascinavano stringendole le braccia con forza, mentre lei, goffamente, tentava di coprirsi con la coperta. Girarono per almeno cinque corridoi, senza fermarsi mai, poi arrivarono davanti a una porta che uno dei due aprì con il suo cilindro personale.

«Ci penso io.» disse con voce roca e gutturale uno dei due e l’altro se ne andò; il soldato la trascinò dentro ignorando il fatto che lei aveva incespicato sui tre gradini, poi la gettò sulla branda con malagrazia e le gettò addosso la coperta. Lei si raggomitolò su sé stessa mentre lui usciva e la porta si chiudeva.

Era terrorizzata, era esausta, era disgustata dalla vita, ed era sorpresa da quello che lui aveva fatto gettandola sul letto. Le aveva messo in mano qualcosa di piccolo e duro, due oggetti. Raggomitolata sotto alla coperta, in posizione fetale, guardò nel palmo della sua mano. Una compressa di colore giallo e un auricolare. Si infilò l’auricolare e aspettò di sentire qualcosa. Solo un lieve ronzio, quindi l’aggeggio era acceso. Provò a fare un piccolo colpo di tosse, un suono normale per chi la stesse spiando.

Si sentì un ronzio più forte, poi un clic e poi una voce conosciuta, la voce del suo caro amico Rex.  «Per prima cosa non parli, la ascoltano.» disse il capitano che ora lavorava per la Ribellione «Non parli e non si muova, la spiano e la ascoltano. Se mi sente muova il piede sinistro.»

Lei fece finta di stiracchiarsi e mosse il piede sinistro che sporgeva da sotto alla coperta.

«Bene, Senatrice, ottimo.» disse quella cara voce, il primo momento di normalità da quando si era svegliata. «Mi ascolti in silenzio. Ero venuto su Coruscant per indagare su dei fatti strani riguardanti i cloni e i nostri alleati, e stavo cercando lei pensando che potesse essere in pericolo, ma, purtroppo, sono arrivato tardi. Se mi ha capito si gratti la testa con la mano destra.»

Lei si grattò i capelli arruffati e luridi.

«Dovrò spiegarle in fretta, la spiano e potrebbero venire a riprenderla per un nuovo interrogatorio, molto più duro, quindi mi ascolti. Non l’hanno accusata per l’omicidio del clone perché non vogliono condannarla a morte, lei gli serve viva, per farla parlare dei suoi alleati in Senato e fuori.

Se la portano via da qui, a Narkina o in qualunque altra loro prigione, io non potrò aiutarla, ma qui ho degli agganci.

Se vuole scappare, io posso aiutarla, ma non sarà divertente.

Lei vuole scappare? Se sì muova il piede, se no si gratti la testa.»

Scappare voleva dire non essere più la senatrice, non poter contattare mamma e papà su Pantora, fuggire per sempre, ma … l’ergastolo ai lavori forzati e degli interrogatori da parte dell’ISB per farla parlare dei suoi contatti … no, era peggio.

Mosse di nuovo il piede, come per liberarsi da un crampo.

«Benissimo.

Ascolti bene, perché i tempi sono stretti. Le hanno lasciato la coperta e le hanno accennato all’usarla per impiccarsi perché è un metodo di tortura psicologica, sperano che lo faccia per poi salvarla e farla ritrovare nella stessa situazione. Ma lei è sotto l’effetto di droghe, è sotto shock ed è stata picchiata alla schiena. Se lei morisse d’infarto tentando di impiccarsi non troverebbero strana la cosa.»

Lei si grattò la testa due volte.

«Tranquilla, Senatrice, tranquilla.» disse lui con voce calma, «Più si muove, più rischiano di notarla.

La pillola che le ho dato ferma quasi del tutto il cuore, tre minuti dopo che la si è messa sotto alla lingua. Se lei prende la pillola e poi arrotola la coperta e si appende con quella alla maniglia della porta, loro dovrebbero lasciarla appesa per circa un minuto e, quando entreranno per staccarla dalla porta, il suo cuore sembrerà bloccarsi.

Come le ho detto, la cosa sembrerà loro plausibile e il suo corpo verrà mandato all’inceneritore dove io e un mio uomo potremo prelevarla.

Mi ha capito? Muova il piede se sì.»

Lei mosse il piede, come se un prurito improvviso l’avesse colpita vicino all’alluce.

«Non abbiamo tanto tempo, Senatrice, il mio uomo finisce il turno tra un’ora e mezza, stiamo già stretti così. So di chiederle tanto, ma è l’unico modo che ho per tirarla fuori di qui.»

Lei stava pensando, tecniche di interrogatorio, modi di spezzarla, di farla crollare. Quanti cloni avevano una voce che poteva sembrare quella di Rex? Chi la assicurava che quello non era solo un soldato che si stava divertendo alle sue spalle? Come faceva a fidarsi di chi le diceva di prendere una pillola e impiccarsi?

«Senatrice! Io capisco che abbia paura, capisco che non riesca a capire se può fidarsi, ma io sono Rex. Io mi ricordo quando su quel pianeta ghiacciato piantò la lancia in terra e pose fine a una guerra, mi ricordo le parole che il Generale Obi Wan le disse sulla pace. Io sono Rex, che l’ha salvata in quel magazzino dopo che le sue due guardie erano state uccise.

Senatrice Chuchi, Riyo, Se non agiamo adesso non potrò più salvarti.

Se vuoi farlo, grattati la testa.»

Lei inspirò e si grattò la testa.

«Bene.» disse lui evidentemente sollevato «Ora ascoltami. Non puoi farti trovare con l’auricolare e non puoi lasciarlo nella cella. Devi ingoiarlo. Dopo averlo ingoiato metti la pillola sotto la lingua e comincia a contare. Quando arrivi a 40 ti alzi e cominci ad arrotolare la coperta, vai alla porta e la annodi alla maniglia e te la passi al collo. A 90 devi sederti e lasciare che la corda ti stringa il collo, anche se ti fa male, anche se non respiri. Loro non ti lasceranno appesa più di un minuto, entreranno e ti staccheranno dalla maniglia, ti daranno forse dell’ossigeno e allora il tuo cuore si fermerà.

Hai capito tutto? Se sì piega le dita del piede sinistro.»

Lei piegò le dita.

«Bene, Riyo, ingoia l’auricolare e comincia.

Ci vediamo dall’altra parte!»

Riyo Chuchi, 32 anni, senatrice della Repubblica, senatrice dell’Impero, oppositrice dell’Imperatore, arrestata per abuso di droga, prostituzione, omicidio, si tolse la minuscola auricolare e la ingoiò con un piccolo sforzo, sentendo dolore alla gola spellata dai conati di vomito. Poi, sempre muovendosi il meno possibile sotto alla coperta, si posizionò la piccola pillola sotto alla lingua. Era amara, molto amara, e pizzicava un po’. Si sedette sul letto, avvolgendosi nella coperta, stando bene attenta a non guardare in alto dove doveva esserci la telecamera da cui loro e Rex la guardavano. 31, 32, 33, 34, che giornata di merda! 38, 39, 40, si tolse la coperta di dosso e cominciò ad arrotolarla. 45, 46, 47, guardò la porta e fece un piccolo cappio ad un capo della corda improvvisata, camminò per la stanza, tentando di ignorare che anche in questo momento molti occhi stavano spiando la sua nudità, mise il cappio alla maniglia e ne fece un altro, a non più di dieci centimetri di distanza. Sì, andava bene. 85, 86, 87, inspirò e si infilò il cappio al collo, poi si sedette e lasciò che le si stringesse alla gola togliendole il respiro.

Resistendo alla tentazione di toglierselo ripensò di nuovo a quanti milioni di cloni avessero la voce del suo amico in tutta la Galassia, poi si accorse che il campo visivo le si stava stringendo e non poté fare a meno di afferrare il cappio con le mani, ma era troppo stretto. Scalciava sul pavimento lasciando tracce di sangue quasi secco, mentre tutto diventava buio e lei si sentiva morire. Si era fidata e aveva sbagliato, che stupida!

Si accorse appena della porta che si apriva, il suo corpo la bloccava, la spinsero, le tolsero il cappio dal collo con enorme fatica e uno di loro arrivò con una piccola bombola, ma, in quel momento, sentì una fitta raggelante al petto. Boccheggiò portandosi le mani all’altezza del cuore e le parve di spegnersi.

Dissolvenza, buio, niente.