Terzo episodio, indagini, idillio e dramma. Continuano le (dis) avventure di Riyo e Rex, buona lettura!
Riyo stava
spostando i mattoncini nell’ologramma del gioco più diffuso, aveva lasciato un incastro
a croce e, finalmente, le era uscito il pezzo che stava aspettando. Lo
posizionò e tre livelli scomparvero insieme. Mille punti, con tanto di piccoli
fuochi artificiali.
«Sono a
cinquemila e ottocento punti, Rex.» disse all’uomo che stava immobile da più di
due ore a fissare fuori dalla finestra con un piccolo binocolo in mano.
«Complimenti!»
disse lui.
«Lo sai che
posso indovinare che cosa hai visto in queste due ore lì immobile?»
«Cosa?»
«Cloni.
Centinaia, migliaia di cloni che entrano al 79 con le tasche piene di soldi e
il passo fermo e ne escono più poveri e barcollanti perché ubriachi fradici.»
Lui si girò e
la guardò, era coricata sul letto, il mento appoggiato sulle mani e i piedi
agitati in aria. Sembrava una ragazzina, in versione umana. «Sto cercando chi
ammazza i cloni, quale posto migliore del 79 per trovarlo?»
«Quanti cloni
sono stati uccisi qua a Coruscant?» gli chiese.
«Ventotto,
nell’ultimo mese. Dodici di loro erano stati al 79 nei tre giorni precedenti.»
«Quasi la metà
di loro nei tre giorni precedenti erano stati al 79, bene. Se prendessi cento
cloni a caso per strada, quanti di loro sarebbero stati al 79 nei tre giorni
precedenti?»
«Tra i quaranta
e i cinquanta, direi. È il locale preferito dai cloni.»
«Quanti sono
stati uccisi al 79?»
«Nessuno.»
Riyo alzò gli
occhi al cielo e inspirò per poi sbuffare. «Rex, tu sei un ottimo soldato e un
grande comandante, ma come investigatore davvero fai pena!»
Lui si alzò e
si andò a sedere sul letto. «Hai idee migliori, Riyo?»
Lei si sedette
a gambe incrociate appoggiando la schiena alla parete e gli rispose: «Certo.
Per beccare questo assassino di cloni, le ultime persone che dobbiamo seguire
sono i cloni.»
«Parla!» le
disse.
«Descrivimi i
fatti, di nuovo.»
«Allora … un
insegnante dell’accademia per la re-immissione dei cloni nella società, un
volontario che aveva lasciato un posto ben remunerato perché voleva aiutare i
cloni a cui doveva la vita, si è fatto saltare in classe causando la morte di
18 cloni.»
«E uno. Un
insegnante. E poi?»
«Un ufficiale
che aveva servito su un incrociatore Jedi insieme ai cloni e che stava
raccogliendo firme per farli riammettere nell’esercito imperiale, si è
presentato ad una partita di palla volante tra due squadre di cloni e ha ucciso
con un blaster nove di loro tra giocatori e pubblico, prima di essere
catturato.»
«Un ufficiale.
E poi?»
«Una senatrice
ha ucciso a pugnalate un clone con cui aveva passato la notte.» le disse a
bassa voce.
«Un insegnante,
un ufficiale e … una senatrice. Quanti di loro erano avventori abituali del
79?»
«Nessuno. Solo
la senatrice c’era stata per motivi politici un paio di anni fa.»
Lei si sfregò
le mani e sorrise: «Non che non gradisca passare delle ore in questa stanza
micragnosa vedendo la tua schiena mentre stai fermo a guardare fuori dalla
finestra, Rex, ma è semplicemente inutile.»
«Tu che
faresti, Riyo?»
«Lo sai che se
ti scappa un “Riyo” per strada, finiamo tutti e due all’ergastolo a Narkina?»
«Sì, “Morgan”,
ma se tu continui a chiamarmi Rex e non Raider …» le disse sorridendo.
«Opps!» disse
lei e risero per un po’ nella stanza in penombra, illuminata solo dai neon dei
locali aperti nella notte fuori dalla finestra.
«Allora,
Morgan,» e sottolineò il nome con un cambio di tono di voce «Tu da cosa
cominceresti?»
«Non abbiamo
idea di dove sarà l’assassino, ma direi che possiamo ragionevolmente immaginare
dove sia stato.»
«Dove?»
«Abbastanza
vicino all’insegnante, all’ufficiale e … a me.»
«Gli olo-video
della sorveglianza.» disse lui.
«Tombola! 50
crediti al signor Raider!» disse lei.
«Devo
procurarmi quelli dell’insegnante e dell’ufficiale, chiamo un mio contatto.»
«I miei li hai
già?» gli chiese.
«Sì, Riyo …
Morgan, sì, ma … non devi guardare quella roba.»
«Devo,
purtroppo.» gli disse, poi gli sollevò il mento e gli sorrise «Posso farcela,
Raider, credimi.»
Lui prese dallo
zainetto una scheda di memoria e la inserì nel proiettore al posto del gioco.
Ne uscì un sommario e lei disse: «Questo.»
Lui fece
partire le immagini, una bettola da due soldi, al bancone un notevole gruppo di
alieni e umani, tutti evidentemente alticci. In fondo, seduta in minigonna e
con le gambe accavallate, Riyo che beveva da un bicchiere. Aveva una
pettinatura molto più semplice del solito, una scollatura molto profonda e
degli stivali con i tacchi alti che le arrivavano fino al ginocchio. Era molto
truccata e sembrava già molto brilla. Un clone andò a parlarle e, dopo aver
confabulato un po’, si alzarono e andarono fino a una porta fuori
dall’immagine.
Rex era
arrossito e guardava in basso, bloccò la registrazione prima che partisse la
parte registrata dalla telecamera in bagno. Lei fissava il fermo immagine che
la riprendeva di spalle mentre si allontanava col clone.
«Mi dispiace,
Riyo.» le disse lui.
«Anche a me.»
disse lei, poi fece tornare indietro l’immagine. Guardò la pantoriana ripresa
nel locale. Sorrise. «Tombola! Cento crediti alla signorina Morgan!»
«Cosa hai
visto?» le chiese lui. Hai riconosciuto qualcuno?»
«No. Rex. E non
ho riconosciuto nessuno perché stiamo guardando il filmato sbagliato.»
«Non sei tu?»
le chiese con un’espressione sbalordita e speranzosa.
«Oh, no. Sono
proprio io, innegabilmente, ma né quei vestiti né quegli stivali sono miei. Ma
mi vanno a pennello, quindi la persona che mi ha fatto quello schifo me li ha
fatti comprare personalmente. Se ci siamo incontrati, è stato prima. Dobbiamo
scoprire in quale negozio ho comprato quel completo da battona.»
«E come
facciamo?»
«Semplice,
domani mattina Raider e Morgan, da bravi fidanzatini in vacanza a Coruscant,
faranno un giretto per le vie dello struscio e cercheranno un negozio che venda
roba simile tra quella bettola e il mio ufficio, che è l’ultimo posto dove mi
hanno visto quel giorno.»
Rex la guardò
sbalordito. La senatrice si rivelava una donna molto più capace di quanto lui
avesse pensato.
«Ottima idea!»
disse, e poi le chiese: «E ora?»
Lei lo guardò e
disse: «E ora Morgan si è davvero stufata di stare a guardare la schiena di
Raider e i due usciranno per andare a cena in quel bel localino che fa cucina
di Naboo all’angolo.» si alzarono e, indossate due giacche leggere, uscirono
nel corridoio. Lei si issò sulle punte dei piedi e gli disse all’orecchio: «La
senatrice Chuchi avrebbe offerto volentieri, ma Morgan è abbastanza al verde,
Raider.» e si diressero ridendo all’ascensore.
Avevano
mangiato fin quasi a scoppiare, avevano riso come ragazzini e, sì, avevano
flirtato in maniera sfacciata. E ora erano tornati nella stanza che avevano
affittato per la sua inutile caccia ad un assassino nel posto dove non sarebbe
affatto andato, e, finalmente, si erano messi a dormire. Riyo, Morgan, doveva
chiamarla Morgan, dormiva coricata su un fianco sul letto, rivolta verso il
muro, mentre lui stava supino sul divano, una trapunta leggera tirata su fino
al petto e le mani intrecciate dietro alla testa. Guardava la giovane donna che
respirava rumorosamente, russando ogni tanto, incapace di capire cosa stesse
succedendo. Era una donna che aveva perso tutto, ma letteralmente tutto, dal
nome all’aspetto fisico, dalla dignità di senatrice rispettata ai parenti che
stavano piangendo la sua morte, eppure rideva e scherzava come una ragazzina
spensierata.
Non andava
bene, aveva visto soldati fare così, dopo battaglie in cui avevano perso tutti
i loro fratelli, e quell’allegria eccessiva non era mai un buon segno.
Però, pensò
coricandosi su un fianco e guardando la sagoma della donna che dormiva a un
paio di metri da lui, bisogna anche dire che nei tre anni passati da quando era
stato fondato l’Impero la povera Riyo era vissuta letteralmente nel terrore,
avendo osato più volte opporsi all’Imperatore, e ora questa tensione era
passata e quella giovane donna si era spogliata sia delle sue paure che
dell’inamidata veste di senatrice che si faceva carico dei bisogni del popolo.
Però, continuò
nel suo soliloquio silenzioso, un’altra cosa che non gli piaceva era stato quel
“Magda non lascerà Coruscant fino a che non vedrà il cadavere di quello stronzo
ai suoi piedi”, e questo davvero non gli piaceva per niente. La Senatrice Chuchi
un qualcosa di simile non lo avrebbe nemmeno mai pensato, a suo modesto parere.
E, sommando una innaturale leggerezza a una frase che le era estranea come un
paio di branchie, per sua esperienza si poteva solo prevedere un crollo
rovinoso.
E poi c’era
un’altra cosa che non gli piaceva, e non riguardava affatto lei. Era un’idea
che gli si era infilata in testa, l’idea che lei fosse così allegra perché… era
con lui. E questa idea non gli piaceva perché … avrebbe dato un braccio perché
fosse vera. Riyo gli era sempre piaciuta, ma alla maniera professionale di un
soldato clone, ma Morgan … Morgan lo stava conquistando e questo gli faceva
perdere lucidità, lo esponeva ai sentimenti, e non aveva mai visto nessuno
uscire bene da un errore simile, soprattutto se con il suo corredo genetico.
Chiuse gli
occhi pregando qualunque divinità stesse in ascolto di non fargli sognare
Morgan, di non fargli assaporare, seppure in sogno, una felicità a cui non era
abituato e per la quale non era stato addestrato. Nessun dio doveva essere in
ascolto, naturalmente, e sognò di loro due.
Lei aveva
identificato in fretta quale tipo di negozi avrebbe potuto vendere quel tipo di
vestiti e calzature e vi si erano diretti la mattina successiva, dopo una
robusta colazione. Il posto era solo un paio di livelli sotto il parco del
monte Umate e lei aveva detto che, se fossero voluti sembrare davvero turisti,
avrebbero dovuto andarci. Così, casomai qualcuno li avesse controllati, le
telecamere di sorveglianza avrebbero mostrato due turisti con buffi cappellini
e souvenir.
La piazza era
davvero bella, e lui non l’aveva mai vista. In mezzo c’era una roccia che
emergeva, l’unico punto della superficie del pianeta ancora visibile. Era un
monte alto dodicimila metri, ed emergeva dal selciato per forse cinque metri.
Lei, mangiando un gelato che le sgocciolava sulle dita, accese l’olo-guida e
videro le immagini dell’alpinista che, 28.000 anni prima, aveva scalato per
primo il monte. Una catena montuosa sterminata e ricoperta di nevi eterne si
stendeva alle sue spalle e, all’orizzonte, si vedeva una pianura, o un mare.
«Lo hanno
coperto, lo hanno nascosto. Ma lui c’è ancora, qua sotto.» disse lei e la sua
espressione si incupì, le lacrime parvero affacciarsi alle sue palpebre, ma poi
si scosse e lo guardò sorridendo. Diede un morso al gelato e, vedendo il
liquido dolce sulle sue dita, allungò una mano verso di lui e disse:
«Assaggialo, Raider!»
Lui le sorrise
e, controvoglia, baciò quelle dita assaporando il gelato. Controvoglia perché
le dimostrazioni di affetto in pubblico lo avevano sempre infastidito, ma anche
perché desiderava con una forza incredibile che quella non fosse solo una
recita, però sorrise e disse: «Buono.» poi pensò di entrare meglio nella parte
del fidanzato innamorato e aggiunse: «E, buona.» e quelle parole false gli
sembrarono troppo vere per non fargli male.
Passeggiarono
avanti e indietro per la via tenendosi mano nella mano mentre lei guardava le
vetrine. Poi si fermò e disse: «Eccoli!» e indicò degli stivali.
Rex li guardò
avvicinandosi alla vetrina e chiese: «Cosa hanno di diverso da tutti gli altri
stivali alti e col tacco che ci sono in ogni vetrina di questa via?»
Lei lo guardò
con uno sguardo deluso, poi scosse la testa e disse: «Uomini.» Poi lo guardò e
sorridendo disse: «E ora guarda quanto riesce a sapere Morgan. Ricordati che tu
sei il fidanzatino che deve pagare.» ed entrò nel negozio. C’era una commessa,
una twi’lek alta ed elegante.
«Buongiorno!»
disse con una voce più acuta di forse un’ottava «Sono meravigliosi quegli
stivali in vetrina. Me-ra-vi-glio-si! Lo dica al mio Raider, glielo dica anche
lei quanto starei bene con quegli stivali!»
La commessa le
sorrise e la guardò mentre roteava davanti a Raider e disse: «Lei ha delle
bellissime gambe, ma quel tacco… oh, quel tacco la slancerebbe in maniera
meravigliosa.» e poi, guardando Rex che era incredibilmente stupito dalla scena
che gli si stava svolgendo davanti, gli disse: «Non ci crederà a quanto sarà
bella la sua ragazza, signore.»
«Si chiama
Raider, il mio magnifico ragazzone!» disse Morgan e gli saltò al collo
stampandogli un bacio sulla guancia.
La commessa
portò gli stivali, aveva naturalmente azzeccato il numero, e Morgan si sedette
per provarli.
La commessa la
guardava soddisfatta, quando disse: «Che strano, ho avuto un … come si dice… un
dejà vu, sì, ho avuto un dejà vu.»
«Cosa?» le
chiese Morgan sorridendo a 32 denti e tirando su la cerniera che chiudeva
l’altissimo stivale che le arrivava al ginocchio.
«Cinque o sei
giorni fa, no, quattro giorni fa, ho venduto esattamente gli stessi stivali a
una giovane donna che era identica a lei, almeno le gambe. Uguale, cioè,
uguale.»
«Davvero?»
chiese Morgan sbarrando gli occhi e facendo un sorriso incredibilmente ebete.
«Hai sentito, Raider, ho anche io un sosia, come te!»
«Io ne ho circa
due milioni e mezzo.» disse lui.
«Sempre il
solito precisino!» disse lei facendo una smorfia esagerata, e poi, alla
commessa: «Ma mi dica, come è questa mia sosia, voglio saperlo!»
La commessa la
squadrò tentando di ricordare, poi disse: «No, in realtà non era una sosia, era
… sì, era blu. Aveva la pelle blu.»
«Una twi’lek?
Le twi’lek sono bellissime, ma lei lo sa.»
«No, non era
una twi’lek, era una di quelle con i tatuaggi dorati, una… ce l’ho sulla punta
della lingua, oh! Una Pantorana, sì, era una Pantorana. Siete davvero simili, a
parte la pelle e gli occhi, davvero similissime.»
«E aveva anche
lei uno splendido ragazzo?» e si avvicinò a Rex abbracciandolo e sollevando
vezzosamente la gamba inguainata nei pantaloni e negli altissimi stivali.
«No, era con
un’amica che le suggeriva cosa scegliere, la consigliava in tutto. Era …» e qui
la commessa fece un’espressione stranissima. «Era … oh mamma mia, che
stranezza!»
«Cosa?» e qui
l’espressione di dolce ebetudine di Morgan fu davvero miracolosa.
La commessa era
sbalordita, incredula. «Nel mio lavoro è importante riconoscere i clienti, un
cliente che si sente salutare e si sente ricordato a mesi da quando è venuto
qui, è, se mi capite, un cliente ben disposto a spendere. Ma … se tento di
ricordare quella donna, no, niente. Mi ricordo la Pantorana come se la vedessi
qui, ora, ma la sua amica … è come se me la avessero cancellata dal cervello,
c’è un buco nero al posto della amica.»
«Che strano!»
disse con un’espressione fintamente ottusa Riyo guardando Rex, poi, con la voce
squillante di Morgan disse: «Ci sarebbe da pagare queste meraviglie, Raider!»
e, dopo pochi minuti, uscirono con un sacchetto che conteneva l’enorme scatola
con dentro gli stivali.
«È come se
gliel’avessero cancellata dal cervello.» disse Rex mentre svoltavano l’angolo.
«Ma dubito che
abbia potuto cancellarsi dalle telecamere di sorveglianza, no?» gli disse
indicando con un cenno del capo le onnipresenti olo-camere e gettando in un
cestino gli stivali.
Un contatto di
Rex, aveva un’enorme rete di contatti il ragazzo, pessimo investigatore, ma
ottimo cospiratore, avrebbe fornito loro copie delle registrazioni della strada
dei negozi di scarpe, e di quelle vicine che portavano all’ufficio di Chuchi,
oltre che i filmati delle strade adiacenti a dove erano scomparsi l’ufficiale e
il professore prima di riapparire nelle vesti di ammazza cloni.
Fino ad allora,
ed erano solo le nove di sera, non avevano proprio nulla da fare. Provarono un
altro ristorantino, cucina aldeeraniana, non la preferita da Rex, però si
divertirono molto, soprattutto quando un suonatore ambulante di cetra
lothaliana venne a suonare proprio per loro una sdolcinatissima canzone
d’amore. Rex avrebbe voluto sprofondare fino al semimitologico mare di
Coruscant, dove da decine di migliaia di anni si aggiravano draghi Krait
acquatici albini e ciechi, nutrendosi dei malcapitati che si fossero persi
nelle profondissime e ormai dimenticate fogne degli strati inferiori. Chuchi,
invece, alla quale il personaggio di Morgan sembrava calzare a pennello, cantò
a squarciagola la canzone dalle rime banali facendo gli occhi dolci e finendo lo
spettacolo con un bacio al suo fidanzato Raider. Cioè, no, la scena finì in
realtà con una bella mancia data da Rex al suonatore.
Comunque,
mangiarono almeno un milione di stuzzichini e contorni, bevvero vini dolci e
frizzanti, e completarono la divertente cena con un gelato enorme diviso tra
loro. Poi tornarono a piedi al loro piccolo appartamentino in affitto, dove si
servirono a turno del bagno e si prepararono per dormire.
Rex si sentiva
leggero, gli sembrava di camminare a un palmo da terra, e non pensava che fosse
solo per i tre calici di vino. Era lei, era la frizzante e divertente Morgan,
che gli stava sgretolando la corazza che difendeva il suo cuore.
Riyo, mentre
lui si lavava in bagno, stava seduta sul letto, con indosso solo dei
pantaloncini e una canottiera, canticchiando la stupida canzone del suonatore
ambulante, ricordandosi il sapore di gamberi sorganiani in salsa rosa che
avevano le sue labbra. Chuchi non avrebbe mai baciato un uomo in un ristorante,
non avrebbe cantato in pubblico, stonata com’era, ma Morgan … Morgan le
piaceva, Morgan non era come Riyo che, a due anni da quando Rex l’aveva salvata
dal clone assassino, non aveva ancora saputo dirgli di … provare qualcosa per
lui. Morgan non pensava, agiva, e Morgan … non esisteva, Morgan era una
maschera, del trucco pesante impiastricciato sulla sua vita distrutta, e,
forse, Rex era solo un filo d’erba a cui stava tentando di afferrarsi per non
precipitare nel nulla.
Per sicurezza
si coricò prima che lui uscisse dal bagno, rivolta verso il muro, facendo finta
di essere già addormentata. “Codarda” disse Morgan a Riyo, e Riyo fu totalmente
d’accordo.
Alle tre di
notte, l’ora degli incubi, l’ora in cui i malati gravi si arrendono e muoiono,
Rex urlò agitandosi sotto alla coperta. Chuchi si svegliò di soprassalto,
chiedendosi per un breve istante cosa stesse succedendo e, soprattutto, dove
diavolo fosse, ma poi sentì le urla di Rex e saltò giù dal letto andando a
svegliarlo. La luce delle insegne dei locali lì intorno illuminava la stanza e
lei vide gli occhi sbarrati dell’uomo.
Era
terrorizzato, tremava, ansimava, le lacrime gli bagnavano il viso. Quando lui
si sedette sul divano lei lo abbracciò e lo strinse forte. «Cosa c’è Rex? Hai
fatto un brutto sogno?»
«Ahsoka… Ahsoka
era davanti a me e io le sparavo in faccia. La mia mente urlava No, No, NO, ma
le mie orecchie continuavano a sentire la voce dell’Imperatore che ripeteva di
eseguire il maledetto Ordine 66 e le mie mani si alzavano e le sparavo in
faccia e lei … lei questa volta non faceva in tempo a parare i colpi e la sua
testa … è esplosa, la sua testa è esplosa e l’ultima cosa che ho visto erano i
suoi occhi che imploravano pietà, che guardavano delusi il suo amico che le
sparava.» e cominciò a singhiozzare sulla sua spalla. A volte Riyo faceva
fatica a ricordare che, anche se sembrava un suo coetaneo a causa
dell’invecchiamento accelerato dei cloni, e per molti aspetti era un suo
coetaneo, il povero Rex era in realtà ancora un ragazzino di sedici anni, un
ragazzino di sedici anni che aveva combattuto e perso una guerra vedendo morire
praticamente tutti quelli a cui voleva bene.
Gli sollevò il
mento e gli chiese: «Tu la ami, vero? Tu ami Ahsoka?»
Lui ci pensò un
po’, ci pensò un bel po’, poi disse: «Ahsoka è la persona a cui voglio più bene
nell’intera Galassia, morirei per lei, in qualunque momento.» poi abbassò lo
sguardo e la voce e disse: «Però è un’altra la donna che amo.» e poi,
sottovoce, in un sospiro, «Tu.»
Chuchi rimase
immobile, le mani sulle spalle robuste dell’uomo in lacrime, incapace di
parlare, e anche Morgan non parlava. Lui non piangeva più, ma tremava ancora.
Lei gli alzò di nuovo il viso e lo guardò negli occhi. «Ami Riyo o Morgan?» gli
chiese.
Lui sorrise,
piegò la testa da un lato e disse: «Te.»
Lei gli strappò
di dosso la coperta e lo baciò, poi, continuando a baciarsi e ad abbracciarsi,
si liberarono dei loro pochi indumenti e lasciarono che quello che avevano
pensato e desiderato in quei pochi giorni avvenisse.
Però, a un
certo punto, mentre lui le stava tra le gambe che lei gli aveva intrecciato
dietro alla schiena e faceva l’amore con lei tenendo la fronte appoggiata
contro il suo collo, lei ricordò … improvvisamente i ricordi di quando era
stata guidata, manovrata, stuprata da una mente aliena usando come strumenti i
corpi di uomini identici in tutto e per tutto a lui, riemersero e pensò che
avrebbe urlato, sentì un disgusto e un dolore dentro di sé che sembravano
volerla uccidere. Rex la sentì irrigidirsi, si allontanò un po’ da lei e,
guardandola in faccia nella penombra della stanza, le chiese: «Cosa c’è, Riyo?»
Volendo
urlargli di uscire da lei, volendo urlare il suo terrore e la sua rabbia, vide
lo sguardo dolce di quel buon uomo e mentì. «Ho avuto un piccolo crampo al
piede. Ma è passato, amore.» e sopportò in silenzio che la cosa finisse. Non
voleva rubare quel momento di felicità a un uomo a cui voleva bene. Ma anche
questo avrebbe pagato, la stronza, oh se avrebbe pagato, pensava mentre lui si
abbandonava ansimante su di lei.
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