giovedì 10 ottobre 2024

Vivere e morire a Coruscant. (Episodio III).

 Terzo episodio, indagini, idillio e dramma. Continuano le (dis) avventure di Riyo e Rex, buona lettura!


Riyo stava spostando i mattoncini nell’ologramma del gioco più diffuso, aveva lasciato un incastro a croce e, finalmente, le era uscito il pezzo che stava aspettando. Lo posizionò e tre livelli scomparvero insieme. Mille punti, con tanto di piccoli fuochi artificiali.

«Sono a cinquemila e ottocento punti, Rex.» disse all’uomo che stava immobile da più di due ore a fissare fuori dalla finestra con un piccolo binocolo in mano.

«Complimenti!» disse lui.

«Lo sai che posso indovinare che cosa hai visto in queste due ore lì immobile?»

«Cosa?»

«Cloni. Centinaia, migliaia di cloni che entrano al 79 con le tasche piene di soldi e il passo fermo e ne escono più poveri e barcollanti perché ubriachi fradici.»

Lui si girò e la guardò, era coricata sul letto, il mento appoggiato sulle mani e i piedi agitati in aria. Sembrava una ragazzina, in versione umana. «Sto cercando chi ammazza i cloni, quale posto migliore del 79 per trovarlo?»

«Quanti cloni sono stati uccisi qua a Coruscant?» gli chiese.

«Ventotto, nell’ultimo mese. Dodici di loro erano stati al 79 nei tre giorni precedenti.»

«Quasi la metà di loro nei tre giorni precedenti erano stati al 79, bene. Se prendessi cento cloni a caso per strada, quanti di loro sarebbero stati al 79 nei tre giorni precedenti?»

«Tra i quaranta e i cinquanta, direi. È il locale preferito dai cloni.»

«Quanti sono stati uccisi al 79?»

«Nessuno.»

Riyo alzò gli occhi al cielo e inspirò per poi sbuffare. «Rex, tu sei un ottimo soldato e un grande comandante, ma come investigatore davvero fai pena!»

Lui si alzò e si andò a sedere sul letto. «Hai idee migliori, Riyo?»

Lei si sedette a gambe incrociate appoggiando la schiena alla parete e gli rispose: «Certo. Per beccare questo assassino di cloni, le ultime persone che dobbiamo seguire sono i cloni.»

«Parla!» le disse.

«Descrivimi i fatti, di nuovo.»

«Allora … un insegnante dell’accademia per la re-immissione dei cloni nella società, un volontario che aveva lasciato un posto ben remunerato perché voleva aiutare i cloni a cui doveva la vita, si è fatto saltare in classe causando la morte di 18 cloni.»

«E uno. Un insegnante. E poi?»

«Un ufficiale che aveva servito su un incrociatore Jedi insieme ai cloni e che stava raccogliendo firme per farli riammettere nell’esercito imperiale, si è presentato ad una partita di palla volante tra due squadre di cloni e ha ucciso con un blaster nove di loro tra giocatori e pubblico, prima di essere catturato.»

«Un ufficiale. E poi?»

«Una senatrice ha ucciso a pugnalate un clone con cui aveva passato la notte.» le disse a bassa voce.

«Un insegnante, un ufficiale e … una senatrice. Quanti di loro erano avventori abituali del 79?»

«Nessuno. Solo la senatrice c’era stata per motivi politici un paio di anni fa.»

Lei si sfregò le mani e sorrise: «Non che non gradisca passare delle ore in questa stanza micragnosa vedendo la tua schiena mentre stai fermo a guardare fuori dalla finestra, Rex, ma è semplicemente inutile.»

«Tu che faresti, Riyo?»

«Lo sai che se ti scappa un “Riyo” per strada, finiamo tutti e due all’ergastolo a Narkina?»

«Sì, “Morgan”, ma se tu continui a chiamarmi Rex e non Raider …» le disse sorridendo.

«Opps!» disse lei e risero per un po’ nella stanza in penombra, illuminata solo dai neon dei locali aperti nella notte fuori dalla finestra.

«Allora, Morgan,» e sottolineò il nome con un cambio di tono di voce «Tu da cosa cominceresti?»

«Non abbiamo idea di dove sarà l’assassino, ma direi che possiamo ragionevolmente immaginare dove sia stato.»

«Dove?»

«Abbastanza vicino all’insegnante, all’ufficiale e … a me.»

«Gli olo-video della sorveglianza.» disse lui.

«Tombola! 50 crediti al signor Raider!» disse lei.

«Devo procurarmi quelli dell’insegnante e dell’ufficiale, chiamo un mio contatto.»

«I miei li hai già?» gli chiese.

«Sì, Riyo … Morgan, sì, ma … non devi guardare quella roba.»

«Devo, purtroppo.» gli disse, poi gli sollevò il mento e gli sorrise «Posso farcela, Raider, credimi.»

Lui prese dallo zainetto una scheda di memoria e la inserì nel proiettore al posto del gioco. Ne uscì un sommario e lei disse: «Questo.»

Lui fece partire le immagini, una bettola da due soldi, al bancone un notevole gruppo di alieni e umani, tutti evidentemente alticci. In fondo, seduta in minigonna e con le gambe accavallate, Riyo che beveva da un bicchiere. Aveva una pettinatura molto più semplice del solito, una scollatura molto profonda e degli stivali con i tacchi alti che le arrivavano fino al ginocchio. Era molto truccata e sembrava già molto brilla. Un clone andò a parlarle e, dopo aver confabulato un po’, si alzarono e andarono fino a una porta fuori dall’immagine.

Rex era arrossito e guardava in basso, bloccò la registrazione prima che partisse la parte registrata dalla telecamera in bagno. Lei fissava il fermo immagine che la riprendeva di spalle mentre si allontanava col clone.

«Mi dispiace, Riyo.» le disse lui.

«Anche a me.» disse lei, poi fece tornare indietro l’immagine. Guardò la pantoriana ripresa nel locale. Sorrise. «Tombola! Cento crediti alla signorina Morgan!»

«Cosa hai visto?» le chiese lui. Hai riconosciuto qualcuno?»

«No. Rex. E non ho riconosciuto nessuno perché stiamo guardando il filmato sbagliato.»

«Non sei tu?» le chiese con un’espressione sbalordita e speranzosa.

«Oh, no. Sono proprio io, innegabilmente, ma né quei vestiti né quegli stivali sono miei. Ma mi vanno a pennello, quindi la persona che mi ha fatto quello schifo me li ha fatti comprare personalmente. Se ci siamo incontrati, è stato prima. Dobbiamo scoprire in quale negozio ho comprato quel completo da battona.»

«E come facciamo?»

«Semplice, domani mattina Raider e Morgan, da bravi fidanzatini in vacanza a Coruscant, faranno un giretto per le vie dello struscio e cercheranno un negozio che venda roba simile tra quella bettola e il mio ufficio, che è l’ultimo posto dove mi hanno visto quel giorno.»

Rex la guardò sbalordito. La senatrice si rivelava una donna molto più capace di quanto lui avesse pensato.

«Ottima idea!» disse, e poi le chiese: «E ora?»

Lei lo guardò e disse: «E ora Morgan si è davvero stufata di stare a guardare la schiena di Raider e i due usciranno per andare a cena in quel bel localino che fa cucina di Naboo all’angolo.» si alzarono e, indossate due giacche leggere, uscirono nel corridoio. Lei si issò sulle punte dei piedi e gli disse all’orecchio: «La senatrice Chuchi avrebbe offerto volentieri, ma Morgan è abbastanza al verde, Raider.» e si diressero ridendo all’ascensore.

 

Avevano mangiato fin quasi a scoppiare, avevano riso come ragazzini e, sì, avevano flirtato in maniera sfacciata. E ora erano tornati nella stanza che avevano affittato per la sua inutile caccia ad un assassino nel posto dove non sarebbe affatto andato, e, finalmente, si erano messi a dormire. Riyo, Morgan, doveva chiamarla Morgan, dormiva coricata su un fianco sul letto, rivolta verso il muro, mentre lui stava supino sul divano, una trapunta leggera tirata su fino al petto e le mani intrecciate dietro alla testa. Guardava la giovane donna che respirava rumorosamente, russando ogni tanto, incapace di capire cosa stesse succedendo. Era una donna che aveva perso tutto, ma letteralmente tutto, dal nome all’aspetto fisico, dalla dignità di senatrice rispettata ai parenti che stavano piangendo la sua morte, eppure rideva e scherzava come una ragazzina spensierata.

Non andava bene, aveva visto soldati fare così, dopo battaglie in cui avevano perso tutti i loro fratelli, e quell’allegria eccessiva non era mai un buon segno.

Però, pensò coricandosi su un fianco e guardando la sagoma della donna che dormiva a un paio di metri da lui, bisogna anche dire che nei tre anni passati da quando era stato fondato l’Impero la povera Riyo era vissuta letteralmente nel terrore, avendo osato più volte opporsi all’Imperatore, e ora questa tensione era passata e quella giovane donna si era spogliata sia delle sue paure che dell’inamidata veste di senatrice che si faceva carico dei bisogni del popolo.

Però, continuò nel suo soliloquio silenzioso, un’altra cosa che non gli piaceva era stato quel “Magda non lascerà Coruscant fino a che non vedrà il cadavere di quello stronzo ai suoi piedi”, e questo davvero non gli piaceva per niente. La Senatrice Chuchi un qualcosa di simile non lo avrebbe nemmeno mai pensato, a suo modesto parere. E, sommando una innaturale leggerezza a una frase che le era estranea come un paio di branchie, per sua esperienza si poteva solo prevedere un crollo rovinoso.

E poi c’era un’altra cosa che non gli piaceva, e non riguardava affatto lei. Era un’idea che gli si era infilata in testa, l’idea che lei fosse così allegra perché… era con lui. E questa idea non gli piaceva perché … avrebbe dato un braccio perché fosse vera. Riyo gli era sempre piaciuta, ma alla maniera professionale di un soldato clone, ma Morgan … Morgan lo stava conquistando e questo gli faceva perdere lucidità, lo esponeva ai sentimenti, e non aveva mai visto nessuno uscire bene da un errore simile, soprattutto se con il suo corredo genetico.

Chiuse gli occhi pregando qualunque divinità stesse in ascolto di non fargli sognare Morgan, di non fargli assaporare, seppure in sogno, una felicità a cui non era abituato e per la quale non era stato addestrato. Nessun dio doveva essere in ascolto, naturalmente, e sognò di loro due.

 

Lei aveva identificato in fretta quale tipo di negozi avrebbe potuto vendere quel tipo di vestiti e calzature e vi si erano diretti la mattina successiva, dopo una robusta colazione. Il posto era solo un paio di livelli sotto il parco del monte Umate e lei aveva detto che, se fossero voluti sembrare davvero turisti, avrebbero dovuto andarci. Così, casomai qualcuno li avesse controllati, le telecamere di sorveglianza avrebbero mostrato due turisti con buffi cappellini e souvenir.

La piazza era davvero bella, e lui non l’aveva mai vista. In mezzo c’era una roccia che emergeva, l’unico punto della superficie del pianeta ancora visibile. Era un monte alto dodicimila metri, ed emergeva dal selciato per forse cinque metri. Lei, mangiando un gelato che le sgocciolava sulle dita, accese l’olo-guida e videro le immagini dell’alpinista che, 28.000 anni prima, aveva scalato per primo il monte. Una catena montuosa sterminata e ricoperta di nevi eterne si stendeva alle sue spalle e, all’orizzonte, si vedeva una pianura, o un mare.

«Lo hanno coperto, lo hanno nascosto. Ma lui c’è ancora, qua sotto.» disse lei e la sua espressione si incupì, le lacrime parvero affacciarsi alle sue palpebre, ma poi si scosse e lo guardò sorridendo. Diede un morso al gelato e, vedendo il liquido dolce sulle sue dita, allungò una mano verso di lui e disse: «Assaggialo, Raider!»

Lui le sorrise e, controvoglia, baciò quelle dita assaporando il gelato. Controvoglia perché le dimostrazioni di affetto in pubblico lo avevano sempre infastidito, ma anche perché desiderava con una forza incredibile che quella non fosse solo una recita, però sorrise e disse: «Buono.» poi pensò di entrare meglio nella parte del fidanzato innamorato e aggiunse: «E, buona.» e quelle parole false gli sembrarono troppo vere per non fargli male.

 

Passeggiarono avanti e indietro per la via tenendosi mano nella mano mentre lei guardava le vetrine. Poi si fermò e disse: «Eccoli!» e indicò degli stivali.

Rex li guardò avvicinandosi alla vetrina e chiese: «Cosa hanno di diverso da tutti gli altri stivali alti e col tacco che ci sono in ogni vetrina di questa via?»

Lei lo guardò con uno sguardo deluso, poi scosse la testa e disse: «Uomini.» Poi lo guardò e sorridendo disse: «E ora guarda quanto riesce a sapere Morgan. Ricordati che tu sei il fidanzatino che deve pagare.» ed entrò nel negozio. C’era una commessa, una twi’lek alta ed elegante.

«Buongiorno!» disse con una voce più acuta di forse un’ottava «Sono meravigliosi quegli stivali in vetrina. Me-ra-vi-glio-si! Lo dica al mio Raider, glielo dica anche lei quanto starei bene con quegli stivali!»

La commessa le sorrise e la guardò mentre roteava davanti a Raider e disse: «Lei ha delle bellissime gambe, ma quel tacco… oh, quel tacco la slancerebbe in maniera meravigliosa.» e poi, guardando Rex che era incredibilmente stupito dalla scena che gli si stava svolgendo davanti, gli disse: «Non ci crederà a quanto sarà bella la sua ragazza, signore.»

«Si chiama Raider, il mio magnifico ragazzone!» disse Morgan e gli saltò al collo stampandogli un bacio sulla guancia.

La commessa portò gli stivali, aveva naturalmente azzeccato il numero, e Morgan si sedette per provarli.

La commessa la guardava soddisfatta, quando disse: «Che strano, ho avuto un … come si dice… un dejà vu, sì, ho avuto un dejà vu.»

«Cosa?» le chiese Morgan sorridendo a 32 denti e tirando su la cerniera che chiudeva l’altissimo stivale che le arrivava al ginocchio.

«Cinque o sei giorni fa, no, quattro giorni fa, ho venduto esattamente gli stessi stivali a una giovane donna che era identica a lei, almeno le gambe. Uguale, cioè, uguale.»

«Davvero?» chiese Morgan sbarrando gli occhi e facendo un sorriso incredibilmente ebete. «Hai sentito, Raider, ho anche io un sosia, come te!»

«Io ne ho circa due milioni e mezzo.» disse lui.

«Sempre il solito precisino!» disse lei facendo una smorfia esagerata, e poi, alla commessa: «Ma mi dica, come è questa mia sosia, voglio saperlo!»

La commessa la squadrò tentando di ricordare, poi disse: «No, in realtà non era una sosia, era … sì, era blu. Aveva la pelle blu.»

«Una twi’lek? Le twi’lek sono bellissime, ma lei lo sa.»

«No, non era una twi’lek, era una di quelle con i tatuaggi dorati, una… ce l’ho sulla punta della lingua, oh! Una Pantorana, sì, era una Pantorana. Siete davvero simili, a parte la pelle e gli occhi, davvero similissime.»

«E aveva anche lei uno splendido ragazzo?» e si avvicinò a Rex abbracciandolo e sollevando vezzosamente la gamba inguainata nei pantaloni e negli altissimi stivali.

«No, era con un’amica che le suggeriva cosa scegliere, la consigliava in tutto. Era …» e qui la commessa fece un’espressione stranissima. «Era … oh mamma mia, che stranezza!»

«Cosa?» e qui l’espressione di dolce ebetudine di Morgan fu davvero miracolosa.

La commessa era sbalordita, incredula. «Nel mio lavoro è importante riconoscere i clienti, un cliente che si sente salutare e si sente ricordato a mesi da quando è venuto qui, è, se mi capite, un cliente ben disposto a spendere. Ma … se tento di ricordare quella donna, no, niente. Mi ricordo la Pantorana come se la vedessi qui, ora, ma la sua amica … è come se me la avessero cancellata dal cervello, c’è un buco nero al posto della amica.»

«Che strano!» disse con un’espressione fintamente ottusa Riyo guardando Rex, poi, con la voce squillante di Morgan disse: «Ci sarebbe da pagare queste meraviglie, Raider!» e, dopo pochi minuti, uscirono con un sacchetto che conteneva l’enorme scatola con dentro gli stivali.

«È come se gliel’avessero cancellata dal cervello.» disse Rex mentre svoltavano l’angolo.

«Ma dubito che abbia potuto cancellarsi dalle telecamere di sorveglianza, no?» gli disse indicando con un cenno del capo le onnipresenti olo-camere e gettando in un cestino gli stivali.

 

Un contatto di Rex, aveva un’enorme rete di contatti il ragazzo, pessimo investigatore, ma ottimo cospiratore, avrebbe fornito loro copie delle registrazioni della strada dei negozi di scarpe, e di quelle vicine che portavano all’ufficio di Chuchi, oltre che i filmati delle strade adiacenti a dove erano scomparsi l’ufficiale e il professore prima di riapparire nelle vesti di ammazza cloni.

Fino ad allora, ed erano solo le nove di sera, non avevano proprio nulla da fare. Provarono un altro ristorantino, cucina aldeeraniana, non la preferita da Rex, però si divertirono molto, soprattutto quando un suonatore ambulante di cetra lothaliana venne a suonare proprio per loro una sdolcinatissima canzone d’amore. Rex avrebbe voluto sprofondare fino al semimitologico mare di Coruscant, dove da decine di migliaia di anni si aggiravano draghi Krait acquatici albini e ciechi, nutrendosi dei malcapitati che si fossero persi nelle profondissime e ormai dimenticate fogne degli strati inferiori. Chuchi, invece, alla quale il personaggio di Morgan sembrava calzare a pennello, cantò a squarciagola la canzone dalle rime banali facendo gli occhi dolci e finendo lo spettacolo con un bacio al suo fidanzato Raider. Cioè, no, la scena finì in realtà con una bella mancia data da Rex al suonatore.

Comunque, mangiarono almeno un milione di stuzzichini e contorni, bevvero vini dolci e frizzanti, e completarono la divertente cena con un gelato enorme diviso tra loro. Poi tornarono a piedi al loro piccolo appartamentino in affitto, dove si servirono a turno del bagno e si prepararono per dormire.

Rex si sentiva leggero, gli sembrava di camminare a un palmo da terra, e non pensava che fosse solo per i tre calici di vino. Era lei, era la frizzante e divertente Morgan, che gli stava sgretolando la corazza che difendeva il suo cuore.

Riyo, mentre lui si lavava in bagno, stava seduta sul letto, con indosso solo dei pantaloncini e una canottiera, canticchiando la stupida canzone del suonatore ambulante, ricordandosi il sapore di gamberi sorganiani in salsa rosa che avevano le sue labbra. Chuchi non avrebbe mai baciato un uomo in un ristorante, non avrebbe cantato in pubblico, stonata com’era, ma Morgan … Morgan le piaceva, Morgan non era come Riyo che, a due anni da quando Rex l’aveva salvata dal clone assassino, non aveva ancora saputo dirgli di … provare qualcosa per lui. Morgan non pensava, agiva, e Morgan … non esisteva, Morgan era una maschera, del trucco pesante impiastricciato sulla sua vita distrutta, e, forse, Rex era solo un filo d’erba a cui stava tentando di afferrarsi per non precipitare nel nulla.

Per sicurezza si coricò prima che lui uscisse dal bagno, rivolta verso il muro, facendo finta di essere già addormentata. “Codarda” disse Morgan a Riyo, e Riyo fu totalmente d’accordo.

 

Alle tre di notte, l’ora degli incubi, l’ora in cui i malati gravi si arrendono e muoiono, Rex urlò agitandosi sotto alla coperta. Chuchi si svegliò di soprassalto, chiedendosi per un breve istante cosa stesse succedendo e, soprattutto, dove diavolo fosse, ma poi sentì le urla di Rex e saltò giù dal letto andando a svegliarlo. La luce delle insegne dei locali lì intorno illuminava la stanza e lei vide gli occhi sbarrati dell’uomo.

Era terrorizzato, tremava, ansimava, le lacrime gli bagnavano il viso. Quando lui si sedette sul divano lei lo abbracciò e lo strinse forte. «Cosa c’è Rex? Hai fatto un brutto sogno?»

«Ahsoka… Ahsoka era davanti a me e io le sparavo in faccia. La mia mente urlava No, No, NO, ma le mie orecchie continuavano a sentire la voce dell’Imperatore che ripeteva di eseguire il maledetto Ordine 66 e le mie mani si alzavano e le sparavo in faccia e lei … lei questa volta non faceva in tempo a parare i colpi e la sua testa … è esplosa, la sua testa è esplosa e l’ultima cosa che ho visto erano i suoi occhi che imploravano pietà, che guardavano delusi il suo amico che le sparava.» e cominciò a singhiozzare sulla sua spalla. A volte Riyo faceva fatica a ricordare che, anche se sembrava un suo coetaneo a causa dell’invecchiamento accelerato dei cloni, e per molti aspetti era un suo coetaneo, il povero Rex era in realtà ancora un ragazzino di sedici anni, un ragazzino di sedici anni che aveva combattuto e perso una guerra vedendo morire praticamente tutti quelli a cui voleva bene.

Gli sollevò il mento e gli chiese: «Tu la ami, vero? Tu ami Ahsoka?»

Lui ci pensò un po’, ci pensò un bel po’, poi disse: «Ahsoka è la persona a cui voglio più bene nell’intera Galassia, morirei per lei, in qualunque momento.» poi abbassò lo sguardo e la voce e disse: «Però è un’altra la donna che amo.» e poi, sottovoce, in un sospiro, «Tu.»

Chuchi rimase immobile, le mani sulle spalle robuste dell’uomo in lacrime, incapace di parlare, e anche Morgan non parlava. Lui non piangeva più, ma tremava ancora. Lei gli alzò di nuovo il viso e lo guardò negli occhi. «Ami Riyo o Morgan?» gli chiese.

Lui sorrise, piegò la testa da un lato e disse: «Te.»

Lei gli strappò di dosso la coperta e lo baciò, poi, continuando a baciarsi e ad abbracciarsi, si liberarono dei loro pochi indumenti e lasciarono che quello che avevano pensato e desiderato in quei pochi giorni avvenisse.

Però, a un certo punto, mentre lui le stava tra le gambe che lei gli aveva intrecciato dietro alla schiena e faceva l’amore con lei tenendo la fronte appoggiata contro il suo collo, lei ricordò … improvvisamente i ricordi di quando era stata guidata, manovrata, stuprata da una mente aliena usando come strumenti i corpi di uomini identici in tutto e per tutto a lui, riemersero e pensò che avrebbe urlato, sentì un disgusto e un dolore dentro di sé che sembravano volerla uccidere. Rex la sentì irrigidirsi, si allontanò un po’ da lei e, guardandola in faccia nella penombra della stanza, le chiese: «Cosa c’è, Riyo?»

Volendo urlargli di uscire da lei, volendo urlare il suo terrore e la sua rabbia, vide lo sguardo dolce di quel buon uomo e mentì. «Ho avuto un piccolo crampo al piede. Ma è passato, amore.» e sopportò in silenzio che la cosa finisse. Non voleva rubare quel momento di felicità a un uomo a cui voleva bene. Ma anche questo avrebbe pagato, la stronza, oh se avrebbe pagato, pensava mentre lui si abbandonava ansimante su di lei.


Nessun commento:

Posta un commento