mercoledì 9 ottobre 2024

Vivere e morire a Coruscant. (Episodio II)

 Ecco il secondo episodio di questa fanfiction starwarsiana che ho davvero amato scrivere.

Quanto mi hanno fatto compagnia Riyo/Magda e Rex/Raider mentre scrivevo!

Buona lettura!


L’ometto, che era il tenente dell’ISB Milo, guardava il corpo blu della pantoriana steso sulla branda. Aveva provato un azzardo e aveva perso.

Il Cielo gli aveva mandato quella fortuna, una senatrice dell’opposizione in una situazione perfetta, colpevole in tutta evidenza di reati gravissimi, e lui avrebbe solo dovuto raccogliere il frutto che gli veniva porto dalla buona sorte. Era una donna ricca e viziata, abituata ad agi, comodità e rispetto, con un po’ di fortuna avrebbe parlato dopo una notte lì, senza nemmeno maturare un po’ rosolando sulla graticola di Narkina, e lui avrebbe avuto tutto, nomi, cognomi, luoghi, parole d’ordine. Aveva pensato che quell’accenno al suicidio l’avrebbe fatta crollare, e che, magari, un tentativo di suicidio l’avrebbe spezzata del tutto, ma non aveva proprio pensato che una donna così giovane potesse crepargli tra le mani perdendo tutta l’importanza che aveva. Droga, shock, botte, maledetti soldati, ma chi gli aveva detto di picchiarla così forte… e ora era lì, morta, fredda, rigida, inutile da morta quanto doveva esserlo stata come senatrice, e tutto per il suo azzardo.

«Portatela all’inceneritore.» disse gettandole addosso la coperta con cui si era uccisa, la coperta che lui, idiota, le aveva dato.

Gli inservienti sollevarono sbadatamente il corpo e lo gettarono sulla barella che spinsero per i corridoi parlando del più e del meno, presero un ascensore, fecero altri due corridoi, aprirono una porta ed entrarono in una sala dove un inserviente addetto agli scarichi per i detenuti morti stava chiacchierando con un uomo delle pulizie calvo.

Quando furono vicino alla capsula l’addetto la aprì e loro vi gettarono dentro il corpo.

«L’avevi mai vista una senatrice nuda?» chiese uno all’addetto, che era un clone come il tizio delle pulizie.

L’uomo guardò la donna morta e disse: «No, mai.»

«Davvero non male, la troietta.» disse l’altro portantino, che allungò una mano e strizzò un seno della donna. «Bella soda, la senatrice! Io le darei quasi una bottarella.» e rise.

L’addetto all’inceneritore rispose, bruscamente: «Certe schifezze le fai in un altro obitorio.»

«Che palle, voi cloni, ma non ridete mai? Era una cazzo di battuta, una cazzo di battuta idiota!» e uscì con il suo collega lasciando i due cloni da soli col corpo.

«Dai, facciamo in fretta, Capitano!» disse l’addetto a Rex, che tolse delle lenzuola dal carrello e scoprì il corpo di un barbone che giaceva non reclamato da un anno in obitorio. Andò a prendere in braccio Riyo e la poggiò con delicatezza nel carrello coprendola con la sua coperta e le lenzuola, mentre il suo amico metteva nella capsula il corpo e lo scaricava nell’inceneritore.

«Grazie, Roadmap.» disse spingendo il carrello verso la porta, poi si fermò e chiese: «Come si chiama quello stronzo con un enorme senso dell’umorismo?»

«Mee-Lon, signore.»

«Chissà che non gli capiti un incidente nei prossimi giorni.» disse Rex e uscì sentendo suo fratello che rideva. Spinse il carrello per i corridoi e arrivò all’hangar, salì sulla navetta, partì, volò tranquillo nelle corsie riservate ai mezzi di servizio e deviò in un vicolo. Lì lo aspettavano la sua navetta personale e il vero addetto alle pulizie, un clone suo amico anche lui. Scese dalla navetta dell’impresa di pulizie portando in braccio Riyo avvolta con cura nella coperta e salutò l’amico che gli rispose con un saluto militare e chiamandolo Capitano. Poggiò con delicatezza Riyo sul sedile del passeggero e si diresse al pozzo di Coruscant, immettendosi nella corsia di discesa. Le sorelle Martez lo attendevano sulla piattaforma della loro officina, al livello 1313, pronte a prendersi cura della sua amica.

Ce l’aveva fatta. Si sedette a terra stanco e soddisfatto, mentre Trace e Rafa portavano dentro Riyo per lavarla e rivestirla. Mee-Lon, sì, sarebbe stato aggredito in un vicolo e il rapinatore lo avrebbe colpito con una violenza davvero eccessiva al basso ventre, povero Mee-Lon. Un piccolo problema alla volta, Riyo era fuori pericolo e lo stronzo sarebbe stato punito. Ora gli restava solo il piccolo impiccio di scoprire chi stesse ammazzando i cloni e i loro alleati su Coruscant.

 

Rex e le sorelle Martez stavano facendo colazione nella cucina del piccolo appartamento delle due strambe ragazze, quando Riyo entrò con i capelli violetti bagnati e dei semplici vestiti addosso, molto diversi dal suo solito stile senatoriale. Trace si alzò per aiutarla a sedersi, era evidentemente molto dolorante e lei guardò la ragazza dai capelli ricci e neri che la sovrastava di almeno dieci centimetri. «Da dove vengono questi pantaloni che calzano a una piccoletta come me?»

Trace le rispose dopo essersi seduta, mentre mordeva con evidentissima soddisfazione un dolce di forma triangolare ripieno di una appetitosa crema gialla «Diciamo che, quando ritira i vestiti in lavanderia, Rafa non sempre si limita alla sua asciugatrice.» e le due ragazze e Rex risero rumorosamente.

Riyo li guardò con l’espressione di chi si chiede in quale dello zoo sia caduta per sbaglio, poi rise anche lei. «Mi servirebbero anche delle scarpe, e vi pregherei di non rubacchiarle nello spogliatoio di una piscina.»

Rafa, che stava mangiando una fetta di torta ricoperta di una marmellata quasi nera, le disse con fare molto serio: «Ma per favore! Io vado in palestra, non in piscina!» e giù altre risate, a cui si unì anche Riyo, mettendo nel suo piatto un dolce uguale a quello di Trace. «Buono!» disse dopo averlo assaggiato, lo mangiò rendendosi conto di avere una gran fame e bevve del latte dal colore sospettosamente troppo blu a quello che le servivano di solito a casa o al Senato, poi, raccogliendo le briciole come faceva da bambina, disse: «Grazie. Grazie, ragazze, grazie, Rex, io … io …» e scoppiò a piangere.

I tre si guardarono un po’ indecisi, poi Trace le chiese: «Come è morire, Senatrice?»

Lei si asciugò gli occhi e guardò le sue mani. Il loro blu era perfettamente pulito, ma a lei sembrava di vedervi ancora il sangue di quell’uomo. Si sentiva ancora sporca, dentro e fuori. Abbozzò un sorriso e disse: «Malgrado la bontà dei dolci, devo ammettere che il paradiso è molto deludente.» disse e fu contenta di vederli ridere. Rex la guardava con affetto, e vedeva che rideva solo con una parte della faccia, e della mente. «A parte gli scherzi … fa davvero male quella pillola, Capitano, fa davvero malissimo!»

«Però funziona.» disse lui, poi prese un frutto arancione e, spellandolo con le sue dita grosse e robuste, le disse: «Non sono più capitano di niente, Senatrice, mi chiami Rex.»

«E io non sono più senatrice, pare. Riyo va benissimo, Rex.»

«Certo, senatrice.» le rispose ammiccando.

Mentre mangiavano e scherzavano l’oloproiettore trasmetteva uno spettacolo musicale con una banda di alieni male assortiti che suonavano una specie di jazz molto orecchiabile, ma, all’improvviso, lo spettacolo fu interrotto da un’edizione straordinaria del notiziario.

“Edizione Straordinaria! La Senatrice Chuchi, nota oppositrice antipatriottica che tante volte ha tentato di danneggiare in Senato le leggi dell’Impero, è morta ieri sera.

Arrestata in flagrante per abuso di droga, prostituzione e omicidio, la nota sovversiva si è suicidata in cella quando è stata posta di fronte all’inevitabilità della sua condanna.

Siamo certi che il nostro glorioso Senato lavorerà meglio, senza questa squallida debosciata.” Disse la voce dello speaker mentre scorrevano immagini della senatrice Chuchi in Senato, e poi di lei in manette con addosso la coperta e, alla fine, in una fuggevole inquadratura del suo corpo nudo gettato su una branda, con due ridicole pecette a coprirle sesso e seni.

Riyo si morse la mano stretta a pugno mentre Rex correva a spegnere l’oloproiettore, e quando lui tornò al tavolo vide che le lacrime si stavano affacciando dalle sue palpebre, mentre lei tremava e respirava rumorosamente e rabbiosamente. Strizzò gli occhi e inspirò, poi, con voce stridula, chiese: «Chi mi ha fatto questo? Chi diavolo ha il potere di prendere una persona e farle fare quelle cose orribili come una marionetta?»

Rex scosse la testa, le posò una mano sulla mano sinistra stretta a pugno intorno al tovagliolo e le rispose: «Non lo so, Riyo. Non lo so.»

Lei guardò l’oloproiettore spento e si alzò andando verso la finestra che dava sul pozzo, tipico panorama dei poveri di Coruscant, e non il peggiore tra quelli possibili, poi disse, senza intonazione: «Lo avranno visto anche i miei genitori. Immagino che non li abbiano nemmeno avvertiti, che si siano trovati quella notizia davanti così, all’improvviso.»

Rex provò a parlarle «Riyo, non …» ma lei continuò con voce sempre più alterata «I miei assistenti, i miei domestici, Bail, Mon … tutti hanno visto quelle immagini.» e crollò in terra piangendo.

Rex guardò le sue due amiche facendo cenno di lasciarli soli e loro due uscirono con i piatti sporchi. Lui si alzò e andò a sedersi in terra a gambe incrociate vicino a lei, in silenzio, aspettando che la rabbia e il dolore sbollissero abbastanza da permetterle di parlare.

«Chi mi ha fatto questo?» disse singhiozzando e tirando su col naso.

«Sono venuto qua proprio per scoprirlo, Riyo.» disse lui pensando di prenderle la mano, ma poi si fermò. Forse lei non avrebbe gradito.

«Qualcuno mi ha fatto drogare, capisci? Mi ha fatto ubriacare, mi ha fatto prostituire! Mi hanno mostrato le immagini, c’ero io in ginocchio con quei soldati e … e io gli facevo, no! No!» e cominciò a strapparsi i capelli urlando.

Lui le fermò le mani e la abbracciò tenendola stretta, fino a che smise di muoversi. «Lo so.» le disse a voce bassa, calmo.

Lei lo guardò con rabbia e delusione. «Cosa sai? Dimmi, cosa sai, tu? Non sei tu che stavi in ginocchio a succhiare cazzi! Non sei tu che ti sei svegliato con la passera sporca di, no, lurida di sperma di uno sconosciuto, non sei tu che hai ucciso un poveraccio con le tue mani! Non sai nulla, non puoi sapere nulla!»

Lui continuò a stringerla, accarezzandole la schiena con delicatezza, mentre lei ansimava e singhiozzava, poi, sempre stretto a lei, le disse: «Io ho sparato ad Ahsoka. Capisci? Io, come se nulla fosse, ho sparato ad Ahsoka, per ucciderla.

È bastato che l’Imperatore mi dicesse via radio “Eseguire l’ordine 66” e io ho preso i blaster e ho sparato ad Ahsoka.

La conosco da quando era bambina, abbiamo vissuto insieme tre anni, l’ho vista crescere, l’ho vista diventare donna, le ho salvato la vita e lei l’ha salvata a me, la amo più di quanto amerei una sorella, e una cosa che mi hanno infilato in testa quando ero un embrione mi ha comandato come un cazzo di droide, costringendomi a spararle.

Pensi che io non possa capire? Io me lo ricordo, quel momento, mi ricordo le mie dita sui blaster e il suo sguardo terrorizzato. Io, il suo Rex, suo fratello, che le sparava in faccia.

Certo che so cosa provi, Riyo, lo so benissimo. Ahsoka può avermi perdonato, ma quel ricordo nessuno me lo potrà mai togliere.»

Riyo si staccò da lui con il viso stravolto dal pianto, tremante, e disse: «Scusami, Rex. Scusa.» e lo abbracciò. Quell’abbraccio non risolveva i problemi, non sarebbe servito a trovare chi l’aveva voluta colpire così crudelmente, non avrebbe raccontato la verità ai suoi genitori su Pantora, ma era un abbraccio e tutti e due furono rasserenati piangendo insieme.

 

Riyo andò a dormire sulla cuccetta che le avevano preparato in una stanza adoperata come sgabuzzino e al suo risveglio trovò delle scarpe della sua misura. Quelle due ragazze erano meravigliose, allegre e divertenti, oltre che pazze, ma dovevano averla presa per una diciassettenne, a giudicare dai vestiti e dalle calzature che le avevano procurato. Erano comunque vestiti puliti, forse avrebbe dovuto cominciare ad abituarsi alla sua nuova vita. Uscì dallo stanzino rendendosi conto che, finalmente, il mal di testa da sbornia le era passato. Il male alla schiena per la botta data col blaster e il dolore allo sterno per il più che probabile massaggio cardiaco invece c’erano ancora, ma sarebbero passati, quelli erano dolori che sarebbero passati. Agli altri, forse, per ora era meglio tentare di non pensarci.

Le due ragazze non c’erano, da quel che aveva capito avevano una quantità di traffichi, più o meno legali, in giro per tutto quel livello. Rex era insieme a suo fratello Echo, che aveva collaborato con lei alla catena di rifugi e protezione per i cloni. Era sempre mortalmente pallido, oltre ad avere dei bulloni in testa dove lo avevano attaccato a un computer i Separatisti durante la Guerra dei Cloni. Ecco, quelle erano ferite e dolori che non sarebbero certo passati.

«Echo! Che piacere vederti!»

«Senatrice Chuchi!» le disse abbozzando un saluto militare, poi si mosse verso di lei e le diede la mano. Lei lo guardò e lo abbracciò, era un brav’uomo, e un caro amico.

«Pare che non lo sia più, Echo, non lo hai saputo?»

«Rex mi ha riferito tutto, Senatrice.» le rispose, facendo evidentemente finta di non aver visto il servizio trasmesso in tutta la Galassia, in segno di rispetto nei suoi confronti. Quando i cloni erano brave persone, erano tra le migliori.

«Visita di cortesia?» gli chiese sedendosi al tavolo e versandosi una tazza di thè di Naboo.

«Tra le altre cose, Senatrice.» le rispose sorridendo e i due cloni si sedettero al tavolo con lei. Mentre Rex versava il thè per sé e per il fratello questi tirò fuori dallo zaino una serie di aggeggi assortiti. Due li riconobbe, erano codici a catena, con accanto una macchinetta per hackerarli e falsificarli, e poi c’era una siringa dall’aspetto inquietante.

«Devo morire di nuovo?» chiese prendendola.

«No.» le rispose Rex, poi fece una smorfia e aggiunse: «Ma da quello che mi aveva raccontato il generale Kenobi, fa abbastanza male anche questa.»

Fissando la siringa li guardò e chiese: «Cosa fa ‘sta roba?»

«Riscrive totalmente i lineamenti di una persona.»

«Cioè?»

«Basta programmarla e trasforma le caratteristiche della persona a cui viene iniettata. Dovrebbero essere nano droidi o qualcosa di simile.» disse Rex.

«Sì, sono nano droidi.» disse Echo.

«Quindi mi iniettate questa e divento una twi’lek?» chiese ai due cloni.

Echo alzò entrambe le mani e disse: «Non è magica, fa solo un po’ di cambiamenti, sposta un pochino i lineamenti, cambia il colore della pelle. Di certo non può farle crescere i lekku.»

«Stavo scherzando.» e continuava a guardare la siringa. Sapeva di non poter uscire con quella sua faccia, anche se risultava morta era comunque nella memoria di tutti i sistemi di sicurezza, però … la sua faccia, cos’altro le rimaneva? «E in cosa vorreste trasformarmi? Riyo The Hutt?»

Rex rise alla battuta e disse: «Pensavo a qualcosa di minimale, appena sufficiente a confondere i cervelloni della Sicurezza, per esempio toglierle totalmente l’aspetto da Pantoriana.»

«Cioè, farmi diventare rosa? È reversibile?»

«Sì. E dovrebbe tingersi i capelli.» disse Echo. poggiando sul tavolo una confezione di tintura castana.

Riyo si guardò intorno e inspirò rumorosamente. Pensava di avere perso tutto, ma la sua faccia e la sua razza non le aveva messe in conto. Bene! Prese siringa e tintura e si diresse al bagno.

«Senatrice! Le sopracciglia, deve tingersi anche le sopracciglia.»

Lei guardò la confezione di tintura e disse: «Torno tra una mezz’oretta.»

Entrata in bagno si spogliò e si guardò nello specchio. Una bella pantoriana, giovane e in forma. Aveva qualche livido e dei tagli sulla mano destra, per il resto era davvero in ottime condizioni. Improvvisamente in procinto di piangere, entrò nella doccia e cominciò a bagnarsi i capelli, li lavò e poi li cosparse con la tintura. Ne passò un po’ sulle sopracciglia specchiandosi nel vetro ricoperto di gocce. «Tanti saluti, Riyo!» disse. Nei venti minuti successivi si lavò accuratamente il corpo da uno sporco che, probabilmente, era nella mente più che sulla pelle, poi risciacquò i suoi lunghi capelli che le arrivavano fino al sedere.

Uscita dalla doccia si fissò nello specchio appannato, dopo averlo ripulito con l’asciugamano. I capelli castani erano ridicoli, sul suo corpo blu e con i suoi occhi dorati. Prese le forbici e si tagliò i capelli corti e irregolari. Una strana figura estranea la guardava dalla superficie riflettente, poi prese la siringa e se la infilò nella coscia premendo lo stantuffo. Sentì un calore risalire dalla gamba, poi come un formicolio in tutta la pelle, e poi il formicolio divenne un bruciore quasi insopportabile, anche gli occhi sembravano bruciare nelle orbite, si inginocchiò e pianse mentre il suo corpo bruciava. Poi, gradatamente, finì e riuscì ad aprire gli occhi, col dorso della mano si tolse le lacrime che le impedivano di vedere chiaramente e guardò lo specchio.

A diciotto anni, col suo ragazzo dell’epoca, era uscita dalla tenda in campeggio subito prima dell’alba e avevano visto, passeggiando mano nella mano, la rugiada che ricopriva tutte le piante e le rocce scomparire gradualmente quando il sole la colpiva. Era stato magico, uno strato di realtà che spariva davanti ai loro occhi. Ecco, il blu della sua pelle stava evaporando allo stesso modo, tutto il suo corpo stava passando dal bellissimo blu che aveva ereditato da mamma a un rosa molto più chiaro di quello della pelle delle sorelle Martez o di Rex, e che le ricordò il viso della sua amica Padme. Le sue labbra passarono dal lillà a un rosa carico, mentre i suoi bellissimi, grandi occhi dalle iridi dorate diventavano un po’ più piccoli e verdi come un campo di erba in primavera.

Ora una donna sconosciuta, una bellissima umana, la fissava dal vetro. Anche i suoi tatuaggi dorati, simbolo della sua famiglia, che le attraversavano le guance sotto agli occhi, sparirono, lasciando solo degli zigomi regolari.

Sì, ricordava un po’ Padme, la sua amica morta tre anni prima, subito dopo la nascita dell’Impero.

Quanto altro avrebbe perso, prima che quella storia fosse finita? Cosa sarebbe rimasto di sé stessa, alla fine?

Si rivestì e sentì quegli abiti semplici, giovanili, adatti a questa giovane donna che la guardava dallo specchio, faticando a riconoscere in quella figura in maglietta e pantaloni la senatrice dalle elaborate acconciature.

Uscì e fu divertita dallo sguardo sbalordito dei due cloni.

«Come si chiama questa bella umana?» chiese ad Echo.

Lui infilò il codice a catena nel lettore e lesse: «Magda Ross, Senatrice.»

«Non c’è nessuna Senatrice, Echo. C’è solo Magda.» e si avvicinò a Rex che la guardava incredulo. «Cosa pensi di Magda Ross, Rex?»

Lui sorrise e disse: «Che non avrà alcun problema a superare i controlli e a lasciare Coruscant.»

«Ma Magda non lascerà Coruscant, Rex.» gli disse ergendosi impettita almeno 20 centimetri sotto di lui, «Magda Ross e il suo socio Rex sono qui per indagare e scoprire chi sta facendo del male ai cloni e ai loro alleati. Magda non lascerà Coruscant fino a che non vedrà il cadavere di quello stronzo ai suoi piedi.»

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