lunedì 24 agosto 2009

Ai miei inesistenti lettori.

Allora, cari i miei inesistenti lettori, visto che vi è tanto piaciuto il racconto di ieri, oggi ve ne offrirò un altro.
Ma prima permettetemi di chiedervi una cosa. Vi siete accorti che oramai la gente si fa un vanto di raccontare balle, o dire bugie o di spacciare una cosa per un'altra?
Vi farò degli esempi. se vi capita di guardare la televisione, vi sarà capitato di vedere una cosa chiamata pubblicità, sapete, quella cosa che sempre più raramente viene interrotta dai programmi...
Allora, notoriamente la pubblicità è quella cosa che serve a un tizio per dirvi che il suo prodotto è il migliore, come chiedere al fruttivendolo se le sue mele sono più buone di quelle dell'altro negozio.
Ma da un po' di tempo si stà davvero esagerando, avete notato?
Vi vendono uno yogurt, un normalissimo yogurt, e nella pubblicità ci viene presentato come una medicina capace di regolarizzarvi l'intestino come neanche un cane da pastore fa con un gregge di pecore; addirittura in una versione vi dicono che mangiandolo ci si sente addirittura più giovani! TROVATA LA CURA PER L'ETERNA GIOVINEZZA! ESCE DALLE TETTE DELLE MUCCHE E FERMENTA IN AMBIENTE CALDO E UMIDO!
O mio Dio!
E quell'altra reclame (scusate la parola antiquata, sono nato negli anni settanta), quella di un'acqua minerale che si vede una ragazza che cammina in un assurdo eden fiorito mentre la voce fuori campo descrive una potentissima medicina capace di curare tutti i mali? Cioè l'acqua stessa, che addirittura a berne tanta stimola la diuresi, cioè fa pisciare! Me' cojoni! direbbero a Roma, che scoperta!
Ci sono poi le auto super ecologiche che sparano fiorellini dal tubo di scappamento, medicine che fanno fuggire via il mal di testa come l'aglio i vampiri, gente che mangia sughi pronti tanto buoni che non può fare a meno di rubarsi il piatto come maiali al truogolo.
Non so voi, ma io in quei casi vorrei rompere il televisore, ma facendolo soffrire prima!
E poi c'è Lui, sapete bene chi, il piccolo Lui priapesco che ci governa, quello che è contro la mafia e fa le leggi pro-mafiosi, quello che è cristiano e fa le corna alla seconda moglie, quello che evade le tasse e si vanta di combattere l'evasione, quello che non conta più nulla nel mondo e si pavoneggia per accordi tra altri paesi che non sanno nemmeno chi è.
Basta ora, comincio a sembrare un vecchietto di quelli che dicevano che solo le bombe del '15 erano bombe.
Il racciìonti che vi presento oggi, se vi andrà di leggerlo è qui di seguito. E' il primo che io abbia mai scritto, avevo si e no quindici anni, e si intitola:
LA GROTTA

Durante una vacanza in Indonesia ho trovato su una bancarella un vecchio taccuino in cuoio su cui era scritto il testo che segue. La carta era vecchia di almeno un secolo e il testo, vergato per fortuna a matita, era quasi del tutto leggibile. Le ultime pagine sono scritte in una grafia totalmente diversa da quella del resto del testo e sono quasi incomprensibili, ma a mio parere sono della stessa mano delle altre, solo scritte in condizioni proibitive. Il testo si interrompe improvvisamente in una pagina che è macchiata da una sostanza che il secolo abbondante di invecchiamento ha trasformato in una macchia di colore marrone scuro. Pubblico il testo così come lo ho letto su quel vecchio taccuino, senza miei commenti o giudizi, ma solo con delle mie congetture (in corsivo) a integrarlo dove mi sembrava logico capire cosa nascondessero le lacune.
12 ottobre 1878

Caro diario! Finalmente l’aria di mare comincia a purificarmi i polmoni dal lezzo di vecchio marciume che ammorba la nostra cara Italia. Lasciando Genova su questo veliero diretto in India non mi sono neanche voltato a guardare la città dove sono nato e dove ho cominciato a lottare per le mie idee. Non sono andato a combattere 18 anni fa con il generale Garibaldi perché questi maledetti aguzzini piemontesi prendessero il potere e affamassero gli Italiani. Al solo pensiero che quel maledetto re da operetta se ne stia nel suo ricco palazzo a Roma circondato dalla sua provincialissima corte mentre i bambini muoiono di fame per l’odiosa tassa sul macinato e migliaia di poveri fratelli meridionali languono nelle luride galere perché hanno tentato di difendersi da un fisco vorace col brigantaggio, il mio stomaco si rivolta e provo vergogna di essere nato in questo sventurato paese. Ma ora basta! Vedrò terre nuove e ancora pure dall’orrenda corruzione che divora il nostro vecchio mondo. Troverò popoli che ancora non si inchinano a squallidi re, luoghi felici dove nessuno ha ancora violentato l’umana natura arrogandosi la proprietà delle terre e di tutto quanto madre natura ci ha donato.

14 ottobre 1878

Caro diario, eccomi di nuovo a te. Il viaggio continua e oggi abbiamo lasciato le acque chiuse e stagnanti del nostro vecchio mare. Passando le colonne d’Ercole e vedendo davanti a me le sterminate acque dell’oceano mi sono finalmente reso conto di quale infima tinozza noi chiamiamo casa. Tra meno di un mese sarò in un luogo dove il nome del nostro indegno re è sconosciuto e dove le encicliche del Papa non hanno neanche il valore della carta su cui sono scritte. Libertà, aspettami!

1 novembre 1878

Caro diario, dopo due settimane torno a scriverti. Sono stati giorni di dura navigazione, tra tempeste così forti che le piccole burrasche dei nostri mari mi sono apparse per quello che sono, piccole increspature in pozzanghere di acqua stagnante. Passato il Capo di buona speranza siamo finalmente entrati nell’Oceano indiano. Terre sconosciute e popoli ignoti mi aspettano, la piccola e sventurata Italietta è ormai uno sbiadito ricordo dietro alle mie spalle.

Mancano due pagine in cui il nostro ignoto viaggiatore doveva raccontare le ultime fasi del suo viaggio verso l’India e il suo imbarco su di una nave olandese diretta a Sumatra. Il diario ricomincia il 13 novembre in vista del porto di Sibolga, da cui aveva intenzione di cominciare il suo viaggi di esplorazione dell’entroterra.


13 novembre 1878

Caro diario, ecco davanti a me il porto di Sibolga. Quando tra poche ore sarò sbarcato, mi procurerò provviste e attrezzature per la mia esplorazione delle terre selvagge dell’interno. Non ci posso ancora credere. Poche ore e sarò tra esseri fortunati, non contaminati dalla religione o dal possesso. Se esiste un paradiso, esso si trova in terra ed è qui di fronte a me.

15 novembre 1878

Caro diario, ho comprato un asinello e provviste per almeno due mesi. Posso già immaginare che tra pochi giorni non ne potrò più di gallette e carne affumicata, ma la foresta attorno a me è così ricca di vita e la mia bandoliera così carica di pallottole che non penso proprio che frutta o carne fresca mi potranno mancare.
Mi è dispiaciuto salutare i miei amici olandesi; malgrado parlino una lingua che fatico a credere umana, sono tra gli uomini migliori che abbia mai incontrato e vorrei che noi Italiani fossimo onesti e laboriosi la metà di loro. Ma allora non saremmo Italiani, mi viene da dire con una feroce autoiro_ nia. Va bene! Comincia ora la parte più difficile ma più significativa del mio viaggio. I miei amici olandesi pensano che io sia matto, ma io penso che lo siano loro, che non vedono l’ora di tornare nella nostra vecchia e ammuffita Europa.

17 novembre 1878

Caro diario, risalendo il fiume Pahna’ ( non risulta che esista nessun fiume con questo nome a Sumatra, né oggi né ai tempi del nostro anonimo viaggiatore. N.d.E.) mi sono lasciato alle spalle intorno a mezzogiorno l’ultimo villaggio in cui i missionari cristiani hanno portato la loro ammor_ bante religione. A dire la verità in ogni villaggio che ho visitato ho trovato solo selvaggi rovinati da preti cristiani o maomettani. Tutta la gioia di vivere di questa gente è stata come succhiata via da questi maledetti “ benefattori dell’umanità” la cui unica preoccupazione è quella di ricoprire indecenti nudità e insegnare che tutto quello che rende bella la nostra vita è peccato e ci porterà alla dannazione.
Mi è stato assicurato che risalendo questa vallata troverò un territorio ancora inesplorato in cui abitano uomini che non si possono neanche definire tali, dei veri e propri selvaggi che non sanno neanche coprirsi. Meglio per me, vuol dire che non sono ancora stati infettati dal mondo “evoluto”. Mi dicono che sono tagliatori di teste e cannibali e che rischierò la vita. Che sia! Meglio tagliatori di teste che preti, e meglio cannibali che padroni. Per difendermi da questi pericoli basta e avanza la mia pistola.

20 novembre 1878

Le zanzare mi stanno mangiando vivo e le sanguisughe avranno ormai succhiato almeno la metà del mio sangue. Questa notte non ho trovato della legna secca e così non ho potuto accendere il fuoco. Ho passato tutta la notte sveglio con la pistola in mano, trasalendo ad ogni rumore, sicuro che fosse una tigre pronta a divorarmi. Neanche nelle battaglie contro l’esercito borbonico ho avuto tanta paura come stanotte. Sono quasi sicuro che qualcuno mi stia seguendo, anche se non ce l’ho fatta a vedere nessuno. Ho trovato delle impronte di piedi umani nel fango e una pietra che ho raccolto era stata evidentemente scheggiata intenzionalmente per farne uno strumento. E’ solo la certezza che le persone che sto cercando da tanto tempo sono così vicine a darmi la forza di andare avanti, perché sono davvero al limite della sopportazione.



21 novembre 1878

Caro diario, li ho finalmente visti! Avevo appena ucciso un piccolo cerbiatto e lo stavo scuoiando quando ho alzato la testa e ne ho visto uno in piedi davanti a me. Era un piccolo negro di circa trentacinque anni, dai lineamenti scimmieschi e i capelli neri e infeltriti. Era nudo come quando è nato, tranne per un ridicolo guscio di zucca scavato e secco che portava legato con una cordina alla vita. In questo astuccio teneva infilato il pene come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. Erodoto disse giustamente che per ogni persona i costumi dei suoi avi sono normali e tutti gli altri sono ridicoli o osceni, ma anche il nostro antico scrittore sarebbe scoppiato a ridere in faccia a questo selvaggio. Con un grande sforzo non ho riso e ho continuato in silenzio il mio lavoro. Ho staccato un zampa al cerbiatto e la ho offerta al negro, a cui si erano uniti altri tre uomini abbigliati come lui. L’ha accettata e, dopo aver fatto un breve cenno col capo, è scomparso nella boscaglia con i suoi amici, silenziosamente come erano apparsi.
Sono seduto davanti al fuoco, con una capanna di frasche sulla testa, della buona carne arrostita e della frutta come cena e ho avuto i primi contatti con i selvaggi che cercavo. Come sbagliavo a essere così demoralizzato solo ieri!

La pagina seguente è strappata ed è leggibile solo in una sottile striscia in basso.

… delle quattro capanne due sono accessibili a tutti e sono quelle dove si vive e si dorme, mentre due sono limitate ad alcuni membri della tribù. Una è per le donne “impure”, cioè quelle che hanno appena partorito o che hanno il loro ciclo, mentre l’altra, in cui sono entrato invitato dall’uomo più anziano, è quella dove gli uomini prendono le decisioni importanti per la tribù.

24 novembre 1878

Caro diario, questi selvaggi sono incredibilmente adatti a vivere nella foresta. Sono alti al massimo un metro e cinquanta e camminano su questo terreno ingombro di frasche sempre un po’ curvi, riuscendo a sgusciare senza fatica in spazi così piccoli che io mi devo aprire la strada col pennacco. Cacciano con archi e cerbottane che lanciano piccole frecce avvelenate, ma sono molto felici che io abbia la mia pistola. Ogni volta che sparo scappano via nel folto della foresta, ma sono anche molto veloci a tornare indietro per dividere con me le prede che io ho ucciso.
Da quel poco che ho potuto capire di loro nei tre giorni in cui li ho conosciuti, mi sembra di poter dire che sono fondamentalmente buoni, anche se le loro menti sono paragonabili al massimo a quelle di bambini piccoli. Penso che questi piccoli selvaggi fossero in attesa di una guida che li possa far evolvere verso la piena umanità, di un uomo che li prenda per mano e insegni a loro quale è il loro posto nel mondo. Alcuni di loro sembrano più intelligenti e sanno già rispondere ad alcuni miei semplici ordini.
Penso che molto presto mi accoglieranno a dormire nella capanna principale, che è addossata ad una grotta che per loro è sacra, in quanto ogni sera vi portano, con un rituale molto preciso, le teste e altre parti delle prede uccise. Appena si fideranno di me vedrò di scoprire di più di queste loro superstizioni. Questo potrebbe essermi utile per prendere il sopravvento e cominciare a guidarli.

26 novembre 1878

Caro diario, quante cose ti devo raccontare! Comincerò da dove ti avevo lasciato due giorni fa.
Quello che sembra il capo, cioè il primo che ho incontrato, con un lungo sproloquio nella sua lingua gutturale mi ha chiesto di andare dormire con loro nella capanna. La costruzione di pali e frasche, lunga circa quindici metri e divisa in due navate da una fila di dieci pali, si trova allo sbocco di una grotta naturale che già a pochi metri dall’apertura diventa così buia da essere un vero mistero. L’unica cosa che posso dire di quell’anfratto oscuro è che, forse a causa di tutte quelle carni che vi vengono ammassate ogni sera come offerta agli dei, puzza come una cloaca. Non mi è stato permesso di superare una linea di pietre appuntite conficcate nel terreno al confine tra grotta e capanna.
Questi selvaggi sono innocenti come bambini e come Adamo ed Eva sono assolutamente ignari delle nozioni di pudore o di peccato. Uomini e donne sono soliti girare per la capanna totalmente nudi e orinare e defecare in qualunque punto si trovino. Persino un fautore del libero pensiero come me è rimasto sbalordito quando un uomo e una donna, che avrà avuto al massimo quattordici anni, si sono messi a copulare davanti a tutti, a pochi metri da me. Quando hanno finito quello che stavano facendo si sono semplicemente alzati e si sono rimessi a fare i loro semplici lavori, come scheggiare selci per ottenere armi e attrezzi o intrecciare stuoie. Quando avrò preso il mio posto di guida e maestro vedrò di dare loro una buona educazione.
Quando si è avvicinato il crepuscolo ho mangiato con loro i loro semplici e abbastanza disgustosi cibi, poi tutti gli uomini si sono seduti intorno al fuoco e i più anziani hanno cominciato a parlare raccontando evidentemente delle storie che i giovani e bambini ascoltavano con attenzione. Quando il sole era quasi del tutto calato, la capanna è rivolta a occidente e la luce entrava in quel momento fino nei primi metri della grotta, tutti si sono messi a lavorare alacremente e hanno eretto una barriera di rami e frasche proprio all’altezza della linea di pietre che fa da confine alla capanna. Li ho aiutati e loro mi hanno fatto capire che erano contenti della mia presenza. Quanto lavoro sprecato ogni sera e ogni mattina, quando li guiderò eliminerò tutti questi sprechi e userò le loro capacità per renderli più ricchi e felici.
Abbiamo poi appoggiato le nostre stuoie vicino al fuoco, non nella parte tra questo e la grotta, come avevo pensato, ma in quella tra il fuoco e l’apertura. C’è da stupirsi che, pur schiavi di queste inutili superstizioni questi selvaggi siano ancora così numerosi.
Il capo mi ha portato una giovane, penso sua figlia, e mi ha fatto capire che era un dono per me; ho tentato di fargli capire che non mi sembrava corretto, ma lui ha dato segno di non gradire un rifiuto. In grave imbarazzo per la presenza di tutti gli altri vicino a noi, mi sono unito a lei, che per essere una negra è davvero uno splendido esemplare.
Mentre la ragazza, che ho ribattezzato Anita, dormiva con la testa sulla mia spalla, nel dormiveglia mi è parso di sentire strani grugniti e ringhi provenire da dietro la barriera. Mi sono addormentato con strani pensieri in testa, causati senza dubbio dall’agitazione e dalla novità di situazioni in cui mi trovavo.
Il risveglio è stato, caro diario, ancora più strano della serata; infatti mi hanno destato delle grida, di donne e bambini ma anche di guerrieri. Presa la mia pistola sono corso fuori e ho visto che la tribù che mi ospitava era stata aggredita da un manipolo di invasori, cinque uomini simili per aspetto e abbigliamento ai miei amici. Un ragazzo che aveva dormito a pochi metri da me giaceva agonizzante al suolo, tenendosi con le mani le budella grigiastre, mentre il capotribù, ferito al fianco, combatteva armato di lancia con due giovani guerrieri. Ho preso la mira e ho freddato uno dei due, che stava per colpire il capo. Terrorizzati dal boato dello sparo, che invece i miei amici conoscevano già, gli aggressori sono fuggiti, ma uno di loro si stava trascinando dietro Anita, facendosi scudo con il suo corpo; ho mirato di nuovo e lo ho colpito alla spalla, facendolo stramazzare a terra. Anita è subito corsa a controllare come stava il padre e, mentre i giovani si accanivano a calci e pugni sull’assalitore ferito, io da buon medico, sono andato a curare la ferita del capo, che non era molto grave e ho chiuso con pochi punti.
Il prigioniero è stato legato a un palo sotto al sole, dove tutti i bambini si divertono a sputargli addosso e lo colpiscono con delle pietre. Il ragazzo morto è stato posato su di una stuoia e la madre è rimasta per ore a vegliare il suo corpo e a parlargli sottovoce, fino a quando una processione lo ha portato nella foresta ed è stato poggiato su di un baldacchino con delle offerte di cibo.
Il prigioniero all’inizio era molto combattivo, ma quando il capotribù è andato a parlargli e gli ha indicato la grotta, si è messo a piangere col il viso affondato tra le mani e non ha nemmeno più tentato di schivare gli sputi e le pietrate.
Quando si è cominciato a prepararsi per la notte, tre guerrieri lo hanno preso e, legato mani e piedi, lo hanno trascinato nella grotta insieme al cadavere del suo amico. Non ho mai visto nessuno opporre tanta resistenza inutilmente. Nel momento in cui è passato di fronte a me mi ha guardato con uno sguardo così pieno di terrore e disperazione che ho provato pena per lui, ma mi è bastato pensare a quel povero ragazzo steso su di un baldacchino perché le bestie lo possano mangiare, per odiarlo con tutto il mio cuore.

La pagina successiva è totalmente mancante, sembra che sia stata strappata volontariamente.
…orrore simile in vita mia. Le grida di quel poveretto sono state più terribili di quelle del mio amico Antonio mentre il medico gli segava via la gamba maciullata da una cannonata. E questi selvaggi non davano segno neanche di sentirle! E ancora peggio è stato quando le grida sono cessate e ho sentito quegli altri versi… Allora la notte scorsa non avevo sentito male per il sonno e l’agitazione. Qualcosa di abominevole vive nel buio di questa grotta e questi selvaggi lo nutrono con i corpi dei loro nemici. Devo riuscire a fuggire da qui, non sopporto più queste bestie semiumane e la loro vicinanza. Lo stesso contatto con il corpo di Anita stanotte mi dava il ribrezzo. Andrò via domani mattina, quando tutti dormono, ma oggi voglio esplorare almeno l’entrata della grotta per scoprire cosa vi è rinchiuso. La mia pistola basterà per difendermi, e forse per liberare il mondo da una mostruosità.

28 novembre 1878, seconda parte.

Mio Dio! Diario, non ho mai avuto tanto terrore per la mia anima! Quando tutti questi selvaggi erano lontani, sono entrato nella grotta con la pistola in una mano e una torcia nell’altra. Le pareti erano interamente ricoperte di graffiti raffiguranti un’orrenda bestia di forma sempre diversa intenta a mangiare persone indifese. La puzza era talmente forte da annebbiare la mente, ma era una puzza che penso sentirebbe anche uno senza naso. È una puzza di anime marce, non solo di materia in decomposizione. Mi sono fatto forza e sono andato ancora avanti, fino a che sono arrivato dove erano stati posati i corpi dei due prigionieri, uno morto e uno vivo. Mio Dio, potrò mai dimenticare quello spettacolo? Erano stati sviscerati e svuotati di ogni loro contenuto, asciugati come mummie e i loro volti sembravano ancora urlare di terrore, con quegli occhi avvizziti come uva passa nelle orbite spalancate. Intorno a loro una lordura di sangue marcio e feci dall’odore nauseabondo impregnavano la sabbia. Ed è stato allora che lo ho sentito. Mi guardava da oltre il cerchio di luce della torcia, e rideva in silenzio. Ho fatto un passo indietro e quella cosa ne ha fatto uno avanti. Non lo potevo vedere, ma mi sembrava quasi che una sagoma più nera del buio circostante mi spiasse con occhi di tenebre così profonde che a guardarvi dentro la mia anima sarebbe morta. Sono corso fuori, alla luce del sole, sentendo i suoi passi che mi seguivano fino al limite della luce del sole.
Domani all’alba fuggirò, quando tutti dormiranno. Possa questa notte passare in fretta senza strapparmi la mia salute mentale.

Queste ultime pagine del taccuino sono scritte in una grafia quasi illeggibile, come se chi le ha scritte fosse impossibilitato a vedere ciò che scriveva. Nelle ultime la grafia peggiora ancora, come se fosse intervenuto anche un tremore insopprimibile. A mio parere chi ha scritto è la stessa persona delle pagine precedenti.
29 novembre 1878

Caro diario, non pensavo che la mia vita sarebbe finita così! Tra pochi minuti morirò nel modo peggiore e più innaturale del mondo. È andata così: mi ero assopito per alcuni minuti, poco prima dell’alba e un bambino ha rubato la pistola da sotto la mia stuoia. Si è messo a giocare con il fratellino e gli è partito un colpo. Tutta la testa di quel povero bimbo è volata via e i suoi parenti hanno dato la colpa a me. Per tutto il giorno sono stato legato sotto un sole cocente e sono stato colpito da pietre e sputi, ma avrei voluto che “il sole non calasse mai. Quando è ve”nuta la sera questi selvaggi mi hanno trascinato nella grotta e mi hanno legato a un palo vicino alle mummie dei miei compagni di sventura. Quando la barriera è stata eretta ho salutato la mia vita e ho cominciato a scrivere al buio queste ultime parole della mia vita. Lo sento qui vicino a me, avverto la sua puzza e il suo odio. Nel buio appena velato dalla poca luce che arriva dalla barriera, una sagoma orrenda di tenebre mi osserva girandomi attorno. +…+ vicino a me, sento la sua bava gocciolare in terra e il suo ansimare che mi scompiglia i capelli. Mio Dio! Non voglio morire così! Eccolo che arri…

Il diario finisce così, con una parola non finita e uno svolazzo di matita sul foglio. Quest’ultima pagina è zuppa di una sostanza marrone che può essere sangue vecchio di più di un secolo.
FINE

Nessun commento:

Posta un commento