giovedì 27 agosto 2009

Ed eccomi di nuovo a voi!

Salve ragazzi! Sì, lo so, non esistete e sto parlando da solo, ma farlo mi diverte.
Come vi sembra il mondo? Pensavate davvero che la crisi economica lo avrebbe cambiato? Che ci sarebbe stata giustizia e prosperità per tutti? Ah-ah! Illusi! E magari pensavate che il buon Silvio sarebbe prima o poi diventato buono e saggio e che l'ottimo Obama avrebbe rivoltato l'America come un calzino trasformandola in un paese buono e giusto? O mio Dio! Ma siete davvero irrecuperabili!
Svegliatevi ragazzi! Il mondo fa schifo e noi con lui, dopotutto ne facciamo parte.
Non illudetevi mai, ma non disperatevi neanche. Il mondo è così com'è perchè se no noi ci staremmo troppo comodi, quindi, cercatevi un posticino dove stare tranquilli, non fate del male a nessuno e rispettate sempre l'undicesimo comandamento: "NON ROMPERE I COGLIONI!" Se tutti lo facessimo, il mondo sembrerebbe quasi un paradiso.
E ora il racconto del giorno. E' un omaggio a un grande scrittore italiano, se volete leggervi qualcosa di buono, cominciate da lui. Si chiamava Italo Calvino. Il mio racconto si intitola:

COME PALOMAR

Per molti di voi l’idea stessa di spiaggia è totalmente diversa da quella di Massimo. Quelle immense distese di sabbia gialla e incandescente brulicanti di milioni di formiche umane unte e sudate nel continuo ballonzolare dei loro corpi flaccidi e grassi mentre pochi giovani rompiballe infastidiscono tutti i vicini con interminabili partite di beach volley rumorose e sgradevoli alla vista nello stesso tempo, che per voi sono l’immagine stessa delle vacanze estive, per lui erano cacca.
La spiaggia come la pensava lui è una sottile striscia di sabbia ghiaiosa di colore grigio scuro su cui si abbattono onde ininterrottamente, provenienti da un mare oscuro come il cielo invernale che lo copre.
Era su questa spiaggia che come tutte le mattine Massimo era andato a fare la sua passeggiata, che non avendo un lavoro ne approfittava almeno per passare il suo tempo in luoghi che gli piacevano.
Essendo stato un inverno strano, quella mattina di marzo era calda e un sole un po’ opaco scaldava la sabbia costringendolo a tenere aperta la giacca.
Camminava da almeno dieci minuti, il giro completo tra andata e ritorno ne durava quarantacinque, quando circa un centinaio di metri davanti a lui, vicino al bagnasciuga, vide qualcosa di rosato che attirò la sua attenzione; camminando al suo passo veloce che gli aveva sempre reso difficile andare in giro con le sue varie ragazze, si avvicinò al punto rosa che si rivelò essere una donna che prendeva il sole.
Sorridendo camminò fissando la donna che, vista da quella distanza, sembrava essere un notevole esemplare e, passo dopo passo, cominciò a convincersi che la tizia doveva essere nuda. Dopotutto c’era caldo, pensò tra sé e sé, e in spiaggia non doveva esserci davvero nessuno a parte loro due. Se una tizia era abbastanza deficiente poteva anche aver avuto la bella pensata di prendere il sole tutta nuda come un vermiciattolo.
Il fatto era che adesso stava per raggiungerla e la spiaggia lì era solo una sottile lingua di sabbia tra le onde e gli scogli, così che ci sarebbe stato il problema di non guardarla, cosa difficile dato che i suoi ormoni gli suggerivano invece di zomparle addosso e farle quelle che sua madre chiamava le “cosaccie” . Giunse alla conclusione che la cosa migliore sarebbe stata passare nel punto più lontano, fino a sfiorare gli scogli col gomito, guardando in su verso la strada che correva una ventina di metri sopra di lui.
Infine arrivò vicino a lei e, tentando di fare il disinteressato passò con le mani in tasca, fischiettando un motivetto degli U2 e lanciando quasi di sfuggita un’occhiata sul corpo disteso della giovane donna che lo guardava da dietro gli occhiali da sole.
L’aveva guardata! Che idiota, aveva girato la testa e l’aveva guardata come un maniaco e lei se ne era accorta. Arrossendo e ripensando a un racconto di Calvino che aveva letto al liceo, affrettò il passo per allontanarsi dal corpo del reato sperando di non essere sembrato troppo un mostro di Firenze in libera uscita.
Cominciò a tirare un lievissimo vento da sud che increspò appena il mare e, pensò disperato, non avrebbe di certo convinto a coprirsi per il freddo la bella naturista. Piano piano dimenticò la figuraccia e riprese pensare a tutto e niente ascoltando solo il rumore dei suoi piedi misto alla risacca e alle stridule grida dei gabbiani.
Arrivò al capolinea, un piccolo bar di uno stabilimento aperto anche d’inverno in cui prese come al solito un caffè macchiato e cominciò a ripercorrere la spiaggia per tornare a casa.
Il paesaggio era così bello e le navi all’orizzonte così piccole e perse nella foschia della mattina, che non pensò più alla ragazza fino a quando non gli apparve in tutta la sua splendente nudità a non più di trecento metri davanti a lui. Il sole era sempre più caldo e la spiaggia continuava ad essere deserta come il cervello di un presidente americano, così che non poteva sperare che lei si alzasse e se ne andasse prima del suo arrivo.
Incredulo che una cosa bella e semplice come una ragazza stesa al sole potesse rovinargli tanto l’umore, cominciò a pensare quale fosse il modo migliore per passare di lì senza fare di nuovo la figura del maniaco in impermeabile che aspetta le ragazzine all’uscita delle medie; fare l’indifferente, aveva appena scoperto al prezzo di una pessima figura, era al di là delle sue possibilità e poi ormai lei lo aveva visto mentre la guardava. Mettersi a correre e passare in fretta non lo avrebbe fatto sembrare un podista ma uno scemo. Passare facendo finta di parlare al telefonino? No, rischiava di sembrare oltre che scemo, pazzo. E se avesse fatto il disinvolto e si fosse fermato a dire due parole sul tempo, guardando solo di sfuggita la pelle esposta della giovane e mettendosi a guardare poi il mare e le navi all’orizzonte? Forse sì, poteva essere l’idea giusta per farle dimenticare lo sguardo clandestino di una mezz’oretta prima.
Ormai deciso ad agire così camminò col passo più normale e calmo che aveva in repertorio e vide il corpo nudo e bello della donna ingrandirsi sempre di più e occupare a ogni passo una maggiore frazione del suo campo visivo.
Lei era rivolta col viso verso di lui e dovette sforzarsi di guardare davanti a sé, stava camminando dopotutto, senza posare troppo frequentemente gli occhi sulle nudità esposte della ragazza. E poi la raggiunse e lei lo guardò direttamente, sempre da dietro quegli occhiali scuri che le coprivano gli occhi che lui immaginava ormai grandi e verdi, belli come il resto del suo corpo.
- Buongiorno! – le disse fingendo di sentirsi disinvolto – Bella giornata, no? –
Lei annuì e fece il gesto di fumare una sigaretta inclinando il viso con fare interrogativo.
Ammirando la perfezione di quel corpo di una incredibile tonalità di rosa ambrato su ci spiccavano dei piccoli capezzoli quasi dorati e un pube appena velato da corti ricci castani, prese le sigarette dal taschino e si accucciò per offrirgliene una. Lei la prese sorridendo e inclinò ancora la testa mostrando dei bellissimi denti.
Infilò la mano in tasca e prese l’accendino, lo accese e si appoggiò su un ginocchio vicino a lei accendendole la sigaretta. Mentre la punta del piccolo cilindro cominciava a bruciare, vide con la coda dell’occhio una specie di corda che partiva da un piede della donna e si infilava nel mare già profondo a meno di un metro dalla riva.
- Ma che cazzo è? – pensò vedendo che questa corda si muoveva ed era coperta di scaglie, quando la gigantesca rana pescatrice ritirò in acqua la splendida esca e con un balzo catturò Massimo trasformato in una preda dalla sua voglia di non passare per un maniaco o per un fesso.
Poi il mare fu di nuovo calmo e a chi si fosse sporto dalla strada nulla sarebbe apparso di strano, tranne una sigaretta che bruciava lentamente sulla sabbia umida e una scarpa da uomo abbandonata sul limitare delle onde.
FINE

Nessun commento:

Posta un commento