domenica 19 maggio 2013

LA CASA SULLA COLLINA. XLII.

VI

Ci sono altri mondi oltre questo.

C’era stato come un black-out, non avrebbe saputo in quale altro modo spiegarlo. Erano in un posto, non ricordava bene quale, ma sapeva che avevano avuto paura e che poi avevano sperato per il meglio, poi si era aperta una porta, sì, una porta, si erano presi per mano e poi … erano entrati in … erano entrati in … boh! Quello era il black-out, una sorta di lacuna bianca tra dei ricordi vaghi e confusi e … questo.
Si alzò con l’impressione di essere ubriaco, come se i suoi piedi fossero stati a una non meglio precisata distanza dal terreno che invece vedeva bene che stava toccando. Una volta in piedi, mamma mia come ondeggiava, fece un giro completo su stesso per guardarsi intorno; erba in terra, piante di felci, e là in fondo una foresta di conifere, forse sequoie, roba gigantesca, comunque. Poi si voltò e guardò in alto, e fu lì che quasi perse l’equilibrio, perché una cosa simile non l’aveva mai vista, la luna, calante, gli pareva, ce n’era poco più di metà, era enorme. Una palla, va be’, poco più di mezza palla, grande come un suo pugno. – Ma che cazzo succede, Dio Cristo! – disse e la sua voce gli rimbombò nelle orecchie con una specie di eco, e allora cominciò a camminare in quella bellissima erba, strana, mai vista dell’erba simile in vita sua, e vedendo sgattaiolare tra gli steli dei topolini. Si accucciò per guardarli e uno di loro si voltò verso di lui. Non era un topo, sembrava forse un minuscolo opossum, era strano, niente da dire, quasi alieno. Si rialzò ormai totalmente sicuro della sua follia, quando si rese conto di una cosa: in quei vaghi ricordi, quelli sbiaditi prima del black-out, non era da solo.
Si sedette in terra, il terreno umido gli bagnò i pantaloni in un modo che gli parve sbagliato in un certo qual modo, come tutto quanto intorno a lui, chiuse gli occhi e tentò di ricordare meglio gli eventi appena passati. Erano scesi da qualche parte lui e … lei?, sì, era una lei. Doveva pensare lateralmente, non avrebbe mai ricordato le cose in modo diretto, erano scesi da qualche parte come Paperone, giù in una grotta, sapeva che non era una grotta, ma andava quasi bene, e giù avevano trovato … un deposito di monete? Una pepita? Quasi, era oro, sì, tanto, tantissimo oro. Erano scesi in una quasi grotta e avevano trovato una quasi pepita, o un deposito d’oro, ma enorme, perché si ricordava che loro due ci avevano camminato sopra.
E lei era, pensò ad altro, gli venne in mente “L’isola di Arturo”, e non l’aveva mai letto. Lasciò che la sua mente navigasse libera, e pensò a una ministra che piangeva, rise a questo pensiero, e poi capì. Elsa, la Morante e la Fornero, Elsa. Era Elsa lei, e con Elsa si era calato in una miniera, ecco, questo andava sicuramente meglio, si era calato con Elsa nel pozzo di una miniera e avevano trovato un enorme deposito d’oro su cui avevano camminato.
Poi erano rimasti … avevano paura, sì, lasciò i suoi pensieri vagare nell’erba intono a lui e … ecco, erano rimasti intrappolati laggiù, sorrise e si ricordò che erano andati più giù, come alpinisti o speleologi, e poi ricordava una porta, e qua pensò a Star Trek che guardava sempre da ragazzo, la porta si era aperta su un corridoio stile Enterprise, si erano presi per mano e … e qua finivano i ricordi e cominciava il vero e proprio muro bianco che divideva l’adesso dall’allora.
Si rialzò oscillando ancora sui suoi piedi e cercò intorno a sé. Non c’era Elsa, aveva bellissimi ricci neri, sì, i ricci che aveva annusato per tutta la notte, ah, c’era andato a letto, buono, e di certo lì non c’era.
- Elsa! – urlò e di nuovo la sua voce gli parve come sbagliata, come quando ci si ascolta in una registrazione, se ne fregò e di nuovo urlo: - Elsa! Dove sei Elsa? – e aspettò una risposta. Sentì versi di uccelli, tipo gabbiani o pappagalli, e versi di elefanti o ippopotami, non capiva, e stava per urlare di nuovo quando sentì, dagli alberi alla sua destra, - Sono qui! – era la sua voce, se la ricordava che diceva ansimando – Sì, sì, ancora! – e non poteva scordarsela, ma anche lei suonava come diversa, boh!
Camminando in quell’erba alta fino alle ginocchia andò verso gli alberi, enormi, alti almeno sessanta o settanta metri, e dopo poco la vide. Bella, piccoletta, proporzionata, grandi tette e capelli ricci di un nero perfetto. Per un attimo gli parve di vederla come … in foto, sì, ecco, ma poi scacciò l’idea e corse verso di lei. – Elsa, stai bene? –
Lei aspettò un istante prima di rispondergli, e lui capì che stava tentando di ricordare il suo nome, ricordi sbiaditi e black-out anche per lei, ma poi sorridendo lei gli rispose: - Si Andrea, sto bene. Ma dove cazzo siamo? –
Lui sorrise abbracciandola, poi le indicò la luna che enorme li fissava da lassù e le disse: - Io non lo so. Ma di certo non mi sembra l’interno di quella palla d’oro. –
- Cazzo! La palla d’oro! È da quando mi sono svegliata che tento di ricordarmi cosa stavamo cercando quando siamo scesi giù nel pozzo della … - e qui si bloccò grattandosi la testa come Stan Laurel, o come uno scimpanzé grazioso ma ottuso. Però al sentire le parole “il pozzo della …” lui si era ricordato, una di quelle volte che se non si ricorda il cervello lo fanno per lui le orecchie e la lingua – Della trivella. Siamo scesi nel pozzo della trivella … - lasciò la sua mente libera di vagare, non doveva tentare di ricordare, ma lasciare la sua lingua libera di ballare la sua danza di parole – La trivella nel cantiere per le … scorie nucleari. Siamo scesi giù perché il radar aveva trovato un’enorme massa di metallo e poi avevamo visto che era oro. –
- Quando abbiamo mandato giù le telecamere, sì! – disse lei e saltò dalla gioia per esserselo ricordata. – La porta si è aperta quando hai digitato un codice, era in una foto che ti aveva mandato tua … -
- Mia sorella Carla. Erano scritti su – pensò ad altro, ammirò le chiome degli alberi una ventina e più di piani sopra di lui e le parole uscirono da sole - … su un muro accanto a casa sua, un muro megalitico stile Macchu Picchu, su quella collina che sembra tanto una piramide del Centro America. –
- E poi siamo entrati là dentro, in un corridoio illuminato e asettico da film di fantascienza, ma poi … - disse lei.
- Il buio. Oltre quello non riesco ad andare. Dopo mi sono svegliato qui. –
- E tutto è strano, vero? –
- Come quando si è un po’ bevuti? –
- Sì. Tutto sembra come un po’ lontano, diverso o … -
- Finto? –
- Ecco, sì. – disse lei e parve rabbrividire.
- Strano forte, eh? –
Lei si era voltata e stava guardando verso il prato da cui lui era arrivato e si irrigidì come una bestiolina impaurita, poi alzò un braccio e indicò una cosa davanti a loro e disse: - Mai quanto quello, Andre’, mai quanto quello. –
Lui guardò, come il proverbiale idiota, prima il dito di lei e poi la direzione che gli indicava e vide un qualcosa d così strano e inaspettato che per un attimo non credette ai suoi occhi. Al’inizio pensò che fosse un’aquila, enorme e bianca, ma quasi subito vide che non aveva il becco, ma un muso da lupo. E aveva le braccia al posto delle ali, delle lunghe braccia che terminavano con lunghe dita artigliate. E poi, in fondo al suo sedere, una lunga coda da canguro, ricoperta da piume candide, molto bella e aggraziata. – E quello che cazzo è? –
- Un velociraptor, direi. – disse lei, facendo un passo indietro e appoggiandogli la schiena addosso. Lui la cinse con le braccia in modo protettivo e respirò a fondo mentre la bestia si avvicinava a loro a passo spedito. Sembrava che scodinzolasse, ma chissà per un dinosauro che cavolo poteva voler dire.
- La vedo grigia, Andre’, scappiamo? –
- Le prede scappano, Elsa. I predatori vanno fissati negli occhi. – e così fecero, tremando come foglie, fino a che la bestia, alta come un doberman, li raggiunse e, sempre scodinzolando e con uno sguardo molto dolce, li sfiorò con il muso e leccò la mano di Andrea. Come un buon cagnone, pensò lui sfiorandolo con il dito tra gli occhi. Il bestio sembrò sorridere e si allontanò verso il folto del bosco e si fermò guardandoli come per dirgli di muoversi.
- Andiamo? – chiese lei.
- Se hai altre idee, io ti seguo, ma a me non sembra che ci sia altro da fare. –
- E allora seguiamo il coso. – disse lei e cominciarono a seguire quella specie di grosso cagnone preistorico su un sentierino che serpeggiava tra le sequoie sperando che li portasse a delle risposte e non alla morte.

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