lunedì 20 maggio 2013

LA CASA SULLA COLLINA. XLIII.

1

Pewai.

Camminava sul sentiero di pietre lastricate rese ormai lucide dall’usura di interminabili ere geologiche. Intorno a lui cantavano i volatili dotati di piume e quelli con le ali membranose e gli pareva di riconoscere nei loro versi le ombre di motivi già vecchi quando lui era nato. – Computer! – disse tutto a un tratto e nell’aria davanti a lui apparve una luce soffusa, di forma sferica, che gli rispose con una voce dalla dolce sonorità femminile. Quando la voce parlava la luce sembrava pulsare oscillando tra tenui sfumature di rosa, blu e verde.
- Cosa vuoi, Pewai? –
- Per caso quando fai cantare i volatili riutilizzi vecchie canzoni? –
- Cosa? –
- Lo schema dei canti di questi volatili è totalmente casuale o è basato su schemi preregolati e copiati da motivi popolari? –
La luce parve come contrarsi e per un attimo la sua tonalità parve diventare rossa, poi tornò a un rassicurante azzurro e la voce disse: - Effettivamente negli ultimi sette minuti ci sono stati almeno sei cicli di nove note assimilabili a motivi popolari dei tuoi tempi. –
- Bene, Computer, grazie. – disse Pewai arrivando al bivio. Da un lato si andava alla zona comune dove avrebbe trovato i suoi nove compagni, dall’altro alla biblioteca. – Computer, apri la veranda che dà sulla foresta. – disse dirigendosi verso la biblioteca. La luce apparve solo per un attimo e pulsò una risposta gentile e servile come voleva la sua programmazione e quando lui arrivò all’edificio contornato da alberi millenari si fermò per un istante davanti al portone di legno di sequoia che i millenni avevano scurito fino a farlo sembrare di bronzo e, quando già aveva preso le maniglie per aprirlo, sentì il verso acuto e allegro di Loth. Se riconosceva il verso, lo stava avvisando di una cosa nuova, ed era un bel po’ che lì dove si trovavano non apparivano cose nuove. Si girò verso la foresta che cominciava a un centinaio di passi dal sentiero e guardò nella direzione da cui provenivano i versi del raptor bianco. – Vieni Loth! – gli disse vedendolo apparire tra il muschio e le felci folte e arricciate del sottobosco, quando alle sue spalle vide comparire due esseri incredibilmente strani.
Il raptor corse da lui e gli sfiorò le dita col suo muso caldo, dandogli una leccata veloce e scuotendo la sua coda con forza, poi tornò di corsa da quei due stranissimi animali che lo stavano seguendo. Era la prima volta che vedeva dei mammiferi bipedi, anche se naturalmente ne aveva avuto notizia dai rapporti che Computer aveva presentato a lui e a tutti i suoi compagni nella annuali riunioni per aggiustare la strategia e i piani del ritorno. Erano così simili a lui e ai suoi fratelli che gli venne da ridere, ma al contempo erano così diversi da causargli dei brividi.
I due esseri, uno più grande e uno più piccolo, se ricordava i rapporti i più grandi erano i maschi, lo fissavano dal bordo della foresta con lo stesso sguardo che lui stesso doveva avere sulla faccia, solo che loro muovevano anche la parte inferiore del viso come lui muoveva gli occhi e la fronte, e così le loro facce sembravano delle maschere di gomma mal riuscite.
Il povero Loth continuava a fare su e giù tra lui e i due cosi e aveva ormai abbattuto una larga fascia di erba e felci formando un sentiero nel prato.
- Venite pure giù! – disse ai due cosi e anche da quella distanza si accorse del loro stupore nel sentirlo parlare. Evidentemente nessuno aveva ancora spiegato loro dove si trovavano, se i loro cervelli di mammiferi erano in grado di capirlo, naturalmente. – Su, ragazzi! – disse ancora e solo allora i due cominciarono a camminare mentre Loth gli saltava intorno facendo loro le feste. Bene, se Loth li trattava così bene voleva dire che non avevano cattive intenzioni.
- Salve! – disse quando furono davanti a lui, ma loro non gli risposero; lo fissavano con gli occhi sbarrati e esaminavano il suo corpo dai piedi, che loro avevano incredibilmente chiusi in strani indumenti dall’aspetto rigido, alla testa, che quasi a volere imitare le piume che gli adornavano il capo, avevano ricoperti di peli, molto più lunghi nel caso della femmina. Solo allora Pewai notò la differenza di conformazione dei loro corpi, lei aveva i fianchi più larghi, e questo lo capiva bene perché così era anche per le sue simili che dovevano deporre le uova, ma il petto di lei aveva due rigonfiamenti che lui non aveva. Poi tutto a un tratto ricordò della caratteristica dei mammiferi e capì a cosa servissero quelle cose. Mah! Strani o no, e strani lo erano per davvero, ora che erano davanti a lui dovevano pure comunicare in qualche modo e così disse: - Volete mangiare qualcosa? –
- I due si guardarono a vicenda con gli occhi sbarrati, poi il maschio si girò e gli disse: - Sei un alieno? –
- Cosa? –
- Vieni da un altro pianeta, sei l’abitante di un altro mondo? –
- Ci sono molti altri mondi. – disse Pewai ridendo e poi indicò la strada che portava a casa sua.

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