mercoledì 22 maggio 2013

LA CASA SULLA COLLINA. XLIV.

2

Elsa.

La strana bestia, incredibilmente simile a un incrocio tra un lupo bianco e un’aquila, quasi un grifone, trotterellava davanti a loro facendo strada tra felci e strane erbe i cui fiori avevano profumi esotici e pungenti, fino a che, quando ormai si vedeva là in fondo tra gli alberi la luce di una grande radura, emise un verso che era a metà tra un latrato e il fischio di un rapace e accelerò il passo precedendoli nel prato verde che si intravedeva tra gli enormi tronchi di quegli alberi.
- Che ci sarà la fuori? – le chiese Andrea che si era fermato rosicchiandosi un’unghia come un bimbo agitato.
- Spero non un tirannosauro. –
- O un anaconda. –
- O Freddy Krueger. –
- Andiamo, dai! – disse lui con la faccia non troppo convinta e poi fecero gli ultimi passi per uscire dal folto della vegetazione. L’archeocagnone stava correndo tutto scodinzolante verso un uomo, anzi, no, non era un uomo.
- E che cacchio è quella cosa? – chiese Elsa fermandosi accanto a Andrea e vedendo distintamente le braccia di lui che si increspavano di pelle d’oca. L’essere accanto al raptor bianco era bipede e privo di coda, alto sì e no come Andrea, con piedi che sembravano un malriuscito intruglio di zampe di gallina e piede umano. Aveva i fianchi stretti e il torace carenato come gli uccelli, le spalle larghe e le braccia muscolose, terminanti in mani a tre dita munite di artigli chiari. E la testa, la testa era qualcosa che si poteva descrivere come una testa umana con davanti un muso da tartaruga, con sulla nuca un ciuffo di piume marroncine chiare che lo facevano assomigliare a uno di quei canarini col ciuffo. Lo strano essere li fissava con gli strani occhi a mandorla sbarrati, poi mosse un braccio in un ampio gesto amichevole e disse, inspiegabilmente in un ottimo italiano: - Venite pure giù! –
- Ma ha parlato in italiano? – chiese sottovoce Elsa deglutendo intanto un paio di volte – Ma come cacchio fa a parlare in italiano? –
- In un film dicevano che il pensiero umano è così semplice che su alcuni pianeti lo considerano una malattia infettiva. – le disse Andrea parlando anche lui sottovoce – Forse ci legge dentro o lo conosce. –
- Su, ragazzi! – disse allora l’umanoide e i due, dopo essersi guardati con delle facce che sembravano dei limoni spremuti cominciarono a camminare giù per il pendio mentre il socievole raptor correva avanti e indietro tra loro e l’essere emettendo il suo verso acuto e gioioso. Quando infine lo raggiunsero l’essere disse: - Salve! – e loro non gli risposero. Era troppo strano, faceva l’effetto che può fare uno scimpanzé o un orango, nei quali trovi una incredibile somiglianza con l’uomo mista a una totale diversità, le quali caratteristiche, se mescolate insieme possono solo causare fastidio, ilarità o terrore. Quello strano rettile umano, per quanto evidentemente molto educato e gentile, di certo non provocava ilarità, ma semmai paura.
E allora quello piegò la testa da un lato e, col tono di voce che uno di loro avrebbe usato parlando con un bambino piccolo e non troppo sveglio, chiese: - Volete mangiare qualcosa? –
Fu Andrea a rispondergli, ma lo fece con una domanda che non c’entrava nulla con la sua: - Sei un alieno? –
- Cosa? – chiese il bipede accarezzando la testa piumosa del raptor.
- Vieni da un altro pianeta, sei l’abitante di un altro mondo? – chiese Elsa che ancora non riusciva a credere a quello che le dicevano i suoi occhi e le sue orecchie.
- Ci sono molti altri mondi. – disse sorridendo, forse, non avendo labbra da mammifero le sue espressioni erano un po’ statiche, e poi si incamminò su un sentiero di pietre lisce che portava a una piccola costruzione di pietre e legno che sorgeva tra alberi bassi e ombrosi. I due si guardarono per farsi coraggio e seguirono l’essere alieno e il suo animale domestico.
- Ci potresti dire dove siamo? – gli chiese Elsa.
L’essere si voltò continuando a camminare col suo passo elastico e disse: - Sapete come siete arrivati qui? –
Andrea gli rispose, dopo aver chiesto conferma con lo sguardo a Elsa – Ci siamo calati in uno scavo e siamo rimasti intrappolati giù accanto a un’enorme costruzione metallica. Siamo riusciti ad entrare all’interno e … ci siamo trovati qui. –
L’essere sorrise, questa volta ne furono abbastanza sicuri, e disse: - Mi pare di capire che sia intervenuto il sistema di sicurezza. – arrivò intanto alla costruzione e indicò loro quelli che sembravano un tavolo da giardino e delle sedie, per quanto di forma strana e aliena, e fece loro segno di sedersi, poi disse: - Immaginò che sarà una spiegazione un po’ lunga, quindi, sedetevi e aspettate che porti qualcosa da mangiare. Mangiate carne cotta? –
- Sì. –
- Verdure? –
- Siamo onnivori. – disse Elsa che intanto si stava chiedendo di cosa si nutrisse l’essere che aveva davanti, probabilmente suggestionata da un vecchio telefilm che vedeva da bambina.
- E allora andiamo d’accordo. – disse l’essere, poi alzò la mano destra davanti alla fronte e disse: - Io mi chiamo Pewai. –
- È un saluto questo? – gli chiese Andrea imitando la mossa che aveva appena fatto.
- Sì. –
- Bene. – disse allora Andrea, lo fece a sua volta e poi, sorridendo, si alzò e tese la mano destra verso l’alieno aspettando che quello gliela stringesse: - Questo è il nostro saluto, lo chiamiamo stretta di mano. – e quando le tre dita dotate di artigli strinsero la sua mano disse: - Io sono Andrea e lei è Elsa. Come mai ci capiamo? –
L’essere dalla testa piumata emise un verso gracchiante che doveva essere una risata e disse: - Quindi non solo non sapete come siete arrivati qui, ma neanche cosa sia il qui. Anche questo farà parte della spiegazione, allora. – ed entrò in casa rimanendo all’interno per qualche minuto. Quando infine ne uscì, portava in mano un vassoio con delle cose che potevano assomigliare a degli spiedini. Li posò sul tavolo e disse: - Buon appetito, mangiate pure mentre io vi racconto. Dovrò partire dall’inizio …
Come avrete capito quella palla d’oro in cui siete entrati è una specie di arca … -

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