sabato 30 maggio 2015

Berserker. 8

Non avendo nulla di importante da dirvi, vi auguro solo buona lettura.

In un mondo perfetto, in una storia perfetta, in un momento delicato e importante come la fuga dai nazisti tutto sarebbe stato serio, drammatico, accompagnato da musica d’organo in un’ipotetica colonna sonora. Ma la vita non è perfetta, le persone non sono perfette e quello che ci accade è se va bene casuale. E così, quando finalmente Ettore e Miriam arrivarono, sudati come lottatori di sumo, in cima al monte sulla famigerata Pianetta, non trovarono una nuova Utopia, una Città del sole abitata da illuminati combattenti per il bene e la libertà, ma una ventina scarsa di giovanotti incazzati che litigavano per accaparrarsi i posti migliori urlando come pescivendoli.
Ettore e Miriam li sentirono litigare già da una ventina di metri sotto, chiedendosi tra l’altro se quelle voci alterate potessero arrivare fino giù dove già i Tedeschi dovevano aver cominciato a sistemarsi in paese. Poi, una volta sbucati dal sentiero sullo stretto pianoro, capirono subito che sarebbe stata una missione davvero disperata trovare un buco dove dormire. Forse, almeno lei che era una donna, avrebbero potuto lasciarle un posto a lei, no?, pensava Ettore, ma quando provarono ad avvicinarsi alla capanna più grande un tizio non troppo alto ma dalle braccia muscolose come uno scaricatore di porto li accolse dando una bella spinta a Ettore.
- Ma che cazzo fai? – gli chiese Ettore più stupito che arrabbiato, ma poi, vedendo lo sguardo del piccoletto nerboruto pensò bene di non continuare a parlare e di allontanarsi con la povera Miriam che sembrava sull’orlo delle lacrime. Si allontanarono dalla massa urlante di giovani eroi della Resistenza che non stavano dando un bello spettacolo di sé e si guardarono intorno. Sulla destra, dopo un grande castagno, c’era un sentiero che sembrava salire più in alto. Lo imboccarono e, dopo qualche minuto, sbucarono su una specie di valletta artificiale tenuta su da un muro a secco. Sarà stata al massimo trenta metri per cinque, una specie di corridoio che dava da un lato su una parete di roccia ricoperta di muschi e felci e dall’altra sullo strapiombo, ma a una sua estremità c’era una piccola capanna dal tetto di tegole rosse ingrigite dai licheni che sembrava stare su grazie alla loro speranza più che per la robustezza delle travi.
- Lo hai mai visto quel film? – le chiese lui.
- Quello in cui un omone vede Charlot come un pollo arrosto che cammina? – gli rispose lei appoggiando in terra la sacca e tirandone fuori due mele. Una la diede a lui e si misero a mangiarla in silenzio guardando quella catapecchia tutta fessure e spifferi e pensarono che quella sarebbe stata la loro casa, evidentemente.
- “Casa dolce casa” come si suol dire. – disse Ettore.
- Se lo dici tu, Ettore. – e si infilarono nella stamberga cominciando a posare le loro cose. C’erano un lettino e un pagliericcio, e lui, da gentiluomo, le lasciò il letto. Poi, vedendo quello che avevano intorno e ricordando la scena della lite una trentina di metri sotto a loro, fecero una cosa che sembrò loro impossibile. Scoppiarono a ridere. E risero a lungo, per fortuna, risero a lungo.

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