mercoledì 3 giugno 2015

Berserker. 9

Ecco un altro capitolo. Buona lettura a tutti!

Nisus erat portae custos, acerrimus armis. Niso era di guardia alla porta, minacciosissimo con addosso le sue armi, traducendo a memoria. Con queste parole, se si ricordava bene, Virgilio introduceva nell’Eneide il personaggio di Niso, quello che con Eurialo si infiltrava nottetempo nell’accampamento dei Rutuli di Turno. Eurialo e Niso erano un calco di Ulisse e Diomede nell’Iliade ed erano poi serviti come modello per Cloridano e Medoro nell’Orlando Furioso dell’Ariosto. Ecco quello che lui sapeva di missioni segrete, infiltrazioni in campo avverso, spionaggio e raccolta informazioni: pagine di libri vecchi di secoli, pagine di libri scritti in versi.
E ora, al chiaro di una luna che sarebbe stata piena di lì a due notti e che, tra i rami coperti ancora da rade foglie e mossi dal vento capriccioso di quella notte fredda, sembrava fare buio con quelle chiazze di ombra in movimento più che rischiarargli la strada, lui, Ettore Parodi di Genova, nome di battaglia Bimbo, stava scendendo giù dalla sua scomoda ma abbastanza sicura catapecchia che divideva con quella sagoma di Miriam, per andare a vedere con i suoi occhi cosa stessero facendo i crucchi giù in paese, scoprire perché avessero requisito e attrezzato per i loro scopi il vecchio sanatorio vicino a Santa Lucia, riallacciare i contatti con i loro collaboratori giù in paese, la Quinta Colonna li avevano definiti quei tre scemi, recuperare un po’ di vettovaglie e tornare su all’alba per ragguagliare il soviet.
Naturalmente tutte queste assurde parole non erano farina del suo sacco. Piuttosto che dire ragguagliare avrebbe baciato il culo di Adolf, come gli veniva anche da ridere a sentire parlare di soviet. Soviet? Ma che cavolo! Era antifascista lui, e certo che lo era! Era liberale lui? Certo che sì. Era democratico? E che cavolo, e se non che ci stava a fare lassù, a curarsi il mal sottile? Ed era anche di sinistra, certo che lo era, voleva che tutti avessero diritti, che tutti avessero possibilità, che nessuno fosse lasciato indietro e che tutti avessero un lavoro, cure mediche, istruzione e assistenza, ma da qui a volere un soviet … gli veniva da ridere, ma …
Ma fare la guerra, come avrebbe detto di lì a pochi anni a proposito della Rivoluzione un altro che combatteva contro i suoi stessi nemici a migliaia di chilometri di distanza, non è un pranzo di gala. E di ventidue partigiani che se ne stavano nascosti là in mezzo alle sempiterne nubi che avvolgevano il monte Odino, ce ne erano solo tre che sapessero imbracciare un fucile e solo due che fossero stati in guerra, Alfonso detto Boris che era tornato dalla campagna di Russia con tre dita di meno nei piedi e Sergio che aveva combattuto dal ’16 al ’18 tra il Piave e Trento. Erano quasi tutti studenti, ragazzi inesperti in tutto tranne che nel leggere libri e credere in ideali assurdi e così a comandarli erano naturalmente venuti a trovarsi gli unici che avessero un minimo di inquadramento e di disciplina, i comunisti. Erano tre, come ho già detto prima, il piccoletto che gli aveva dato uno spintone, Stefano, nome di battaglia il Fascina, Pippo di Milano, nome di battaglia Tersite perché non era mai d’accordo con nessuno e, capo dei capi perché più vecchio e perché aveva combattuto nella Grande guerra, Sergio detto il Cinese, un uomo tranquillo e carismatico che parlava sempre con calma e che era in grado di convincere tutti a seguirlo. A suo giudizio, dato che lui amava ascoltare il significato delle parole e non il tono di voce con cui venivano dette, il più cretino di tutti.
E quei tre, avendo deciso che era ora di smetterla di stare lì rintanati come vigliacchi e che bisognava partecipare alla lotta di insurrezione con azioni di sabotaggio e guerriglia, avevano messo ai voti nel soviet chi dovesse andare giù. Ed era stato votato lui, probabilmente perché stava antipatico al Fascina.
E così stava scendendo giù per il sentiero, mezzo intirizzito dall’aria fredda, sicuro che sarebbe finita male, con lui morto in terra senza nemmeno aver dato un bacio a Miriam. Perché … e sì, si era preso una cotta per quella ragazza intelligente e sarcastica che era capace di metterlo al tappeto dicendo qualche monosillabo e che oramai si sognava di notte. Era stato nella prima notte passata lassù, sì, avevano acceso un mozzicone di candela per mettersi a letto, nascondendolo dietro a un pezzo di carta perché dalla finestra non si vedesse troppo la luce. Che poi, essendo almeno ottocento metri sopra ai Tedeschi, che quelli distinguessero la luce di una candela sarebbe stato davvero una iella incredibile, ma tant’è … comunque si stavano infilando sotto alle coperte e lui sapeva che quella ragazza carina dal sorriso bellissimo era lì a pochi passi da lui. Erano giovani, sani, in fuga e probabilmente destinati a una fine prematura e drammatica, e così si era messo a fantasticare sul fatto che lei avrebbe potuto alzarsi dal suo materasso e andare da lui, e poi si sarebbero spogliati e … e allora lei, nel buio totale che li avvolgeva dopo che lei aveva spento il moccolo, aveva detto: - Non pensarci neanche, Ettore. –
- A cosa? – le aveva detto arrossendo nel buio.
- A quelle cose, lì, lo sai. Siamo da soli, magari domani moriremo, io sono un uomo e lei è una donna … quelle cose lì, lo sai benissimo. Non pensarci neanche. – e si era voltata dall’altra parte ridacchiando. E lui, la testa nascosta sotto le coperte, le guance così arrossite da avvertirne il calore, il cazzo dolorosamente duro nei pantaloni di fustagno che indossava anche sotto alle coperte, aveva capito di essere perdutamente innamorato di lei.
E ora, scendendo giù per la stradina ripida e scivolosa su cui a volte si affacciavano cinghiali e gatti dagli occhi che luccicavano nel buio, Ettore fantasticava su azioni eroiche che avrebbe compiuto, avrebbe lottato con i Crucchi ammazzandone un paio, avrebbe strappato il fucile a uno di loro e con la baionetta, ce la avranno avuta ancora la baionetta o no?, con questa maledetta baionetta ne avrebbe accoppato anche altri tre e poi, ferito a una coscia da una pugnalata di un crucco morente, sarebbe risalito su portandosi i loro fucili e le loro munizioni. Tutti lo avrebbero acclamato alla capanna grande, ma poi Miriam lo avrebbe portato su e, abbassatigli i pantaloni avrebbe cominciato a pulirgli la ferita con un panno bagnato. E, malgrado il dolore della ferita avrebbero cominciato a … a fare delle cose che non è che lui conoscesse troppo ben, vergine e inesperto com’era, ma sapeva che … insomma, come doveva andare a finire, quello lo sapeva. E così camminava giù per il sentiero, lo sguardo distratto e il pisello duro contro i bottoni della patta, quando un rumore forte e cadenzato lo aveva strappato violentemente dalle oniriche cosce sudate della bella Miriam per ricacciarlo in quella fredda, pericolosa e buia notte in cui si trovava a camminare.
Lo conosceva quel rumore, o sì. Rumore di stivali, rumore di Tedeschi che camminavano. Erano in due, camminavano sbattendo violentemente a terra i piedi e parlavano ad alta voce. Si precipitò giù per il pendio e si nascose tra le frasche rinsecchite dall’autunno sperando che i due non si girassero a guardare da quella parte. Erano due soldati, fucile in spalla ed elmetto piatto in testa, sembravano litigare in quella loro bella lingua che è così simile al clangore di un disastro ferroviario e non sembravano proprio in vena di mettersi a guardare nel fosso per cercare la sua faccina. Meglio, non aveva certo voglia di morire con le ginocchia nel fango, cavolo, non aveva nemmeno detto a Miriam che gli piaceva.
Comunque i due crucchi passarono vicino a lui senza vederlo continuando a parlare a voce altissima, e quello più alto, crucco A, tentava di calmare quello un po’ ciccione, crucco B, che invece agitava le braccia come un napoletano e continuava a urlare in faccia al camerata. Cosa stesse dicendo lo ignorava, aveva studiato francese al liceo, ma una parola riuscì ad afferrarla perché la urlò almeno tre volte, scandendola come se fosse stata di importanza capitale. “Berserkir” era la parola, ne era quasi sicuro, ma non aveva la minima idea di cosa potesse significare.
Comunque i due tedeschi lo superarono e andarono su per un sentiero che si dipartiva da quello principale pochi metri più in alto e che, dopo un giro che si faceva in un’ora e mezza, riportava in paese per il lato opposto a quello che avrebbe raggiunto lui in una decina di minuti. Risalì sul sentiero, si ripulì i pantaloni infangati e, oramai con l’umore rovinato, si rimise a camminare giù per la stradina acciottolata.
Si fermò per qualche istante a guardare il sanatorio che avevano requisito i tedeschi, risplendente nella notte come la Ville Lumiére a causa dei riflettori che avevano installato tutto intorno a una recinzione appena montata e, incuriosito e spaventato, continuò a camminare. Di lì a poco avrebbe scoperto cosa era successo al suo amico Bartolo e la sua vita sarebbe cambiata per sempre.

Nessun commento:

Posta un commento