giovedì 25 giugno 2015

Berserker. 18

Nuovo capitolo, buona lettura!



Per uscire dal sanatorio doveva percorrere due lunghi corridoi e una grande sala. Quando arrivò fuori, e aveva corso davvero veloce, la sparatoria era già finita. Konrad, di guardia sulla torretta, era ferito a un braccio ma era stato in grado di sparare agli assalitori; in terra, alle luci dei fari, si muovevano, forse agonizzanti tre partigiani. Il capitano si guardò intorno contando i suoi uomini. Ne mancavano solo due che erano fuori di ronda. Si avvicinò alla recinzione e guardò i feriti, tre ragazzi vestiti praticamente di stracci, armati di vecchi fucili da caccia. Era stato una specie di suicidio?
E poi, quando stava per dare l’ordine di andare a raccogliere i feriti, sentì aprire un cancello i cui cardini cigolarono alle sue spalle. Era dove addestravano quei prigionieri? Si girò a guardare e vide che i tizi dell’Ahnenerbe stavano portando fuori una cassa coperta da un telo. No, non era una cassa, era una gabbia. La aprirono davanti al cancello dopo averlo spalancato, poi infilarono dentro un bastone elettrico e diedero una scossa alla cosa che c’era dentro. Un urlo lancinante uscì da quelle sbarre che, nella notte buia, nascondevano il contenuto. E poi una cosa uscì dalla gabbia e galoppò nella notte. Era quella cosa che aveva visto il mese prima, ma gli sembrava più grande. E più, come dire, animalesca ancora.
- Fuori ci sono due miei uomini! – urlò a quei pazzi – Nel paese c’è pieno di civili! –
Gridò ancora correndo verso di loro. – Richiamate subito quella cosa, Santo Dio, ci sono due soldati e un sacco di civili, mi avete capito? –
- Capitano, - disse Bischoff – Quell’essere è assolutamente sotto controllo. –
- Quella cosa sotto controllo? Ma lei è pazzo o deficiente? –
- Si allontani, capitano, stiamo sperimentando l’arma che finirà questa guerra. Questa è l’arma che permetterà al Reich di governare il mondo per i prossimi mille anni. –
Era deficiente, questo era certo. – Bisogna far rientrare i miei uomini, e bisogna soccorrere quei feriti prima che la cosa torni. – disse ignorando volutamente la follia detta dallo scienziato.
- I suoi uomini non sono importanti, capitano, e quelli sono solo dei banditi. Immagino che se sopravvivessero li passeremmo per le armi. –
Non gli risultava che quello fosse il trattamento tipico per dei prigionieri di guerra, non nel mondo civile. E poi tra la fucilazione e essere sbranati da … - Richiami subito quella cosa, se può farlo, così andremo a cercare i miei uomini e soccorreremo quei feriti. –
- Capitano, lei sta vaneggiando. È in corso un esperimento di importanza capitale e non sarà certo lei a farcelo interrompere. – gli rispose e si girò di nuovo verso la sua radio che emetteva un continuo bip-bip che variava quando lui muoveva l’antenna ora in una ora in un’altra direzione.
Si allontanò da quei pazzi e disse ai suoi: - Ragazzi, là fuori ci sono Schauble e Steiner. Chi ha il coraggio di seguirmi là fuori per cercarli, venga con me. Non giudicherò chi rimarrà dentro. – e andò a prendere il fucile e a mettersi l’elmetto. Quando arrivò al cancello erano in tre i suoi pronti ad uscire, voleva bene a quei ragazzi, a loro e agli altri che non se la sentivano. Mise la mano sulla maniglia e sentì la voce del colonnello. – Fermo lì, capitano, è in corso un esperimento. – gli disse puntandogli contro una pistola.
- Là fuori, con quel mostro che tentate di comandare, ci sono due miei uomini e almeno un centinaio di civili. – gli rispose avvicinandosi a lui tentando di ignorare la pistola.
- I suoi uomini sono soldati e sanno di poter morire, quelli che lei chiama civili sono solo nemici. –
Deglutì la sua rabbia e il suo disprezzo per quell’uomo e per tutto quello che lui e la sua divisa rappresentavano, poi si voltò e, ignorando la pistola, andò al cancello. Lo aprì ignorando il grido di avvertimento dell’SS e uscì. Sentì uno sparo, in aria, per fortuna, e andò verso uno dei feriti. Era un ragazzo, magro e coi capelli neri e corti. Stava borbottando mentre il sangue gli usciva dalla bocca, diceva una parola che lui conosceva bene, “mamma”. Lo prese per le spalle e lo trascinò dentro, e, mentre rientrava insicuro di sé e del suo coraggio, vide i tizi dell’Ahnenerbe suonare nel loro fischietto. Dopo poco tempo, non più di un minuto, la cosa tornò, sporca di sangue e ululante e si infilò da sola nella gabbia. L’esperimento era finito, evidentemente, e purtroppo sembrava aver avuto successo.
E fu in quel momento, tenendo la mano di quel povero ragazzo che moriva e parlandogli con le poche parole di italiano che ricordava dai discorsi di sua nonna che veniva da Alba, il capitano capì che quelli non erano più i suoi compagni. Mentre il ragazzo moriva piangendo il capitano decise che nella guerra tra gli uomini e le bestie, lui stava dalla stessa parte di quei pazzi suicidi che li avevano attaccati quella notte.

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