venerdì 12 giugno 2015

Berserker. 14

Comincia il terzo capitolo. Ecco la prima parte. Buona lettura a tutti!

Ed ecco di nuovo la luna piena. E di nuovo in quel posto maledetto dove quattro suoi uomini erano morti il mese prima. E in più adesso c’erano quei maledetti SS, fanatici assassini sadici, con quei dottori dell’Ahnenerbe che sembravano gli scienziati pazzi dei film horror.
Ma quello che proprio non sopportava, quello che davvero gli era intollerabile, era che adesso non era più lui a comandare i suoi uomini, no, era diventato solo il tizio a cui dare gli ordini, senza spiegazione, perché lui li riportasse ai soldati.
E adesso, doveva muovere i suoi uomini, mettere in pericolo i suoi uomini, senza che quei pazzi sadici avessero sentito il benché minimo bisogno di spiegargli cosa sarebbe successo. – Tenga pronti i suoi uomini, capitano! – gli aveva detto Schumacher, così, come a un fattorino, e poi l’altro, quello alto e secco come un palo telegrafico, Warner, gli aveva detto che uno dei suoi uomini avrebbe dovuto fare da esca.
- Da esca? Cosa vuol dire? –
- Uno dei suoi uomini farà da esca, ne scelga uno. – gli aveva risposto.
- I miei uomini non sono esche. – gli rispose ad alta voce e quello lo guardò con disprezzo. – Il mio era un ordine, capitano. Se il Reich vuole che un suo uomo faccia da esca, un suo uomo farà da esca. Ora vada a sceglierlo. – ed era uscito dalla stanza della casa che avevano requisito come base operativa. Dopo qualche secondo passato a far sbollire la rabbia si diresse verso l’uscita pensando a come avrebbe presentato la cosa ai suoi uomini. Avrebbe potuto dire che era un onore, una cosa rischiosa per il bene della patria … che schifo! Mica poteva dirgli: “Ragazzi, mi serve uno di voi che si infili su un amo per attirare con i suoi movimenti il pesce a cui diamo la caccia.” No, l’onestà sarebbe stata troppo anche per i suoi uomini. Avrebbe mentito. Che schifo.
Nel corridoio c’era aperta una porta, era dove tenevano Kastorp. Se pensava al Campo, a quella gente rinchiusa là a marcire … lui combatteva a fianco di quelli che bruciavano nei forni dei poveracci. Lui aveva mandato laggiù un sacco di poveracci. Che schifo! Gli faceva tutto schifo ormai, solo il suo senso dell’onore gli faceva indossare quella divisa ogni mattina, ma si faceva schifo da solo. Che onore c’era in quella divisa? Comunque gli avrebbe fatto piacere vedere Kastorp, era un brav’uomo e lui era l’unico a trattarlo da persona. Si sarebbe fermato un po’ a fare due chiacchiere con lui, lo tenevano sempre chiuso lì dentro come un animale … si affacciò e rabbrividì.
Kastorp era incatenato al muro con quella catenina appesa al polso. Stava urlando, stava ringhiando anzi. Gli facevano delle domande e quella cosa che sembrava abitarlo ruggiva, così loro gli davano una scossa e quella povera cosa rispondeva con un cenno del capo.
Ecco un altro schifo. Invece che entrare lì e ammazzare quegli orrendi aguzzini il nostro capitano uscì di corsa e vomitò nel giardino. Se non fosse stato per quel maledetto senso dell’onore … per un attimo rimase fermo a guardare la pozza di vomito e tentò di trovare in sé un po’ di coraggio, ma il soldato ebbe il sopravvento e andò verso l’accampamento dei suoi uomini. Avrebbe mentito ai suoi uomini causando probabilmente la morte di almeno uno di loro mentre quei mostri avrebbero continuato a torturare Kastorp. Era senza dubbio finito nella parte sbagliata dell’inferno, e meritava di starci.

Lo scienziato dell’Ahnenerbe stava attaccato a quel cassone di radio e scriveva su un foglio quello che gli dicevano i suoi colleghi. I suoi soldati non sapevano da dove prendessero le notizie, lui sì. Aveva visto l’altra radio nella stanza dove torturavano il povero Kastorp costringendolo a rimanere in contatto con quella maledetta catenina. Se aveva visto bene la radio e il pungolo elettrico con cui lo colpivano per permettergli di rispondere alle domande erano attaccate alla stessa batteria. Comunque lo scienziato, un giovanotto che tutti chiamavano dottor Bischoff stava ascoltando con attenzione ciò che gli dicevano in cuffia, poi scrisse qualcosa e disse: - Sta arrivando. Da destra. – e tutti si misero nella posizione che gli era stata assegnata in precedenza.
La luna era alta nel cielo, enorme nell’aria gelida e tersa, il paesaggio sembrava disegnato a china da un Gustave Dorè molto ispirato, diciamo che mancava solo l’anima di Virgilio là in fondo alla selva.
Ma non fu Virgilio a spuntare all’improvviso da dietro a una macchia di alberi, a voler citare per forza la Commedia fu più che altro la lupa, anche se non sembrava poi così tanto una lupa. Aveva un che di umano, ancora un po’, e se non altro camminava ancora su due gambe, anche se le braccia erano così lunghe da sfiorare il terreno. Era ricoperta di pelo rado, quasi a ciocche come un gatto a pelo lungo quando fa la muta, le orecchie erano enormi, quasi più da volpe che da lupo, stile dio Anubi degli Egizi e il muso … il muso era di una bruttezza inenarrabile, come una faccia umana stirata su un muso da lupo, un qualcosa che dava i capogiri solo a vederla per come era fuori posto.
I denti erano giganteschi, molto più appuntiti di quelli di un animale e così anche gli artigli. Ed era una femmina, quello si vedeva bene, due seni umani rimanevano in congruamente su quel petto affilato da cane. Comunque era enorme, spaventosa, un incubo capace di trasformare in gelatina le ginocchia di un uomo.
Questa cosa, non gli veniva in mente un’altra definizione, si stava lanciando sul suo uomo che era nella radura davanti alla buca profonda sei metri che avevano scavato in quei giorni ricoprendola poi con rami e frasche per nasconderla. Non sembrava una bestia che potesse cadere in un inganno così vecchio e banale, non con quegli occhi che brillavano gialli come fuochi nella notte. Erano occhi crudeli, orrendi, ma molto intelligenti.

Saltò sul suo uomo, Johannes, un ragazzotto di diciannove anni che non vedeva l’ora di lasciarci la pelle per la Nazione Germanica, povero cristo rimbecillito dalla propaganda. E cadde nel buco. Successero entrambe le cose, come nessuno di loro aveva previsto. E quindi cadde nel buco trascinandosi giù il povero soldato che gridò come una pecora sgozzata. Loro si lanciarono avanti con le loro reti, inutili con lui vicino, i loro fucili, egualmente inutili con lui stretto tra le zampe della Bestia, e le loro bombe a mano, ultima possibile difesa in caso la Bestia fosse stata troppo potente anche per le loro armi, ma gettarle nella buca avrebbe ucciso anche Johannes. E così arrivarono di corsa e poterono vedere solo quell’enorme mostruosità che sbranava quel povero ragazzo girando ogni tanto il suo orrido muso verso di loro in un ringhio disperato e feroce intramezzato dalle urla del ragazzo. Fece in tempo a vedere Johannes che si reggeva le budella e poi, mentre pensava di buttare una bomba per farlo almeno finire di soffrire, quel maledetto Bischoff arrivò col suo passo leggero e lanciò nella buca una bomboletta che emise del fumo grigio.
Per qualche istante la bestia reagì urlando più forte, poi cominciò, probabilmente per la frustrazione, a sballottare contro le pareti di terra l’inerme soldato e poi, da un momento all’altro, crollò a terra.
- Scendete a prenderla, le catene sono là dalla mia radio. – disse il dottor Bischoff e andò a riferire ai suoi colleghi. Non parlò del povero soldato che aveva donato le sue viscere al Reich, doveva essere l’ultimo dei suoi pensieri.

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