martedì 9 giugno 2015

Berserker. 13

Nuovo capitolo, diciamo che finisce qui il secondo capitolo della storia. Buona lettura!

Qualcosa aveva ululato. Qualcosa che sicuramente non era un cane, i cani non ululano così.
Aveva visitato a 9 anni il Museo di Storia Naturale, si ricordava il lupo impagliato, l’ultimo lupo della Liguria, ucciso se si ricordava bene a inizio secolo. Cosa si erano portati i crucchi, dei lupi? E quanto cazzo erano grandi i lupi in Germania? Continuò a correre tentando di fare molte cose insieme, correre più veloce che poteva, non perdere di vista gli altri, vedere dove andava, non far rimanere indietro Miriam, sfuggire ai Tedeschi, capire cosa fosse a ululare guardandosi indietro, schivare proiettili che non venivano però sparati e non sbattere in un muro o in un albero. Troppe cose, otto cose da fare insieme erano forse sei o sette di troppo per lui, tempo mezzo minuto e inciampò su qualcosa e rovinò a terra. C’era fango, se era fango, c’erano pietre e foglie marcite. Mancò una pietra appuntita di meno di un centimetro, si stortagnò un polso e picchiò rovinosamente il fianco destro a terra. Ma, soprattutto, ruppe gli occhiali.
Gli mancavano sei diottrie all’occhio sinistro e sette al destro, Talpa era il suo soprannome a scuola. I suoi genitori gli avevano insegnato ad essere previdente e aveva degli occhiali di scorta. Li aveva su alla capanna, a ottocento metri di dislivello e almeno sette chilometri di distanza. Rimase per qualche istante in terra, appoggiato sulle mani e sulle ginocchia a vedere il mondo nebbioso che gli stava fisso davanti agli occhi. Piangeva.
- Ma che diavolo stai facendo, Ettore? – gli chiese Miriam prendendolo per un braccio e sforzandosi di tirarlo su. – Alzati, merda! – e gli diede uno strattone che non lo smosse per niente ma fece quasi cadere a terra lei.
- Non vedo niente senza occhiali! – le disse guardandola e riuscendo a vedere solo una sagoma confusa nel buio.
- Ma vai a quel paese, Ettore! – gli disse e lo tirò di nuovo. Questa volta lui accompagnò il suo sforzo e si mise in piedi. Lei lo tenne per un braccio e ricominciò a correre trascinandoselo dietro. Non è che non vedesse nulla, fino a un paio di metri vedeva abbastanza, a parte l’oscurità che c’era dove passavano sotto all’ombra di un albero o di un muro, ma più in là di quella distanza diventava tutto confuso, una specie di muro grigio tendente al nero. Corse zigzagando appeso al braccio di Miriam sentendo montare dentro una paura che mai aveva provato prima, era indifeso come un bambino, non sarebbe nemmeno riuscito a trovare un muro dietro al quale nascondersi se gli avessero sparato addosso, era solo un peso che rallentava quella povera ragazza.
E, mentre pensava queste belle cose di sé quasi assordato dai battiti del suo cuore, accadde qualcosa che non riuscì a vedere abbastanza bene da capirla. Qualcosa di enorme, qualcosa di enorme, fortissimo e peloso, lo scaraventò via come lui avrebbe potuto lanciare via una bambola di pezza. Volò in quella tenebra indefinita aspettando di rompersi il collo contro una pietra e intanto sentì Miriam gridare. Erano grida di terrore e di dolore, qualcosa la stava aggredendo e quel qualcosa ringhiava e ruggiva. Atterrò facendosi male, ma non così tanto da non riuscire a rialzarsi, si mosse verso le grida e i ringhi e, dopo un po’, intravide qualcosa di enorme e indistinto che infieriva su un corpo abbandonato in terra. Si lanciò come un kamikaze su quella cosa sentendo la sua pelle che si accapponava sempre più a ogni passo che faceva, ma Miriam era in pericolo.
E poi, prima di poter vedere con chiarezza cosa fosse quell’animale, un fischio acuto echeggiò tra i muri degli orti e quella cosa, qualunque cosa essa fosse, si staccò da Miriam e corse via. Lui accelerò e si accucciò vicino alla ragazza che era priva di sensi ma ancora viva. Era ferita, tagli e lacerazioni sul viso e sul torso, le mani ferite nel tentativo di difendersi. La prese in braccio e, dolorante e quasi cieco, riprese la strada verso la salvezza. E come riuscì ad arrivare fin lassù con in braccio Miriam semplicemente è una cosa che non sapeva allora e mai seppe spiegare in futuro. Successe e basta.

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