venerdì 19 giugno 2015

Berserker. 16

E, dopo un po' di giorni, eccovi un altro capitolo, finito di scrivere proprio un minuto fa. Buona lettura!

Secondo la gente del posto non aveva mai fatto così caldo in autunno. Meglio, dopo l’inverno che aveva passato combattendo nei Balcani, di tutto poteva avere voglia meno che di vedere muri di neve intorno a sé.
Malgrado nelle zone intorno a loro, come i tutta l’Italia dopo quella cagata di Armistizio l’8 di settembre, infuriasse la lotta contro quelli che nei loro dispacci venivano denominati banditi e che tra di loro si definivano partigiani, nella loro zona tutto era tranquillo. Sapeva naturalmente che sul monte di fronte al loro campo, da qualche parte in quelle strette vallate nascosti da boschi fitti e impossibili da attraversare per chi non li conoscesse bene, si erano nascosti alcuni ragazzi renitenti alla leva nella Repubblica Sociale, ma fino a che loro non fossero venuti giù a dare fastidio ai suoi uomini, lui non avrebbe rischiato la vita di nessuno dei suoi per andarli ad acciuffare. Volevano stare nascosti sul monte come capre? Facessero pure, lui e i suoi uomini per la prima volata da mesi avevano un tetto sopra le loro teste e un po’ di quiete dai combattimenti.
Il nostro capitano stava pensando queste cose mentre passeggiava per il giardino del sanatorio, quando gli venne incontro il tenente Schimdt, un ragazzo che sembrava essere passato attraverso 11 anni di regime nazista senza esserne minimamente toccato. Anche perché il suo unico argomento di conversazione era il Bayern di Monaco e almeno su quell’argomento i nazisti fino ad allora si erano astenuti dal dire qualcosa. Comunque era piacevole parlare con qualcuno che non rispondeva ripetendo a memoria le frasette inventate da Goebbels.
- Salve, capitano. – gli disse Schmidt salutandolo militarmente – Bella giornata, eh? –
- Caldo. Per essere la fine di ottobre è caldo. Ma dopo tutto siamo nella terra dove crescono i limoni, no? –
Schmidt lo guardò sforzandosi di non far notare che non aveva capito il riferimento, poi sorrise e disse: - Non li avevo visti i limoni, qua intorno. Belli comunque, e profumati. - Eh sì, Goethe non giocava nel Bayern in effetti.
Mentre la conversazione languiva furono richiamati da un fischio a malapena udibile. Veniva dalla zona del giardino che era stata recintata per trasformarla in Lager per i prigionieri. Andarono a vedere e rimasero per qualche minuto in silenzio a guardare cosa stavano facendo i due dell’Ahnenerbe insieme a quel sergente che avevano fatto venire dalla sezione cinofila. Stavano lanciando dei bastoni ai prigionieri e quelli dovevano andare a prenderli e riportarli. Quando lo facevano venivano premiati con un biscotto, se si rifiutavano venivano picchiati con un bastone. Altri, più in là, stavano marciando e, quando Bischoff suonava quello strano fischietto, svoltavano a destra o a sinistra oppure si fermavano a seconda di quanti fossero stati i fischi. Ogni volta che eseguivano correttamente l’esercizio, biscottino, per ogni errore, di nuovo, bastonata. Stavano addestrando dei cani, solo che erano persone.
Il capitano e il tenente si allontanarono dalla recinzione in silenzio e svoltarono l’angolo. Lì c’erano quelle reclute delle SS, quelli che avevano stampato in faccia “Io sono un bravo nazista” e che disprezzavano gli altri esseri umani all’incirca come gli Spartani disprezzavano gli Ateniesi. Questi li stava addestrando von La Salle insieme a all’assistente di quel sergente. Anche qui biscottini e fischietti, solo che questi si lanciavano anche addosso a dei pupazzi in un corpo a corpo stile lotta greco-romana. E anche qui i comandi erano dati con il fischietto quasi inudibile e c’erano gli stessi premi e punizioni.
Si allontanarono anche da lì e uscirono dal sanatorio cominciando a passeggiare per il paese. Un pastore passò con un paio di capre e li salutò con un certo astio negli occhi. Erano invasori dopotutto, non poteva dargli torto. Gli disse “Buongiorno” con la miglior pronuncia italiana di cui era capace.
- Era un fischietto ad ultrasuoni, lo usano per addestrare i cani. – gli disse all’improvviso il tenente Schmidt. Era spaventato, povero ragazzo, neanche il fischietto ad ultrasuoni aveva mai giocato nel Bayern.
- Sì. –
- Capitano, perché addestrano come cani quei prigionieri e quelle reclute? Perché mai li addestrano come cani? –
- Sono esperimenti di cui non … come dire? Nessuno ai piani alti ritiene che dobbiamo saperne più di quanto sappiamo, Schmidt. Ti va come risposta? –
- Ma, capitano! Non pensa che c’entri quella cosa che ha ucciso Johannes? E se quei matti volessero contaminare quelle persone? Capitano … -
- Schmidt, nessuno ha chiesto il nostro parere, mi pare. Però ci hanno dato degli ordini. Ciò dovrebbe bastarti, direi. – gli rispose vergognandosi come un verme, lui aveva disubbidito agli ordini, lui era andato nell’ala in cui gli era stato proibito andare, lui aveva visto la ragazza che con la luna piena diventava quella cosa, lui aveva visto che Johannes era ancora vivo e perfettamente sano. Lui era il perfetto soldato di quel regime di merda che era diventata la Germania, tra sé e sé sbraitava e, quando doveva agire, era il più fedele degli esecutori. Che schifo! – Schmidt, anche io ho le stesse idee che hai tu, è naturale, ma gli ordini che abbiamo ricevuto … - gli stava dicendo quando arrivò quell’odioso italiano che i fascisti avevano mandato ad aiutarli e affiancarli nella gestione del paese. Un cretino fatto e finito, un tizio grande e grosso che raccontava a tutti delle sue azioni eroiche nella Grande Guerra per impressionarli e non si rendeva conto che qualunque soldato, vedendolo, notava come prima cosa che aveva i piedi piatti. E con quei piedi non lo avrebbero mai arruolato, neanche nella Grande Guerra.
- Salve, podestà. – gli disse sperando che avesse da fare al sanatorio e che non li disturbasse col suo tedesco osceno. Se c’era una persona a questo mondo che per lui era classificabile come subumano, ecco, il podestà Toti era quello.
- Dovete venire con me, subito. C’è un contadino che ha fatto una cosa inaudita. – disse e corse verso la parte orientale del paese. Lo seguirono e arrivarono davanti a un contadino che li stava aspettando accanto a un mulo carico di legna. Il labbro del contadino era spaccato da un pugno e il sangue gli colava sulla barba grigia. Lo conosceva quel contadino, lo chiamavano Bartolo ed era innocuo.
- Lo ha picchiato lei questo vecchio? – chiese a Toti.
- Certo! Gli chieda come si chiama il mulo, su! – gli disse l’omone tutto eccitato. Gli piaceva picchiare, maledetto, gli piaceva picchiare i vecchi indifesi.
- Parla il tedesco il signore? –
- No. –
- E allora glielo chieda lei, per favore. – e mentre diceva questo si stavano avvicinando anche quattro di quei giovani SS che erano incuriositi dalla loro scenetta.
Toti fece una domanda al vecchio e quello, impettito, rispose: - Adolf. –
- Ha capito, capitano? Ha chiamato il suo mulo Adolf. –
- E allora? – non gli piaceva quella storia, sia Toti che i giovani SS sembravano avere una gran voglia di menare le mani.
Toti fece un’altra domanda e il vecchio li guardò tutti in faccia. Quanto odio c’era in quella faccia, peccato che stava su un corpo che definite indifeso era poco. Rispose ad alta voce e fece cenno a Toti di tradurre. Stava impettito, ma gli tremavano le mani. E poi Toti tradusse le sue parole dicendo: - Dice che lo ha chiamato Adolf perché così, quando gli deve dare delle legnate, almeno si diverte. – e qui cominciò la sarabanda.
Lo trattarono come un animale, peggio anzi, e lui non intervenne. Lui e Schmidt si guardarono e il tenente fece l’atto di poggiare la mano sulla pistola per … per fare qualcosa, ma lui lo fermò. Codardo in tutto, che schifo.
Per fortuna quel povero vecchio non durò troppo, probabilmente gli cedette il cuore dopo un po’ di botte. Toti e le SS si divertirono un bel po’ con lui, però, e alla fine l’italiano sparò anche al mulo freddandolo lì sul posto. Non riuscì ad uccidere il cane del vecchio, però, dopo un calcio scappò e continuò ad abbaiare disperato dal limite del bosco a un centinaio di metri da loro.
Lui e Schmidt si allontanarono prima che tutto finisse, disgustati. E il tenente disse: - Vorrei tornare al fronte, capitano, vorrei tornare al fronte. – e lui gli diede una pacca sulla spalla. Erano finiti dalla parte sbagliata dell’Inferno, non c’era dubbio.

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