venerdì 13 novembre 2009

Evoluzione II,7.

Scusate il ritardo, ragazzi, ma non ho avuto tempo di curare il mio piccolo, fetido, inutile blog.
Per esempio ieri su la7 ho visto un meraviglioso documentario sul pericoloso mestiere dell'archeologo. Io faccio l'archeologo, non accrditato perchè non esiste un albo e nessuno ti dirà mai che sei un archeologo, è una cosa che devi sentirti da te, e posso giurarvi che non mi è mai crollata addosso una tomba e che non ho mai incontrato nessun faraone maledicente ( e se è per questo neanche nesuna archeologa stile Rachel Weisz che fosse la reincarnazione di un'antica egizia). L'unico pericolo per un archeologo è quello di rompersi le palle, essere sfruttato, prendere l'insolazione, morire di fame, farsi venire lividi su braccia e gambe spostando secchi pieni di terra.
E ora, miei cari, dopo questo mio antipatico e inutile sfogo, eccovi il capitolo 17 del mio romanzo incompiuto:

VII

L’androide tentò di alzarsi e cadde a terra senza neanche alzare le braccia per attutire la caduta; diede una bella facciata e si rimise poi a sedere facendo una specie di risata. – Penso che non sia andata troppo bene. – disse, mentre Elena gli si avvicinava e gli prendeva una mano nelle sue.
- Penso anche io che ci sia ancora da lavorare sul centro motorio del tuo computer. – disse accarezzandolo e sentendosi stupida perché sapeva benissimo che sul dorso delle mani non aveva sensori tattili.
- Signora Marina, pensa che riuscirà a ripararmi? – chiese con la consueta gentilezza il droide.
- Certo Sal, ancora qualche giorno di lavoro per me e di convalescenza per te e poi potrai andare a vivere con Elena. –
- Non vedo l’ora di andare a casa della signorina Elena, che mi tratta tanto bene e mi ha detto che mi insegnerà a curare il giardino. – disse il droide volgendo il viso a Elena e muovendo le sue rigide fattezze di plastica in uno sguardo da cocker.
Marina si sedette vicino a lui e gli disse: - E io non vedo l’ora che tu sia guarito perché mi hai salvato la vita e ti voglio far diventare il droide più felice del mondo. –
“ Se i droidi possono essere felici… - pensò Marina che cominciava a chiedersi se per caso Elena se lo volesse anche scopare quel vecchio rottame. – Ora puoi spegnerti Sal, riprendiamo domani. – disse e cominciò a riporre gli attrezzi che usava per riparare il droide che aveva pezzi un po’ di tutti i colori, come tutte le macchine aggiustate ricorrendo allo sfasciacarrozze.
- Si signora Marina. Arrivederci signora Elena, a domani. –
- A domani Sal. – disse Elena mentre il droide si sconnetteva e i suoi occhi si spegnevano.
- Come mai ci vuole tanto? Avevi detto che non era poi tanto lesionato. – le chiese Elena prendendo la borsa e infilandosi la giacca.
- Ci sono stati tanti danni nei banchi di memoria e in tutte le parti del computer che si sono salvate, sia a livello di hardware che di software. Più lo riparo e più ne scopro. Penso che ci vorrà almeno una settimana. –
- Ma ci pensi che se non lo avessi preso io lo avrebbero già portato alla demolizione? È così buono! –
- È solo la sua programmazione Elena, se io gliela cambiassi potrei renderlo odioso come una suora. –
- Non il mio Sal. – disse Elena accarezzando la calotta cranica del droide spento – Il mio Sal è buono di natura, ne ho avuto la prova durante la rapina. –
- Se lo dici tu. – disse Marina accompagnandola alla porta – A domani cara. –
- A domani. – disse Elena e andò via in bicicletta.
Marina la guardò allontanarsi e rientrò in casa. Attese qualche minuto per essere sicura che non tornasse e fece scattare un interruttore che lei stessa aveva posizionato sulla testa del droide. Sal si svegliò subito, ma parlò con un tono di voce diverso e si alzò in piedi senza problemi. – Ciao Marina. – disse con una voce che assomigliava tantissimo a quella di Enrico – Sei da sola? –
- Sì caro. – disse e baciò il droide, - Giornata dura? –
- Lo saprai appena ti metterai la coroncina dell’amore. – disse lui e rise, come stava facendo a venti chilometri di distanza Enrico chiuso nella sua stanza dentro all’ala top secret dell’IIT.
Lei si mise la coroncina e l’accese. Il suo trasmettitore che aveva un raggio di pochi metri si collegò a quello del droide che invece aveva una portata di chilometri e riusciva a raggiungere quello indossato da Enrico. Immediatamente i pensieri dei due si fusero con una facilità che non c’era stata le prime volte, sembrò quasi che la loro natura fosse quella di pensare insieme. Il droide si sedette su di una sedia immobile, e i due innamorati cominciarono a pensare uno nella mente dell’altro e a fare l’amore masturbandosi l’uno usando le mani dell’altro.
Dopo l’amore mangiarono, scambiandosi idee e sentimenti, ridendo di cose che solo uno dei due sapeva fino ad un istante prima, uniti in un modo che sembrava loro realizzare l’idea platonica dell’amore, due metà che si incontrano e si riuniscono finalmente in un intero.
Come sempre da quando avevano usato le coroncine la prima volta, dormirono collegati, perdendo un altro po’ di loro stessi.
È infatti nel sonno, sognando, che noi impariamo davvero, accettando dentro di noi quello che ci viene da fuori. Sognando uno i sogni dell’altro si scambiavano i ricordi fondendo le loro memorie in un guazzabuglio incomprensibile di notizie, come aveva scoperto troppo tardi Silvio Ferrero.
Ogni notte di più Enrico e Marina si perdevano in una nuova mente comune, senza neanche accorgersi di questa loro strana morte.

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