lunedì 2 novembre 2009

Evoluzione II,4.

E' in arrivo sul blog binario l'episodio quattordici del romanzo evoluzione. Chi vuole leggerlo è pregato di affrettarsi alle porte di entrata: Eccolo!

IV

Il grave problema di cui era stato avvertito con quella telefonata il colonnello Mariani, si era verificato solo una decina di minuti prima quando un giovane soldato incaricato di accompagnare a casa sua per prendere le sue cose il dottor Ferrero, aveva disobbedito agli ordini e lo aveva lasciato solo.
- Devo andare in bagno. – aveva detto Ferrero – Mi sento un po’ male. – e si era diretto verso la porta del bagno.
- Mi è stato ordinato di non lasciarla mai da solo. – disse il soldato che aveva l’espressione di chi non sa assolutamente cosa fare.
- Se vuole seguirmi anche nel cesso, - disse Ferrero con quella sua voce che suonava un po’ stridula in quel momento – entri subito, perché sto per farmela nei pantaloni. Però vorrei farle notare che siamo all’ottavo piano e qua dentro vedrebbe solo un uomo in preda ad un attacco di diarrea. – e lo guardò stando sulla porta.
- Va bene. – disse il soldato che era arrossito moltissimo, - Vada pure da solo, ma non chiuda a chiave e stia solo cinque minuti. Poi entro. –
- Tra cinque minuti sarò fuori da qui. – disse Ferrero, e chiuse la porta senza girare la chiave.
“ Quattro minuti e cinquantacinque.” pensò, abbassò rumorosamente la tavoletta del cesso per far credere al militare che stava davvero facendo quello che aveva detto e cominciò a spogliarsi. Prima la giacca, poi la camicia e infine la maglietta della pelle.
Si guardò allo specchio, esaminando i muscoli che esercitava con tanto impegno; aveva le spalle abbastanza larghe e il torace era di un’ampiezza accettabile. Fece una smorfia vedendo la grossa cicatrice all’interno dell’avambraccio sinistro e guardò con attenzione le cicatrici subito sotto ai capezzoli. Si passò le dita sui sottili e radi peli che gli erano cresciuti al centro del petto e pensò “ quattro minuti.”
Si calò i pantaloni e i boxer e non fu soddisfatto vedendo i fianchi larghi e le caviglie sottili. Le gambe, malgrado i muscoli e i peli continuavano a sembrare quelle di una donna. Prese in mano il pene che era stato costruito da un bravo chirurgo con quei tessuti tolti dal braccio e sorrise guardando quella goffa salsiccia di carne con dentro uno stantuffo per avere un’erezione che aveva avuto il coraggio di provare solo una volta con una sua amica lesbica che si era offerta volontaria.
“Tre minuti.” pensò accarezzandosi le palle di silicone che erano alloggiate in uno scroto ricavato dalle sue vecchie grandi labbra e fece un sorriso amaro pensando che non avrebbe mai saputo quale sia il dolore che si prova a prendere un calcio nelle palle. E neanche cosa si provi a venire spruzzando sperma. Il chirurgo era stato bravo e gli aveva collegato il nervo preso dal braccio al clitoride e si era masturbato tante volte stringendo in mano quella specie di wurstel di carne umana, una volta lo aveva usato anche dentro a quella sua amica, ma non aveva mai avuto un orgasmo maschile.
“ Due minuti.” pensò e prese in mano le forbicine che usava per tagliarsi le unghie. Si sedette a terra perché non voleva che il soldato lo sentisse cadere e entrasse prima del tempo per salvarlo. Infilò con decisione le lame delle forbici nel collo ai lati della giugulare e le chiuse.
Il getto di sangue arrivò fino sulla parete alla sua sinistra e sentì subito che la testa gli girava. Era nata femmina e aveva combattuto tutta la vita per diventare uomo, con delle sofferenze e dei segreti che erano solo suoi; non poteva permettere che qualcun altro se ne appropriasse e li pensasse nella sua testa. Morì così da uomo, seduto nudo in terra nel suo bagno, guardando quelle povere cose che aveva tanto sofferto per ottenere a differenza di tutti gli altri uomini che ci nascevano senza neanche rendersi conto della fortuna che avevano avuto.
“ Un minuto.” Pensò sapendo che sarebbe stato uno dei suoi ultimi pensieri, mentre il sangue non schizzava più dal suo collo, ma fluiva sempre meno abbondante sul suo torace. Fu allora che pensò a quello che gli aveva raccontato il giorno prima Loi e capì cosa non andava in quell’aneddoto. “…e così la mia amica Elena quel giorno è andata a fare pipì in mezzo ai cespugli, ma io avevo paura delle vipere e sono andato nel prato. E così alla fine lei la ha fatta con tutta calma e io, guarda, uno schifo, mi sono accucciato e mi è entrata l’erba dentro, uno schifo!”
Nella sua particolare situazione di uomo nato donna e rimasto tale fino a ventuno anni, Silvio non si era accorto della stranezza del racconto, ma ora, in punto di morte e avendo saputo dal colonnello che Loi e la moglie avevano usato il collegamento neurale per un qualche strambo gioco erotico, capì che gli effetti dall’unione di due menti erano irreversibili. Enrico non era più in grado di distinguere i propri ricordi da quelli della moglie.
Con la vista annebbiata, “A proposito, come mai c’era così buio?” pensò, intinse un dito nel lago di sangue in cui era seduto e scrisse sul muro “ Non usate la fusione, è pericolosa.”, ma il braccio cadde dopo le prime due lettere e il buio coprì tutto. Non sentì il soldato che bussava ed entrava e neanche l’urlo che rimbombò nella piccola stanza.

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