domenica 22 novembre 2009

Evoluzione II,8.

Sono un bel po' di giorni che non curo il mio piccolo inutile blog e, anche se avessi avuto un qualche sparuto lettore, ormai si saranno arresi e saranno passati ad attività più utili e divertenti.
Bah! E chi se ne frega, basta che qui ci siamo io e te, mio caro, inesistente, Lettore, io qui che scrivo e tu lì, chissa dove, che leggi.
C'è una cosa che ho pensato in questi ultimi giorni, dopo aver visto in tv un programma sui due assassini di Erba, Olindo e Rosa, sapete, e dopo aver cominciato a leggere "I sommersi e i salvati" di Primo Levi.
Quello che ho cominciato a pensare, caro Lettore, quello che sto rimuginando, è quanto poco separi ognuno di noi dal commettere il Male assoluto, l'omicidio.
Secondo tutti gli esperti i due simpatici coniugi di Erba non sono affatto matti, cosa che penso anche io, ma sono solo un pochetto scentrati, parola non precisamente scientifica ma che rende bene il concetto.
Questi due strani tipi si sono trovati e si sono innamorati, formando tra loro un indissolubile connubbio in cui si sentivano sicuri e tranquilli, come piselli nel loro bacello, si potrebbe dire.
La famigli dei vicini, i Marzouk, erano per loro un'insopportabile fonte di disturbo e di stress, tanto che, dopo aver fatto causa ai "rumorosi" e "fastidiosi" vicini, si sono trovati per così dire costretti ad ucciderli tutti per proteggere il loro modus vivendi.
Ora, per chiunque è chiaro che un ragionamento simile è assolutamente folle e staccato dalla realtà, ma ora vi voglio proporre un quesito:
Allora, nessuno uccide per uccidere, forse solo i serial killer, ma a pensarci bene, come dice il dottor Lecter, l'assassinio e accessorio, loro desiderano; infatti il serial killer, autore degli omicidi più gratuiti, uccide in realtà per poter provare quel piacere che la sua mente malata gli impedisce di provare altrimenti.
Per quali altre ragioni si uccide?
Beh, per rubare; o per eliminare che ci ha visti fare qualcosa di sbagliato e potrebbe denunciarci; o per eliminare un concorrente in affari o in amore, anche se in questo caso si torna n realtà al primo caso, quello del furto; oppure perchè si è in guerra, per difendere il suolo natio e la Patria, rischiando la nostra vita per le nostre madri e le nostre sorelle; oppure, ed è il caso più ben visto, si uccide per llegittima difesa, cioè per salvare l nostra vita.
Ed eccoci al dunque. Se io infilo un pugnale di quindici centimetri nella pancia di un uomo e ce lo rigiro per bene, questo è un omicidio. Questo non può cambiare; però posso averlo fatto perchè quest'uomo stava mangiando l'ultimo gelato alla nocciola, e io volevo il gelato alla nocciola.
Oppure perchè stava rubando i gioielli di mia nonna, e io sono affezionato a mia nonna buonanima.
Oppure perchè ha il mio stesso identico umore, ma la divisa di un altro colore e la sua morte, che sia avvenuta a casa sua o a casa mia, salverà il destino della mia Patria.
Oppure perchè quest'uomo stringendo le sue mani sul mio collo, mi sta strangolando e quello è l'unico modo di salvarmi la vita, e io ci tengo un bel po' alla mia vita.
L'atto è sempre lo stesso, e anche il motivo che me lo fa compiere: uccidendolo farò una cosa che migliorerà la mia condizione.
L'unica differenza sta nell'importanza del cambiamento, che va da praticamente nulla a totale.
E' l'educazione a dirci quando usare la violenza, è la nostra salute mentale a farcelo capire, è la propaganda che ci raggiunge a condizionarci in una direzione o nell'altra.
Che ne dite? Sono solo gli sproloqui di un deficiente? Oppure trovate che io abbia detto qualcosa che abbia un senso?
VOrrei però precisare che queste mie righe un po' sconclusionate non sono e non vogliono essere un invito o un incitamento ad uccidere, quindi se volete liberarvi di quella palla al piede di vostra suocera, primo non fatelo, secondo, se lo fate, non dite che vi ho incitati io.
E ora il nuovo capitolo:

VIII

Lu Ann Wilder parlava col dottor Teubner in portoghese, pensando che per i locali i loro dialoghi pronunciati con pesantissimi accenti tedeschi e inglesi dovevano essere esilaranti come le comiche degli anni Venti.
Con Suleiman aveva parlato in inglese, che lui parlava con uno strano e gradevole accento anglo-arabo, avendo studiato in Inghilterra.
Quello schifoso neonazista che era arrivato da due giorni e che chissà perché Teubner aveva accettato al ricovero come ospite, parlava inglese come la caricatura del soldato tedesco nei film di guerra e ora che quei tre si erano incontrati, si erano messi a parlare tra loro nell’unica lingua che condividevano, cioè il Francese, escludendola così dai loro discorsi. Dopo un po’ che stava lì a sentirli parlare come dei mangiarane uscì all’aperto a godersi l’aria finalmente fresca dopo una giornata in cui la temperatura aveva superato i quaranta gradi.
Suleiman le piaceva molto, anche se doveva avere almeno una decina di anni meno di lei. Erano sei mesi che non aveva un uomo, l’ultimo era stato Kevin Sanders, l’avvocato di famiglia.
Era un bell’uomo, ma non sapeva bene perché non la convinceva; era convinta che avesse sempre un doppio fine.
Scattò in piedi e dovette trattenere un urlo. Kevin Sanders non esisteva! Era solo il personaggio interpretato dal suo amico Michael, un attore omosessuale che conosceva da otto anni. Si ricordava bene, ora, delle risate che si erano fatti girando la scena di sesso, dovendo stare attenti a non mostrare tette o chiappe stando sempre sotto le lenzuola.
L’ultimo uomo con cui era stata era Jim, il giardiniere. Oppure si sbagliava e anche Jim era un amante di Madison Rockwell? Tentò di ricordare se le era piaciuto, se lo avevano fatto in casa sua o nella casa sulla spiaggia di Madison. Ma la casa sulla spiaggia di Madison era solo un po’ di pareti di compensato in un teatro di posa.
Piangeva tentando di ricordare il nome dell’attore che interpretava Jim, o se lui le aveva detto all’orecchio Lu Ann o Madison. Non riusciva a ricordare.
Si alzò e camminò fino al limitare dello spiazzo davanti all’ospedale, vicino alla foresta che non era per nulla illuminata dalla luna nel cielo. Il suo primo amore era stato Antony, un ragazzo italoamericano che aveva conosciuto in Colorado quando era andata a sciare con i suoi; aveva quindici anni allora. Ma se i suoi genitori non l’avevano mai portata a sciare, loro preferivano portarla in una fattoria a cavalcare.
Mugolò il suo dolore alla luna, sola in mezzo a un cortile al centro di una foresta, tentando di capire chi era, ma la luna non la poteva aiutare.

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