lunedì 27 aprile 2015

Berserker. 2

La storia che ho in mente è lunga, complessa, difficile da scrivere. molto probabilmente morirà in culla come quasi tutto quello che ho cominciato, ma un secondo capitolo è qui e un terzo, che dovrei pubblicare domani, è quasi completato. Speriamo bene!
Buona lettura!

I

1

Il puzzo era così forte da sembrare una parete solida che li respingeva. Chiese ai suoi due accompagnatori di fermarsi e scese dal fuoristrada per vomitare. Per fortuna aveva mangiato da molte ore e sputò solo un po’ di bava; i due SS sorridevano e sembravano non accorgersi di quella nuvola invisibile di fetore che li avvolgeva, ma si fermarono accanto a lui e gli diedero una sigaretta dicendo che forse lo avrebbe aiutato ad abituarsi. Seduto a terra con la schiena appoggiata alla portiera del fuoristrada ricordò che anche Virgilio faceva fermare per un po’ Dante dietro ad un sarcofago per dargli tempo di abituarsi all’odore dell’Inferno. Aveva sentito delle storie sui Campi e su quello che era in realtà la soluzione finale di cui parlava il Fuhrer, storie brutte, troppo orrende per crederci, ma quell’odore … Come diceva Dante? “Ecco comincian le dolenti note …” era un verso all’inizio dell’Inferno se la memoria lo aiutava.
- Ora va meglio. – disse anche se non era vero, ma non voleva fare la figura della femminuccia davanti a quei due SS. Risalì sul fuoristrada e vide quell’enorme Lager avvicinarsi nell’aria caliginosa di quell’inizio di autunno. C’era un grosso cancello di ferro, con una scritta sopra. Non diceva “Lasciate ogni Speranza o voi ch’entrate”, no. Se le storie che aveva sentito erano vere, quel “Il lavoro rende liberi” era peggio della scritta di Dante, era anche una presa in giro. Quanta gente aveva mandato lì da quando era cominciata la Guerra? Duemila? Tremila? Di più? Ingoiò una boccata di fumo mentre quella puzza gli entrava fin dentro il cervello e guardò quel filo di fumo nerastro che si alzava da una ciminiera un po’ distante. Un velo di cenere grigia e soffice copriva tutto, l’erba, gli alberi, le garitte delle guardie.
Quando entrarono i due SS lo guidarono verso la baracca del comandante, lo lasciarono fuori e poi tornarono da lui ignorandolo. Un capitano della Wermacht evidentemente non era al loro livello e non meritava di parlare in prima persona.
Suonò una sirena, un suono lugubre e poi, all’improvviso, una specie di stridio di cicale gli rispose. Non erano cicale, le cicale non marciano. Girarono dietro all’angolo della baracca e le vide, le cicale destinate a morire dopo una stagione. I loro sandali di legno facevano quello strano suono, centomila sandali di legno sbattuti in terra come scarponi militari.
Per un attimo pensò che avrebbe urlato, avrebbe urlato così forte da svegliare i morti e poi sarebbe fuggito via. Scheletri ricoperti da pelle grigiastra, luridi pigiami a righe appoggiati a corpi che li riempivano meno di grucce in un armadio. I loro occhi, spenti, occhi di morti che sono obbligati a camminare. Un ufficiale della Wermacht non urla, non fugge. Rimase fermo, sull’attenti, zitto, mentre il comandante e i due SS parlavano e ridacchiavano come se davanti a loro ci fosse stato un paesaggio noioso.
Un attendente portò un voluminoso schedario e il comandante cominciò a scorrere l’elenco di nomi col dito guantato. A ogni nome che passava faceva come un piccolo schiocco con la lingua, poi girava una pagina e guardava con attenzione i nomi seguenti. Nomi seguiti da numeri, date, numeri di matricola, annotazioni. Disse all’attendente un numero e quello corse a dirlo a una persona dentro a un ufficio.
L’altoparlante gracchiò una o due volte, poi una voce stentorea urlò un numero. -542768 - disse.
Per qualche istante non successe nulla, poi uno di quei morti viventi fece un passo avanti, un suo simile un po’ più in carne si mosse marziale verso di lui, gli esaminò il pigiama e il braccio e lo trascinò davanti a loro.
Eccolo, l’uomo che lo avrebbe aiutato a prendere l’assassino dei suoi uomini. Ecco il medium.

Nessun commento:

Posta un commento