martedì 28 aprile 2015

Berserker. 3

Ed ecco il terzo capitolo che vi dicevo ieri. Per ora non c'è altro, ma ora tento di scrivere un po'. Se vi interessa, auguratemi un bel "in bocca al lupo!"

Quel giorno, come accadeva molto spesso, l’appello durò di più. Non sembrava mancare nessuno, non sembrava che nessuno fosse in disordine, si erano mossi a tempo ed erano arrivati tutti lì nel piazzale in maniera ordinata. Eppure l’appello non finiva. La cosa buona era che non era inverno e non era estate, in una bella giornata d’autunno non era poi così male starsene in piedi al sole visto che le nuvole continuavano a passare avanti e indietro facendo ombra. Non era male a parte il dolore ai piedi, naturalmente.
E poi, dopo forse tre quarti d’ora, non portando l’orologio dal 1941 faceva fatica a capire queste sottigliezze, arrivò la ragione del ritardo. Due SS, due ufficiali, accompagnati da un ufficiale della Wermacht che sembrava guardarsi intorno all’incirca come Dante all’Inferno. Era da un po’ che lui non reagiva più così a quello che si trovava davanti, all’incirca dal 1941.
Comunque l’ufficiale delle SS più alto si avvicinò al capitano del Lager e gli parlò, quello prese uno schedario e scorse col dito indice un elenco di nomi. Là in mezzo c’era il suo nome che nessuno diceva più da quando Helena e Sarah erano morte, nel 1941. Il capitano lesse, rilesse, indico all’SS un punto e poi scandì un numero. Un attendente corse in un ufficio e subito dopo l’altoparlante gracchiò il 542768. 542768? E che volevano quei tre da lui? Fece un passo avanti prima che il capitano dovesse ripetere il suo numero e aspettò. Un kapò gli si avvicinò, controllò il numero sulla giacca e sul braccio e, afferratolo con violenza per la spalla lo trascinò davanti ai quattro ufficiali; cadde quasi in terra quando lo lasciò andare, si era molto indebolito lavorando al sole in quell’estate, sicuramente prima di Natale avrebbe raggiunto Helena e Sarah là nel fumo sopra al camino.
- Ecco l’haftelinge 542768! – urlò marziale il kapò e ritornò nei ranghi. Lui rimase lì in attesa, che fossero parole, legnate o una pistolettata in fronte tanto non avrebbe potuto evitarle.
- Shimon Kastorp? – gli chiese l’SS più basso e lui per un attimo molto lungo non rispose. Quello era stato il suo nome fino al 1941, ma da due anni non lo era più.
- Sei Shimon Kastorp, giudeo? – gli chiese di nuovo a una tonalità molto più alta.
- Sissignore, sono Shimon Kastorp, signore. –
- Vieni con noi. – gli disse l’SS più alto e lui li seguì dentro la baracca del capitano. Lo fecero entrare e si sedettero, i due SS, il capitano e l’ufficiale della Wermacht, che ancora non aveva parlato e sembrava essere sul punto di soffocare per la puzza che ammorbava il lager. Anche lui si ricordava di averla sentita nei primi tre giorni lì, in effetti. Si sedettero e rimase una sedia libera, una sedia … era dal 1941 che non si sedeva su una vera sedia, l’ultima volta aveva tenuto in braccio Sarah.
- Siediti, Shimon! – gli disse l’SS alto.
Si sedette facendo un fracasso spaventoso con le gambe della sedia sul pavimento. – Scusate. – disse col fare servile che aveva imparato lì al secondo giorno di internamento, ma loro sembravano non essersi accorti del rumore.
- Vuole dell’acqua, signor Kastorp? - gli chiese l’ufficiale.
- Cosa? – signore? Non stava bene quell’uomo, lui non era il signor Kastorp, era 542768. – Sì, grazie. – gli rispose e quello gli riempì un bicchiere di vetro con acqua così fresca che lo appannò. Lo prese e la bevve talmente in fretta da farsi venire una fitta di mal di testa al centro delle fronte.
- Quest’uomo ha bisogno di mangiare qualcosa. – disse allora l’ufficiale sollevandogli la manica e controllando il suo braccio. Lo aveva avuto così sottile intorno ai sette anni, probabilmente.
- Non siamo qui per dare da mangiare ai Giudei. – disse l’SS basso, ma l’ufficiale della Wermacht disse: - Io ho fame e voglio che quest’uomo mangi. - “Uomo”, che bello, sicuramente lo avrebbero ucciso, ma lo avevano chiamato uomo.
Portarono dello stufato pieno di patate e rape e gliene versarono una grossa razione in un vero piatto e lo poté mangiare con un vero cucchiaio. E poi pulì il piatto con del pane bianco. Si sforzò per non piangere davanti a loro.
Quando ebbero finito lo stufato il giovane ufficiale disse che voleva un caffè e fu molto chiaro nel far capire due caffè. E così gli portarono una tazza di caffè che era una brodaglia orrenda, lui era vissuto a Trieste e sapeva bene cos’era un caffè, ma lo bevve e si perse quasi in quel gusto. Il caffè è una bevanda da uomini liberi, non da bestie o ubermensch.
Alla fine l’ufficiale si accese una sigaretta e gliene offrì una, ma lui rispose: - Non fumo, signore, grazie. – e pensò che era impazzito, a una domanda si risponde sempre sì, un’offerta si accetta sempre anche se ti offrono di mangiare una cacca di cane, il no non esiste; ecco l’effetto di essere chiamati signore e di aver bevuto un caffè.
- Bene, dicono che faccia molto male in effetti. – gli disse e inspirò sorridendo. Poi lo guardò e disse: - Signor Kastorp, i nostri due amici delle SS mi dicono che lei è l’uomo che può aiutarmi, ma io non lo so. Lei è un medium? –
Un medium? Era un medium lui? Da due anni a questa parte era una bestia da soma, un bue grasso prima dell’ingrassamento, un asino carico di tronchi che aspetta solo che una zampa gli ceda per essere ammazzato a legnate dal suo padrone. Ma anni prima, quando aveva avuto un nome e una famiglia, effettivamente era stato un medium. Annuì.
- Signor Kastorp, mi intenda, io sono venuto qui con un viaggio di tre giorni in treno, e ho un problema vero. Io so che lei faceva il medium, conoscevo il suo nome, ma quello che voglio sapere è se lei è realmente un medium o se non fosse piuttosto un prestigiatore o illusionista molto bravo a ingannare le persone. – gli disse continuando a fumare ma stando attentissimo a non sputargli il fumo in faccia.
Shimon ci pensò un attimo e la sua vita gli passò davanti agli occhi. – Nossignore, non sono un illusionista e non sono un truffatore. Io i poteri li avevo davvero. –
- Li aveva? –
- Sono due anni che non esercito. – gli disse evitando di dire che era molto difficile toccare gli altri e vedere qualcosa di diverso da famiglie perdute, torture subite e morti imminenti. Quando sai già tutto di un altro non puoi prevedere nulla.
- Va bene, signor Kastorp. Ora le darò alcuni oggetti e lei li toccherà. Funziona così il suo potere, no? –
- Sissignore, tocco degli oggetti e so qualcosa dei loro possessori. Quasi sempre.-
- Bene. Ecco il primo. – disse e poggiò sul tavolo una fiaschetta da liquore che tirò fuori da una borsa piena di roba. Shimon la prese e se la rigirò tra le mani, sentì una musica, un cane che abbaiava, degli spari, puzza di mostarda e odore di disinfettante, e poi gli sembrò di accarezzare la testa di un bambino. E terra, terra e alberi che frusciavano nel vento. – Questa fiaschetta l’aveva suo padre in guerra, fu contaminato dall’iprite e rimase cieco per qualche giorno, tornò a casa in Baviera e visse con la famiglia in campagna. È morto ed è sepolto sotto a una quercia. –
L’ufficiale lo guardò quasi spaventato e anche i due SS e il capitano del lager sembrarono stupirsi con lui. Poi l’ufficiale gli diede un’altra fiaschetta molto più rovinata, arrugginita, ammaccata, sporca di terra. lui la toccò e disse: - L’operaio che l’ha fatta beve troppo e pensa che la moglie lo tradisca. Lei invece l’ha comprata tre giorni fa e l’ha presa a pietrate e l’ha sporcata per fare questa prova. –
L’ufficiale sorrise, poi infilò la mano nella borsa e tirò fuori una serie di oggetti. Il primo era un portafoglio di cuoio, sporco e rotto. Glielo poggiò di fronte e aspettò.
Shimon sapeva che qualcosa non andava in quel portafoglio, come in tutte quegli altri oggetti posati in ordine davanti a lui, lo sapeva come lo aveva saputo la volta che gli avevano fatto toccare il coltello con cui era stata uccisa la donna che appariva come spettro nel castello dove era stato nove anni prima in Austria, e sapeva che come quella volta avrebbe visto in modo più chiaro delle solite visioni confuse.
Ma neanche lui era pronto a vedere in quella maniera. Tutto a un tratto Shimon smise di essere lì in quel pigiama e fu un altro da un’altra parte. Appena toccò quel portafogli fu …

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