giovedì 23 aprile 2015

Una nuova storia. Di mostri, naturalmente. (Berserker. 1)

E' da un po' che c'è una storia che mi gira per la testa, una storia di quelle lunghe, arzigogolate e complesse, e ho già provato ad attaccarla da varie parti, venendone sempre respinto senza pietà.
Ieri mi è venuto in mente questo inizio e oggi l'ho scritto. Scriverlo è stato divertente, rilassante anzi. da qui, forse, potrei andare avanti con meno difficoltà.
Non sapendo ancora se andrò oltre queste prime mille parole, eccovi l'incipit della mia nuova storia. Si intitola:

BERSERKER.

“Mai così tanto fu dovuto a così pochi.”
Winston Churchill.


Ci sono momenti che cambiano il corso di una vita, lo sappiamo tutti, no?
Molti anni fa, all’università, il mio migliore amico mi disse che andava a un colloquio di lavoro a una multinazionale dei trasporti marittimi e mi chiese se volevo andare anch’io; pensai che non sapevamo le lingue, non sapevamo “bene” le lingue, se mi capite, che studiavamo lettere antiche e che non avevamo un curriculum adatto e gli risposi di no. Logico, direi. E ora lui è un quadro di quella grande azienda, è sposato con una splendida donna e ha un meraviglioso bambino. Io … nessuna di queste cose.
Anni dopo mio nonno ebbe dei problemi di salute, aveva 85 anni, e che cavolo, e dato che non avevo nulla da fare, nulla di redditizio da fare avendo risposto di no a quel mio amico anni prima, andai a vivere da lui lassù in paese per non farlo stare solo e ricordargli che medicine prendere. E così quel simpatico vecchietto ebbe qualcuno a cui raccontare le sue assurde storie dei tempi della Guerra, si capiva da come pronunciava la parola che ci voleva la maiuscola, e io ebbi un sacco di assurde e divertentissime storie da ascoltare.
Per essere onesti mio nonno non ci stava più tanto con la testa, come ho già detto aveva 85 anni, e non è che dessi tanto peso al fatto che quello che raccontava non stesse né in cielo né in terra. la maggior parte delle volte i nomi dei suoi compagni d’arme, diceva così, cambiavano da un giorno all’altro e avvenimenti accaduti il martedì sul monte su a nord finivano per accadere il giovedì nella vallata a sud.
Raccontava queste corbellerie, parola che già secoli fa definì l’Orlando Furioso, a me e a chi gli passava accanto, e tutti mi dicevano che già da giovane era famoso per essere un incredibile contaballe. Però era bello ascoltarlo, una volta che si fosse superata la barriera dei termini dialettali con cui condiva i suoi sproloqui era davvero bello e interessante. Non ho mai creduto a nessuna parola che fosse uscita da quella boccaccia sdentata, naturalmente.
Poi peggiorò, l’unico cambiamento prevedibile quando dagli 85 anni navighi velocemente verso i 90, credo. Cominciò a ridere meno, quando raccontava dei nazisti dell’Ahnenerbe e dei suoi amici partigiani, si vedeva che aveva paura, che si trasformava in molta paura quando calava la notte. Eh sì, non furono molto belli per lui quegli ultimi due anni, anche se io gli stavo vicino e lo aiutavo a fare l’orto e a stare dietro alle galline.
E poi morì, la fine è nota, no? Morì e io rimasi in questa vecchia casa che pensai di trasformare in un agriturismo. L’ho fatto, nei mesi estivi e in quelli con clima decente in primavera e autunno mi dà da vivere, d’inverno ci sto da solo. Parlo un po’ di lingue, non bene ma tanto da farmi capire, e mi piace conoscere gente nuova, quasi quanto mi piace starmene da solo quando fuori la neve copre tutto di un manto bianco che pare nascondere il resto del mondo.
Ed è proprio quando c’era la neve che è successo, c’è stato un altro di quei momenti che vi dicevo prima, uno di quelli che cambiano il corso di una vita.
Stavo leggendo Repubblica, un articolo su un processo a un vecchio nazista, sembrano immortali quei bastardi, non so se lo avete notato. Era un nazista strano, ammetteva le sue colpe e chiedeva scusa per i suoi crimini. E quel nazista disse una frase, era all’incirca così: - E quel giorno capii di essere finito nella parte sbagliata dell’Inferno. – mi bloccai col giornale in mano, in mezzo alla stanza surriscaldata dalla stufa a legna. Mio nonno la diceva sempre, a un certo punto dei suoi racconti diceva sempre che aveva capito di essere finito nella parte sbagliata dell’Inferno.
Mi vennero dei dubbi, mi vennero delle curiosità, e nulla prude più di un dubbio infiocchettato di curiosità. Cercai vecchi giornali, cercai negli schedari dell’epoca, cercai nel cimitero. Molte cose che aveva detto mio nonno erano vere. Allora cercai altro, andai nei boschi a cercare di trovare i luoghi di cui mi aveva parlato, io e il mio cagnetto in mezzo ai boschi rinsecchiti dall’inverno, e molte cose c’erano. Cose che era normale trovare, cose che era strano trovare e cose che assolutamente uno non dovrebbe trovare, non nel mondo reale, almeno.
Trovai la vecchia colonia, un rudere ormai, trovai le celle, trovai i laboratori, trovai le gabbie e trovai degli schedari mezzi bruciati in cui molti documenti erano ancora leggibili. Documenti più folli dei racconti di un vecchio in stato confusionale.
Viaggiai un po’, in quella stagione potevo, trovai persone descritte dal nonno e le convinsi a parlare. È facile far parlare i vecchi, nessuno li ascolta mai e basta fargli capire che si vuole starli ad ascoltare e loro partono in quarta. Non tutti confermarono quanto detto dal nonno, alcuni sì, però. Gli altri probabilmente non volevano passare per matti oppure avevano passato tutta la loro vita a dirsi che erano solo ricordi sbagliati, sogni presi per verità, follie giovanili.
Ricostruii le parti mancanti, un po’ a Roma, un po’ ad Amburgo, un po’ a Tel Aviv. Tutto tornava.
E poi, tornato a casa, cercai le ultime cose. Trovai la tomba, so scavare una tomba, è il lavoro che ho studiato, trovare e scavare vecchie tombe, e dentro … dentro c’era qualcosa che non dovrebbe esistere. E poi mi feci coraggio e andai a cercarli. Sapevo dove andare, in mezzo a quei boschi che nessuno cura più da settanta anni, su per vallate travolte da frane e incuria. Fu un viaggio lungo e difficile, rischiai di farmi male, rischia di cadere giù per un baratro e delle pietre franarono giù a pochi metri da me. Ma andai avanti, vallata dopo vallata, crinale dopo crinale. E … e li trovai.
Vidi dove vivevano, li vidi da lontano, li sentii parlare. E tornai a casa senza disturbarli.

Cosa avevo in mano? Storie assurde? I vaneggiamenti di alcuni vecchietti? Dei macchinari in rovina e una fossa piena di cose troppo strane per essere vere? E infine dei poveracci dimenticati dal mondo?
Non avevo nulla in mano, se non una storia. Dei pezzi di storia, con più buchi che pieni. E allora farò l’unica cosa che si può fare con una storia, raccontarla inventando dove manca un pezzo.
Eccola.

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