martedì 3 novembre 2015

Gli Dei di Dagshepan. 6.

Nuovo capitolo, un po' più breve di quello di ieri. La lunghezza dei capitoli, cari forse inesistenti lettori, non è decisa da me, perché, liberissimi di non crederci, queste storie si scrivono davvero da sole. Io ho una vaga idea di cosa accadrà e mi metto a scrivere e quello che ne risulta è sempre diverso da quello che mi aspettavo all'inizio.
Comunque, buona lettura anche oggi, e, se volete commentare quanto avete letto, sarò ben felice di rispondervi. Ciao!

6

Leka era al colmo della sua potenza e sapeva utilizzare al meglio i suoi poteri. Si muoveva nell’enorme sala con la velocità di un turbine, solida come un essere umano e fortissima nel momento in cui con i suoi artigli sventrava un nemico e impalpabile e simile a un soffio di vento quando qualcuno tentava di colpirla con le proprie mani o con un’arma. Uccise dodici nemici nel tempo in cui Okaka fece otto respiri e arrivò di fronte a lui sotto forma di un frenetico ribollire dell’aria stagnante e nebbiosa. Ricomparve in tutto il suo splendore e, gli occhi illuminati dall’interno da una luce che doveva essere quella che riscalda il punto più profondo degli Inferi, gli sorrise e disse: - Serve aiuto, gigante? – e calò un’artigliata sulla cinghia che gli stringeva i polsi. La strappò quasi del tutto, ma per farlo rimase ferma un istante di troppo. Uno dei Bousi più potenti, alto almeno un palmo e mezzo più del gigantesco nubiano, le calò addosso un’ascia bipenne aprendola dalla spalla destra al seno sinistro.
Leka guardò per il tempo di un battito di ciglia il suo amico e poi, gridando come un’aquila, colma di rabbia e terrore, si girò per attaccare il nemico mentre una enorme quantità di sangue sgorgava dallo squarcio che la deturpava. Ma non riuscì nemmeno a finire il movimento, un’altra ascia la colpì alla sinistra del collo e le portò via la testa che volteggiò per un brevissimo istante prima di trasformarsi in una nuvola di sangue e cadere a terra. Leka non c’era più, era morta per sempre.
Okaka approfittò di quel breve momento di soddisfazione dei mostri per essersi salvati e strappò l’ultimo lembo di cuoio che gli legava le mani. Si lanciò verso quello che aveva decapitato la sua amica e, strappatagli l’ascia che aveva usato, lo colpì alle gambe tagliandogliele di netto. Mentre quello rovinava a terra urlando, senza interrompere il movimento dell’arma, la piantò nel ventre di quello che aveva colpito Leka alla spalla. In mezzo ai due mostri agonizzanti il gigante nubiano si guardò intorno e fece un rapido calcolo. Erano troppi, troppi anche per lui. Con l’ascia in mano corse più veloce che poteva verso quell’immane mostruosità che, grigia e stillante bava, si ritraeva terrorizzata nel profondo della caverna. La evitò e saltò nell’acqua turbinante che andava fragorosamente a cadere in un imbuto di roccia e trattenne il respiro finche poté mentre la corrente lo sbatacchiava contro le lisce pareti di roccia del budello.
Riemerse nella notte, nel lago in fondo alla cascata che sgorgava dal monte a qualche migliaio di passi dalla casa dove era stato ospitato e curato. In cielo, nel buio enorme e trapuntato di stelle che ricopriva quel mondo di orrori, le bestie da guardia dei Bousi volavano in cerchio intorno al cappuccio di nubi di Qasrdag-nor, ma erano bestie diurne e non riuscivano a distinguerlo nel buio. Ringraziando la sua pelle dal colore così simile a quello della notte Okaka nuotò a grandi bracciate fino alla riva ricoperta di alberi e, l’ascia sempre stretta in mano, corse fino alla foresta. Vi entrò dopo essersi dato un’ultima occhiata alle spalle e, per un po’, scomparve dalla vista dei Bousi e delle loro guardie volanti.
Il loro grave errore fu credere che il gigante nubiano fosse fuggito. Okaka non fuggiva, mai. Okaka era andato ad armarsi e loro avrebbero assaggiato la sua vendetta.

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