venerdì 6 novembre 2015

Il Mare dei Mostri. 1.

Come vi avevo accennato ieri ecco la prima puntata di una nuova avventura di Okaka, un'avventura del giovane Okaka.
L'ho scritta così, di getto, rubacchiando l'ispirazione a molti film che ho visto negli anni. Non so ancora cosa ne uscirà e per ora questa storia non mi convince troppo, ma spero che andando avanti prenda velocità e mi guidi lei.
Buona lettura!

Il Mare dei mostri.

1

Il vento gonfiava le vele e la nave filava veloce sul mare ondulato. Se avesse continuato così sarebbe rimasti in mare aperto solo per un paio di giorni, e questo lo rendeva molto felice. Come tutti i più bravi marinai l’unica cosa a cui pensava quando era per mare era la terra e se odiava una cosa era quando l’orizzonte piatto e blu del mare si chiudeva tutto intorno a lui isolandolo dai posti dove gli uomini vivono.
In piedi sulla gabbia in cima all’albero Neto guardava il mare tutto intorno a sé in cerca di qualunque cosa che rompesse la monotonia. Una terra, una nave, delle balene, qualunque cosa. Dopotutto la loro nave era solita fare tante cose diverse, portava passeggeri, se pagavano, portava schiavi, se altri pagavano, portava merci se qualcuno pagava e rubava merci ad altre navi se nessuno aveva pagato, e cacciava balene per vendere il prezioso olio nei porti dove attraccava. Nulla si muoveva in quel cerchio di orizzonte che vedeva da lassù e così si mise a guardare cosa accadeva sulla nave. Era l’ora più calda e tutti dormivano, tranne Van che stava al timone e, intento a lavare il ponte, quel ragazzetto nero tutto braccia e gambe lunghe che avevano preso a bordo a Kainua. Gli altri pensavano che avesse quattordici anni o giù di lì, vista l’altezza, ma a lui sembrava molto più piccolo. Però lavorava come un mulo ed era forte come un bue. E aveva un caratterino notevole, come sapeva quel porco di Nao che aveva tentato di toccarlo di notte nella stiva, confondendo il suo culetto glabro di ragazzino con il bel sederotto di una signorina, da allora quel maiale pieno di tatuaggi e muscoloso come un gladiatore se ne andava in giro con un naso tutto storto che sibilava ad ogni respiro e con uno spazio vuoto corrispondente a tre denti sotto al labbro superiore. Okaka si chiamava quello strano ragazzino, Okaka il nubiano aveva detto presentandosi quando era salito a bordo, ma da qualche giorno lo aveva sentito dire Okaka del Mare dei Mostri. Era un bel nome, per un ragazzo, soprattutto quando quel ragazzo era solo come un cane e oltre al nome aveva ben poco.
Il ragazzo spazzava il ponte con metodo e pazienza, tirando poi su con uno sforzo irrisorio secchi d’acqua salata che pesavano più di lui e sciacquava dove aveva pulito. Andava per mare da anni e, oltre ad essere stato lui un mozzo, ne aveva visti davvero tanti all’opera, ma nessuno si era mai impegnato tanto come quel ragazzetto nero come l’ebano e con un casco di capelli ricci in testa che lo faceva sembrare sempre uno col berretto.
Mentre si perdeva in questi pensieri per passare il tempo, con la coda dell’occhio vide una cosa. Ci mise qualche istante a rendersene conto, tanto erano distanti. Un filo di fumo, un minuscolo filo di fumo che, trascinato dal vento, si piegava sulla superficie delle acque svanendo dopo poche decine di metri. E, sotto al fumo, una quasi impercettibile strisciolina nera che poteva essere solo un’isola all’orizzonte. Isola più fumo, secondo al sua esperienza, voleva dire che era un’isola abitata, e questo significava cibo fresco, acqua fresca, frutta, merci e donne. Sì, effettivamente per prima cosa aveva pensato alle donne, in effetti. Batté il suo pugnale sulla campana che pendeva dal’albero e urlò: - Terra! A dritta, a venti miglia da noi, terra!!! – e vide la nave prendere vita sotto di lui. Anche il ragazzo si alzò e, come tutti, guardò inutilmente nella direzione che aveva detto, perché il fumo era quasi impossibile da vedere anche dalla cima dell’albero. Poi, mentre tutti si agitavano e parlottavano tra loro, il ragazzino, dopo essersi dato una vigorosa grattata a quel casco di ricci neri, si rimise a lavare. Incredibile il ragazzetto.
Van mosse la barra del timone e il vento, da babordo, li spinse velocemente verso l’isola, poi calarono una scialuppa e, a remi, si diressero verso l’isola, che era poco più che un banco di sabbia che emergeva dal mare in mezzo a una zona di secche.
Il fumo proveniva da una nave come non ne avevano mai viste, enorme, con tre alberi e incredibilmente robusta. Era arenata sull’isola e sulla fiancata, che era alta circa due terzi del loro albero maestro, stava una scritta in uno strano alfabeto che non avevano mai visto. Dalla nave, che era antica e rovinata da decenni di intemperie, uscivano degli alberi che riconobbero subito, erano mangrovie e sembravano nascere dentro alla nave. Scesero dalla barca, erano quattro, Neto, Van, il comandante Feirp, Nao e Okaka, e si diressero a un punto della fiancata dove le mareggiate avevano aperto una falla alta otto piedi e larga quattro da dove sarebbero potuti entrare. Le mangrovie erano davvero nate dentro alla nave, che evidentemente aveva portato un carico di giovani piante, dato che alcune erano morte e, secche come sterpaglie pronte per appiccare il fuoco, fuoriuscivano da pani di terra avvolti in teli di stoffa. Una decina di quelle piante ce l’aveva fatta a sopravvivere dopo il naufragio e aveva gettato le radici nella sabbia attraverso le falle nello scafo.
Non trovarono persone a bordo, né vive né morte, ma alcune macchie scure sul legno marcio dello scafo sembravano essere state delle vere e proprie pozze di sangue. Poi, saliti sul ponte grazie a una scaletta molto pericolante, trovarono l’origine del fumo; due pezzi di vetro lisci e curvi, tenuti insieme da un filo metallico, stavano appoggiati sulle tavole di legno e il sole, colpendo il vetro, aveva acceso un piccolo fuoco. Van, con una pedata, spense il fuoco e lanciò quello strano oggetto a Okaka. – Tieni ragazzo! – gli disse e Okaka guardò attraverso i vetri stupendosi di come le immagini venivano deformate. Gli venne un’idea e si appoggiò i due fili più lunghi e curvi sulle orecchie e i due vetri andarono a posizionarsi con precisione davanti ai suoi occhi. Dovevano essere fatti per quello, ma vedeva tutto distorto attraverso quei vetri, ripiegò i due fili, c’era uno snodo apposito, e se li infilò nella veste pensando di farli vedere al cuoco in seguito.
Poi, a poppa, trovarono finalmente un occupante della nave. Era legato a una ruota grande come quella di un carro e ricoperta di punte arrotondate. Neto la toccò e, con un cigolio straziante, ruotò su un perno. Si guardarono senza capire cosa si trovavano davanti. Il corpo legato alla ruota era mummificato dal sole e dalla salsedine e indossava degli strani vestiti, dei calzoni scuri, una camicia bianca e una giacca scura sopra a questa. I nodi erano strani, sembrava che li avesse stretto da solo, con i denti.
Si divisero per cercare qualcosa di utile sul relitto e, dopo un po’, sentirono un urlo dalla stiva, proprio in mezzo alle mangrovie. Scesero di corsa e trovarono Nao privo di sensi, in terra, una ferita sul collo ricoperta di una specie di bava. Cercarono intorno, non c’era nulla, e, dato che Nao sembrava solo addormentato e sulla nave e sull’isola non c’era assolutamente nulla di utile, ritornarono alla nave per riprendere il viaggio.
Qualcosa arrivò però a bordo con loro, dentro al loro compagno che ronfava tranquillo sul fondo della scialuppa.

Nessun commento:

Posta un commento