giovedì 5 novembre 2015

Gli Dei di Dagshepan. 7.

Ultima puntata, finisce questa seconda ultrapulp avventura del gigante nubiano. Buona lettura e buona vita.
p.s. Ho già in mente un'altra avventura, questa volta, come si fa nei prequel cinematografici, protagonista sarà Okaka ragazzino, quando girava per il Mare dei Mostri che tante volte ha nominato. Dovrebbe arrivare già da domani o dopodomani.

7

Il sole stava sorgendo sulla vallata che circondava come una enorme aiuola la montagna coronata di nubi in tempesta, gli uomini uscivano dalle loro capanne per andare a coltivare la terra e i Critton, infreddoliti dalla lunga notte, stavano coricati a terra a scaldarsi al sole del mattino. Nessuno notò qualcosa che, volando ad alta quota, stava sorvolando la vasta foresta che, ancora avvolta dalle tenebre, contornava la pianura. L’ora per quel volo era stata scelta con cura, i grossi animali da guardia avevano abbastanza del rettile per essere meno reattivi nelle primissime ore del mattino. Era una delle tante cose che erano state studiate e preparate a lungo, in quei tre mesi che erano passati dalla sera in cui Okaka si era tuffato nel turbinoso torrente sotterraneo.
Il mondo, visto da lassù, era stano, come un gioco da bambini, un modellino di mondo per muoverci su dei soldatini di piombo. Malgrado il suo coraggio sovrumano il gigante nubiano ci aveva messo almeno un paio di settimane a imparare a tirare le frecce dalla groppa dell’animale che aveva catturato allora nella foresta. E quelle due settimane erano da sommare ai dieci giorni che ci aveva messo a domarlo, ma da ragazzino aveva aiutato un falconiere per qualche mese e aveva semplicemente attuato la stessa tattica di addomesticazione. Ora quel feroce sauro piumato gli era più attaccato di un cane o di un cavallo e proprio lui era la parte fondamentale del suo piano, perché non avrebbe mai potuto scalare quel monte dalla cima persa tra le nubi e, contemporaneamente, combattere con i Bousi e le loro guardie bestiali.
Arrivato a qualche centinaio di metri dalla parete inclinata del monte finalmente uno dei Critton lo notò e si avvicinò per dare un’occhiata. Il nubiano fu così veloce a scoccare la freccia dalla punta avvelenata con veleno di rana della foresta che l’animale non fece nemmeno in tempo a emettere un grido. Gli altri si accorsero di quello che era successo solo quando la carcassa bianca e piumata si schiantò a terra.
Okaka vide gli altri Critton che si alzavano e cominciavano a correre per decollare, li aveva osservati e sapeva bene quanto era difficoltoso per loro prendere il volo, e così ebbe tutto il tempo di preoccuparsi di quelli che si stavano lanciando da in mezzo alle nubi che cingevano il monte. Erano dodici quelli che spuntarono dalle nubi e solo uno di loro riuscì ad avvicinarsi abbastanza a lui da riuscire a guardarlo negli occhi. Le sue frecce li uccisero tutti. Poi, con calma, uccise i venticinque che, lentamente e distaccati gli uni dagli altri, arrivarono fino alla sua quota. Da quel che ne sapeva dovevano essercene un’altra decina, ma o non si erano svegliati o la loro fedeltà ai Bousi non era così cieca e assoluta. Meglio.
Lui e il suo destriero si infilarono tra le nubi e furono subito avvolti dalla cappa di caligine, però almeno non pioveva. Anche per quello aveva scelto quell’ora, la pioggia avrebbe reso tutto molto ma molto più difficile. Vide i primi Bousi e , dopo un paio di giri intorno al monte, ne aveva già abbattuto una ventina con le frecce prese dall’altra faretra e che aveva preparato con grande cura nella città in riva al mare a una decina di giorni di cammino da lì.
Quando capì che non sarebbero più usciti dai loro cunicoli si decise ad atterrare; sapeva che avrebbe dovuto farlo, era pronto a farlo. Rischiare la vita non era mai stato un problema per lui.
Atterrò nella stanza dove avevano divorato la ragazza e lì, nascosti negli angoli più bui, vide sei Bousi. Non erano in agguato, anche se avevano le loro asce in mano, erano terrorizzati. Incatenata al muro, semidivorata come la ragazza che era stata uccisa davanti a lui, una donna che avevano appena finito di scarnificare. Incoccò una freccia e colpì il più lontano al collo. Il mostro cadde a terra urlando fino a che dalla bocca e dalla ferita cominciarono a sgorgare enormi quantità di schiuma che lo soffocarono ancora prima che il suo collo e la sua testa finissero di sciogliersi.
Due dei Bousi nascosti si lanciarono contro di lui e li colpì prima ancora che avessero fatto cinque passi. La schiuma consumò anche loro, poi Okaka scese dal suo destriero, che aveva chiamato Pekahs e, la prossima freccia già appoggiata sul cordino di tendine teso, disse: - Sale. Vi piace il mio sale? – e scoccò in rapida successione le frecce per ucciderli. La punta di sale delle frecce li uccisero così rapidamente che Okaka non lo trovò nemmeno soddisfacente.
Uscì dall’edificio e corse verso la scala che scendeva giù nel monte e nel tragitto uccise a colpi di freccia altri dieci nemici. Erano così abituati ad avere a che fare con uomini ridotti a bestiame pigro e mansueto che non sapevano nemmeno difendersi. Quando arrivò all’imboccatura del sotterraneo lasciò l’arco, perché tanto nella stretta scala a chiocciola non avrebbe avuto spazio per maneggiarlo. Impugnò i suoi due pugnali e slacciò il cordino che assicurava l’ascia che teneva di traverso sulla schiena. Cominciò a scendere e, con le sue armi che aveva bagnato nell’acqua salata fino a farle arrugginire in superficie, uccise tutti i nemici che si trovava di fronte. Scese per molte rampe di scale, vide i prigionieri nella grande sala e, qualche livello più sotto, i novizi che si stavano trasformando. Erano così deboli che non perse tempo a ucciderli, anche perché, se aveva ragione, non ne avrebbe avuto alcun bisogno.
Alla fine arrivò alla sala che precedeva l’enorme caverna dove stava la Grande Madre. Lì alcuni Bousi più antichi, non resi inermi dallo scarso valore degli uomini che erano stati, lo aggredirono, ma scoprirono dolorosamente che l’armatura e il mantello che indossava erano totalmente ricoperti e intrisi di sale, non ebbe nemmeno bisogno di colpirli, bastò che lo toccassero. Con un colpo d’ascia decapitò gli ultimi due che si erano messi davanti alla porta ed entrò.
I Bousi che ormai non avevano più nulla di umano, enormi ma lenti, lo attaccarono, ma con pochi colpi d’ascia e di pugnale se ne liberò. Poi andò verso la mostruosità grigia e molle che riempiva il fondo della caverna e si fermò a guardarla. Gli enormi occhi bulbosi dell’essere demoniaco lo guardarono e, perso in millenni di trasformazione in lumaca, Okaka colse quel che restava di un’espressione umana, era terrorizzata e stava implorando pietà. Non l’avrebbe avuta, non dopo quello che avevano fatto a quelle persone per migliaia di anni, non dopo quello che quella povera ragazza aveva subito davanti a lui, non dopo la morte di Leka. Colpì il mostro con l’ascia in mezzo agli occhi e rimase assordato dal suo grido di dolore mentre il sale la consumava trasformandola in una massa ribollente di schiuma. Rimase fermo fino alla fine, fino a che nulla rimaneva di quella cosa abominevole.
Quando uscì dalla stanza nessuno lo attaccò, nessun mostro fuggì davanti a lui e nessuno gli tese degli agguati. Le uniche persone che trovò furono i novizi, morti e come mummificati sotto a un velo di schiuma, e i prigionieri che liberò accompagnandoli all’uscita. Tutti i Bousi erano morti, erano stati un’unica cosa con la grande Madre in vita e così lo erano stati nella morte.

Scese a valle con Pekahs e trovò la gente in preda al terrore, i pochi Critton rimasti stavano attaccando le persone che fino a pochi minuti prima avevano protetto e già dalla foresta alcuni predatori selvatici, simili al suo destriero alato, si erano infilati nella pianura uccidendo e distruggendo. Nessuno aveva la minima idea su come difendersi, e nessuno era armato in alcun modo, a non voler considerare armi delle zappe. Andò alla capanna dove lo avevano curato e trovò l’uomo che gli aveva salvato la vita e che aveva già perso, per causa sua, una figlia adorata. La casa era distrutta e c’era sangue ovunque, l’uomo agonizzava a terra con uno squarcio che andava dal petto all’anca e, afferrato Okaka per un piede disse: - Perché? Ho visto i miei compagni andare via … Perché? –
Okaka pensò che gli aveva dato la libertà e capì che a volte quello che è fondamentale e irrinunciabile per un uomo per un altro è una maledizione. Appartenere ai Bousi era stato tutto per quelle persone, senza di loro, finalmente liberi, erano Nulla. Guardando quell’uomo buono che stava morendo Okaka disse solo: - I tuoi Dei sono morti. – e gli tenne la mano mentre agonizzava.
Poi, vittorioso e disperato, volò via con Pekahs lasciando che l’apocalisse di Dagshepan avvenisse.

Era morta per lui, glielo doveva. Se ne sarebbe sicuramente pentito, un giorno, ma tra rimorso e rimpianto in quel caso sceglieva il primo. Scavò la tomba fino a ritrovare il corpo semimummificato di Leka, vide il monile a forma di scarabeo che le aveva posto tra le mani e, feritosi il palmo della mano col suo pugnale di ossidiana, afferrò quelle dita scheletriche bagnandole della sua vita. Vi fu come un lampo, un odore di fulmine nell’aria e poi, come se fosse stato il vento a sussurrare al suo orecchio, la voce squillante di Leka gli disse grazie.

FINE.

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