venerdì 6 settembre 2024

Zombie Stellari, episodio II

Ecco la seconda parte, della storia starwarsiana su Lucky Boy e Kayla. E, sì, mi piacciono le twi'lek, lo ammetto. Vorrei vivere nella Galassia lontana lontana solo per le splendide twi'lek.



Arrivò alle prime case mentre la prima delle lune tramontava a occidente, entrò nel villaggio camminando tra le case e si diresse alla parte centrale, dove si trovava una specie di piccola piazza. C’era una piccola fonte, riempì la borraccia e si sedette sul bordo di pietra. Non aveva visto nessun droide e nulla di elettrico, era la prima volta nella sua vita. Controllò di nuovo la trasmittente, nulla, se non il segnale di contatto della trasmittente del generale. Per quanto sembrasse folle cominciava a pensare che loro due fossero gli unici sul pianeta ad utilizzare tecnologia. Si tolse il casco per bere e vide un’ombra dietro alla tenda di una finestra. Qualcuno era sveglio e lo aveva visto. Attese, posando il blaster sul muretto, così non lo avrebbero visto come una minaccia, anche se la sua velocità nell’afferrarlo, mirare e sparare li avrebbe stupiti. Un’altra ombra, egualmente furtiva, e la stessa cosa nella casa vicina. Bevve dalla borraccia e la richiuse lentamente, facendo finta di non guardarsi attorno. Alla fine, una porta si aprì e uscì un uomo. Era un normalissimo umano, vestito con abiti di fibre naturali, gli mancava un dente. Aveva in mano una specie di forcone.

«Salve!» disse alzando la mano destra in segno di saluto.

L’uomo avanzò col forcone in mano, non tenendolo proprio puntato verso di lui, ma quasi. «Chi sei?» disse in un basic dall’accento quasi incomprensibile.

Lucky Boy si alzò con le mani in una posizione inoffensiva, ma non troppo distanti dal suo blaster che aveva ripreso con un movimento veloce, ma non troppo minaccioso. «Sono CC9184, un clone del Grande Esercito della Repubblica Galattica.»

L’uomo lo guardò come se avesse parlato nella lingua degli Hutt, avanzò di un passo e non abbassò il forcone. «Non ho capito una sola parola, soldato. Hai un nome? Per chi combatti?»

«Sono CC9184, Lucky Boy,» disse alzando le mani «Sono un soldato della Repubblica Galattica, combattiamo contro la Federazione Separatista.»

«Repubblica Galattica? Hai esagerato con il latte di bacta fermentato?»

Lucky Boy alzò ancora di più le mani e fece il sorriso più amichevole che la sua faccia permettesse, evitò di ridere come quel suo fratello di nome Gregor che aveva conosciuto un anno prima, perché quella risata era abbastanza antipatica. «Questo pianeta fa parte della Repubblica, dei Separatisti o è indipendente?»

«Questo pianeta non fa parte di niente, non c’è nient’altro, idiota in armatura!»

Lucky Boy sorrise deglutendo, di solito chi lo offendeva passava i minuti successivi a raccogliere i suoi denti da terra, ma lui e il generale avevano bisogno di aiuto. Altri erano usciti dalle case, umani, un paio di Togruta, e un tizio che sembrava essere parzialmente Twi’lek. Non potevano essere dei primitivi mai raggiunti dalle astronavi, questi erano scesi da una nave, purtroppo un bel po’ di tempo prima.

«Avete dei Jedi, qui?» chiese.

«No, qualunque cosa essi siano.» gli rispose l’uomo, ma tra i Togruta c’era una bimba che sussultò alla parola Jedi. «Tu sai di cosa parlo, vero piccola?»

La bimba annuì e guardò i genitori, la madre le fece cenno di parlare. «Nel bosco c’è il vecchio Ber’Nakka, lui a volte parla dei Jedi.»

Lucky Boy pensò che il nome sembrasse da wookie, e i wookie sono molto longevi, tipo sei volte un umano … «E Ber’Nakka è uno wookie?»

La bimba parve non capire e si nascose dietro alla gamba della madre. «Ber’Nakka è molto alto e ricoperto di peli?»

La piccola annuì.

«Ed è molto, molto vecchio?»

«Quell’uomo dei boschi è un vecchio pazzo che racconta follie su navi nel cielo e gente con poteri magici.» disse il padre della bimba.

«E dove posso trovarlo?» chiese Lucky Boy.

«Tra il fiume e le porte del villaggio c’è un bosco, ci devi essere passato vicino venendo qui, lui vive dentro alle rovine della sua “nave”» disse l’uomo col forcone sottolineando, con un’espressione di divertito disgusto, cosa pensava delle folli storielle del vecchio wookie.

«Grazie, vado a parlare con Ber’Nakka. Ringrazio tutti voi per l’aiuto.»

«Non puoi andare adesso, però.» disse la madre della bimba.

«E perché?»

Si guardarono come dopo aver sentito l’idiozia più grande di tutto l’Orlo Esterno, poi l’uomo col forcone gli disse: «Perché col buio ci sono in giro i Wenpr, tenteranno sicuramente di mangiarti vivo.»

Lucky Boy senti gelarsi il sangue pensando a Kayla là da sola, ancora debole per le ferite e la disidratazione.

«Che animali sono?»

«Non sono animali, e il deserto, di notte, è loro.»

Li guardò, si mise l’elmo e urlò: «Grazie dell’aiuto, amici!» mentre correva verso la porta del villaggio.

«Non andare, soldato!» disse il padre della bimba.

«Il mio generale è in pericolo, è mio dovere rischiare la morte, per salvarla.» e corse via senza poter sentire la risposta dell’uomo, che fu «Ma non moriresti, purtroppo.»

21 chilometri, in lieve salita. Poteva farcela in un’ora e venti, ma sarebbe arrivato talmente stremato da non poter combattere. Si sforzò di rallentare un po’, mentre lei, forse, aveva bisogno del suo aiuto. Sarebbero stati sicuramente i momenti peggiori della sua vita.

 

Meditò così profondamente da diventare parte della Forza di quel luogo, sentì la Forza nel vento, nella gravità tra il Pianeta e le sue lune, avvertì i due soli che, avvinti in una danza infinita, illuminavano adesso l’altra faccia del pianeta, sentì i lombrichi sotto alla casa, delle balene-rettile che saltavano furo dall’acqua a centinaia di chilometri da lei, i cuccioli di un predatore che, oltre il deserto, succhiavano il latte dalla madre che dormiva tenendoli tra le sue zampe. E sentì Lucky Boy, era terrorizzato, correva verso di lei, in mezzo a mostri che lo fissavano tra le tenebre. Mostri che, spaventati dal suo arrivo, stavano per attaccarla. Erano intorno a lei, molti, potenti, affamati. Si rilassò ancora di più, lasciò che il terrore, che naturalmente provava, la attraversasse come l’acqua passa attraverso un tessuto leggero, divenne una cosa sola con quella casa, ne sentì ogni muro, ogni angolo, ogni caratteristica, e aspettò. Sfondarono la porta e la attaccarono, in tre, altri due erano dietro alla finestra alla sua destra. Con gli occhi chiusi li osservò avvicinarsi, terribili, famelici, terrorizzati dal suo potere che desideravano e temevano. Non erano animali, e non erano umani. Qualunque cosa fossero stati, non lo erano più da molto tempo. Il primo di loro si avvicinò per toccarla e lei, con calma, attirò a sé la spada laser, fu questione di un attimo, l’artiglio dell’essere la toccò e la sua zampa cadde a terra. In piedi in mezzo alla stanza, circondata da quegli esseri che sembravano cadaveri grigi incrociati con animali predatori, aspettò che l’attacco ricominciasse. Quando accadde lei fu così lesta da decapitare due di quegli esseri, ma l’altro la colpì mandandola a cozzare contro la parete. Lo spinse via con la Forza, ma gli altri due le furono addosso dopo essere praticamente ruscellati all’interno attraverso la finestra. Richiamata a sé la spada riuscì a infilzarne uno nel torace, ma gli altri la morsero e sentì come un gelo entrarle dentro. Fu il terrore a paralizzarla, un terrore mai provato, fino a che i colpi del blaster la sorpresero anche più di quanto avevano sorpreso i mostri che avevano ucciso; Lucky Boy, ansimante, quasi piegato in due dalla fatica, era fermo sulla porta e la fissava.

«Generale! Kayla!»

Lei usò la Forza per liberarsi dal peso di quei corpi, il loro odore e una specie di orrenda bava che essudava dalla loro pelle morta la ricoprivano, e si sentiva come svuotata, ma era viva. Si espanse nella Forza, vi erano altri di quegli esseri, li sentiva, ma non lì vicino, per un po’ erano al sicuro. «Tranquillo Lucky Boy, sto quasi bene.» disse e si alzò in mezzo a quei corpi che sembravano sfuggire alla possibilità di una descrizione. «Ho solo bisogno di un bel bagno in quello splendido laghetto, mi hanno ricoperto di marciume.» disse e gli passò accanto dandogli una pacca sulla spalla. Camminò nel buio e, arrivata al laghetto, fece cadere la coperta che aveva indossato come un kimono ed entrò in acqua tentando di far andare via paura, dolore e gelo. Non fu facile, perché quegli esseri, quando l’avevano morsa lasciandole dei piccoli segni insanguinati, le avevano portato via un po’ del suo potere. Quelle cose morte si nutrivano di Forza. Rimase in acqua, braccia e gambe aperte a galleggiare facendo la morta, riconnettendosi al Tutto, mentre Lucky Boy, stremato e terrorizzato, stava in piedi, di guardia, sulla riva.

 

Dopo un po’, già il crepuscolo lasciava spazio all’aurora che colorava di rosa il cielo a oriente, uscì dall’acqua e, con un movimento aggraziato, si ricoprì con la coperta mentre Lucky Boy, con fare eccessivamente disinvolto, guardava da un’altra parte come se avesse sentito un qualche rumore. Malgrado la preoccupazione per l’aggressione subita e la certezza che molti altri di quegli esseri fossero ancora intorno a loro, sorrise del timido imbarazzo di quel soldato. Nato per combattere, cresciuto in mezzo a centinaia di migliaia di copie di sé stesso, aveva passato i primi dieci anni di vita, corrispondenti a venti di un uomo comune, conoscendo solo delle kaminoane, dall’aspetto alieno con la loro altezza e la loro pelle da anfibio, e, forse, la sua collega Shaak Ti, di stanza su Kamino per controllare le nuove schiere di cloni, e ora, a un’età corrispondente a  forse venticinque anni, si trovava incastrato in una situazione assurda e pericolosa con una Twi’lek come lei, per natura bella e disinibita in una maniera quasi disturbante per tutti i maschi umanoidi della Galassia. Poveraccio, le faceva quasi pena.  «Vieni, Lucky Boy, abbiamo da fare un lavoro sgradevole.»

«Sì, signora.» le rispose seguendola a passo di marcia. Sì, sorrise, anche quell’eccessiva formalità e quel comportamento da soldato alla sfilata erano evidentemente un modo di proteggersi da pensieri che era stato educato a considerare inaccettabili. Entrata nella capanna si mise ad esaminare i corpi. Di base erano umani, senza dubbio, e uno era stato un twi’lek, come lei, anche se il suo corpo era così mutato che non riusciva nemmeno a capire di che sesso o di quale età. I due lekku erano caduti, lasciando solo delle orribili cicatrici melmose sul retro della testa. Anche negli altri le parti molli e sporgenti, come nasi, orecchie, seni, genitali, erano ormai cadute da un’enorme quantità di tempo. Le dita erano artigli e le bocche … con un dito sollevò quelle labbra trasformate quasi in una proboscide … sembravano bocche da lumache, con una miriade di minuscoli denti affilati su tutta la superficie. Anche ora, da morti, i loro corpi avvampavano di Forza, una Forza ancora più letale del Lato Oscuro, una Forza degradata e marcia. «Bruciamoli!» disse alzandosi al soldato, poggiali su una coperta e portali fuori, «Io,» disse accendendo la spada laser «Taglio la legna.»

Appena fuori dall’area verde, al sole nel deserto pietroso, adagiarono quella specie di vampiri della Forza sulla pira e, con il blaster, accesero il fuoco. L’odore fu indescrivibile, un odore di morte e lerciume secolare, ma lei avvertì che le fiamme stavano cancellando quella Forza oscena e degradata, quell’abominio che superava persino l’odio e il dolore dei Sith.

«Perché non mi hanno attaccato, nel deserto, Signora?» chiese Lucky Boy mentre le fiamme riducevano in cenere quelle mostruosità.

«Si nutrono di Forza, Lucky Boy, avvertivano la mia connessione con la Forza e il mio fattore M da lontano, mi hanno puntata già quando mi hai portato qui praticamente moribonda. Voi cloni siete molto poco ricettivi alla Forza, per loro eri quasi invisibile.»

«Ce ne sono altri?»

Lei si aprì totalmente, divenne ricettiva come un’antenna, connettendosi a tutto intorno a sé. Inspirò e guardò verso una montagna in mezzo al deserto, in una direzione molto diversa da quella da cui loro erano arrivati. «Ce n’è un nido intero, un alveare. E … c’è qualcosa peggiore di loro, lì. Una Regina.»

«E se si nutrono di Forza …» le chiese a bassa voce con il suo elmo sotto il braccio «Le hanno fatto male? È ancora…»

Lei sospirò, lo guardò e sorridendo disse: «Mi hanno fatto male, Lucky Boy, e sono davvero molto debole, ma la Forza mi sta aiutando. La Vita di questo pianeta mi sta curando.»

Mentre tornavano alla capanna lei gli chiese cosa avesse trovato al villaggio.

«Gente strana, probabilmente i loro antenati sono arrivati qui secoli fa e qualcosa ha distrutto tutto quello che avevano di tecnologico. Non sanno niente della guerra, della Repubblica, di altri pianeti abitati. Però mi hanno detto che c’è un vecchissimo wookie che straparla di stranezze come le mie, stavo andando a trovarlo quando mi hanno detto che c’erano dei mostri in giro.»

Lei guardò i soli che si stavano appena alzando nel cielo, avevano tutto il tempo che volevano, prima del tramonto. E lei aveva bisogno di vita, connessione, distrazione. Doveva esorcizzare in qualche modo tutta quella morte che l’aveva toccata, non lasciarsene nemmeno lontanamente infettare. C’era un modo.

«Ci andiamo dopo, ora ho bisogno del tuo aiuto.»

«Ai suoi ordini, Generale!» disse lui scattando sull’attenti e lei entrò nella capanna. Lui la seguì e rimase interdetto, ma ormai non troppo stupito, quando si tolse il kimono, sapeva che era molto impudica, ma rimase praticamente senza fiato quando lei gli tolse l’elmo dalle mani e cominciò a sfilargli pezzi di armatura.

«Generale…» le disse con voce strozzata e col viso quasi color porpora «Io non penso che …»

Lei smise di aprirgli la cerniera che chiudeva la tuta nera che indossava sotto all’armatura, lo guardò dritto negli occhi, come tutte le Twi’lek era alta, si avvicinò a lui e, a bassa voce disse: «È una cosa di cui ho davvero bisogno, Lucky Boy, davvero, ma se non vuoi mi fermo e ti chiedo scusa.»

Lui guardò quegli occhi enormi, dalle iridi verdi, guardò quel corpo perfetto, i seni di lei appoggiati al suo petto, deglutì e disse: «Se ne ha davvero bisogno, Generale io …»

«Non è una corvée, Lucky Boy, e non sono un generale che ti dà un ordine. Quello che voglio sapere è,» e gli sfiorò la pelle del collo con le labbra «Tu mi vuoi?»

Lui annuì e si baciarono.

 

Le esperienze con quelle tre prostitute nelle sue rare visite ai bordelli semi ufficiali del Grande Esercito Repubblicano erano state solo in parte soddisfacenti, non molto diverse, sinceramente, da una buffa e meccanica attività ginnico/idraulica. In più, rischiando di mettersi a ridere sul più bello, si era sorpreso a pensare cosa passasse per la testa di una donna che, per lavoro, trascorresse diverse ore al giorno ad accoppiarsi con infinite copie dello stesso uomo. Probabilmente i Kaminoani e il Jedi Sifo-Dyas non avevano minimamente pensato a questo tipo di umanissime necessità dei cloni. Ma il Generale … Kayla, poteva chiamarla Kayla, per la Forza, non pensava che una donna potesse essere così.

Era flessuosa come un serpente, ma in senso positivo, la sua pelle era come seta di Naboo, i suoi seni … ogni suo movimento ne cambiava impercettibilmente la forma, parevano vivi, due perfette e meravigliose forze della natura. E cosa dire della sua schiena, ora che, addosso a lui, inarcata, con i due lekku, morbidi, sudati, leggeri e sensuali che gli si muovevano sul petto e sul collo, la sua schiena liscia, lucente, percorsa, sotto alla pelle blu da guizzanti muscoli, e le sue gambe, lunghe, quasi innaturalmente lunghe, con cosce forti, tornite, sottili ma muscolose, strette intorno ai suoi fianchi, le piante dei piedi rivolte verso di lui, di una sfumatura di blu così chiara da scolorare quasi nel rosa, e il suo sedere, no, non aveva mai immaginato che potessero esistere due natiche così belle, tonde, forti, sensuali, che si contraevano a ogni suo movimento. All’improvviso lei si staccò da lui e cominciò a baciarlo, coricata addosso al suo corpo.

Evidentemente molto più esperta di lui riuscì a portarlo più volte quasi al culmine del piacere, in molti modi sorprendenti, prendendosi per sé tutta la soddisfazione sessuale possibile. E poi, mentre si guardavano negli occhi, finalmente lo lasciò terminare, stravolto e quasi ebbro e gli si coricò accanto, ansante, sudata, stremata, abbracciandolo e poggiandogli fronte e lekku sul petto.

Ora, in effetti, gli sembrò di meritare davvero il suo nome.

 

La mano di lei accarezzava pigramente la spalla e il pettorale di Lucky Boy, mentre lui passava le dita sul lekku caldo e sudato di lei, poggiato di traverso sul suo petto. Quella parte, così aliena, così strana, che avrebbe potuto, in altre occasioni, fargli quasi ribrezzo, gli pareva così naturale, così connaturata a lei, da risultargli irresistibilmente cara. Lei sembrava quasi sonnecchiare, uno dei seni appoggiato pesantemente contro le sue costole, respirando lentamente, quando, tutto ad un tratto, gli chiese: «Perché diavolo ti chiamano Lucky Boy?»

«Qua.» disse lui indicando una lieve infossatura alla destra del suo sterno, pallida, glabra e rosata in mezzo alla sua pelle olivastra e pelosa.

Lei sollevò la testa e guardò allargando gli occhi in segno di sorpresa. «Un colpo di blaster lì, e sei sopravvissuto?»

Lui ridacchiò e disse: «È una lunga storia, Kayla, e non comincia con un blaster.»  si sollevò a sedere voltando la schiena verso di lei. In corrispondenza della cicatrice sul petto una cicatrice simile, ma appena più grande e irregolare, spiccava sul dorso muscoloso a destra delle sporgenze della sua colonna vertebrale.

«Una spada laser?» chiese a voce alta lei, lui si coricò di nuovo e, sorridendo alla vista della sua espressione sorpresa, e gustandosi la vista di quel corpo meraviglioso coricato accanto a lui, sollevata su un gomito era stupenda, le disse: «Conosci Asaj Ventress?»

Lei si sedette a gambe incrociate fissandolo e rispose: «L’assassina di fiducia del Conte Dooku, certo.»

«Sai cosa fece Ventress al comandante Colt durante la battaglia di Kamino?»

Kayla fece una smorfia, tentò di riportare alla mente una cosa ascoltata casualmente molto tempo prima, poi disse: «Lo infilzò con la spada e lo baciò mentre moriva?»

«Esatto. Quell’atto da maniaca divenne una specie di suo marchio di fabbrica, o almeno così si raccontava tra noi cloni e, prima di andare in battaglia, scherzavamo sempre su chi sarebbe stato il “fortunato” che sarebbe morto con le labbra di Ventress stampate sulle sue.» sorrise di nuovo, quasi con una punta di nostalgia divertita, e poi continuò: «E, durante una ininfluente battaglia su una luna di un pianeta di cui nemmeno gli abitanti ricordano il nome, il “fortunato” di turno fui io.»

«Se ti devo dire, mi sembra una cosa agghiacciante.» disse lei accarezzandogli il braccio e coricandosi poi di nuovo accanto a lui.

«E lo è stata. Aveva fatto una strage di miei fratelli, poi mi ha fissato con quegli occhi freddi come il ghiaccio, mi ha sollevato per aria e trascinato a sé con quella maledetta lama rossa che mi è passata attraverso come un dito nell’acqua e, mentre quel fuoco solido mi bruciava nel petto, mi ha baciato con voluttà. Non era nemmeno brutta, vista così da vicino, quella strega.»

«E poi?» e, sollevata di nuovo su un gomito, lo guardava in faccia.

«E poi mi sono svegliato in una vasca di bacta. Ero stato davvero fortunato, la lama rossa aveva sfiorato, ma non lesionato, cuore, spina dorsale, vene, arterie e fibre nervose, bruciando solo un minuscolo angolo del mio polmone destro. Da qui … Lucky Boy.» e le sorrise.

«Che ragazzone fortunato!» disse Kayla appoggiandogli pesantemente un seno sul petto e dandogli un bacio sulle labbra. Lei era più bella di quella strega, vista così da vicino. Mentre le loro lingue si inseguivano in una danza tra i loro denti lei gli montò di nuovo addosso ricominciando a muoversi su di lui con gli occhi fissi nei suoi. Fu una cosa più dolce, più lenta e più intima, questa volta, ma non fu meno bella. E, per un brevissimo istante, alla fine furono entrambi tutt’uno con la Forza, uniti e partecipi alla vita di tutta la Galassia. Dopo, mentre quasi si stava assopendo tenendola tra le braccia, Lucky Boy pensò che l’ora più calda dovesse essere quasi passata. La tregua da quella guerra, quella meravigliosa tregua alla guerra che per lui era la ragione stessa della sua vita, era finita. Ma rimasero ancora lì, abbracciati, ma, di nuovo, separati.

 

Si svegliò di colpo. Non si era nemmeno accorto di essersi assopito. Lei non c’era e la porta era aperta, indossò i pantaloni e uscì. Lei era accanto al laghetto, la coperta di nuovo indossata come un kimono, stava meditando nella tipica posizione dei Jedi, inginocchiata e con la schiena verticale, le mani appoggiate sulle ginocchia, gli occhi chiusi e un atteggiamento tanto calmo da sembrare una statua. Il kimono era bagnato e impronte di piedi umidi portavano dal lago a lei. Anche lui entrò in acqua e nuotò un po’, ripulendosi dal sudore, dalla fatica, dal sesso con lei. Non mancavano più di quattro ore al tramonto era quasi l’ora di …

«Dobbiamo prepararci per andare da questo wookie.» disse lei senza cambiare posizione, gli occhi ancora chiusi.

«Kayla, è una marcia molto lunga, ce la fai o sei ancora…»

Lei lo guardò sorridendo e disse: «Io veramente avevo intenzione di farla di corsa, Lucky Boy… pensi riuscire a starmi dietro?»

«Cosa sarebbe, una sfida?» le chiese stando immerso nell’acqua fino al collo e gustandosi quel fresco meraviglioso e rigenerante.

«A dire il vero sarebbe una missione, soldato.» gli disse alzandosi, e poi, prima che lui potesse uscirsene con un “Signorsì signora!” ammiccò sorridendo e dirigendosi, meravigliosa con addosso quella specie di straccio, verso la capanna. Lui uscì dall’acqua, si asciugò con una salvietta che lei doveva aver portato fuori mentre lui dormiva e si infilò i pantaloni. Si sentiva come nuovo, appena uscito dalla provetta, avrebbero detto i suoi fratelli con il tipico umorismo kaminoano dei cloni. Quando entrò nella stanza la trovò già perfettamente vestita, il generale Jedi Kayla Mak-Ara era tornata, ora sarebbe stato meglio far tornare molto in fretta anche il soldato CC-9762.

Una decina di minuti dopo erano nel deserto, e stavano davvero correndo; coi Jedi era così, era straordinario averli come comandanti, ma bisognava sempre sforzarsi di stare al loro livello.

 

A metà strada si fermarono per bere, anche se in realtà sembrava che lei lo avesse fatto solo e soltanto come forma di cortesia nei suoi confronti, e lui notò una scottatura rossastra sul braccio di lei, intorno al morso che le aveva dato uno di quei mostri orrendi, la pelle era violacea, forse un po’ gonfia.

«Fa male?» le chiese indicando la lesione.

«Un po’, brucia un pochino.» poi prese dal suo equipaggiamento una dose di monocl-ant, la medicina che bloccava tutte le infezioni, la iniettò accanto alla ferita e disse: «Questa cura anche un morso di drago Krait.»

«Certo, se si trova ancora un corpo in cui iniettarla.» e risero sotto al sole ormai basso sull’orizzonte. Bevvero ancora a turno dalla borraccia, poi lei gli diede una pacca sulla spalla e disse: «Facciamo una gara a chi arriva prima?»

«Cosa vinco, se arrivo per primo?»

Un sorriso malizioso, molto malizioso, fu l’unica risposta della donna dalla pelle blu, che poi partì di corsa. Si sentì molto motivato a raggiungerla, ma davvero molto motivato.

Naturalmente arrivò prima lei, fresca e riposata dopo una ventina di chilometri di corsa, lui la guardava, le mani sui fianchi, ansimando, all’ombra degli alberi dove doveva vivere il vecchio wookie, lei gli sorrise e, parlandogli all’orecchio, disse: «Poi ti dico cosa ho vinto.» e di nuovo ammiccò e sorrise maliziosamente. Per la Forza, quanto amava quel pianeta pieno di mostri letali!

Il bosco era incredibilmente fitto, per trovarsi accanto a un deserto, ma dal terreno sgorgavano innumerevoli sorgenti che dovevano evidentemente confluire poi nel grande fiume, comunque c’era fresco e buio, una cosa stranissima dopo ore sulla sabbia e le pietre sotto a un sole implacabile, e la cosa gli sembrava buona, perché le scottature di lei erano aumentate. Avanzarono in fila, lei davanti e lui, il blaster in mano e l’elmo in testa, quattro o cinque passi dietro di lei.

Lui avvertì la presenza di qualcuno che li osservava, lei, naturalmente l’aveva percepita almeno cinque o sei secondi prima, ma, per quanto si guardassero intorno, non riuscivano a vedere nulla. Poi, alle loro spalle, un rumore forte, ma ovattato. Si voltarono e videro un’immagine davvero notevole. Uno wookie, alto più di due metri, dal pelo marrone così brizzolato da sembrare come ricoperto di neve, e di una magrezza estrema, impressionante, quasi. Quando aprì la bocca per salutarli con un barrito in Shyriiwook mostrò una linea ininterrotta di gengive rosee. Gli occhi erano velati dalla cataratta, anche se ancora funzionanti.

Kayla unì le mani con il pugno destro dentro alla mano sinistra, si inchinò ed emise un suono che assomigliava davvero tanto a quelli emessi dai wookie. Era la prima volta che sentiva un umanoide parlare quella lingua. Anche lo wookie rimase stupefatto ed evidentemente soddisfatto dalla cosa, e le rispose con un verso che il traduttore del casco tradusse in “Parla pure nella tua lingua, giovane Jedi.”

Poi l’enorme essere peloso si voltò, lo guardò e disse nella sua lingua animalesca: “Tu e il tuo amico mandaloriano potete venire con me, stavo per bere un tè.”

Pensò di poter sopportare di essere stato confuso con un mandaloriano, Jango Fett lo era, in effetti, e la sua armatura era ispirata alla sua.

Mentre camminavano in un sentiero molto pulito insieme a Ber’Nakka lui guardò Kayla e scosse la testa. Grugnì e latrò con lo sguardo triste e lei gli rispose di nuovo in Shyriiwook, forse sperando che lui non sentisse, ma il suo casco aveva tradotto tutto. “Vedo che i Wenpr ti hanno morsicata e hai già cominciato a trasformarti.” Aveva detto il vecchio gigante e lei aveva risposto “Me ne sono accorta da almeno tre ore.”

Ecco, ora non si sentiva affatto Lucky Boy, proprio per niente. 

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