Ecco la seconda parte, della storia starwarsiana su Lucky Boy e Kayla. E, sì, mi piacciono le twi'lek, lo ammetto. Vorrei vivere nella Galassia lontana lontana solo per le splendide twi'lek.
Arrivò alle prime case mentre la prima
delle lune tramontava a occidente, entrò nel villaggio camminando tra le case e
si diresse alla parte centrale, dove si trovava una specie di piccola piazza.
C’era una piccola fonte, riempì la borraccia e si sedette sul bordo di pietra.
Non aveva visto nessun droide e nulla di elettrico, era la prima volta nella
sua vita. Controllò di nuovo la trasmittente, nulla, se non il segnale di
contatto della trasmittente del generale. Per quanto sembrasse folle cominciava
a pensare che loro due fossero gli unici sul pianeta ad utilizzare tecnologia.
Si tolse il casco per bere e vide un’ombra dietro alla tenda di una finestra.
Qualcuno era sveglio e lo aveva visto. Attese, posando il blaster sul muretto,
così non lo avrebbero visto come una minaccia, anche se la sua velocità
nell’afferrarlo, mirare e sparare li avrebbe stupiti. Un’altra ombra,
egualmente furtiva, e la stessa cosa nella casa vicina. Bevve dalla borraccia e
la richiuse lentamente, facendo finta di non guardarsi attorno. Alla fine, una
porta si aprì e uscì un uomo. Era un normalissimo umano, vestito con abiti di
fibre naturali, gli mancava un dente. Aveva in mano una specie di forcone.
«Salve!» disse alzando la mano destra in
segno di saluto.
L’uomo avanzò col forcone in mano, non
tenendolo proprio puntato verso di lui, ma quasi. «Chi sei?» disse in un basic
dall’accento quasi incomprensibile.
Lucky Boy si alzò con le mani in una
posizione inoffensiva, ma non troppo distanti dal suo blaster che aveva ripreso
con un movimento veloce, ma non troppo minaccioso. «Sono CC9184, un clone del
Grande Esercito della Repubblica Galattica.»
L’uomo lo guardò come se avesse parlato
nella lingua degli Hutt, avanzò di un passo e non abbassò il forcone. «Non ho
capito una sola parola, soldato. Hai un nome? Per chi combatti?»
«Sono CC9184, Lucky Boy,» disse alzando le
mani «Sono un soldato della Repubblica Galattica, combattiamo contro la
Federazione Separatista.»
«Repubblica Galattica? Hai esagerato con il
latte di bacta fermentato?»
Lucky Boy alzò ancora di più le mani e fece
il sorriso più amichevole che la sua faccia permettesse, evitò di ridere come
quel suo fratello di nome Gregor che aveva conosciuto un anno prima, perché
quella risata era abbastanza antipatica. «Questo pianeta fa parte della
Repubblica, dei Separatisti o è indipendente?»
«Questo pianeta non fa parte di niente, non
c’è nient’altro, idiota in armatura!»
Lucky Boy sorrise deglutendo, di solito chi
lo offendeva passava i minuti successivi a raccogliere i suoi denti da terra,
ma lui e il generale avevano bisogno di aiuto. Altri erano usciti dalle case,
umani, un paio di Togruta, e un tizio che sembrava essere parzialmente Twi’lek.
Non potevano essere dei primitivi mai raggiunti dalle astronavi, questi erano
scesi da una nave, purtroppo un bel po’ di tempo prima.
«Avete dei Jedi, qui?» chiese.
«No, qualunque cosa essi siano.» gli
rispose l’uomo, ma tra i Togruta c’era una bimba che sussultò alla parola Jedi.
«Tu sai di cosa parlo, vero piccola?»
La bimba annuì e guardò i genitori, la
madre le fece cenno di parlare. «Nel bosco c’è il vecchio Ber’Nakka, lui a
volte parla dei Jedi.»
Lucky Boy pensò che il nome sembrasse da
wookie, e i wookie sono molto longevi, tipo sei volte un umano … «E Ber’Nakka è
uno wookie?»
La bimba parve non capire e si nascose
dietro alla gamba della madre. «Ber’Nakka è molto alto e ricoperto di peli?»
La piccola annuì.
«Ed è molto, molto vecchio?»
«Quell’uomo dei boschi è un vecchio pazzo
che racconta follie su navi nel cielo e gente con poteri magici.» disse il
padre della bimba.
«E dove posso trovarlo?» chiese Lucky Boy.
«Tra il fiume e le porte del villaggio c’è
un bosco, ci devi essere passato vicino venendo qui, lui vive dentro alle
rovine della sua “nave”» disse l’uomo col forcone sottolineando, con
un’espressione di divertito disgusto, cosa pensava delle folli storielle del
vecchio wookie.
«Grazie, vado a parlare con Ber’Nakka.
Ringrazio tutti voi per l’aiuto.»
«Non puoi andare adesso, però.» disse la
madre della bimba.
«E perché?»
Si guardarono come dopo aver sentito
l’idiozia più grande di tutto l’Orlo Esterno, poi l’uomo col forcone gli disse:
«Perché col buio ci sono in giro i Wenpr, tenteranno sicuramente di mangiarti
vivo.»
Lucky Boy senti gelarsi il sangue pensando
a Kayla là da sola, ancora debole per le ferite e la disidratazione.
«Che animali sono?»
«Non sono animali, e il deserto, di notte,
è loro.»
Li guardò, si mise l’elmo e urlò: «Grazie
dell’aiuto, amici!» mentre correva verso la porta del villaggio.
«Non andare, soldato!» disse il padre della
bimba.
«Il mio generale è in pericolo, è mio
dovere rischiare la morte, per salvarla.» e corse via senza poter sentire la
risposta dell’uomo, che fu «Ma non moriresti, purtroppo.»
21 chilometri, in lieve salita. Poteva
farcela in un’ora e venti, ma sarebbe arrivato talmente stremato da non poter
combattere. Si sforzò di rallentare un po’, mentre lei, forse, aveva bisogno
del suo aiuto. Sarebbero stati sicuramente i momenti peggiori della sua vita.
Meditò così profondamente da diventare
parte della Forza di quel luogo, sentì la Forza nel vento, nella gravità tra il
Pianeta e le sue lune, avvertì i due soli che, avvinti in una danza infinita,
illuminavano adesso l’altra faccia del pianeta, sentì i lombrichi sotto alla
casa, delle balene-rettile che saltavano furo dall’acqua a centinaia di
chilometri da lei, i cuccioli di un predatore che, oltre il deserto,
succhiavano il latte dalla madre che dormiva tenendoli tra le sue zampe. E
sentì Lucky Boy, era terrorizzato, correva verso di lei, in mezzo a mostri che
lo fissavano tra le tenebre. Mostri che, spaventati dal suo arrivo, stavano per
attaccarla. Erano intorno a lei, molti, potenti, affamati. Si rilassò ancora di
più, lasciò che il terrore, che naturalmente provava, la attraversasse come
l’acqua passa attraverso un tessuto leggero, divenne una cosa sola con quella
casa, ne sentì ogni muro, ogni angolo, ogni caratteristica, e aspettò.
Sfondarono la porta e la attaccarono, in tre, altri due erano dietro alla
finestra alla sua destra. Con gli occhi chiusi li osservò avvicinarsi,
terribili, famelici, terrorizzati dal suo potere che desideravano e temevano.
Non erano animali, e non erano umani. Qualunque cosa fossero stati, non lo
erano più da molto tempo. Il primo di loro si avvicinò per toccarla e lei, con
calma, attirò a sé la spada laser, fu questione di un attimo, l’artiglio
dell’essere la toccò e la sua zampa cadde a terra. In piedi in mezzo alla
stanza, circondata da quegli esseri che sembravano cadaveri grigi incrociati
con animali predatori, aspettò che l’attacco ricominciasse. Quando accadde lei
fu così lesta da decapitare due di quegli esseri, ma l’altro la colpì
mandandola a cozzare contro la parete. Lo spinse via con la Forza, ma gli altri
due le furono addosso dopo essere praticamente ruscellati all’interno
attraverso la finestra. Richiamata a sé la spada riuscì a infilzarne uno nel
torace, ma gli altri la morsero e sentì come un gelo entrarle dentro. Fu il
terrore a paralizzarla, un terrore mai provato, fino a che i colpi del blaster
la sorpresero anche più di quanto avevano sorpreso i mostri che avevano ucciso;
Lucky Boy, ansimante, quasi piegato in due dalla fatica, era fermo sulla porta
e la fissava.
«Generale! Kayla!»
Lei usò la Forza per liberarsi dal peso di
quei corpi, il loro odore e una specie di orrenda bava che essudava dalla loro
pelle morta la ricoprivano, e si sentiva come svuotata, ma era viva. Si espanse
nella Forza, vi erano altri di quegli esseri, li sentiva, ma non lì vicino, per
un po’ erano al sicuro. «Tranquillo Lucky Boy, sto quasi bene.» disse e si alzò
in mezzo a quei corpi che sembravano sfuggire alla possibilità di una
descrizione. «Ho solo bisogno di un bel bagno in quello splendido laghetto, mi
hanno ricoperto di marciume.» disse e gli passò accanto dandogli una pacca
sulla spalla. Camminò nel buio e, arrivata al laghetto, fece cadere la coperta
che aveva indossato come un kimono ed entrò in acqua tentando di far andare via
paura, dolore e gelo. Non fu facile, perché quegli esseri, quando l’avevano
morsa lasciandole dei piccoli segni insanguinati, le avevano portato via un po’
del suo potere. Quelle cose morte si nutrivano di Forza. Rimase in acqua,
braccia e gambe aperte a galleggiare facendo la morta, riconnettendosi al
Tutto, mentre Lucky Boy, stremato e terrorizzato, stava in piedi, di guardia,
sulla riva.
Dopo un po’, già il crepuscolo lasciava
spazio all’aurora che colorava di rosa il cielo a oriente, uscì dall’acqua e,
con un movimento aggraziato, si ricoprì con la coperta mentre Lucky Boy, con
fare eccessivamente disinvolto, guardava da un’altra parte come se avesse
sentito un qualche rumore. Malgrado la preoccupazione per l’aggressione subita
e la certezza che molti altri di quegli esseri fossero ancora intorno a loro,
sorrise del timido imbarazzo di quel soldato. Nato per combattere, cresciuto in
mezzo a centinaia di migliaia di copie di sé stesso, aveva passato i primi
dieci anni di vita, corrispondenti a venti di un uomo comune, conoscendo solo
delle kaminoane, dall’aspetto alieno con la loro altezza e la loro pelle da
anfibio, e, forse, la sua collega Shaak Ti, di stanza su Kamino per controllare
le nuove schiere di cloni, e ora, a un’età corrispondente a forse venticinque anni, si trovava incastrato
in una situazione assurda e pericolosa con una Twi’lek come lei, per natura
bella e disinibita in una maniera quasi disturbante per tutti i maschi umanoidi
della Galassia. Poveraccio, le faceva quasi pena. «Vieni, Lucky Boy, abbiamo da fare un lavoro
sgradevole.»
«Sì, signora.» le rispose seguendola a
passo di marcia. Sì, sorrise, anche quell’eccessiva formalità e quel
comportamento da soldato alla sfilata erano evidentemente un modo di
proteggersi da pensieri che era stato educato a considerare inaccettabili. Entrata
nella capanna si mise ad esaminare i corpi. Di base erano umani, senza dubbio,
e uno era stato un twi’lek, come lei, anche se il suo corpo era così mutato che
non riusciva nemmeno a capire di che sesso o di quale età. I due lekku erano
caduti, lasciando solo delle orribili cicatrici melmose sul retro della testa.
Anche negli altri le parti molli e sporgenti, come nasi, orecchie, seni,
genitali, erano ormai cadute da un’enorme quantità di tempo. Le dita erano
artigli e le bocche … con un dito sollevò quelle labbra trasformate quasi in
una proboscide … sembravano bocche da lumache, con una miriade di minuscoli
denti affilati su tutta la superficie. Anche ora, da morti, i loro corpi
avvampavano di Forza, una Forza ancora più letale del Lato Oscuro, una Forza
degradata e marcia. «Bruciamoli!» disse alzandosi al soldato, poggiali su una
coperta e portali fuori, «Io,» disse accendendo la spada laser «Taglio la
legna.»
Appena fuori dall’area verde, al sole nel
deserto pietroso, adagiarono quella specie di vampiri della Forza sulla pira e,
con il blaster, accesero il fuoco. L’odore fu indescrivibile, un odore di morte
e lerciume secolare, ma lei avvertì che le fiamme stavano cancellando quella
Forza oscena e degradata, quell’abominio che superava persino l’odio e il
dolore dei Sith.
«Perché non mi hanno attaccato, nel
deserto, Signora?» chiese Lucky Boy mentre le fiamme riducevano in cenere
quelle mostruosità.
«Si nutrono di Forza, Lucky Boy,
avvertivano la mia connessione con la Forza e il mio fattore M da lontano, mi
hanno puntata già quando mi hai portato qui praticamente moribonda. Voi cloni
siete molto poco ricettivi alla Forza, per loro eri quasi invisibile.»
«Ce ne sono altri?»
Lei si aprì totalmente, divenne ricettiva
come un’antenna, connettendosi a tutto intorno a sé. Inspirò e guardò verso una
montagna in mezzo al deserto, in una direzione molto diversa da quella da cui
loro erano arrivati. «Ce n’è un nido intero, un alveare. E … c’è qualcosa
peggiore di loro, lì. Una Regina.»
«E se si nutrono di Forza …» le chiese a
bassa voce con il suo elmo sotto il braccio «Le hanno fatto male? È ancora…»
Lei sospirò, lo guardò e sorridendo disse:
«Mi hanno fatto male, Lucky Boy, e sono davvero molto debole, ma la Forza mi
sta aiutando. La Vita di questo pianeta mi sta curando.»
Mentre tornavano alla capanna lei gli
chiese cosa avesse trovato al villaggio.
«Gente strana, probabilmente i loro
antenati sono arrivati qui secoli fa e qualcosa ha distrutto tutto quello che
avevano di tecnologico. Non sanno niente della guerra, della Repubblica, di
altri pianeti abitati. Però mi hanno detto che c’è un vecchissimo wookie che
straparla di stranezze come le mie, stavo andando a trovarlo quando mi hanno
detto che c’erano dei mostri in giro.»
Lei guardò i soli che si stavano appena
alzando nel cielo, avevano tutto il tempo che volevano, prima del tramonto. E
lei aveva bisogno di vita, connessione, distrazione. Doveva esorcizzare in
qualche modo tutta quella morte che l’aveva toccata, non lasciarsene nemmeno
lontanamente infettare. C’era un modo.
«Ci andiamo dopo, ora ho bisogno del tuo
aiuto.»
«Ai suoi ordini, Generale!» disse lui
scattando sull’attenti e lei entrò nella capanna. Lui la seguì e rimase
interdetto, ma ormai non troppo stupito, quando si tolse il kimono, sapeva che
era molto impudica, ma rimase praticamente senza fiato quando lei gli tolse
l’elmo dalle mani e cominciò a sfilargli pezzi di armatura.
«Generale…» le disse con voce strozzata e
col viso quasi color porpora «Io non penso che …»
Lei smise di aprirgli la cerniera che
chiudeva la tuta nera che indossava sotto all’armatura, lo guardò dritto negli
occhi, come tutte le Twi’lek era alta, si avvicinò a lui e, a bassa voce disse:
«È una cosa di cui ho davvero bisogno, Lucky Boy, davvero, ma se non vuoi mi
fermo e ti chiedo scusa.»
Lui guardò quegli occhi enormi, dalle iridi
verdi, guardò quel corpo perfetto, i seni di lei appoggiati al suo petto,
deglutì e disse: «Se ne ha davvero bisogno, Generale io …»
«Non è una corvée, Lucky Boy, e non sono un
generale che ti dà un ordine. Quello che voglio sapere è,» e gli sfiorò la
pelle del collo con le labbra «Tu mi vuoi?»
Lui annuì e si baciarono.
Le esperienze con quelle tre prostitute
nelle sue rare visite ai bordelli semi ufficiali del Grande Esercito
Repubblicano erano state solo in parte soddisfacenti, non molto diverse,
sinceramente, da una buffa e meccanica attività ginnico/idraulica. In più,
rischiando di mettersi a ridere sul più bello, si era sorpreso a pensare cosa
passasse per la testa di una donna che, per lavoro, trascorresse diverse ore al
giorno ad accoppiarsi con infinite copie dello stesso uomo. Probabilmente i
Kaminoani e il Jedi Sifo-Dyas non avevano minimamente pensato a questo tipo di
umanissime necessità dei cloni. Ma il Generale … Kayla, poteva chiamarla Kayla,
per la Forza, non pensava che una donna potesse essere così.
Era flessuosa come un serpente, ma in senso
positivo, la sua pelle era come seta di Naboo, i suoi seni … ogni suo movimento
ne cambiava impercettibilmente la forma, parevano vivi, due perfette e
meravigliose forze della natura. E cosa dire della sua schiena, ora che, addosso
a lui, inarcata, con i due lekku, morbidi, sudati, leggeri e sensuali che gli
si muovevano sul petto e sul collo, la sua schiena liscia, lucente, percorsa,
sotto alla pelle blu da guizzanti muscoli, e le sue gambe, lunghe, quasi
innaturalmente lunghe, con cosce forti, tornite, sottili ma muscolose, strette
intorno ai suoi fianchi, le piante dei piedi rivolte verso di lui, di una
sfumatura di blu così chiara da scolorare quasi nel rosa, e il suo sedere, no,
non aveva mai immaginato che potessero esistere due natiche così belle, tonde,
forti, sensuali, che si contraevano a ogni suo movimento. All’improvviso lei si
staccò da lui e cominciò a baciarlo, coricata addosso al suo corpo.
Evidentemente molto più esperta di lui
riuscì a portarlo più volte quasi al culmine del piacere, in molti modi
sorprendenti, prendendosi per sé tutta la soddisfazione sessuale possibile. E
poi, mentre si guardavano negli occhi, finalmente lo lasciò terminare,
stravolto e quasi ebbro e gli si coricò accanto, ansante, sudata, stremata,
abbracciandolo e poggiandogli fronte e lekku sul petto.
Ora, in effetti, gli sembrò di meritare
davvero il suo nome.
La mano di lei accarezzava pigramente la
spalla e il pettorale di Lucky Boy, mentre lui passava le dita sul lekku caldo
e sudato di lei, poggiato di traverso sul suo petto. Quella parte, così aliena,
così strana, che avrebbe potuto, in altre occasioni, fargli quasi ribrezzo, gli
pareva così naturale, così connaturata a lei, da risultargli irresistibilmente
cara. Lei sembrava quasi sonnecchiare, uno dei seni appoggiato pesantemente
contro le sue costole, respirando lentamente, quando, tutto ad un tratto, gli
chiese: «Perché diavolo ti chiamano Lucky Boy?»
«Qua.» disse lui indicando una lieve
infossatura alla destra del suo sterno, pallida, glabra e rosata in mezzo alla
sua pelle olivastra e pelosa.
Lei sollevò la testa e guardò allargando
gli occhi in segno di sorpresa. «Un colpo di blaster lì, e sei sopravvissuto?»
Lui ridacchiò e disse: «È una lunga storia,
Kayla, e non comincia con un blaster.»
si sollevò a sedere voltando la schiena verso di lei. In corrispondenza
della cicatrice sul petto una cicatrice simile, ma appena più grande e
irregolare, spiccava sul dorso muscoloso a destra delle sporgenze della sua
colonna vertebrale.
«Una spada laser?» chiese a voce alta lei,
lui si coricò di nuovo e, sorridendo alla vista della sua espressione sorpresa,
e gustandosi la vista di quel corpo meraviglioso coricato accanto a lui,
sollevata su un gomito era stupenda, le disse: «Conosci Asaj Ventress?»
Lei si sedette a gambe incrociate
fissandolo e rispose: «L’assassina di fiducia del Conte Dooku, certo.»
«Sai cosa fece Ventress al comandante Colt
durante la battaglia di Kamino?»
Kayla fece una smorfia, tentò di riportare
alla mente una cosa ascoltata casualmente molto tempo prima, poi disse: «Lo
infilzò con la spada e lo baciò mentre moriva?»
«Esatto. Quell’atto da maniaca divenne una
specie di suo marchio di fabbrica, o almeno così si raccontava tra noi cloni e,
prima di andare in battaglia, scherzavamo sempre su chi sarebbe stato il
“fortunato” che sarebbe morto con le labbra di Ventress stampate sulle sue.»
sorrise di nuovo, quasi con una punta di nostalgia divertita, e poi continuò:
«E, durante una ininfluente battaglia su una luna di un pianeta di cui nemmeno
gli abitanti ricordano il nome, il “fortunato” di turno fui io.»
«Se ti devo dire, mi sembra una cosa
agghiacciante.» disse lei accarezzandogli il braccio e coricandosi poi di nuovo
accanto a lui.
«E lo è stata. Aveva fatto una strage di
miei fratelli, poi mi ha fissato con quegli occhi freddi come il ghiaccio, mi
ha sollevato per aria e trascinato a sé con quella maledetta lama rossa che mi
è passata attraverso come un dito nell’acqua e, mentre quel fuoco solido mi
bruciava nel petto, mi ha baciato con voluttà. Non era nemmeno brutta, vista
così da vicino, quella strega.»
«E poi?» e, sollevata di nuovo su un
gomito, lo guardava in faccia.
«E poi mi sono svegliato in una vasca di
bacta. Ero stato davvero fortunato, la lama rossa aveva sfiorato, ma non
lesionato, cuore, spina dorsale, vene, arterie e fibre nervose, bruciando solo
un minuscolo angolo del mio polmone destro. Da qui … Lucky Boy.» e le sorrise.
«Che ragazzone fortunato!» disse Kayla
appoggiandogli pesantemente un seno sul petto e dandogli un bacio sulle labbra.
Lei era più bella di quella strega, vista così da vicino. Mentre le loro lingue
si inseguivano in una danza tra i loro denti lei gli montò di nuovo addosso
ricominciando a muoversi su di lui con gli occhi fissi nei suoi. Fu una cosa
più dolce, più lenta e più intima, questa volta, ma non fu meno bella. E, per
un brevissimo istante, alla fine furono entrambi tutt’uno con la Forza, uniti e
partecipi alla vita di tutta la Galassia. Dopo, mentre quasi si stava assopendo
tenendola tra le braccia, Lucky Boy pensò che l’ora più calda dovesse essere
quasi passata. La tregua da quella guerra, quella meravigliosa tregua alla
guerra che per lui era la ragione stessa della sua vita, era finita. Ma
rimasero ancora lì, abbracciati, ma, di nuovo, separati.
Si svegliò di colpo. Non si era nemmeno
accorto di essersi assopito. Lei non c’era e la porta era aperta, indossò i
pantaloni e uscì. Lei era accanto al laghetto, la coperta di nuovo indossata
come un kimono, stava meditando nella tipica posizione dei Jedi, inginocchiata
e con la schiena verticale, le mani appoggiate sulle ginocchia, gli occhi
chiusi e un atteggiamento tanto calmo da sembrare una statua. Il kimono era
bagnato e impronte di piedi umidi portavano dal lago a lei. Anche lui entrò in
acqua e nuotò un po’, ripulendosi dal sudore, dalla fatica, dal sesso con lei.
Non mancavano più di quattro ore al tramonto era quasi l’ora di …
«Dobbiamo prepararci per andare da questo
wookie.» disse lei senza cambiare posizione, gli occhi ancora chiusi.
«Kayla, è una marcia molto lunga, ce la fai
o sei ancora…»
Lei lo guardò sorridendo e disse: «Io
veramente avevo intenzione di farla di corsa, Lucky Boy… pensi riuscire a
starmi dietro?»
«Cosa sarebbe, una sfida?» le chiese stando
immerso nell’acqua fino al collo e gustandosi quel fresco meraviglioso e
rigenerante.
«A dire il vero sarebbe una missione,
soldato.» gli disse alzandosi, e poi, prima che lui potesse uscirsene con un
“Signorsì signora!” ammiccò sorridendo e dirigendosi, meravigliosa con addosso quella
specie di straccio, verso la capanna. Lui uscì dall’acqua, si asciugò con una
salvietta che lei doveva aver portato fuori mentre lui dormiva e si infilò i
pantaloni. Si sentiva come nuovo, appena uscito dalla provetta, avrebbero detto
i suoi fratelli con il tipico umorismo kaminoano dei cloni. Quando entrò nella
stanza la trovò già perfettamente vestita, il generale Jedi Kayla Mak-Ara era
tornata, ora sarebbe stato meglio far tornare molto in fretta anche il soldato CC-9762.
Una decina di minuti dopo erano nel
deserto, e stavano davvero correndo; coi Jedi era così, era straordinario
averli come comandanti, ma bisognava sempre sforzarsi di stare al loro livello.
A metà strada si fermarono per bere, anche
se in realtà sembrava che lei lo avesse fatto solo e soltanto come forma di
cortesia nei suoi confronti, e lui notò una scottatura rossastra sul braccio di
lei, intorno al morso che le aveva dato uno di quei mostri orrendi, la pelle
era violacea, forse un po’ gonfia.
«Fa male?» le chiese indicando la lesione.
«Un po’, brucia un pochino.» poi prese dal
suo equipaggiamento una dose di monocl-ant, la medicina che bloccava tutte le
infezioni, la iniettò accanto alla ferita e disse: «Questa cura anche un morso
di drago Krait.»
«Certo, se si trova ancora un corpo in cui
iniettarla.» e risero sotto al sole ormai basso sull’orizzonte. Bevvero ancora
a turno dalla borraccia, poi lei gli diede una pacca sulla spalla e disse:
«Facciamo una gara a chi arriva prima?»
«Cosa vinco, se arrivo per primo?»
Un sorriso malizioso, molto malizioso, fu
l’unica risposta della donna dalla pelle blu, che poi partì di corsa. Si sentì
molto motivato a raggiungerla, ma davvero molto motivato.
Naturalmente arrivò prima lei, fresca e
riposata dopo una ventina di chilometri di corsa, lui la guardava, le mani sui
fianchi, ansimando, all’ombra degli alberi dove doveva vivere il vecchio
wookie, lei gli sorrise e, parlandogli all’orecchio, disse: «Poi ti dico cosa
ho vinto.» e di nuovo ammiccò e sorrise maliziosamente. Per la Forza, quanto
amava quel pianeta pieno di mostri letali!
Il bosco era incredibilmente fitto, per
trovarsi accanto a un deserto, ma dal terreno sgorgavano innumerevoli sorgenti
che dovevano evidentemente confluire poi nel grande fiume, comunque c’era
fresco e buio, una cosa stranissima dopo ore sulla sabbia e le pietre sotto a
un sole implacabile, e la cosa gli sembrava buona, perché le scottature di lei
erano aumentate. Avanzarono in fila, lei davanti e lui, il blaster in mano e l’elmo
in testa, quattro o cinque passi dietro di lei.
Lui avvertì la presenza di qualcuno che li
osservava, lei, naturalmente l’aveva percepita almeno cinque o sei secondi
prima, ma, per quanto si guardassero intorno, non riuscivano a vedere nulla.
Poi, alle loro spalle, un rumore forte, ma ovattato. Si voltarono e videro
un’immagine davvero notevole. Uno wookie, alto più di due metri, dal pelo
marrone così brizzolato da sembrare come ricoperto di neve, e di una magrezza
estrema, impressionante, quasi. Quando aprì la bocca per salutarli con un
barrito in Shyriiwook mostrò una linea ininterrotta di gengive rosee. Gli occhi
erano velati dalla cataratta, anche se ancora funzionanti.
Kayla unì le mani con il pugno destro
dentro alla mano sinistra, si inchinò ed emise un suono che assomigliava
davvero tanto a quelli emessi dai wookie. Era la prima volta che sentiva un
umanoide parlare quella lingua. Anche lo wookie rimase stupefatto ed
evidentemente soddisfatto dalla cosa, e le rispose con un verso che il traduttore
del casco tradusse in “Parla pure nella tua lingua, giovane Jedi.”
Poi l’enorme essere peloso si voltò, lo
guardò e disse nella sua lingua animalesca: “Tu e il tuo amico mandaloriano
potete venire con me, stavo per bere un tè.”
Pensò di poter sopportare di essere stato
confuso con un mandaloriano, Jango Fett lo era, in effetti, e la sua armatura
era ispirata alla sua.
Mentre camminavano in un sentiero molto
pulito insieme a Ber’Nakka lui guardò Kayla e scosse la testa. Grugnì e latrò
con lo sguardo triste e lei gli rispose di nuovo in Shyriiwook, forse sperando
che lui non sentisse, ma il suo casco aveva tradotto tutto. “Vedo che i Wenpr
ti hanno morsicata e hai già cominciato a trasformarti.” Aveva detto il vecchio
gigante e lei aveva risposto “Me ne sono accorta da almeno tre ore.”
Ecco, ora non si sentiva affatto Lucky Boy, proprio per niente.
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