Ed ecco l'ultima parte, i nostri due eroi affrontano i mostri nella loro orrida tana.
Buona lettura!
«Rimani qui e coprimi sparando, non posso
rallentare troppo combattendo con quegli esseri.» e fece partire un conto alla
rovescia sulla sua polsiera. Appena entro, corrimi dietro.
«Che faccio con ‘sta schifezza?» disse
indicando la zampetta marroncina.
«Lasciala qui, meglio non bruciarsela per
nulla.» e gli diede un altro lungo bacio, meraviglioso e dolce. Lui rimise
l’elmo e la guardò mentre correva verso la collina di rocce. Coricato in terra,
l’occhio sul mirino, abbatté almeno una decina di quei cosi prima che la
potessero raggiungere, lei dovette affettarne solo uno. Coi tempi ci stavano
dentro, almeno per ora.
Vedere combattere un Jedi era sempre uno
spettacolo, veloci, precisi, ai limiti del sovrumano per riflessi e agilità,
capaci di tagliare a metà un nemico con la loro spada, potevano lanciare via un
assalitore semplicemente muovendo una mano nella sua direzione, anche se la
cosa che preferiva vedere, non contro questi viscidi nemici, era quando
deflettevano lo sparo di un blaster colpendo di rimbalzo i nemici. Lei correva
e tagliava, lui, dal bordo della zona d’influenza del Male, abbatteva i mostri
con colpi precisi. Si stava appena scaldando quando, purtroppo, lei si infilò
nell’apertura di una grotta alla base della piramide. Bene, era il momento.
Lasciò la zampetta su un sasso e corse giù imbracciando il blaster in modalità
mitraglietta, colpendo ancora un paio di mostri, questi degradati e decomposti
fino a sembrare delle masse melmose al di sopra di scheletri umani.
Si fermò un attimo prima di entrare,
controllando che non ne stessero arrivando altri a bloccargli la via di fuga;
no, nessuno. Da dentro veniva un bel po’ di rumore, tanti bei fruscii di spada
laser sventolata nell’aria e nei toraci dei nemici, e grugniti viscidi e
mucosi, se così possono essere definiti dei suoni. Il cielo a oriente era ormai
azzurro, e il suo timer diceva che mancavano due minuti. Si lanciò dentro.
Correndo nel buio si rese conto di cosa
aveva visto sulla collina, a meno di mezzo chilometro da loro. L’astronave
caduta quattrocento anni prima, ricoperta di vegetazione, ma ancora
praticamente intatta. Forse, con le sue capacità di meccanico e ingegnere,
avrebbe potuto far ripartire alcuni sistemi minori, tipo le comunicazioni… ma
non era il momento, aveva un minuto e quarantacinque secondi per farla arrivare
alla Vergenza.
Kayla stava combattendo al limite delle sue
capacità, era davvero tutt’una con la Forza, si muoveva a velocità inaudita,
fendendo quei mostri e disgregandoli con veloci spinte di Forza, mentre Lucky
Boy, che era appena entrato, li abbatteva con precisione chirurgica col suo
blaster. Le furono addosso in otto insieme e lei balzò in aria roteando la lama
verde e decapitandoli con un unico gesto, mai era stata così forte in vita sua,
le sembrò, per un attimo, di essere come il maestro Yoda. Riprese fiato e guardò
la schiera di viscidi cadaveri che muoveva contro di lei e la Cosa dietro di
loro. Il Lato oscuro era tangibile, sembrava una nebbia soprannaturale che
gravava in fondo alla sala, e la Cosa era lì. Originariamente doveva essere
stato un qualcosa di simile a uno strano fungo alieno, una specie di muffa
enorme, ma poi era venuta in contatto con la Vergenza e con la povera padawan
rodiana, che ancora poteva vedere, mummificata, decomposta, ma viva e
impazzita, dentro alla mostruosità che si allargava intorno. La Cosa la temeva,
voleva ucciderla, ma bramava il suo potere, voleva assimilarla più di quanto
temeva per la sua esistenza, anche perché sapeva che una spada laser avrebbe
potuto poco contro di lei. Guardò il timer, nove secondi. Bene, si voltò a guardare
Lucky Boy, per la prima volta in vita sua sentì di provare amore, vero amore.
Bene, non era una brutta sensazione da provare morendo. Corse, in mezzo ai
mostri, ne abbatté un paio, poi saltò in alto con un doppio salto mortale e si
tuffò dentro alla Cosa, alla base dove affondava in una cavità nel terreno.
Orridi viticci di quella mostruosità si protesero veloci come serpenti verso di
lei, ma aveva calcolato i tempi con precisione. La spada entrò nella cavità e
nello pseudo-fungo esattamente nel momento in cui le due stelle lanciavano il
loro devastante lampo elettromagnetico. Il blaster di Lucky Boy si spense, i
due timer si spensero e … tutta l’energia che riempiva l’atmosfera si incanalò
attraverso di lei e le sue mani nel cristallo Kyber dentro alla sua spada.
L’energia delle due stelle fu assorbita nel cristallo insieme alla sua Forza, e
poi il cristallo la fece esplodere dentro alla Vergenza. E poi fu solo un
incredibile, inteso, brevissimo attimo di luce e vittoria contro il Lato
Oscuro. E dopo fu solo il buio.
Lucky Boy si risvegliò che i due soli erano
già abbastanza alti sull’orizzonte. Era stato sbalzato dall’esplosione fuori
dalla grotta, a decine di metri dalla grotta. L’armatura, benedetta l’armatura
dei cloni, ma … qualcosa doveva averlo difeso, probabilmente Kayla aveva usato
la Forza per proteggerlo, perché se no il suo essere rimasto totalmente illeso
non aveva senso.
Si rialzò ed entrò nella grotta, in cui le
braci fumanti dei mostri e di quella agghiacciante mostruosità che riempiva la
parete di fondo luccicavano ancora di sottili fili di fuoco. Persino lui, che
non aveva mai percepito la Forza, sentiva che ora quel posto era diverso,
pulito, libero. Trovò una spada laser di foggia stranissima, evidentemente
quella della padawan rodiana. La raccolse, e poi, con la morte nel cuore,
cominciò a cercare Kayla. Avrebbe avuto un funerale da Jedi. E poi la trovò.
Ustionata, i brandelli dei vestiti ancora fumanti. Respirava, sembrava
impossibile, ma respirava.
Forse … sì, forse poteva … la prese in
braccio e, come pochi giorni prima, camminò verso una possibile salvezza con i
lekku della donna morente che gli battevano sulla gamba.
Per prima cosa si rese conto di esistere.
Fu strano, non sentiva nulla, ma sapeva di esistere. Poi seppe di essere Kayla
Mak-Ara, maestra Jedi. E seppe che Lucky Boy era accanto a lei, non vedeva e
non sentiva, a malapena capiva di essere distesa in verticale, ma lo sentiva.
Lì, vicino a lei, il suo amore. Ecco, ora sentì la gioia, e poi ricordò
l’esplosione. La Forza non aveva più quella macchia, l’aveva sconfitta.
L’esplosione l’aveva presa in pieno e … aprendo gli occhi si rese conto di
essere in una vasca di Bacta. Sì, era immersa in una vasca di Bacta, due
sostegni sotto alle braccia, un respiratore sul volto. Non aveva dolore, e,
fuori dalla vasca, Lucky Boy la guardava con un sorriso che diceva tutto dei
suoi sentimenti. Lei allungò una mano davanti a sé, toccando il vetro e vedendo
che la sua pelle, ancora segnata dalle ustioni, era quasi completamente
guarita. Le due mani si sfiorarono dai due lati del vetro. Si riaddormentò in
pace, sapendo che tutto sarebbe andato bene.
La nave, per fortuna, era praticamente
intatta come gli era sembrata. E c’era una vasca di Bacta. Non ci aveva messo
più di un’ora per riaccendere i sistemi secondari, e l’aveva messa lì con tutte
quelle ustioni, più morta che viva. Già la mattina dopo aveva capito che stava
migliorando, e che quel morbo che le avevano trasmesso i mostri era passato per
sempre. Ora doveva solo riprendersi prima che i soli friggessero di nuovo i
circuiti di lì a cinque giorni. Si era svegliata dopo quattro.
Intanto aveva riparato la vecchissima spada
laser e, adesso, stava riparando le comunicazioni, per quelle a lungo raggio
non c’era nulla da fare, ma se nel raggio di un paio di anni luce ci fosse
stato qualcuno, avrebbero potuto comunicare con la Galassia.
Due giorni dopo lei era come nuova, la
pelle blu come il cielo a mezzogiorno e liscia come seta, e infinitamente più
gradevole da accarezzare. Sulla nave avevano trovato dei vestiti dalla foggia
assurdamente antiquata che erano di taglie adatte a loro, ma bisogna ammettere
che li avevano indossati davvero ben poco da quando lei era uscita dalla vasca.
Tra poco meno di mezzora i due soli avrebbero di nuovo lanciato il loro lampo
friggi circuiti e avrebbero dovuto staccare tutto, ma per ora … per ora se ne
stavano sul letto, impegnati a fare l’amore, mentre si fissavano negli occhi
senza dire nulla. Lucky Boy aveva sentito dire una volta che secondo alcuni
antichi santoni le persone buone dopo la morte sarebbero andate in un posto
incantato dove avrebbero rivissuto in eterno i momenti più felici delle loro
vite. Ecco, se fosse stato tanto buono sarebbe stato proprio qui, a questo
preciso istante. che sarebbe tornato. Ma, intanto, questo momento lo viveva e
se lo godeva.
E fu proprio mentre stavano facendo l’amore
che il comunicatore della vecchia astronave fece un bip. Si guardarono per un
attimo, e tutti e due si sorpresero a vedere l’espressione dell’altro. Dolore,
paura, tristezza. Quel bip voleva dire che la loro avventura era finita, basta
Kayla e Lucky Boy, si tornava al generale e a CC-9762. Con la morte nel cuore
lei si alzò e andò a rispondere. La voce era confusa, gracchiante, lei la
riconobbe.
«Maestra Ayla, sei tu?» chiese alla voce
che aveva segnalato di aver ricevuto una richiesta di soccorso.
«Kayla, sei tu? Ti hanno data per morta due
settimane fa.» disse la voce che sembrava provenire, come in effetti era, da
distanze siderali.
«La nave è esplosa nell’iperspazio, siamo
sopravvissuti solo io e CC-9762.» disse lei e lui sentì una fitta nel più
profondo del suo cuore, era tornato un numero di matricola. Non aver mai amato
in vita sua andava bene, ma amare e tornare a quel nulla che era la sua vita di
clone era un dolore straziante.
«Io sono su Felucia, adesso» disse la
Maestra Secura, un’altra potente Jedi Twi’Lek, «Sto combattendo coi miei cloni,
e dopo la battaglia avvertirò i soccorsi.»
Kayla lo guardò triste, ma prima che
potesse dire qualcosa la Maestra Secura parlò di nuovo. «La guerra è finita,
Kayla, Skywalker ha ucciso il Conte Dooku e Kenobi il Generale Greevious, stiamo
ripulendo gli ultimi focolai di resistenza separatista!»
I due si guardarono sbalorditi. La Guerra
era finita. A cosa sarebbero tornati? Che destino avrebbe avuto un soldato
clone in una Galassia in pace?
«Ora devo andare,» disse la Maestra Secura
«Io e i miei cloni dobbiamo passare in una specie di foresta di funghi enormi,
e ci sono strani uccelli in volo. Finita la battaglia chiamerò il Consiglio per
comunicare che siete su quel pianeta. Passo e chiudo.»
«Passo e chiudo.» le rispose Kayla. Si
guardarono in silenzio, per metà felici per le buone notizie, per metà affranti
per quello che potevano significare per loro.
«Io ti amo.» le disse lui per la prima
volta. «Non voglio tornare ad essere un clone lontano da te.»
Lei si alzò e andò a prendere la zampa
mummificata nell’altra stanza, la infilò in una borsa di cuoio in cui teneva le
sue cose e se la appese al collo a mo’ di collana. «E io non voglio più essere
una Jedi, se vuol dire stare lontano da te.»
I due soli stavano per sparare il loro
lampo, avrebbero dovuto staccare le comunicazioni per non bruciare di nuovo i
circuiti. Vi fu un altro bip, e poi una voce roca disse: “Comunicazione urgente
per tutti i cloni: Eseguire …” e il lampo, incenerì i circuiti definitivamente.
«Chissenefrega di che ordine avrei dovuto
eseguire!» disse lui, la prese in braccio e tornarono a letto.
Naturalmente, come avrete capito, Ayla
Secura non ebbe modo di informare il Consiglio e nessuno arrivò mai sul pianeta
a dividere i due innamorati, che vissero così insieme, per quanto è possibile a
degli esseri umani, felici e contenti, ignari di quello che sarebbe successo
nella Galassia per loro lontana lontana.
FINE
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