I nostri due eroi parlano con un vecchissimo wookie e vanno all'attacco degli zombie della Forza.
Buona lettura!
Il tè, di qualunque erba locale fosse
fatto, era ottimo e dissetante, e lo wookie, per quanto vecchio e solitario da,
aveva detto, qualcosa come quattro secoli, aveva perso il conto degli anni
galattici standard, era un ospite squisito. La nave che li portava verso una
colonia in fondazione aveva avuto problemi all’iperguida, e a tutti gli altri
sistemi vitali, ed erano atterrati su questo sconosciuto pianeta con i gusci di
salvataggio, alquanto più spaziosi di quelli che conosceva lui, visto che il
wookie ci viveva ancora dentro, e, dopo pochi giorni lì c’era stata una
tempesta solare che aveva fritto ogni apparecchio elettronico ancora
funzionante. Erano bloccati al suolo, su un pianeta selvaggio, e nella più
totale incapacità di comunicare col resto della Galassia. Anche perché, avevano
scoperto, le tempeste solari erano regolarissime, ogni sei giorni, e quindi la
tecnologia era, molto semplicemente, inesistente.
“A proposito,” venne scritto sul suo visore
quando il vecchio gigante gli rivolse un lungo grugnito, “Guardi su quel
foglio.” Lucky Boy si alzò e andò a guardare un grosso foglio bianco su cui si
proiettava un sottilissimo raggio di sole attraverso un minuscolo forellino nel
tetto, disegnando sulla superficie bianca una riproduzione ribaltata e
incredibilmente nitida del sole, dei soli, anzi, che brillavano in cielo. I due
cerchi luminosi, uno bianco e uno tendente al giallo aranciato, erano vicini,
quasi si sfioravano.
“Si toccano?” fu la traduzione che apparve
sul visore dopo un acuto latrato.
«Quasi. C’è un terzo del diametro del sole
più piccolo di distanza.»
Lo wookie borbottò qualcosa e poi parlò a
Kayla, si era capito che considerava, giustamente, lei la “mente” del gruppo.
Kayla lo guardò e gli disse: «Tra un giorno
e mezzo, appena dopo l’alba, dovremo spegnere tutto, se vogliamo salvare i
circuiti.»
«Lo so.» disse lui indicando il visore
dell’elmo.
Lo wookie disse qualcos’altro, e Kayla
annuì. Le aveva detto che anche la spada laser doveva essere spenta.
Era tutto molto interessante, davvero molto
interessante, pensava Lucky Boy, ma … perché nessuno parlava dei mostri e del
fatto che lei era stata contagiata?
«Kayla…» le disse alzando la mano come a
scuola, «Non dovresti chiedergli delle tue ferite e di quei mostri?»
Lei bevve l’ultimo sorso della terza tazza
di caffè e sorrise con una calma davvero da Jedi. A volte gli davano sui nervi,
così freddi e distaccati. Non erano molto più sani di quella maniaca di
Ventress, forse. Lei posò la tazza, si asciugò le labbra con un tovagliolo che
doveva avere secoli, ma che era pulito come nuovo, poi chiese allo wookie cosa
sapesse di quei mostri.
L’enorme essere peloso cominciò a parlare e
lo fece per molto tempo, e quando finì i soli erano calati. Era stremato,
povero vecchio, ma sembrava felice. Aveva raccontato la sua storia a chi,
forse, avrebbe potuto salvare la sua gente.
Per farla breve, e non era stata affatto
breve come storia, poco dopo essere precipitati lì avevano scoperto che nel
deserto, nelle vicinanze di una strana collina di colore quasi nero, piante e
animali non stavano bene e, spesso, si ammalavano e morivano. Quando la cosa
era sembrata peggiorare erano partiti in tre, due coloni e una giovane padawan
che viaggiava sulla loro nave per raggiungere il Maestro a cui era stata
assegnata. Non erano mai tornati, o almeno non in condizioni normali. I due
coloni erano tornati come esseri morti e assetati di sangue, e Forza, mentre la
padawan, una giovane rodiana, non fu mai più vista.
Fuori era sempre più buio e Lucky Boy
cominciava a preoccuparsi, anche se gli altri due continuavano a chiacchierare
tranquilli. «Non dovremmo preoccuparci di quei mostri? È buio, ormai.»
Kayla lo guardò e, sorridente e tranquilla,
gli disse: «Qui non possono entrare, né nel bosco né nel villaggio, direi.»
Ber’Nakka grugnì soddisfatto ed
evidentemente stupito dalle capacità della donna.
«E perché?» chiese Lucky Boy che cominciava
a sentirsi lo scemo del villaggio della situazione.
Lei sorrise di nuovo, poi indicò un ramo
che entrava da una finestra all’altezza del tetto, un ramo dove dormiva, così
ben mimetizzato con la corteccia da essere quasi invisibile, una specie di
lucertola ricoperta da un fitto manto di pelo o piume marroni. «Quegli esseri
sono cadaveri in qualche modo rianimati da una forma incredibilmente degradata
e corrotta del Lato Oscuro della Forza, e qui, grazie a quell’animale, la Forza
non c’è.»
«Cosa?»
«Questo animale è un ysalamiri,» disse
alzandosi e andando ad esaminarlo da vicino, «Un animale che ha la
particolarissima capacità di creare una bolla di non-Forza intorno a sé.»
guardò lo wookie che la fissava soddisfatto e gli chiese: «Non è il solo in
questo bosco, vero?»
«Nel bosco sono sei, e nelle colonne che
contornano tutta la città sono murate le ossa dei loro antenati morti nel corso
di questi quattro secoli.»
Lucky Boy si alzò e andò a vedere lo strano
animale. Naturalmente lui non avvertiva nessun cambiamento, ma per Kayla doveva
essere un’esperienza davvero traumatizzante. «E perché non andate fino dentro a
quella collina con uno di quei cosi e la fate finita?»
«Perché, quando si arriva a cento metri
dalla collina, l’Ysalamiri, semplicemente, si sbriciola e si trasforma in
cenere.»
Kayla sbuffò esasperata e si prese il volto
tra le mani. Scuoteva la testa e borbottava quelle che in lingua twi’lek
dovevano essere parolacce, poi si rimise composta e disse: «Allora è una
Vergenza. L’origine di quei mostri, qualunque cosa sia, si trova in una
Vergenza.»
«Ed è un male?» chiese il clone.
Kayla lo guardò con un’espressione strana,
poi guardò lo wookie gli chiese: «Quando ci sarà il lampo che brucerà tutti gli
apparecchi elettronici?»
Lo wookie rispose che sarebbe stato appena
dopo l’alba, a due albe da loro.
«E io quando comincerò a trasformarmi?» gli
chiese mostrandogli la ferita gonfia e infetta sul braccio.
Lo wookie la guardò, toccò il braccio,
annusò la ferita e disse: «Poco dopo. Forse due o tre ore dopo.»
Kayla girò avanti e indietro per il guscio
trasformato in capanna, guardò l’animale che continuava a sonnecchiare e poi
chiese al vecchio wookie: «Ce l’hai un pezzo di osso di quell’essere, uno di
quelli che usate per proteggere il villaggio?»
Il vecchio gigante mise una mano su una
mensola e diede una zampa con cinque dita dotate di artigli, mummificata fino a
sembrare di legno, alla donna, che però gli disse: «A lui, grazie.» e poi prese
la spada laser soppesandola. Sì, forse …
«Sei pronto per una missione disperata,
soldato?» gli chiese.
«Poche possibilità di riuscita contro forze
preponderanti e maligne?» le chiese lui con la spavalderia tipica dei cloni.
«Rischio di morte quasi totale, e un piano
che fa acqua da tutte le parti.»
«Certo che sì, generale!»
Lei rise, una risata forte e sana, era
ancora più bella mentre rideva. «E allora torniamo alla base, Lucky Boy,
vediamo se quella zampetta ci proteggerà davvero e poi …» rimise a posto la
spada laser e salutò il vecchio wookie che li aveva accompagnati alla porta
«Facciamo un bel piano di quelli che non durano nemmeno per metà missione, come
facciamo sempre noi Jedi.»
Uscirono nella notte buia rischiarata solo
dalle tre lune e corsero verso la loro “casetta”, con lei che provava a vedere
di quanto doveva allontanarsi per sfuggire all’azione disturbante
dell’ysalamiri. Arrivarono a metà della notte, senza aver visto nessun mostro,
e nessun mostro li avrebbe attaccati, con la zampa attaccata alla porta.
Avevano 24 ore per pianificare la loro azione disperata, e per vivere. Non
avrebbero certo sprecato quelle che potevano essere le ultime 24 ore della loro
vita.
A dieci metri dalla zampa mummificata Kayla
ricominciava a collegarsi alla Forza, ma era anche a quella distanza che le sue
ferite peggioravano più velocemente. Però la vicinanza della zampa non fermava
il peggioramento, lo rallentava semplicemente.
«Lucky Boy,» gli disse con la faccia seria,
«Vorrei chiederti un favore.»
Lui scosse la testa e disse: «No, Kayla,
non dirlo.»
«Lucky Boy, te lo sto chiedendo perché ti
voglio bene e so che sei un uomo retto. Non costringermi ad ordinartelo,» si
alzò e gli posò le mani sulle spalle guardandolo con molta tranquillità, con la
serenità tipica dei Jedi, in realtà. «Lucky Boy, la malattia sta progredendo
velocemente e non possiamo fermarla. Se non riusciremo a distruggere
quell’alveare, o se ci riusciremo ma non guarirò, tu dovrai …»
«Non posso, non a te, no.»
«… dovrai ammazzarmi. Un colpo di blaster
alla testa dovrebbe bastare. Poi brucerai il mio corpo.»
«Sì, generale.» disse lui con lo sguardo
basso, poi la guardò con un mezzo sorriso e disse: «Che poi, con la missione
suicida che stiamo progettando …»
«La speranza è tutto, Lucky Boy, la
speranza e, dato il tuo nome, la fortuna.»
Risero, poi mangiarono una bella colazione
sotto agli alberi mentre i due soli si alzavano nel cielo. Erano ancora più
vicini, e il computer del visore dava loro esattamente 18 ore di tempo prima
del momento del lampo elettromagnetico.
Finito di mangiare lei si avvicinò al
laghetto e cominciò a spogliarsi. «Ti va di giocare un po’ con me nell’acqua,
soldato?»
«Certo! Sono nato su un pianeta acquatico!»
e corse in acqua lasciando una scia di indumenti e parti di corazza. Fu quasi
un gioco, o una lotta, e finì sulla piccola spiaggia, all’ombra di quei grandi
alberi simili a pini, con loro avviluppati a fare l’amore, gli occhi fissi uno
nell’altra, baciandosi e bisbigliando parole d’amore, e poi, una volta finito,
rimasero abbracciati, nudi sulla sabbia, godendosi semplicemente il contatto
fisico con il corpo dell’altro. Poi, dopo un bel po’, lei gli disse «E ora, se
permetti, ritiro la vincita per la scommessa.» e cominciò a fargli cose meravigliose
che il nostro clone nemmeno aveva mai immaginato, facendo sembrare il sesso
della mattinata precedente una cosa da nulla. Per la prima volta in vita sua
Lucky Boy nato per combattere, uccidere, morire, seppe cosa voleva dire amare.
Amava quella meravigliosa Twi’lek, e
null’altro nella Galassia poteva eclissare questa verità.
E poi … poi cominciò la routine di ogni
missione, controllare le armi, pianificare le azioni, ricontrollare le armi,
pianificare le azioni in caso di errori o imprevisti, seguire quelle piccole
abitudini scaramantiche, come canticchiare l’inno dei cloni, o fare le
flessioni, o infilare i calzini a rovescio perché così li aveva indossati per
sbaglio la prima volta che era sopravvissuto alla Ferraglia separatista, o, per
lei, meditare congiungendosi con la Forza vivente. E poi, al tramonto, la
zampetta mummificata nello zaino, si diressero verso la collina dove stava il
Male. Avevano un piano, avrebbe anche potuto funzionare, ma la tempistica era
tutto.
Corsero in silenzio nella notte, alla luce
delle lune che li guardavano con tutto il disinteresse delle cose inanimate.
Corsero verso una probabilissima morte, insieme. C’erano prospettive peggiori.
Fu dopo un’oretta che cominciarono a
vederli. Alcuni ancora simili ad umani, altri assimilabili a mummie e … non
c’era una similitudine possibile per gli altri, i più vecchi. La forma del
corpo umanoide, decaduta e decomposta all’inverosimile, era solo uno schizzo su
cui era basata la figura del mostro. Ripensò alla sensazione provata mentre la
lama rossa di Ventress lo trapassava dal petto alla schiena, a quella
sensazione di morte, disperazione, dolore lancinante… vedere quegli esseri,
quelle caricature di quello che erano stati era senza dubbio peggio.
«Cominciano a essere tantini, Lucky Boy,
che ne dici di dare una bella sfoltita?» chiese Kayla fermandosi in un punto
lievemente sopraelevato rispetto al resto della pianura brulla che stavano
percorrendo.
«Per me va benissimo. Come facciamo?»
«Io con la spada laser falcio quelli
vicini, tu stai attento che altri non si facciano sotto.»
«Sissignore.» disse lui e cominciò a
puntare il suo fucile. Colpi facili, stavano lì, fermi, come i funghi di
Felucia. Lei partì a tutta velocità, roteando la sua spada che riluceva verde
nel buio, tagliando a metà quei corpi che cadevano al suolo sbriciolandosi,
mentre lui colpiva, senza troppo sforzo, quelli che arrivavamo oscillando sui
piedi da distante. In cinque minuti ne avevano ucciso diciotto.
Lei si allontanò passo passo dalla zampa di
Ysalamiri fino ad uscire dalla bolla di attenuazione della Forza e si rilassò
connettendosi al tutto. «Ce ne sono altri, lontani. La nostra meta è là, oltre
quella cresta ricoperta di cespugli. Là sono … troppi.»
«La cosa non ci ha mai fermato, Generale!»
disse lui controllando la carica del blaster. Sì, c’erano ancora “troppi”
colpi.
Ricominciarono a correre ed arrivarono in
vista di una collina alta e ripida, brulla come una luna bruciata dal sole,
simile a una di quelle piramidi che quasi tutti i popoli della Galassia avevano
prima o poi costruito. Lui prese in mano la zampetta mummificata e la vide
diversa, come lievemente sfaldata ai bordi. Indietreggiò di un passo e la cosa
si interruppe. Ecco il limite del potere di quella Vergenza. Il cielo, intanto,
stava cominciando a passare dal nero al blu cupo, era il crepuscolo. Mezz’ora e
sarebbe stata l’alba, mezz’ora e i due soli gli avrebbero fritto il blaster, se
non fosse stato smontato.
Kayla gli si avvicinò, gli tolse il casco e
lo baciò come se da quel bacio fosse dipeso il destino dell’universo. Avevano i
secondi contati, letteralmente, ma tutti e due indugiarono più del dovuto.
Caspita, era addirittura buona come sapore!
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