sabato 7 settembre 2024

Zombie stellari. Episodio III.

 

I nostri due eroi parlano con un vecchissimo wookie e vanno all'attacco degli zombie della Forza.

Buona lettura!


Il tè, di qualunque erba locale fosse fatto, era ottimo e dissetante, e lo wookie, per quanto vecchio e solitario da, aveva detto, qualcosa come quattro secoli, aveva perso il conto degli anni galattici standard, era un ospite squisito. La nave che li portava verso una colonia in fondazione aveva avuto problemi all’iperguida, e a tutti gli altri sistemi vitali, ed erano atterrati su questo sconosciuto pianeta con i gusci di salvataggio, alquanto più spaziosi di quelli che conosceva lui, visto che il wookie ci viveva ancora dentro, e, dopo pochi giorni lì c’era stata una tempesta solare che aveva fritto ogni apparecchio elettronico ancora funzionante. Erano bloccati al suolo, su un pianeta selvaggio, e nella più totale incapacità di comunicare col resto della Galassia. Anche perché, avevano scoperto, le tempeste solari erano regolarissime, ogni sei giorni, e quindi la tecnologia era, molto semplicemente, inesistente.

“A proposito,” venne scritto sul suo visore quando il vecchio gigante gli rivolse un lungo grugnito, “Guardi su quel foglio.” Lucky Boy si alzò e andò a guardare un grosso foglio bianco su cui si proiettava un sottilissimo raggio di sole attraverso un minuscolo forellino nel tetto, disegnando sulla superficie bianca una riproduzione ribaltata e incredibilmente nitida del sole, dei soli, anzi, che brillavano in cielo. I due cerchi luminosi, uno bianco e uno tendente al giallo aranciato, erano vicini, quasi si sfioravano.

“Si toccano?” fu la traduzione che apparve sul visore dopo un acuto latrato.

«Quasi. C’è un terzo del diametro del sole più piccolo di distanza.»

Lo wookie borbottò qualcosa e poi parlò a Kayla, si era capito che considerava, giustamente, lei la “mente” del gruppo.

Kayla lo guardò e gli disse: «Tra un giorno e mezzo, appena dopo l’alba, dovremo spegnere tutto, se vogliamo salvare i circuiti.»

«Lo so.» disse lui indicando il visore dell’elmo.

Lo wookie disse qualcos’altro, e Kayla annuì. Le aveva detto che anche la spada laser doveva essere spenta.

Era tutto molto interessante, davvero molto interessante, pensava Lucky Boy, ma … perché nessuno parlava dei mostri e del fatto che lei era stata contagiata?

«Kayla…» le disse alzando la mano come a scuola, «Non dovresti chiedergli delle tue ferite e di quei mostri?»

Lei bevve l’ultimo sorso della terza tazza di caffè e sorrise con una calma davvero da Jedi. A volte gli davano sui nervi, così freddi e distaccati. Non erano molto più sani di quella maniaca di Ventress, forse. Lei posò la tazza, si asciugò le labbra con un tovagliolo che doveva avere secoli, ma che era pulito come nuovo, poi chiese allo wookie cosa sapesse di quei mostri.

L’enorme essere peloso cominciò a parlare e lo fece per molto tempo, e quando finì i soli erano calati. Era stremato, povero vecchio, ma sembrava felice. Aveva raccontato la sua storia a chi, forse, avrebbe potuto salvare la sua gente.

Per farla breve, e non era stata affatto breve come storia, poco dopo essere precipitati lì avevano scoperto che nel deserto, nelle vicinanze di una strana collina di colore quasi nero, piante e animali non stavano bene e, spesso, si ammalavano e morivano. Quando la cosa era sembrata peggiorare erano partiti in tre, due coloni e una giovane padawan che viaggiava sulla loro nave per raggiungere il Maestro a cui era stata assegnata. Non erano mai tornati, o almeno non in condizioni normali. I due coloni erano tornati come esseri morti e assetati di sangue, e Forza, mentre la padawan, una giovane rodiana, non fu mai più vista.

Fuori era sempre più buio e Lucky Boy cominciava a preoccuparsi, anche se gli altri due continuavano a chiacchierare tranquilli. «Non dovremmo preoccuparci di quei mostri? È buio, ormai.»

Kayla lo guardò e, sorridente e tranquilla, gli disse: «Qui non possono entrare, né nel bosco né nel villaggio, direi.»

Ber’Nakka grugnì soddisfatto ed evidentemente stupito dalle capacità della donna.

«E perché?» chiese Lucky Boy che cominciava a sentirsi lo scemo del villaggio della situazione.

Lei sorrise di nuovo, poi indicò un ramo che entrava da una finestra all’altezza del tetto, un ramo dove dormiva, così ben mimetizzato con la corteccia da essere quasi invisibile, una specie di lucertola ricoperta da un fitto manto di pelo o piume marroni. «Quegli esseri sono cadaveri in qualche modo rianimati da una forma incredibilmente degradata e corrotta del Lato Oscuro della Forza, e qui, grazie a quell’animale, la Forza non c’è.»

«Cosa?»

«Questo animale è un ysalamiri,» disse alzandosi e andando ad esaminarlo da vicino, «Un animale che ha la particolarissima capacità di creare una bolla di non-Forza intorno a sé.» guardò lo wookie che la fissava soddisfatto e gli chiese: «Non è il solo in questo bosco, vero?»

«Nel bosco sono sei, e nelle colonne che contornano tutta la città sono murate le ossa dei loro antenati morti nel corso di questi quattro secoli.»

Lucky Boy si alzò e andò a vedere lo strano animale. Naturalmente lui non avvertiva nessun cambiamento, ma per Kayla doveva essere un’esperienza davvero traumatizzante. «E perché non andate fino dentro a quella collina con uno di quei cosi e la fate finita?»

«Perché, quando si arriva a cento metri dalla collina, l’Ysalamiri, semplicemente, si sbriciola e si trasforma in cenere.»

Kayla sbuffò esasperata e si prese il volto tra le mani. Scuoteva la testa e borbottava quelle che in lingua twi’lek dovevano essere parolacce, poi si rimise composta e disse: «Allora è una Vergenza. L’origine di quei mostri, qualunque cosa sia, si trova in una Vergenza.»

«Ed è un male?» chiese il clone.

Kayla lo guardò con un’espressione strana, poi guardò lo wookie gli chiese: «Quando ci sarà il lampo che brucerà tutti gli apparecchi elettronici?»

Lo wookie rispose che sarebbe stato appena dopo l’alba, a due albe da loro.

«E io quando comincerò a trasformarmi?» gli chiese mostrandogli la ferita gonfia e infetta sul braccio.

Lo wookie la guardò, toccò il braccio, annusò la ferita e disse: «Poco dopo. Forse due o tre ore dopo.»

Kayla girò avanti e indietro per il guscio trasformato in capanna, guardò l’animale che continuava a sonnecchiare e poi chiese al vecchio wookie: «Ce l’hai un pezzo di osso di quell’essere, uno di quelli che usate per proteggere il villaggio?»

Il vecchio gigante mise una mano su una mensola e diede una zampa con cinque dita dotate di artigli, mummificata fino a sembrare di legno, alla donna, che però gli disse: «A lui, grazie.» e poi prese la spada laser soppesandola. Sì, forse …

«Sei pronto per una missione disperata, soldato?» gli chiese.

«Poche possibilità di riuscita contro forze preponderanti e maligne?» le chiese lui con la spavalderia tipica dei cloni.

«Rischio di morte quasi totale, e un piano che fa acqua da tutte le parti.»

«Certo che sì, generale!»

Lei rise, una risata forte e sana, era ancora più bella mentre rideva. «E allora torniamo alla base, Lucky Boy, vediamo se quella zampetta ci proteggerà davvero e poi …» rimise a posto la spada laser e salutò il vecchio wookie che li aveva accompagnati alla porta «Facciamo un bel piano di quelli che non durano nemmeno per metà missione, come facciamo sempre noi Jedi.»

Uscirono nella notte buia rischiarata solo dalle tre lune e corsero verso la loro “casetta”, con lei che provava a vedere di quanto doveva allontanarsi per sfuggire all’azione disturbante dell’ysalamiri. Arrivarono a metà della notte, senza aver visto nessun mostro, e nessun mostro li avrebbe attaccati, con la zampa attaccata alla porta. Avevano 24 ore per pianificare la loro azione disperata, e per vivere. Non avrebbero certo sprecato quelle che potevano essere le ultime 24 ore della loro vita.

 

A dieci metri dalla zampa mummificata Kayla ricominciava a collegarsi alla Forza, ma era anche a quella distanza che le sue ferite peggioravano più velocemente. Però la vicinanza della zampa non fermava il peggioramento, lo rallentava semplicemente.

«Lucky Boy,» gli disse con la faccia seria, «Vorrei chiederti un favore.»

Lui scosse la testa e disse: «No, Kayla, non dirlo.»

«Lucky Boy, te lo sto chiedendo perché ti voglio bene e so che sei un uomo retto. Non costringermi ad ordinartelo,» si alzò e gli posò le mani sulle spalle guardandolo con molta tranquillità, con la serenità tipica dei Jedi, in realtà. «Lucky Boy, la malattia sta progredendo velocemente e non possiamo fermarla. Se non riusciremo a distruggere quell’alveare, o se ci riusciremo ma non guarirò, tu dovrai …»

«Non posso, non a te, no.»

«… dovrai ammazzarmi. Un colpo di blaster alla testa dovrebbe bastare. Poi brucerai il mio corpo.»

«Sì, generale.» disse lui con lo sguardo basso, poi la guardò con un mezzo sorriso e disse: «Che poi, con la missione suicida che stiamo progettando …»

«La speranza è tutto, Lucky Boy, la speranza e, dato il tuo nome, la fortuna.»

Risero, poi mangiarono una bella colazione sotto agli alberi mentre i due soli si alzavano nel cielo. Erano ancora più vicini, e il computer del visore dava loro esattamente 18 ore di tempo prima del momento del lampo elettromagnetico.

Finito di mangiare lei si avvicinò al laghetto e cominciò a spogliarsi. «Ti va di giocare un po’ con me nell’acqua, soldato?»

«Certo! Sono nato su un pianeta acquatico!» e corse in acqua lasciando una scia di indumenti e parti di corazza. Fu quasi un gioco, o una lotta, e finì sulla piccola spiaggia, all’ombra di quei grandi alberi simili a pini, con loro avviluppati a fare l’amore, gli occhi fissi uno nell’altra, baciandosi e bisbigliando parole d’amore, e poi, una volta finito, rimasero abbracciati, nudi sulla sabbia, godendosi semplicemente il contatto fisico con il corpo dell’altro. Poi, dopo un bel po’, lei gli disse «E ora, se permetti, ritiro la vincita per la scommessa.» e cominciò a fargli cose meravigliose che il nostro clone nemmeno aveva mai immaginato, facendo sembrare il sesso della mattinata precedente una cosa da nulla. Per la prima volta in vita sua Lucky Boy nato per combattere, uccidere, morire, seppe cosa voleva dire amare.

Amava quella meravigliosa Twi’lek, e null’altro nella Galassia poteva eclissare questa verità.

E poi … poi cominciò la routine di ogni missione, controllare le armi, pianificare le azioni, ricontrollare le armi, pianificare le azioni in caso di errori o imprevisti, seguire quelle piccole abitudini scaramantiche, come canticchiare l’inno dei cloni, o fare le flessioni, o infilare i calzini a rovescio perché così li aveva indossati per sbaglio la prima volta che era sopravvissuto alla Ferraglia separatista, o, per lei, meditare congiungendosi con la Forza vivente. E poi, al tramonto, la zampetta mummificata nello zaino, si diressero verso la collina dove stava il Male. Avevano un piano, avrebbe anche potuto funzionare, ma la tempistica era tutto.

Corsero in silenzio nella notte, alla luce delle lune che li guardavano con tutto il disinteresse delle cose inanimate. Corsero verso una probabilissima morte, insieme. C’erano prospettive peggiori.

 

Fu dopo un’oretta che cominciarono a vederli. Alcuni ancora simili ad umani, altri assimilabili a mummie e … non c’era una similitudine possibile per gli altri, i più vecchi. La forma del corpo umanoide, decaduta e decomposta all’inverosimile, era solo uno schizzo su cui era basata la figura del mostro. Ripensò alla sensazione provata mentre la lama rossa di Ventress lo trapassava dal petto alla schiena, a quella sensazione di morte, disperazione, dolore lancinante… vedere quegli esseri, quelle caricature di quello che erano stati era senza dubbio peggio.

«Cominciano a essere tantini, Lucky Boy, che ne dici di dare una bella sfoltita?» chiese Kayla fermandosi in un punto lievemente sopraelevato rispetto al resto della pianura brulla che stavano percorrendo.

«Per me va benissimo. Come facciamo?»

«Io con la spada laser falcio quelli vicini, tu stai attento che altri non si facciano sotto.»

«Sissignore.» disse lui e cominciò a puntare il suo fucile. Colpi facili, stavano lì, fermi, come i funghi di Felucia. Lei partì a tutta velocità, roteando la sua spada che riluceva verde nel buio, tagliando a metà quei corpi che cadevano al suolo sbriciolandosi, mentre lui colpiva, senza troppo sforzo, quelli che arrivavamo oscillando sui piedi da distante. In cinque minuti ne avevano ucciso diciotto.

Lei si allontanò passo passo dalla zampa di Ysalamiri fino ad uscire dalla bolla di attenuazione della Forza e si rilassò connettendosi al tutto. «Ce ne sono altri, lontani. La nostra meta è là, oltre quella cresta ricoperta di cespugli. Là sono … troppi.»

«La cosa non ci ha mai fermato, Generale!» disse lui controllando la carica del blaster. Sì, c’erano ancora “troppi” colpi.

Ricominciarono a correre ed arrivarono in vista di una collina alta e ripida, brulla come una luna bruciata dal sole, simile a una di quelle piramidi che quasi tutti i popoli della Galassia avevano prima o poi costruito. Lui prese in mano la zampetta mummificata e la vide diversa, come lievemente sfaldata ai bordi. Indietreggiò di un passo e la cosa si interruppe. Ecco il limite del potere di quella Vergenza. Il cielo, intanto, stava cominciando a passare dal nero al blu cupo, era il crepuscolo. Mezz’ora e sarebbe stata l’alba, mezz’ora e i due soli gli avrebbero fritto il blaster, se non fosse stato smontato.

Kayla gli si avvicinò, gli tolse il casco e lo baciò come se da quel bacio fosse dipeso il destino dell’universo. Avevano i secondi contati, letteralmente, ma tutti e due indugiarono più del dovuto. Caspita, era addirittura buona come sapore!

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