martedì 13 gennaio 2015

I Cinghiali di Marit. VI.

VI

In quelle ere lontane le estati erano roventi, ma gli inverni erano glaciali e, soprattutto, improvvisi. Le temperature calarono repentinamente e presto il gigante nubiano e il ragazzo talpa si trovarono ad arrancare tra muri di neve alti almeno un paio di braccia sopra la testa dell’uomo. La pelliccia di smilodonte divenne quasi subito un vestito del ragazzo talpa e Okaka dovette darsi da fare per procurarsi altre pellicce, ma il ragazzo non era certo della sua tempra e, dopo pochi giorni di nevicate e temperature polari cominciò a stare male e ad avere congelamenti alle dita dei piedi.
Il vantaggio dei Cinghiali su di loro era già grande a causa della lunga convalescenza di Okaka, ma ora sicuramente si stavano allontanando sempre di più. La notte il gigante stringeva a sé il ragazzino cercando di passargli un po’ del suo calore, ma ogni notte di più sentiva il gelo crescere dentro alle sempre più gracili membra del povero talpa.
E poi, in un giorno che era diverso dalla notte che lo aveva preceduto solo perché tutto intorno a loro appariva bianco invece che nero, Okaka superò il crinale di una fila di colline e vide un’enorme costruzione di pietra grigia cinta da mura. Uomini e cinghiali si aggiravano indaffarati intorno all’immane costruzione la cui vetta spariva tra le nuvole bianche e compatte.
- Guarda, ragazzo talpa. Eccoli! – gli disse prendendolo in braccio e sentendo distintamente l’odore di marcio che usciva da quei fagotti informi di pelliccia che contenevano i suoi piedi.
- Almeno li ho visti. Si vede che era destino che morissi prima della loro fine. Perché finiranno, vero gigante del sud? –
Okaka lo guardò indeciso su cosa fare, un uomo normale gli avrebbe mentito e gli avrebbe detto che stava bene, era solo il freddo, con un bel fuoco sarebbe stato meglio, domani ci sarebbe stato il sole e così via, ma il nubiano era ricoperto di cicatrici sia sulla pelle che sul cuore e quel povero ragazzo non era un bambino cresciuto nel caldo di una casa amorevole e conosceva fin troppo bene la morte. – Certo che finiranno, ragazzo talpa, dovessi morire facendolo li massacrerò dal primo all’ultimo. –
- Appena io sarò morto? –
- Sì, piccolo mio, dopo che sarai morto e ti avrò sepolto sotto il più bel cumulo di pietre che si sia mai visto dal temo dei Re di Kenar. –
Il ragazzo sorrise malgrado il dolore alle gambe, poi guardò l’uomo con i suoi occhi ciechi e disse: - C’è la tua amica? –
Okaka si guardò intorno e vide un’ombra grigiastra tra i fiocchi di neve. – Sì, è qua. –
- È forte adesso? –
- No, deve nutrirsi, andremo a cercare un animale. –
- Il sangue umano è più forte, vero? Avrai bisogno d’aiuto laggiù, è vero? –
- Non devi dire queste cose … - cominciò a dire il gigante, ma poi guardò giù e stimò il numero dei nemici in qualcosa che stava tra gli 80 e i 100. Era forte, molto forte, ma così sarebbe stato un suicidio inutile, non ne avrebbe potuto uccidere nemmeno un terzo prima di soccombere. Ma Leka, lei nel pieno delle forze sarebbe stata una furia scatenata. – Avrò bisogno d’aiuto, sì. –
- Leka! – disse il ragazzo chiamandola per la prima volta col suo nome – Aiutalo laggiù. – aggiunse. Poi, piangendo disse ancora una cosa: - Naril. –
- Cosa? –
- Naril. È il mio nome. Dillo solo una volta e poi lasciami qui per lei. –
- Naril. – disse il gigante con l’affetto con cui avrebbe chiamato un figlio.
- E un’altra cosa, Okaka. – aggiunse il ragazzo.
- Dimmi, Naril. – gli rispose accucciandosi su di lui per sentire meglio. –
- Dopo, quando lei avrà finito, decapita il mio corpo. Lei è simpatica, ma non voglio … capisci, no? –
- Capisco. Addio Naril. – e si allontanò per non sentire quell’orrendo risucchio che sapeva lei avrebbe fatto. Dopo un po’, non sapeva quanto, una mano piccola e calda gli si appoggiò sulla spalla. Era Leka, solida come una donna viva, letale come una dea della notte. – Vai! – gli disse singhiozzando. Anche dopo la morte c’era del buono, allora. Meglio così.
Andò verso il ragazzo i cui occhi bianchi si stavano riempiendo di neve e, con un solo colpo della sua spada, fece quanto promesso. Scavò una fossa profonda e ve lo seppellì avvolto nella pelliccia di smilodonte e poi tirò su un tumulo che avrebbe fatto invidia a un re. solo dopo aver fatto questo, mentre il cielo da bianco diventava velocemente nero, lui e Leka cominciarono a scendere per il fianco della collina. La morte dei Cinghiali camminava con loro.

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