venerdì 23 gennaio 2015

I cinghiali di Marit. VII.

VII

L’enorme nubiano era capace di camminare in modo incredibilmente veloce e silenzioso rispetto alla sua mole, Leka invece si muoveva come sfiorando la neve, senza lasciare orme ma smuovendo solo una lievissima nuvoletta di aghi di ghiaccio. Dopo neanche un’ora erano vicino al muro di cinta della torre che forava le nubi. Erano mura molto alte, una sessantina di piedi o giù di lì. Dietro ai merli vedevano spuntare guardie infreddolite che, nel turbinare della neve che continuava a cadere, sembravano, o forse erano davvero, simili a cinghiali.
- Di lì non si passa. – disse Okaka allo spettro che si era nascosto con lui dietro a una macchia di alberi e cespugli rinsecchiti dal freddo.
- A valle dovrebbero esserci le fogne. – disse Leka.
Lui la guardò stupito e lei gli disse: - Mio padre aveva vissuto nella grande città sul mare e a volte mi ci aveva portato per vedere un po’ di mondo.
- Andiamo a valle, allora. – disse lui e, nascosti dalla neve scivolarono fino a sotto al lato est delle mura. Da una grata di ferro arrugginito scorreva fuori dalle mura un orrido rivolo di liquame che fumava nell’aria fredda andando a perdersi in un fosso pieno di rovi secchi. Il gigante saltò in quella sozzura e, prese tra le sue mani due sbarre di ferro cominciò ad allargarle sotto lo sguardo sbalordito di Leka. A giudizio della ragazza nemmeno un paio di buoi di quelli che suo padre usava per arare i campi avrebbero potuto smuovere quelle sbarre di ferro spesse ognuna come un suo polpaccio, ma il nubiano tese allo spasimo i suoi muscoli e, i tendini del collo prossimi a strappare la pelle, gli occhi strabuzzati e le labbra tirate fino a mostrare i denti e le gengive rosa, spinse oltre ogni umana possibilità e alla fine le sbarre si deformarono lasciando abbastanza spazio per farlo passare al di là della grata.
Si infilarono in quel cunicolo nero e puzzolente e camminarono nel buio più solido che avessero mai visto mentre la puzza li soffocava e i ratti sfuggivano davanti a loro squittendo ovunque intorno a loro. Dopo un po’ di tempo, nessuno dei due avrebbe saputo dire se poco o tanto, arrivarono ad un’altra grata, molto più piccola dell’altra. Nessuno girava nelle vicinanze dell’entrata e, dopo aver aspettato e ascoltato per un po’ Okaka la tirò verso di sé divellendola dal muro. Uscirono e si trovarono in un cortile. Camminarono rasente ai muri e, attraversata una postierla sbucarono in un altro cortile più grande. Degli uomini coperti con pesanti sai stavano tirando fuori da una gabbia dei ragazzi uno alla volta. Li prendevano uno alla volta e poi, afferrabili per le braccia e fattili coricare su una sorta di altare di pietra, li costringevano a bere un liquido rosso nerastro da una coppa di argento. I ragazzi urlavano dal dolore e poi, dopo un breve attacco di convulsioni, si rialzavano e, coi lineamenti stravolti e di minuto in minuto più simili a quelli di un cinghiale, si andavano a mettere in fila sotto a una tettoia. In fila ce ne erano già sei, nella gabbia erano in undici.
- Ecco cosa gli fanno quando li portano via dai villaggi. – disse Leka – Anche mio fratello Sh-Nar è andato via con loro. –
- Li cresceremo come grandi guerrieri e conosceranno i segreti del mondo. Così dicevano nei villaggi, no? –
- Sì. – disse la ragazza e la sua furia la fece ondeggiare cambiando il colore della sua pelle. La rabbia può rendere un fantasma più potente, può renderlo qualcosa di altro da quello che era.
- Io i ragazzi già mutati e tu i sacerdoti? – chiese alla ragazza e lei annuì. Il suo volto non aveva quasi più nulla di umano e ricordava i demoni scolpiti sulle volte del tempio di Yog-Naggar in cui lui era stato catturato e torturato una decina di anni prima. Il pensiero che gli passò per la mente mentre lei annuiva sorridendo non gli piacque affatto, cazzo, stava diventando una di quelle cose che lui ammazzava, stava diventando un mostro. Ma il problema adesso non era certo quello, dei ragazzini innocenti stavano per essere mutati in qualcosa di malvagio, e lui lo avrebbe impedito.
Scattarono a una velocità tale che i primi due nemici erano già a terra con le teste spiccate dal collo prima ancora che gli altri se ne fossero accorti. La spada del nubiano roteava veloce sibilando nell’aria satura di fiocchi di neve, Leka saltava come un felino addosso ai sacerdoti usando le zanne e gli artigli per sbranarli. Solo un paio di loro tentarono di reagire, lei fu colpita da una pugnalata che ignorò totalmente, lui fu morso da uno dei ragazzi, la loro trasformazione in cinghiali era istantanea, ma non era certo una ferita al braccio che poteva fermarlo. Tempo cinque battiti di ciglia, non di più, e tutti i nemici erano a terra. lui strappò il lucchetto dalla gabbia e portò i ragazzi all’imboccatura della fogna. Tre saltarono subito dentro, gli altri si fermarono disgustati dall’odore, ma bastò un ringhio di Leka a farli saltare giù. Dopotutto era solo merda, per gli Dei, tra la merda e l’essere trasformato in un mostro lui avrebbe sempre e soltanto scelto la merda.

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