domenica 18 ottobre 2009

Evoluzione I,3.

Ed eccoci al terzo capitolo, spero che i primi due vi siano piaciuti. A, se trovate qualche imprecisione, non li ho ancora riscritti, ricordate che sono parte di un libro abbandonato!
Ed eccovi il terzo capitolo:

III

Paulo, un bambino indio di circa sette anni che non era mai uscito dal suo piccolo villaggio sulle rive di un fiume dell’Amazzonia, corse con uno straccio stretto intorno alla mano dal vecchio che lui e tutti i suoi parenti chiamavano semplicemente il Dottore.
- Dottore, Dottore! – urlava il bambino – Mi sono fatto male alla mano! –
- Vieni qua Paulo. – disse il vecchio con quella voce che al bambino ricordava tanto quella del Papa, - Ora vediamo un po’ cosa ti sei fatto, piccolo animale.-
Il vecchio, che vecchio lo era davvero avendo ormai novanta anni, era alto un metro e ottantotto ed era ancora dritto come un fuso come gli avevano insegnato nella sua giovinezza in caserma.
- Che brutto taglio. – disse al bambino accarezzandogli la testa con la sua grossa mano su cui spiccavano le macchie marroni dell’età – Mi sa tanto che ci vorranno dei punti. –
Paulo cominciò a piangere tentando di togliere la sua piccola mano sanguinante dalla manona del vecchio, ma questi gli diede uno schiaffo e urlò: - Piccolo animale, nessuno ti ha dato il permesso di andare via! – e lui rimase lì, perché quando il Dottore si arrabbiava era sempre consigliabile obbedirgli.
Pulì la ferita con un disinfettante che bruciò un po’ al bimbo, che tentò inutilmente di trattenere le lacrime, poi gli diede due punti con un ago ricurvo che teneva immerso nell’alcol.
- Ora puoi andare, piccolo animaletto. – disse dandogli uno schiaffetto sul sedere e sorridendo con quei suoi vecchi denti un po’ gialli e consumati, - ma stai attento a non bagnare la ferita! –
Sorrise vedendo quel piccolino dalla pelle scura che correva fuori, poi si alzò e andò a coccolare il suo pastore tedesco che dormiva sul divano. – Andiamo Gunther! – disse in tedesco al cane e uscendo salutò alzando il braccio destro la bandiera con la svastica che pendeva alla destra della porta.
A pochi metri dalla porta della piccola casa in muratura in cui viveva sorgeva il piccolo ambulatorio in cui lavorava ormai da una sessantina di anni, cioè da quando era arrivato lì dalla Germania attraverso il porto di Genova e con l’aiuto dei suoi camerati. In quei tre piccoli ambienti in muratura di fango imbiancata a calce aveva fatto nascere migliaia di bambini e distribuito vaccini, continuando in segreto gli studi sui gemelli del suo vecchio maestro Joseph Mengele, scoprendo che quasi tutte le teorie di quest’ultimo erano sbagliate e dedicandosi così alla genetica e alla selezione della razza, così come coi cani aveva fatto suo nonno Heinrich von la Salle, uno dei padri del cane pastore tedesco.
Sessanta anni di cure e di incroci da lui segretamente predisposti avevano già fatto aumentare di dieci centimetri l’altezza media degli indigeni e di addirittura sedici punti il loro quoziente di intelligenza.
In lunghe chiacchierate con sua moglie Margarita, che era morta ormai da diciotto anni, era giunto alla conclusione che il nazismo, in cui lui credeva ancora con tutto sé stesso, aveva sbagliato nel porre le proprie premesse ed aveva quindi fatalmente fallito nella sua applicazione pratica.
- Vuoi dire che era dunque sbagliato eliminare i Giudei dalla faccia della terra? – gli aveva chiesto nel 1972 sua moglie con lo sguardo inviperito.
- No cara – le aveva risposto posando il bicchiere sul tavolo e parlandole con il tono che suo padre aveva usato un tempo con i suoi studenti all’università – Voglio solo dire che era sbagliata la ragione per cui noi li uccidevamo. -
I Giudei erano in effetti come diceva il nostro beneamato Fuhrer, brutti, avidi e costituzionalmente diversi da noi ariani, ma la genetica ci dice che la differenza non sta nella carne, ma nella loro storia ed evoluzione.
Io stesso non sono un ariano puro, discendendo per parte di padre da un francese, il cui puro sangue germanico era imbastardito dal sangue latino e celtico, ma una decina di generazioni di vita tedesca mi hanno reso forte e sano nella mente e nel corpo come un Goto di duemila anni fa.
Io penso che anche i Giudei, se rieducati e incrociati tra loro selezionandoli come mio nonno fece con degli inutili cani bastardi, potrebbero dare origine in poche generazioni a un essere bello e puro come questo cane. – e aveva indicato Herrmann, il pastore tedesco bisnonno di Gunther che dormiva in quel momento ai piedi della sua sedia.
- I Giudei sono sbagliati dentro. – aveva ribattuto però Margareta – sono diversi da noi quanto e più degli Slavi o dei negri o di questi stupidi indios in mezzo a cui siamo costretti a vivere. –
- No mia piccola… - le aveva detto dopo aver bevuto il suo vino, sorridendole con quell’espressione che aveva sempre quando le sentiva dire una idiozia – Anch’io credevo una volta questo, ma anni di studi e di ragionamenti sulla storia mi hanno fatto ricredere
Quali imperi hanno avuto successo nella storia, pensa un po’?
I Romani hanno creato un impero che è durato quattro secoli e che è crollato solo quando non ce l’hanno fatta ad assimilare i barbari che erano i nostri antenati. Pur essendo geneticamente inferiori, quei popoli latini governarono il mondo perché tutti nel loro Stato venivano trasformati in Romani.
La stessa cosa hanno fatto gli Austriaci nel loro impero farcito di feccia slava e turca, e gli Inglesi nel loro impero sparso tra Indiani e negri.
Ed ora il potere lo hanno gli Americani, con la loro ignoranza e la loro pretesa di essere i migliori in tutto. Per quanto il loro Melting pot mi possa fare schifo, con quell’orribile incrocio di negri e bianchi e giudei e chissà cos’altro, bisogna ammettere che questa loro civiltà per certi versi degenerata, produce dalla feccia dell’umanità quelli che posso indubitabilmente essere definiti dei veri Americani. –
Si alzò e guardò fuori dalla finestra la notte buia e piena di grida e fruscii animali. – Quello che rende un popolo forte, non è una sua presunta purezza, ma la sua capacità di assimilare a sé stesso chiunque venga in contatto con lui, assorbendone i possibili pregi e purgandone i difetti.
È per questo che i Giudei erano nostri nemici – aveva detto allora – non per una loro intrinseca inferiorità, ma perché rifiutavano di disperdersi totalmente nella nazione germanica rinunciando alle loro peculiarità. –
Da allora non avevano più parlato di questo argomento, perché lei non aveva compreso del tutto questa sua nuova concezione del nazismo, e anche perché la demenza aveva cominciato a rosicchiarle la mente poco a poco riducendola presto a una demente incapace di connettere e in fondo indegna di vivere. Di lì a pochi anni era stato costretto a ucciderla egli stesso con una iniezione di veleno, essendo una offesa alla splendida donna che era stata quell’esistenza menomata della mente.
Aveva allora dedicato quelli che sarebbero stati gli ultimi anni della sua vita allo studio della possibile elevazione della razza umana al di sopra del livello bestiale a cui la nostra condizione di bestie bipedi ci condanna, sorprendendosi a volte a passare le notti sveglio, baloccandosi con l’idea di un mondo dove non esistessero più vari uomini con le loro piccole menti simili a candele in una bufera, ma una sola grande e logica mente in cui tutti potessero perdersi e diventare migliori.

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