venerdì 23 ottobre 2009

Evoluzione I,7.

Ieri niente capitolo, chiedo scusa, ma non mi funzionava la connessione. Oggi rifunziona, Boh! Misteri dell'informaticcia, come dice Catarella.
Se qualcuno legge 'ste stronzate che scrivo sarà felice di poter leggere il nuovo capitolo, questo:

VII

Enrico Loi e il colonnello Mariani arrivarono con alcuni minuti di anticipo davanti alla porta del regno di Giulio Ferrero, il reparto di biomeccanica molecolare. Si guardarono senza sapere cosa dire e Enrico sorrise vedendo il colonnello con la mano finta che guardava incuriosito il foglio su cui erano stampati i nomi dei professori che lavoravano lì con le loro qualifiche. Lo stesso Enrico faceva fatica a capire la maggior parte delle materie in cui erano laureati, ma il buon colonnello sembrava leggere delle scritte in cinese.
- Buongiorno signori. - disse Ferrero aprendo la porta, - Se volete seguirmi nel mio laboratorio delle meraviglie… - e fece loro strada in un corridoio su cui si aprivano delle porte, in quel momento a dire il vero tutte chiuse, fino ad una grande sala conferenze illuminata dal sole.
- Sapete entrambi cosa è la biomeccanica molecolare, vero? –
- A grandi linee. – rispose Enrico.
- Io un po’ meno.- disse il colonnello abbassando un poco lo sguardo, - Le sarei molto grato se potesse farci una piccola lezione introduttiva. –
- Bene! – disse Il dottor Ferrero, - Voi conoscete le macchine, quelle cose fatte di vari pezzi che interagendo tra loro effettuano un lavoro? –
I due annuirono e lui continuò: - Con macchine io intendo cose semplici come un paio di forbici, formate da due leve affilate e una vite a fare da fulcro, ma anche cose un pochino più complesse, come un orologio, che è formato da centinaia di pezzi, o un computer, che è formato addirittura da milioni e milioni di pezzi. –
Enrico annuì convinto mentre il colonnello sembrò un po’ colpito da questo apparentamento tra il computer e le forbici.
- Vede colonnello, il computer, anche questi immensi computer che lei vede tutti intorno a noi, anche quelli che si trovano nelle teste di quei simpatici droidi che lavano per noi i piatti e le strade, il computer è in realtà sempre la stessa macchina che Pascal inventò nel ‘600. Una serie di leve alzate o abbassate, che fanno di conseguenza alzare o abbassare delle altre leve. Più leve ci sono più sono grandi i calcoli che il computer può fare. –
Andò alla lavagna e fece un piccolo cerchio, grande come una moneta da un euro. – Con tante leve così la macchina può fare le addizioni e le sottrazioni. –
Disegnò allora un cerchio grande come un pugno. – Così può fare divisioni, moltiplicazioni e forse estrarre radici quadrate. –
Fece un cerchiò grande come una testa e poi uno col diametro di circa mezzo metro. – Col primo di questi il computer può gestire Word, e col secondo farci divertire con Lara Croft. –
Mettendosi sulle punte dei piedi disegnò un cerchio grande quanto era alta la lavagna e poi disegnò uno spicchio di un cerchio immenso, che spuntava appena nel rettangolo di ardesia.
- Con questo posso simulare molti pensieri umani e far muovere un droide che scopa in terra e lava i piatti e con quest’ultimo… - e batté il dito sullo spicchio – con questo immenso cumulo di levette il signor Loi può leggere la mente di un topo e inserirne i pensieri nella testa di un altro. Capito? –
- Sì. – rispose un po’ imbarazzato il colonnello.
- Bene, bene, bene. Allora, tutte queste leve, lame, pistoni, ruote dentate e viti senza fine, sono costruite con metallo o legno o plastica, ma comunque con materiali simili al mondo visibile, formati da lunghe catene di molecole. Materiali che non potremo mai miniaturizzare più di tanto.-
Li guardò per vedere se avevano capito e, almeno per quel che riguardava Enrico fu soddisfatto del tutto. – Però le stesse identiche cose noi le possiamo fare su un altro piano dell’esistenza, cioè quello degli atomi. –
Disegnò sulla lavagna che aveva cancellato parlando una linea lunga quanto tutta la superficie nera, e vi scrisse sotto “più piccola levetta costruibile” e poi fece al di sotto un trattino lungo due millimetri, praticamente un punto, e vi scrisse “stessa leva costruita con atomi”.
- Come vedete noi possiamo costruire macchine potentissime delle dimensioni di un nostro globulo rosso, e forse questo è ancora più importante, queste macchine possono essere programmate per riprodursi all’interno di un corpo, utilizzando proprio le risorse del loro ospite. –
- Come un virus. – disse Enrico.
- Esatto! – rispose Ferrero sorridendo – Un virus artificiale che possiamo programmare per fare qualunque cosa. – aprì la porta e disse loro: - Seguitemi! Tra poco vedrete che quando dico qualunque cosa, intendo proprio quello che ho detto.- e uscì dalla stanza seguito dai suoi due incuriositi ospiti.
Entrò in una stanza dove c’erano molte gabbie simili a quelle dei ratti di Enrico e ne prese tre.
- Questo è H913/12, ma noi lo chiamiamo Lattuga. – disse indicando un topo totalmente glabro, dalla pelle verde oliva, che correva su una ruota in una gabbia in cui non c’era cibo ma solo acqua e un blocchetto di sali minerali. – Gli abbiamo iniettato dei piccoli robot, che chiamiamo microsonde, che gli hanno trasformato le cellule della cute facendogli produrre clorofilla; è più di sei mesi che non mangia e si nutre solo di luce solare, acqua e sali minerali.
Indicò poi un topo all’apparenza normale, che se ne stava tranquillo nel suo angolino pieno di cotone a leccarsi una zampina. – Questo è L612/21, Ursus per gli amici, ed è un po’ speciale anche lui…- disse, e lo scagliò con la forza di un giocatore di baseball contro il muro di cartongesso. Il ratto picchiò sul muro e cadde a terra totalmente intatto, correndo verso i piedi di Ferrero.
- Scusate l’eccessiva teatralità, ma ho sempre sognato di essere un campione. – disse ridendo e ripose Ursus nella sua gabbietta. – Come potete notare questo piccolo animaletto ha quasi sfondato il muro. – e indicò una bella infossatura nella parete.
Mentre i due ospiti si guardavano increduli prese il terzo topo e gli fece un grosso squarcio sulla schiena con un bisturi. Il taglio si rimargino immediatamente senza lasciare alcuna cicatrice. – E anche questo è opera delle nostre microsonde. –
Vedendoli tanto stupiti che sorrise pensando che i loro occhi sembravano sul punto di cadere in terra, sfoderò l’ultima meraviglia, quella per cui li aveva fatti venire lì.
- Se avrete la pazienza di attendere alcuni minuti, potrete scoprire cosa c’entra tutto questo con l’incredibile invenzione del dottor Loi. – Prese un altro ratto e gli iniettò davanti a loro il contenuto di una fiala che stava in una scatola insieme a un telecomando da automobilina. – Bastano tre o quattro minuti perché le sonde si moltiplichino e facciano il loro lavoro. – disse posando il ratto nella sua vaschetta.
Il ratto corse a bere e Enrico e il colonnello Mariani videro distintamente un piccolo bozzo formarsi sulla sua testa, per poi aprirsi e lasciare emergere una piccola antenna. Tempo tre minuti e il ratto si calmò e tornò a leccarsi la zampa, ignorando l’antenna che gli era cresciuta in testa.
- E ora… - disse Ferrero prendendolo dalla vasca e posandolo in terra, - …vai con lo spettacolo! – e cominciò a guidare il ratto per il pavimento usando il telecomando, facendogli fare tutti i movimenti che voleva.
- Pensate che questa piccola cosa possa in qualche modo interessarvi o volete continuare a usare quelle scomode coroncine che è così facile rompere o perdere? –

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