mercoledì 14 ottobre 2009

Scusate il ritardo.

Il titolo l'ho rubato a Troisi, e ne chiedo scusa a tutti.
E' un po' che non scrivo qualcosa sul blog e voi, i miei inesistenti lettori, starete sbavando in attesa di un mio nuovo racconto. Eccovelo,miei cari, ma attenti, fa paura e poi di notte avete gli incubi, si intitola:

PULIZIE

- Ciao ragazzo, forse un giorno ci rivedremo. – disse e rise sapendo che questo per Nicki non era una grande prospettiva – Buon lavoro, per stanotte. E buona fortuna per il futuro. – aggiunse e si chiuse la porta alle spalle lasciandolo solo nella casa ridotta a un campo di battaglia disastrato.
Il ragazzo si sedette in terra e si coprì gli occhi con le mani, piangendo per quello che era successo, per quello che avrebbe dovuto fare e per quello che gli sarebbe successo in futuro. Poi si alzò e andò a prendere gli attrezzi di papà in garage, sperando di avere abbastanza pelo sullo stomaco per fare il suo dovere.
Tornando in cucina con la sega e l’ascia si sentì totalmente privo di forza ed ebbe una voglia incredibile di abbracciare la sua mamma, ma sapeva benissimo che sua madre non lo avrebbe abbracciato mai più, almeno al modo giusto, e si vergognò della sua debolezza, anche se era assolutamente comprensibile in un sedicenne nella sua situazione.
Tagliò una gamba del tavolo e, mentre la affilava con piccoli colpi d’ascia, ripensò a come era cominciata la serata.
- Ciao papà! – aveva detto Samantha vedendo rincasare il padre, ma subito lei e il fratello si erano accorti che qualcosa non andava. – Cosa c’è papà, stai forse male? –
- No ragazzi, è solo che ho visto una cosa che non…- aveva detto asciugandosi il sudore dalla fronte anche se era febbraio e c’erano solo otto gradi fuori. La mano che reggeva il fazzoletto tremava come quella del nonno. - …è solo che…non so ragazzi, niente! – e aveva fatto quello che secondo lui doveva essere un sorriso tranquillizzante.
- Ciao Marco! – aveva detto mamma uscendo dalla cucina e andando ad abbracciarlo, ma lui prendendola per un braccio l’aveva portata in camera e si era chiuso la porta alle spalle.
Nicky e Samantha si erano guardati totalmente sorpresi dal comportamento del padre, che avevano deciso all’unanimità essere il quarantenne più noioso e prevedibile di tutto l’emisfero settentrionale. Poi avevano sentito la cosa più orrenda da quando erano nati, la voce del padre che piangeva.
- Ma che cazzo succede? – aveva chiesto con la faccina terrorizzata Sam che aveva solo quattordici anni e a parte due minuscole tette era ancora una bambina – Cosa ha papà? –
- Non lo so Sam, sembra sotto shock. – le aveva risposto, tentando di sentire cosa mamma e papà si stessero dicendo oltre la porta della camera. – Potrebbe aver avuto un incidente, forse. – aveva azzardato sperando che una possibile spiegazione avrebbe impedito a Sam di piangere. Non lo avrebbe sopportato, perché anche lui sentiva le lacrime dietro alle palpebre.
- Non sembra ferito. – aveva detto allora Samantha – Non avrà mica messo sotto qualcuno, non è che lo devono arrestare? – e le prime lacrime avevano cominciato a scendere sulle guance arrossate della ragazzina, quando qualcuno aveva bussato alla porta e lui era andato a vedere chi rompeva.
- Mannaggia a me che sono andato ad aprire. – disse piangendo mentre buttava a terra la gamba del tavolo ormai affilata e cominciava a segarne un’altra. Gliene servivano tre e pensava di finire in circa tre quarti d’ora; poi sarebbe venuto il difficile, purtroppo.
Si sedette su una sedia con il pezzo di legno appoggiato sulle gambe e cominciò a lavorarlo con l’ascia lanciando ogni tanto un’occhiata alla sala dove li aveva messi. C’ era tempo ed erano solo le dieci e mezza, la notte sarebbe stata lunga per lui.
Aveva guardato dallo spioncino e un uomo in giacca e cravatta fuori dalla porta gli aveva detto: - Sono qui per suo padre, sono della polizia. –
- Della polizia? – aveva chiesto alzando la voce.
- Sì, devo parlare con suo padre. Posso entrare? – aveva chiesto guardandosi intorno con fare imbarazzato.
- Sì, ora le apro. – aveva risposto proprio mentre il padre usciva di corsa dalla camera con mamma in lacrime alle sue spalle, urlando: - No! Non aprire! –
- Cosa? È un poliziotto pa’. –
- Non aprire, cazzo! – aveva detto prendendolo per un braccio e spingendolo via con violenza, proprio lui che non aveva neanche mai schiaffeggiato uno dei suoi figli, poi aveva urlato rivolto all’uomo al di là della porta: - Vattene via! Non ti lascerò toccare la mia famiglia! – e di nuovo la sua voce era stata rotta da singhiozzi che erano stati per Nicky più fastidiosi del rumore delle unghie sulla lavagna.
- Ma cosa dice, signore… - aveva detto l’uomo da fuori con una voce così tranquilla che era suonata falsa alle orecchie di Nicky – Voglio solo parlare con lei, forse se parliamo si risolverà tutto e non ci saranno conseguenze per lei e la sua famiglia. –
- Vai via! – aveva urlato il padre piangendo mentre alle sua spalle mamma si mordeva le unghie a sangue con il terrore negli occhi misto alle lacrime.
- Ma cosa c’è? – aveva chiesto Samantha tirando per un braccio la madre – Cosa vuole quell’uomo? –
In quel momento la maniglia della porta aveva cominciato a girare e i fermi erano scattati come se l’uomo là fuori avesse avuto le chiavi, poi la porta si era aperta e il poliziotto, magro e più alto del padre di un palmo, era entrato in casa fissando negli occhi Nicky.
- Mi ha guardato così perché io lo ho invitato a entrare. – disse Nicky alla stanza vuota, gettando la gamba del tavolo che aveva appena finito sull’altra che stava ad aspettarla in terra vicino ai suoi piedi. – È per colpa mia che è entrato. – disse e si alzò per tagliare la terza gamba del tavolo che mamma aveva ereditato dalla nonna.
Sentì un suono provenire dalla sala e sentì il suo cuore fermarsi per un attimo. Si voltò così lentamente che sentì quasi cigolare le ossa del suo collo, e vide che erano ancora lì dove li aveva messi. Era stato Muffin, il loro gattone castrato, che era saltato sul divano in tutto quel macello che non sembrava neanche notare. Si rimise al lavoro dopo aver guardato di nuovo l’orologio a muro; il tempo passava e lui aveva ancora molte cose da fare prima di poter scappare.
- Buonasera signor Pallaro. – aveva detto con fare educato l’uomo alto vestito in giacca e cravatta – Suo figlio mi ha invitato ad entrare e ora, se lei è d’accordo, dovrei parlare con lei di una cosa importante. –
- Fuori da casa mia! Fuori! – aveva urlato il padre mettendosi tra l’estraneo e la famiglia che non capiva più cosa stesse succedendo.
- Signor Pallaro, io non uscirò da qui senza aver risolto il nostro piccolo problema. – aveva risposto sorridendo l’altro – Vuole forse che andiamo a parlare in un’altra stanza? –
- Non parlerò con lei! Lei deve solo uscire da qui e forse io non parlerò a tutti di quello che lei è e fa di notte. –
L’uomo alto aveva scosso la testa con un’espressione a metà tra delusa e sorridente, poi aveva detto: - Lei non mi dà scelta, signor Pallaro. È lei che mi costringe a farlo. –
Raccolse le tre gambe che aveva appuntito e le portò in sala, gettandole sul divano vicino a Muffin, poi tornò in garage e prese anche la tanica di benzina e la mazzetta da cinque chili con cui il padre era solito piantare i pali dei recinti intorno all’orto. La soppesò e gli sembrò adatta alla bisogna. Tornando in casa si fermò un attimo nel corridoio temendo di non sopportare di nuovo la vista di quello che lo aspettava in sala, ma ripensò alle parole che gli aveva detto quell’uomo e andò avanti.
- No. – aveva detto il padre con un filo di voce – No, la prego. –
- Ormai è tardi. – aveva risposto l’uomo chiudendosi la porta alle spalle – Le prometto che sarò veloce. –
- No! – aveva urlato il padre abbracciando moglie e figlia che erano vicino a lui e sapevano solo di dovere aver paura, Nicky era da solo dall’altra parte del corridoio e tremava come una foglia.
Lo sconosciuto si era mosso ad una velocità che nulla aveva di umano. Era saltato sulle tre persone terrorizzate che si trovava di fronte e le aveva prese tra le braccia sollevandole da terra. Le aveva portate in sala e lì aveva cominciato a fare quello per cui era venuto lì quella sera.
Era successo tutto per colpa del padre, o almeno quello che suo padre aveva visto ne era stata la causa scatenante; per questo decise di cominciare il suo lavoro da lui. Forse la sua relativa colpevolezza avrebbe reso più facile cominciare.
Voltò il corpo sulla schiena e gli aprì giacca e camicia sul petto, scoprendo la pelle villosa del padre che aveva adesso un colorito bianco grigiastro che dava l’idea dell’argilla asciutta più che dell’epidermide umana. Facendosi forza appoggiò la punta della gamba di tavolo all’altezza del cuore di suo padre e alzò sopra la testa la mazzetta sperando che un colpo solo fosse sufficiente a spezzare le costole.
Nicky era rimasto fermo per tutto il tempo, che poi era stato poco a dire il vero, incapace di muoversi sia per aiutare la sua famiglia che per fuggire lontano da quell’orrenda dimostrazione che Amleto aveva ragione riguardo alle cose che ci sono tra cielo e terra.
Lo sconosciuto era cambiato davanti ai suoi occhi e, malgrado avesse avuto ancora lo stesso numero di arti e gli stessi lineamenti sul viso, neanche un idiota avrebbe potuto confonderlo con un essere umano. Aveva morso prima sua madre, tenendo tra gli artigli i colli di suo padre e di Sam, i cui sguardi colmi di paura erano forse più spaventosi delle zanne che si erano affondate nella morbida pelle della madre e dei gorgoglii di risucchio che gli ferivano le orecchie da alcuni metri di distanza.
Poi era stato il turno del padre e, solo quando ormai gonfio di sangue come una sanguisuga il vampiro aveva aggredito Sammy, Nicky aveva tentato di muoversi per difenderla, ma il mostro, con la bocca oscenamente attaccata alla pelle della bambina piangente, si era voltato verso di lui guardandolo con occhi che rilucevano della luce dell’inferno, occhi rossi che ti bruciavano dentro come le fiamme della dannazione, immobilizzandolo lì dove si trovava, con una gamba e un braccio protesi in avanti verso una vittima che non poteva aiutare.
Quando calò la mazzetta la prima volta il palo gli sfuggì di mano e l’unica cosa che ottenne fu di rischiare di spiaccicarsi una mano e di aprire una grossa ferita sul petto del padre. La pelle si aprì di scatto, come tirata verso l’esterno, mostrando una carne bianca e asciutta che sembrava petto di pollo quasi cotto, come tenuto per ore a bagno nel limone.
Rialzò la mazzetta, riposizionò la punta sul cuore e, pensando che non ci sarebbe mai riuscito, calò con forza il colpo sulla base della gamba del tavolo, la cui punta penetrò nel petto in un rumore di ossa frantumate, maciullando il cuore del padre, che sembrò subito ritornare ad un normale aspetto di cadavere, non più come illuminato dall’interno dalla luce malefica dell’inferno.
Prese allora l’ascia e con un colpo deciso spiccò la testa del padre dal collo, fermandola con un piede prima che cominciasse a rotolare per il salotto.
Aveva fatto cadere a terra il corpo di Sammy che si era accasciato sul tappeto come se non avesse avuto neanche le ossa, rimanendo con gli occhi sbarrati, ma quanto orribilmente bianchi, rivolti verso il soffitto a guardare delle mosche che giravano in tondo e che lei non poteva più vedere.
- E ora… - aveva detto camminando verso di lui con uno sbaffo di sangue che gli colava dall’angolo della bocca - …ora vediamo di dare un senso alla serata. – e lo aveva inaspettatamente evitato, andando invece in bagno dove aveva sputato nel lavabo un po’ di sangue e si era poi lavato faccia e mani, tingendo di acqua rosata la ceramica bianca su cui spiccava una piccola macchia verde di dentifricio. – Così troveranno tracce di sangue nei tubi. – gli aveva detto sorridendo con un viso che ora un ingenuo avrebbe potuto facilmente scambiare per umano.
- Ora mi ucciderai? – gli aveva chiesto Nicky.
- No, piccolo, mi servi vivo. –
Aprì la giacca di pile della sorella scoprendo un magro petto androgino coperto da una t-shirt bianca appena deformata dai due piccoli seni che adesso non sarebbero mai cresciuti come quelli di mamma, cosa che era invece il sogno di Sammy, come gli aveva confessato l’anno prima.
Appoggiò la seconda gamba del tavolo di un centimetro a sinistra dello sterno, la stoffa si piegò intorno alla punta irregolare come lo spazio e il tempo intorno ad un buco nero, poi calò con forza la mazzetta, trafiggendo il cuore della piccola a cui un minuscolo rivoletto di sangue gocciolò giù dalla bocca aperta. Le chiuse gli occhi che erano rimasti sbarrati e poi con l’accetta le tagliò il piccolo collo facendo rotolare su un fianco la testa che portava ancora i capelli legati a coda di cavallo.
- Perché io ti servo vivo? – gli aveva chiesto.
- Perché se no la strage che ho appena commesso sarebbe stata inutile. – aveva risposto senza che il minimo cambiamento di tono avesse sfiorato la sua voce quando aveva detto strage.
- Non capisco. –
- Ora ti spiego, Nicky. Ti chiami così no? –
- Nicola Pallaro. –
- Nicola. Bene Nicola, stasera avevo fame, fame del mio tipo, come potrai capire, e come al solito mi ero scelto una vittima tra le persone spostate, senza fissa dimora e senza amici che possano segnalare alle autorità la loro scomparsa. Capisci? – gli aveva chiesto asciugandosi le mani e la faccia con l’asciugamano verde che era il preferito di mamma.
Nicky aveva annuito e lui aveva ripreso: - Vedi Nicky, pardon Nicola, io non mi devo nutrire molto spesso e la scomparsa di un decina di prostitute o spacciatori o barboni all’anno non viene notata da nessuno in una grande città come la nostra. Mi segui? – gli aveva chiesto e intanto aveva cominciato a sbottonarsi il polsino della bella camicia di lino che indossava.
- Sì. – aveva borbottato Nicky.
- Purtroppo proprio mentre stavo finendo di nutrirmi di una giovane polacca che avevo catturato fingendomi un gattino nel buio, con la coda dell’occhio ho visto un uomo che mi guardava col terrore negli occhi. Era tuo padre che non so bene perché era passato di lì e aveva visto tutto.
A proposito, sai per caso che cosa ci facesse lì in quella via buia e sporca? Andava a puttane? –
Nicky lo aveva odiato per quella domanda e gli aveva risposto: - Era una scorciatoia che usava lui. Ci diceva sempre di non passarci perché era una via troppo pericolosa per dei ragazzi. –
- Giusto! Comunque ha avuto tanta paura che girandosi e scappando gli si è impigliata la giacca in un ferro sporgente e si è strappata. Gli è caduto questo – e aveva tirato fuori da una tasca il portafogli di cuoio che lui e Sammy avevano regalato al padre a Natale – e mi ha risparmiato la fatica di cercarlo per tutta la città.
- Non capisco ancora. –
- Avrebbe parlato. Era un uomo importante e forse non tutti lo avrebbero preso per pazzo. Meno si sa che io gironzolo da queste parti e meno nemici ho. –
- E io? – gli aveva chiesto Nicky che ancora non capiva perché non era ancora morto.

Ora veniva la parte più difficile.
Si avvicinò al corpo della madre, la voltò sulla schiena e vide la ferita sul suo collo, così diversa dai discreti forellini che si vedono nei film dell’orrore. Era più simile al cratere di un esplosione, era come se le fosse esploso sul collo un grosso petardo. Accarezzò la guancia liscia della madre, coperta appena da un velo di trucco che si era messa perché era l’anniversario, non riuscendo a convincersi che era davvero morta e non sarebbe più entrata la mattina in camera sua per svegliarlo dandogli un buffetto sulla nuca.
Tentò di appoggiare la punta del palo sul petto, ma il maglione di lana si spostò col peso dell’arma e capì che doveva toglierglielo. Le tirò su il maglione scoprendo la pelle rosa della pancia e sentì come un pugno nello stomaco quando sollevandolo ancora apparvero i due grossi seni che lo avevano nutrito molti anni prima. Erano bianchi e pesantemente appoggiati sul petto, con i due capezzoli marroni che si stagliavano sul terreo colorito del cadavere. Le tolse totalmente il maglione perché non sopportava che il suo bel viso fosse coperto e prese in mano paletto e mazzetta per fare il suo dovere.
- Se per evitare che un tizio vada a raccontare che c’è un vampiro che succhia prostitute per strada entrassi in casa sua e mordessi tutti sul collo lasciando poi lì i cadaveri in attesa della polizia, sarei alquanto scemo, no? – gli aveva chiesto ridendo e arrotolandosi la manica sul braccio magro ma muscoloso.
- Forse. Ma è quello che hai fatto. – gli aveva detto Nicky.
- No piccolo. Tu sei vivo e nessuno ti crederà quando lo racconterai. Tutti penseranno che tu sia un sedicenne pazzo che ha massacrato la sua famiglia e ha infierito sui cadaveri per divertimento. – aveva riso felice per la sua astuzia – Le tue sembreranno le farneticazioni di un pazzo e parlando darai solo un’altra mandata alla chiave della tua cella. –
- Io non li toccherò. – aveva detto allora Nicky – chiamerò la polizia e quando verranno troveranno le tue impronte, la tua saliva sui loro colli, i segni dei tuoi denti e sarai rovinato.
Il vampiro aveva riso di gusto a queste parole e gli si era avvicinato per dargli una pacca sulla spalla. – Piccolo, se non fossi già un morto potrei anche morire dal ridere. – aveva detto e aveva ripreso a ridere.
- Guarda che non scherzo. – gli aveva detto allontanandosi di un passo.
- E neanche la tua sorellina scherzerà quando ti si infilerà nel letto e ti succhierà tutto il sangue dopo averti sedotto come una puttana dei vicoli, come non scherzerà tuo padre quando aggredirà i bambini dell’asilo bevendosene come niente una decina, o tua madre quando adescherà camionisti per morderli dopo che si saranno eccitati al profumo della sua passera. –
- Basta! – aveva urlato – Loro non lo farebbero mai! –
- E perché no? – gli aveva chiesto il vampiro con lo sguardo più innocente di quello di un bambino – Io amavo la mia famiglia eppure mia madre è stata la prima persona che ho ucciso, e mia sorella è venuta subito dopo di lei. –
- Tu sei un mostro! –
- Sì. E tra poco lo saranno anche loro, se non li impali, li decapiti, riempi le loro bocche di aglio e bruci i loro cadaveri. –
- No. –
- Non hai scelta. O loro o tutti quelli che ami, compreso te stesso. È così che va il mondo. – e intanto si era passato un’unghia sul polso aprendo un piccolo taglio da cui era sgorgato del sangue così scuro da sembrare nero nella luce elettrica della sala. Lo aveva preso per la nuca e lo aveva costretto a bere premendogli il polso sulla bocca.
Nicky, appena lo aveva lasciato, era corso in bagno a vomitare, e quando si era voltato se lo era trovato alle spalle.
- Perché? – gli aveva chiesto piangendo mentre sentiva lo stomaco che si rivoltava ancora dentro di lui.
- Così saprò sempre quello che starai facendo. Stai pure tranquillo, non è così che si diventa vampiri, ora c’è solo un remoto rischio che tu lo possa diventare dopo la morte. –
Nicky aveva vomitato ancora poca schiuma gialla e acida, poi era rimasto inginocchiato sul water a piangere mentre il mostro tornava in sala. Alzatosi lo aveva trovato seduto tra i cadaveri, col gatto che gli si strusciava sulle gambe.
- Simpatico animale. – aveva detto accarezzandolo, poi gli aveva chiesto: - Hai capito bene cosa devi fare? –
Nicky aveva annuito singhiozzando.
- Se non lo farai, non è che torneranno loro tre. Saranno tre vampiri che vorranno ucciderti, anche più cattivi di me. –
Nicky aveva annuito ancora, con le lacrime che gli scendevano sulle guance ricoperte da una rada peluria che suo padre non avrebbe mai visto diventare barba.
- Devi farlo subito, perché ognuno di noi si trasforma coi suoi tempi e qualcuno di loro potrebbe anche alzarsi prima di domani mattina. Se succederà non avrai scampo.
- Va bene, ora vattene dalla mia casa. –
- Ciao ragazzo, forse un giorno ci rivedremo. – aveva detto e aveva riso sapendo che questa per Nicki non era una grande prospettiva – Buon lavoro, per stanotte. E buona fortuna per il futuro. – aveva aggiunto e si era chiuso la porta alle spalle lasciandolo solo nella casa ridotta a un campo di battaglia disastrato.
Poggiando la punta del paletto sul petto della madre vide la pelle infossarsi sotto il suo peso e non poté fare a mano di toglierlo, trovando orribile l’idea di impalare quella donna che aveva tanto amato.
- Anche io ti amo. – disse una voce nella sua mente, una voce che gli fece venire freddo facendogli però un lieve solletico nel basso ventre.
- Chi è? – chiese alla stanza vuota stando in piedi in mezzo ai cadaveri della sua famiglia.
- Sono io Nicky. – disse ancora la voce, che però ora era anche nelle sue orecchie. La voce di mamma.
- No! –
- Sì caro. – disse la madre alzandosi, nuda dalla cintola in su e con uno sguardo che gli prometteva sesso quanto e più dei grossi seni che lo puntavano coi loro capezzoli marroni.
- Tu non sei mamma. – disse facendo un passo indietro mentre i suoi occhi non si staccavano dal suo corpo nudo – Vattene via! –
- Vieni da me Nicky. – disse lei alzando le braccia e andandogli incontro ancheggiando come una puttana. – Lo so che vuoi succhiarli di nuovo come quando ti tenevo in braccio da piccolo. Ora non sei più piccolo e ti voglio. –
Piangendo Nicky mosse un passo verso di lei, con un’erezione di cui si vergognava nei suoi pantaloni, riuscendo solo a pensare a quei seni grandi e pesanti che ondeggiavano lievemente ad ogni suo passo.
- Vieni Nicky, - disse lei poggiandogli le mani sulle spalle – vieni da me e baciami. –
Le poggiò una mano su un seno che era freddo nella sua mano, e si avvicinò a lei per baciarla come aveva baciato solo Erika durante la gita ad Atene, quando un movimento velocissimo fece sibilare l’aria vicino a lui.
Si riscosse da quell’incantamento e vide il corpo di sua madre, sempre a seno nudo ma non più provocante, giacere in terra mentre la testa rotolava pigramente vicino alla poltrona.
- Te lo avevo detto di fare in fretta. – disse il vampiro alle sue spalle gettando in terra l’accetta.
- L’hai uccisa. – disse.
- No. L’avevo uccisa qualche ora fa. Non era più lei e penso che anche tu lo sappia più che bene. –
Si voltò e guardò negli occhi gelidi quell’essere che per la seconda volta si era introdotto in casa sua cambiandogli la vita. – Ti odio. –
Il vampiro rise e disse: - E ora buon lavoro piccolo. – e uscì fischiettando lasciando Nicky solo col suo sgradevole lavoro.
FINE

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